La croce di marmo.
Venerdì ore 8:10
Beppe, che all'inizio aveva accelerato il passo, si fermò un attimo, ansimando, e allontanò un sasso con un calcio. Quella mattina aveva fatto tardi, la sua casa non era lontana dall'ingresso del cimitero, ma la strada era in salita, gli anni iniziavano a pesargli e le troppe sigarette gli avevano procurato un principio di enfisema. Giunto di fronte al robusto cancello di ferro estrasse un pesante mazzo di chiavi e lo aprì. I cardini cigolarono. Devo metterci un po' di grasso pensò, osservando alcune tracce di ruggine. Sbuffando per il caldo e la fatica si asciugò la fronte meccanicamente con il suo fazzolettone a quadretti e si recò nel suo piccolo ufficio. Entrò nello sgabuzzino dove conservava gli attrezzi e prese una pala e una grossa forbice da giardiniere: c'erano alcune aiuole da sistemare. Il camposanto era grande, ricco di tombe interrate, sormontate da lapidi e da sculture. I lunghi viali erano circondati da svettanti cipressi e da rigogliose aiuole. Numerose cappelle, alcune particolarmente grandi e ricche di ornamenti, accoglievano le salme dei personaggi più facoltosi del paese. Molto lontano, verso il fondo, erano stati costruiti dei veri e propri edifici di tre piani che comprendevano parecchi colombai. Questi si erano resi indispensabili per fare posto a nuove tombe in seguito al notevole aumento della popolazione del paese. Da una cappella uscì il professore Ricciardi, prendendo lentamente corpo, ma restando sempre invisibile ai vivi. Alto, magro, con la barbetta a punta, aveva insegnato per oltre quarant'anni nel liceo del luogo. Non era mai diventato preside, anche se quella era stata la sua aspirazione, tuttavia aveva sempre mantenuto il suo carattere comprensivo e affettuoso verso i suoi allievi, riuscendo persino a non irritarsi per le bricconate di Lorenzotto. Questi era stato il bullo della scuola e non era mai riuscito a completarla. Divenuto adulto si era fatto qualche mese in galera per aver compiuto dei piccoli furti. Robusto e forte aveva provato a fare il garzone nella bottega di un fruttivendolo, ma era stato cacciato per aver importunato la maggior parte delle giovani clienti. Aveva anche cercato di imparare il mestiere di muratore, ma insofferente come sempre di ogni regola di sicurezza, era caduto da un terzo piano e ci aveva rimesso la pelle. Ora, seduto nei pressi della propria tomba, si guardava oziosamente intorno fumando l'ennesima sigaretta. Nessuno degli altri ospiti, tranne forse il maresciallo che riposava in una vicina cappella e che a sua volta fumava di quando in quando un sigaro, è mai riuscito a capire come Lorenzotto si procurasse le sigarette e come riuscisse ad accenderle. Vicino a lui, appoggiato a una lapide, il vecchio salumiere Pantaleone si lisciava i baffoni guardandosi oziosamente intorno, godendosi il sole e la leggera brezza che faceva frusciare gli alberi.
