Pompei 79 d.c.
Lungo il sentiero che collegava la città di Pompei alle campagne limitrofe, una giovane nobildonna di nome Livia assaporava il calore del sole sul viso. La sua serva, seduta a cassetta, conduceva il carro su quella stradina disastrata. I sobbalzi infastidivano la donna che, posizionata accanto alla serva, sopportava quella tortura con padronanza e pazienza. Non era il suo solito modo di viaggiare, ma l'importanza di quei viaggi richiedevano dei sacrifici. - Non potresti fare attenzione, Mira? - - Mi dispiace, mia signora. Farò il possibile. - - Bene. È già umiliante dover viaggiare su questo... mezzo. Se poi lo conduci in questo modo, in che condizioni vuoi che mi trovi mio marito al ritorno? - La serva annuì senza distogliere lo sguardo dalla strada e portò il cavallo a un leggero trotto. Quelle sue passeggiate mensili erano indispensabili per il ruolo che la donna ricopriva nella società pompeiana. Suo marito ne era a conoscenza e, seppur uomo ligio alle regole, accettava e partecipava alla sua vocazione: dedicare se stessa al dio Dioniso. Era stato incantato dalla sua bellezza già la prima volta che aveva posato lo sguardo su di lei. La donna passeggiava tranquillamente per il Foro, i capelli sciolti e una veste rossa che mostravano le sue curve giovani e sinuose. L'uomo smise di parlare con il mercante con cui stava facendo affari e s'incantò nel guardarla. Da quel momento fece carte false pur di conoscere il suo nome e poterla conquistare.
Livia era diventata un'adepta solo tre anni prima. Strappata dalla sua famiglia di origine, era stata educata per divenire una sacerdotessa ed essere consacrata al dio. La sua vita non era stata facile e le prove che aveva dovuto superare l'avevano temprata, indurendola negli anni e rendendola sempre più devota. Poi, un giorno, conobbe colui che diventò il suo futuro marito e il suo cuore si sciolse. L'uomo la venerava ed esaudiva ogni suo volere. Non opponeva mai un rifiuto o la contraddiceva in nessun modo. Il loro primo baciio suggellò un amore che nessuno dei due credeva potesse esistere e l'animo di Livia, in quel momento, si divise in due. - Marcus, mio amore, devo dirti una cosa molto importante. - L'uomo le prestò immediatamente attenzione mentre passeggiavano uno accanto all'altra. - Ti ascolto, mia dea. - Livia era circospetta, ciò che aveva da dire era molto importante e pericoloso. - Non qui - , disse voltandosi in cerca di orecchie indiscrete. - Andiamo lì dietro, saremo più sicuri. - Marcus era sempre affascinato dalla determinazione che quella donna meravigliosa dimostrava e la seguì senza fiatare. Nessuno poteva essere a conoscenza dei rituali che praticava: erano considerati illegali e puniti con la morte. Per amor suo rischiò: - Marcus, mi ami a tal punto da mantenere un segreto? - - Certo, mia cara. Per te sarei disposto a combattere contro mille gladiatori se fosse necessario! - Livia si morsicò il labbro inferiore. - È qualcosa che mi riguarda personalmente. Puoi accettare qualsiasi cosa? - Marcus prese le mani della donna tra le sue. - Per amor tuo, nulla può essere così spaventoso da farmi smettere di amarti. -
Livia fu rassicurata da quelle parole e cominciò: - Sai che sono diventata una sacerdotessa. - L'uomo annuì. - Ciò che non mi è concesso dirti è che sono... - la voce le venne a mancare, quasi fosse strozzata dal suo stesso segreto. - Sono stata consacrata al dio Dioniso - , disse, infine, tutto d'un fiato. L'uomo sgranò gli occhi, esterrefatto, ma la sua sorpresa svanì subito per amore della sua donna. Le strinse le mani e le sorrise con un accenno del capo. Poteva accettare tutto pur di stare con la donna che amava più di ogni altra persona al mondo. Livia si sentì finalmente completa e felice e gli anni a seguire portarono prosperità nelle proprietà da loro gestite. La nascita del loro figlio fece quasi esplodere di gioia il cuore di Marcus che, orgoglioso come non mai, diede una cena degna di un imperatore per gli amici più intimi. Il bambino cresceva in salute e felice mentre gli affari della tenuta aumentavano sempre di più. Livia era libera di professare la sua fede in tutta tranquillità e lo stesso Marcus partecipava attivamente. La villa si ampliava anno dopo anno e il numero dei servi cresceva con essa. Sembrava che nulla potesse mai distruggere quella perfezione che gli dei avevano concesso loro. Quel giorno però, mentre Livia e Mira procedevano in direzione delle porte della città, tutte le gioie, tutte le soddisfazioni di una