Okoro e Dabir.
Per tre giorni interi, Okoro, accompagnato da Dabir Kadun aveva esplorato una fitta foresta nei pressi del Centro. Il terreno, riparato dall'erba e dalle fronde degli alberi, non aveva risentito molto della precedente tempesta ed era praticabile. Nascosto tra gli alberi, dietro una parete rocciosa, avevano scoperto una baita di legno e di pietra abbandonata. L'interno era sudicio, ricoperto di polvere e foglie trasportate dal vento, era evidente che da anni nessuno era più entrato in quel locale. Il misero arredamento interno era rovinato ma intatto, e testimoniava che quel luogo era così appartato e ben nascosto che nessuno l'aveva scoperto e vandalizzato. Dabir fu incaricato di dare una ripulita all'interno per dare un minimo di decoro a quella capanna che sembrava un luogo ideale, sconosciuto e lontano da tutto. I due parlarono a lungo dell'interesse che Lena, così aveva affermato di chiamarsi, aveva destato in Okoro. - Non mi è mai capitato di vedere una femmina così eccitante, ti assicuro che è una fica eccezionale. - affermava con voce roca il nigeriano. - Io non l'ho mai vista, ma se è come dici tu non puoi lasciarmi fuori, dobbiamo scoparcela entrambi. - rispondeva Dabir Kadun con un sogghigno osceno. - Potrai farlo, ma solo dopo di me, e quando me la sarò goduta come voglio io. Se riuscirò a farla venire qui e fin quando non avrò finito, tu non dovrai farti vedere. - - Va bene, resterò nascosto tra i cespugli dietro la casa, ma non farmi aspettare molto, qui si gela e se dovesse ricominciare a piovere, ti piaccia o no, verrò dentro. Tu quando la incontrerai? - Okoro si dette una manata sulla fronte, non lo sapeva, ed era vero, avevano deciso per un generico incontro ma non avevano stabilito nulla. Si era anche dimenticato di chiederle il numero del telefono. C'era un solo modo per rivederla e decise che era giunto il momento di appostarsi nei pressi della casa della contessa. La mattinata era fredda e assolata, Yelena, ben ricoperta, stava facendo delle spese. Aveva avvertito Agim che forse quello sarebbe stato il giorno decisivo. Aveva appuntato sul bavero del giaccone la spilla che le aveva fornito Florian e trattenuti i capelli con il fermaglio. Non aveva più visto il nigeriano nei pressi della casa, quindi l'unica cosa che poteva fare, per incontrarlo, era recarsi al Centro con la scusa di portare dei generi alimentari per i rifugiati. Riempita la borsa di vettovaglie si avviò, aveva fatto solo una cinquantina di metri quando scorse Okoro che a grandi passi stava risalendo la strada, sbarrando gli occhi per la sorpresa non appena la vide. - Lena, ma che piacere incontrarti di nuovo, dove stai andando? - La ragazza approfittò subito di quella fortuita occasione che le consentiva di proseguire nel suo piano. Era evidente che il nigeriano stava cercando di incontrarla e, per fortuna, lei si era già assicurata la protezione degli albanesi. - Salve, Okoro, che bello rivederti! Stavo venendo al Centro per portare dei viveri e speravo proprio di incontrarti per mangiare qualcosa con te. Ma toglimi una curiosità, come mai parli così bene l'italiano? - Okoro la prese con delicatezza sottobraccio cercando di non sembrare troppo invadente. Non si aspettava di riuscire a trovarla con tale facilità. Fece un sorriso sghembo. - L'ho studiato a Katsina, e ho lavorato per alcuni anni con un'azienda italiana. Nel nord-ovest della Nigeria ce ne sono diverse. - - Com'è interessante! quindi hai lavorato a lungo con gente italiana e in seguito hai pensato di venire proprio in Italia, guarda com'è strana la vita! Mi hai proprio incuriosita, ma tu, dimmi, quanti anni hai? - - Trentacinque, non mi dire che sono troppo vecchio per te... - - Certo che no, e poi io adoro gli uomini che hanno una certa esperienza... - cinguettò Yelena esibendo il suo più affascinante sorriso. - Puoi scusarmi un momento? - mormorò gentile Okoro, traendo di tasca il suo cellulare. Si fermò e inviò un messaggio. - Dovevo solo informare un amico che lo incontrerò più tardi. - aggiunse poi a voce bassa, sorridendo. Continuarono a camminare chiacchierando tranquilli e dirigendosi verso il Centro. A una certa distanza da loro, Agim, con Synar Duka e Florian Bushati, li seguiva con attenzione, controllando sul cellulare il puntino luminoso che segnalava la posizione della ragazza. Florian, con il palmo della mano poggiata sull'orecchio, cercava di proteggere l'auricolare, con il quale stava ascoltando la conversazione che si svolgeva tra i due. Giunti nei pressi del Centro, Agim vide che Yelena e Okoro stavano procedendo oltre e si stavano dirigendo verso una vicina boscaglia. Preoccupato si rivolse a Florian. - Hanno oltrepassato il “Manzetti”. Dove cazzo stanno andando? - - Non riesco a sentire bene, ma la tua ragazza si è fatta convincere dal nigeriano a seguirlo in un posto dove potranno mangiare insieme una parte dei viveri destinati agli immigrati. Okoro