Ore 16:15
Il ticchettio discorde di un passo claudicante e il leggero tunf-tunf della punta gommata di un bastone non lasciarono dubbi a Beppe, il custode, intento a raccogliere una bottiglietta vuota di birra abbandonata da qualche maleducato nei pressi di una tomba. Sollevò lo sguardo e diede una sbirciatina: infatti era lei, la contessa. Oscillando sulle scarpe con i lunghi tacchetti che si ostinava a indossare, la donna arrancava lungo un vialetto. Nessuno sapeva se fosse davvero una contessa, ma quando attraversava il paese tutti la chiamavano così. Ogni venerdì, provenendo dalla vicina città, si recava nel cimitero, sostava per qualche minuto davanti alla cappella del conte Alfonso Ranieri, mormorava qualcosa, deponeva dei fiori e se ne andava subito via, silenziosa e altera, senza guardarsi intorno e senza parlare con nessuno - È lei il guardiano? - Beppe sobbalzò, sorpreso. Era la prima volta, dopo tanti anni, che l'anziana donna gli rivolgeva la parola. Era accucciato e sistemava dei cespugli, ma subito si alzò e si tolse il berretto rigirandoselo tra le mani. - Sì, signora, certo. Posso esserle utile? - La donna tese un dito ossuto verso un lontano angolo del cimitero dove un oggetto biancastro si intravedeva a stento, quasi nascosto dietro un cipresso. - Già in un'altra occasione avevo notato qualcosa che biancheggiava là in fondo. Oggi mi sono avvicinata e ho visto che c'è un tumulo, sormontato da una croce bianca. Non c'è alcun nome, solo una data: 1945. Non c'è altro, ed è davvero strano. Chi giace in quella tomba? - Beppe scosse il capo, si lisciò la pelata, poi desolato allargò le braccia. - È un mistero anche per me, signora. Non so chi sia sepolto là sotto. Quella croce c'era già oltre trent'anni fa quando ho preso servizio, e anche il mio predecessore non seppe dirmi nulla. Ormai credo di conoscere quasi tutti i nomi degli ospiti di questo cimitero. Sono curioso per natura e ho anche cercato qualche notizia in tutti i documenti dell'archivio, ma senza successo. Forse avrei dovuto chiedere al Comune, però poi ci ho ripensato e non l'ho fatto. Perché turbare il sonno dei morti? - La contessa sollevò sdegnosa il naso verso l'alto, emise uno sbuffo, fece un breve cenno con la mano come per dire risposta inutile e si avviò all'uscita appoggiandosi al suo bastone. Tunf-tunf.
Ore 24:15
- Questa sera ha fatto davvero tardi. - mormorò il salumiere. - Chi? - biascicò Lorenzotto masticando una gomma. - Come chi? sto parlando di Beppe, il guardiano. Se n'è andato che era quasi notte. L'ho visto che brontolava fra di sé con la faccia scura. Nessuno lo considera come si merita e si è rattristato per l'arroganza di quella vecchia. Lei gli ha fatto una domanda, lui ha risposto come ha potuto. E lei? Niente! Non un saluto, non un ringraziamento... si è girata e se n'è andata. Altro che “contessa” è solo una presuntuosa maleducata! - - Dai. Pantaleone, - intervenne il professore, - non dire così, è solo una donna triste, anziana, malata e sola. Viene ogni venerdì che il Padreterno manda in terra, per dire una preghiera e trovare qualcuno al quale voleva bene e che di sicuro le manca molto. Non ho mai visto qualcuno che le stia vicino, che l'accompagni, anche se alla sua età ne avrebbe bisogno. Hai notato come zoppica? Forse è malata o ha subito qualche incidente. - Lorenzotto intervenne con un sogghigno sghembo e con il suo vocione che spesso terminava in un falsetto acuto e stridente. - Io invece vorrei davvero sapere qualcosa di più su quella vecchia. Se mi capita di incontrare il conte Ranieri voglio proprio fargli qualche domanda, certamente la conosce, altrimenti per quale motivo lo verrebbe sempre a trovare? - Pantaleone, sghignazzò, reggendosi la grossa pancia traballante. - E secondo te il conte, quell'uomo altero e pieno di boria che non si è mai curato di nessuno di noi, si mette a parlare con una nullità come te, e si abbassa a raccontarti i cazzi suoi? Sei proprio un illuso e del resto lui qui non c'è mai ed è assai difficile anche incontrarlo. - - È vero. In tanti anni l'avrò visto solo una o due volte. Secondo te, come mai non se ne resta vicino alla propria tomba come facciamo noi? Dove diavolo se ne va? - - Boh, forse non gradisce la nostra compagnia e di sicuro preferisce andarsene in città nel suo palazzetto dove magari si diverte a spaventare gli eventuali ospiti. A parte questo, vedo che non lo conosci affatto! Quello non si sogna di rivolgere uno sguardo a nessuno se non