vita perfetta e agiata vennero meno e si sgretolarono sotto il peso della distruzione. La campagna circostante iniziò a vibrare. I ciottoli lungo la strada si mossero da soli e traballarono sul posto come in un enorme setaccio. Le fronde degli alberi si agitarono senza vento, la terra iniziò a tremare violentemente. Il cavallo, che trainava il carro di Livia, nitrì spaventato, si impennò sulle zampe anteriori e iniziò a strattonare le redini. Mira cercò di controllarlo, ma il carro finì per rovesciarsi, le re dini si spezzarono e il cavallo fuggì via. Le due donne si ritrovarono per terra, nella polvere, su quello che sembrava un gigantesco tamburo che non smetteva di vibrare. Gli scossoni ebbero fine dopo un lungo e interminabile attimo e le donne, sconvolte nell'animo, si rialzarono con il cuore che batteva nel petto all'impazzata. - Raccogli solo ciò che è semplice da trasportare e che non si è rovinato. Dirò agli altri di venire a recuperare il resto - , ansimò Livia mentre ella stessa raccoglieva ciò che poteva. Ripresero il cammino a piedi e giunsero alla villa poco dopo. Una volta arrivate, però, lo spettacolo che si presentò loro davanti convinse Livia che il destino degli abitanti di quella tenuta era cambiato per sempre, specialmente il suo. La villa aveva subito gravi danni. Livia se ne rese conto nel momento stesso in cui il tetto rosso fu visibile. Le tegole si erano staccate, gli oggetti nel piazzale erano in frantumi, alcune piante spezzate dal peso di utensili abbandonati nelle vicinanze. Livia entrò in casa, la situazione era simile. Ogni genere di vasellame era in frantumi, i dipinti alle pareti, staccati, giacevano a terra in mille pezzi, la pavimentazione sollevata. Un albero del suo giardino era precipitato e aveva distrutto un'intera stanza. Livia non poteva crederci, ma furono le urla dei servi ad attirare la sua attenzione. Lasciò cadere ciò che portava in grembo e corse verso la porta secondaria da dove i commercianti proponevano la loro merce. Il carretto del mugnaio si era ribaltato, riversando sul terreno tutta la sua merce. Un fiume perlaceo scivolava lento sul terreno virando al rosa in alcuni punti. Il cavallo scalciava spaventato e molti schiavi tentavano inutilmente di bloccarlo e calmarlo. Il mugnaio si spostò e Livia lanciò un grido di dolore. Il corpo di suo figlio e di suo marito spuntavano da sotto il grosso carretto ribaltato.
Livia si precipitò verso di loro ignorando la lunga veste chesi impregnava del liquido rosa, ai suoi piedi. - Marcus! Livius! - L'uomo e il ragazzo erano privi di vita e non c'era più nulla da fare. Il mondo circostante perse ogni rumore e un urlo diafano le uscì dalla bocca. Disperata come mai nella sua vita, Livia tentò inutilmente di sollevare il carretto, ma delle forti braccia la bloccarono e la consegnarono alle sue serve personali. Chiusa nella sua stanza, Livia pianse tutte le lacrime disponibili in una intera vita. Quando smise qualcosa nel suo sguardo era cambiato, per sempre. Da quel giorno, il suo volto si indurì e gli occhi divennero vacui. Uscì dalla stanza e si aggirò per i corridoi della villa come un fantasma, ignorando ogni richiamo dei servi. Rese omaggio ai suoi cari defunti, dopodiché si rintanò in un mondo tutto suo, fatto di rifiuti, sgarbi e digiuni. Un giorno, Admir, uno dei suoi servi, accolse sull'uscio un uomo. - La mia padrona non vuol ricevere nessuno. - disse come da ordini impartiti. - Non m'importa ciò che lei vuole. Pretendo di avere i sesterzi che mi deve. Non mi piace essere derubato! - - Come ti permetti! - Replicò il servo. - La mia padrona non sta bene, è in lutto! - - Oh, ma piantala! Ognuno di noi, nella vita, ha perso qualcuno. È il volere degli dei e lei non è certamente migliore di noi. Ognuno va avanti con la sua vita. Questa è una scusa bella e buona e va avanti da troppo tempo! - Lo schiavo tentò di controbattere, ma fu interrotto dall'uomo. - Non accetto più scuse. O paga i suoi debiti entro la luna nuova, oppure chiederò l'intervento del magistrato e poi voglio vedere cosa farà! Mi prenderò questa villa con tutto ciò che c'è dentro, vedrai! -
A quelle parole, qualcosa si mosse nel suo animo. Uscì dal suo torpore e affrontò come una leonessa l'uomo che voleva portarle via tutto ciò che le restava della sua vita. Aveva trascorso mesi chiusa nel suo lutto, ma da quel giorno riprese in mano la sua vita e diventò la donna più rispettata di Pompei.
Irma Ciciriello
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|