ha affermato di non aver fatto colazione e di avere molta fame. - - Quale posto? - - Non ne ho idea, ma non preoccuparti, la rumena sa quello che fa, è molto furba e anche ben preparata. Penso che cercherà di farlo parlare il più possibile. - Giunti davanti alla vecchia baita abbandonata, Yelena si fermò, sgranando gli occhi, e dimostrandosi stupita e un poco allarmata. - Che cos'è questo posto? Dove mi stai portando? - - Non preoccuparti - mormorò Okoro con fare suadente, - è solo una specie di rifugio dove mi soffermo quando voglio leggere qualcosa e riposare un po', lontano dal frastuono che c'è nel Centro. Adesso entriamo, non vedo l'ora di assaggiare qualcuna delle squisitezze che hai comprato. - “E anche qualcos'altro” pensò. Entrarono e la donna diede uno sguardo in giro: c'era un tavolo sgangherato e traballante, qualche sedia impagliata in pessime condizioni, una finestra con le imposte scardinate, un camino che conservava ancora le tracce di un'antica brace e una branda ricoperta da un vecchio materasso lercio. Un odore di muffa, di sporco e di desolazione permeava l'aria. Il nigeriano osservò la smorfia di disgusto della donna, si guardò intorno e borbottò: - lo so, non è una reggia, ma è un posto tranquillo dove nessuno verrà mai a disturbarci. Togliti il giaccone e mettiti comoda, vediamo cosa hai portato di buono. - - No, fa troppo freddo e preferisco tenerlo - mormorò Yelena, facendo finta di rabbrividire, poi appoggiò la borsa sul tavolo e ne trasse due piatti di plastica che riempì con dei panini imbottiti e degli stuzzichini alle zucchine. - Parlami di te - aggiunse vezzosa - sono curiosa di conoscere qualcosa della tua vita e dei lavori che hai fatto, di sicuro sei un uomo interessante che ha avuto una vita avventurosa. Non è così? - Okoro non gettò neppure uno sguardo distratto al cibo sul tavolo. Questo era il suo momento, con un tono di voce mieloso, rauco e sensuale, le si avvicinò. - Se hai freddo ci penso io a riscaldarti, bella mia. Si, la mia vita è stata interessante e avventurosa, e anche dura, talmente dura che ora ti farò vedere quanto lo sia e griderai per il piacere. - Allungò le mani cercando di strapparle il giaccone di dosso, Yelena fece un balzo indietro e mise il tavolo tra di loro, ma l'uomo, ormai infoiato, con una manata fece volare in un angolo il tavolo con tutto il suo contenuto e le afferrò i baveri del giaccone cercando di aprirlo e abbassandolo con forza. Yelena si rese conto di essere stata imprudente e di avere sottovalutato quell'uomo che dimostrava di avere una forza bestiale. Non poteva usare le braccia, imprigionate dalla stoffa robusta e pesante del giaccone, mentre il nigeriano la teneva stretta, schiacciata contro la parete, e avvicinava a tal punto il viso al suo da farle percepire il tanfo fetido del suo respiro ansimante. Persino le sue gambe erano così aderenti a quelle di lui che anche il tentativo di dargli una ginocchiata sarebbe stato impossibile. Malgrado lo spessore della stoffa, percepiva con chiarezza la consistenza di un membro che premeva contro il suo ventre. Fulminea intuì come uscire da quella situazione. Superando il disgusto poggiò le labbra su quelle di lui e lo baciò. Sorpreso da quel bacio inaspettato l'uomo fece istintivamente un passo indietro mentre la ragazza, esibendo un falso sorriso radioso, sbottonava il giubbone, che ora le era di impaccio, e se ne liberava. “Come immaginavo nessuna può resistermi, sono troppo bello.” gongolò il nigeriano. Un attimo dopo un violento calcio nei genitali lo faceva piegare in due, e una tremenda ginocchiata sotto il mento lo scaraventava esanime al suolo. Ancora tremante per la rabbia e per lo scampato pericolo Yelena si pose le mani sui fianchi osservando con disprezzo l'uomo che giaceva ai suoi piedi. Il gelo di una lama che qualcuno alle sue spalle le aveva appoggiato alla gola, afferrandole i capelli e tirandole indietro la testa, la fece rabbrividire. - E brava la puttanella! Ti sai difendere bene, ma ora ti farò provare che cosa sa fare un vero uomo. - sussurrò al suo orecchio, in inglese, una voce roca e sarcastica. Silenzioso come un gatto e rapido come un serpente Dabir Kadun, che appostato all'esterno aveva visto tutto da una finestra, era intervenuto. Nascosto dietro un albero Agim Sinani, che solo in quel momento era arrivato con i suoi due compagni, fece per scagliarsi in avanti ma Florian lo bloccò. - Sei impazzito? Che cazzo vuoi fare? - - Lasciami, Florian, voglio fracassare il cranio di quel porco! - - Rifletti: anche se riuscissi a colpirlo senza farti sentire basterebbe una contrazione della sua mano per tagliare la gola alla ragazza. Se quel bestione avesse voluto ucciderla l'avrebbe già fatto, è evidente che per ora ha solo intenzione di violentarla. Stiamo tutti calmi e attendiamo. Il momento favorevole arriverà. -
Sergio Bertoni
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