si tratta di un nobile suo pari. Quindi figurati se risponderebbe mai a una nullità come te. - Da una piccola cappella situata nei pressi uscì fuori un omaccione calvo sulla settantina, in divisa, nervoso e scuro in volto. - Ehi voi, adesso basta! La volete smettere di ciarlare? - gridò - Non sapete che ore sono? È tardi, dannazione, è tardissimo! stavo cercando di riposare un po' e avevo appena preso sonno. È mai possibile che state sempre a chiacchierare a voce alta come tante comari e non vi rendete conto che c'è gente che vuole dormire? - Pantaleone, mortificato, lo riconobbe, chinò il capo e abbassò il tono della voce. - Chiedo scusa, maresciallo, la colpa è di questo ragazzaccio che sta sempre a fare mille domande stupide... - - E perché non te le fa di giorno? - - Maresciallo... - si scusò Pantaleone, sgranando gli occhi sorpreso, - di giorno c'è gente; è vero che sono pochi quelli che vengono qua, però c'è sempre Beppe che va in giro a fare i suoi lavoretti e ci può sentire. - - Vi può sentire? - sbottò l'uomo infastidito - Ma siete davvero diventati scemi, o ci fate? Noi siamo morti e nessun vivente ci può vedere o ci può ascoltare, ve ne ricordate o vi siete rimbambiti del tutto? - Il salumiere, confuso, si dette una botta in fronte. - Cazzo! Sono talmente abituato a sopportare le chiacchiere di Lorenzotto che me ne ero dimenticato. Questo ragazzo con le sue continue domande mi farà impazzire. È talmente ignorante che voleva addirittura importunare il conte Ranieri per avere notizie su quella che chiamano la contessa e... - Il maresciallo alzò gli occhi al cielo esasperato. - Su Mariangela? E che cosa volete sapere di quella povera donna? - Pantaleone sbarrò gli occhi, sbalordito. - Ma allora... lei la conosce, maresciallo? e perché non ce ne parla? Siamo tutti interessati a sapere qualcosa di più su quella strana assidua visitatrice della tomba del conte. - Il militare si guardò intorno, perplesso. Molti avevano seguito il loro battibecco e ora si stavano avvicinando incuriositi. Rabbonito per l'interesse che aveva suscitato si sedette su di un cippo, estrasse un sigaro, e dandosi una spolverata alla divisa iniziò a parlare. - Il conte Ranieri era un uomo molto ricco e possedeva un intero palazzo giù in città. La moglie era morta da alcuni anni e non avevano figli, viveva da solo con una governante e con la figlia di questa: Mariangela. Il conte era un bell'uomo e anche quello che chiamano uno sciupafemmine: insomma un donnaiolo. Lui delle donne non si saziava mai. Regolarmente le prendeva e dopo poco altrettanto rapidamente le lasciava. Ormai aveva una cinquantina d'anni, ma se li portava bene e faceva la sua figura. Mariangela aveva sedici anni e anche se era molto più giovane di lui se ne era innamorata fin da bambina e lo contemplava con occhi adoranti. Un giorno, prepotente e violento come sempre, il conte si rese conto di quanto quella ragazza che abitava la sua casa fosse divenuta bella e procace e l'agguantò. La giovanissima inesperta ragazza, in parte lusingata, ma anche impressionata per l'attacco improvviso dell'uomo, che tra l'altro aveva bevuto parecchio, cercò istintivamente di divincolarsi. Si trovavano in cima alle scale, persero l'equilibrio e caddero entrambi. Lui si fracassò il cranio contro lo spigolo di uno scalino e morì, lei si ruppe una gamba e svenne. La governante, rientrando dopo aver fatto la spesa, trovò entrambi vicini ed esanimi in un lago di sangue. Disperata, chiamò il pronto soccorso e i carabinieri. Io fui uno dei primi ad arrivare e compresi subito l'accaduto. La ragazza era discinta, con la camicetta strappata e un seno scoperto, l'uomo era con le braghe sbottonate. - - Maresciallo, - mormorò il professore molto confuso, - quindi, da quanto ci ha detto, si trattava di un evidente caso di tentata violenza carnale, come fa a dire che quella ragazza era innamorata del conte? - - Perché fui io ad approfondire le indagini, fui molto scrupoloso e mi accertai su tutto ciò che era avvenuto, minuto per minuto. Posso dirvi che Mariangela, non appena fu informata che quell'uomo era morto, si disperò. E di certo non fingeva. Pianse tutte le sue lacrime e volle abbracciare e baciare la salma di Ranieri prima che lo richiudessero nella bara. Volle anche, malandata com'era, partecipare al funerale contro il parere dei medici. Era disperata al solo pensiero di averne involontariamente causato la morte. Fu così imprudente che la gamba si saldò male e rimase zoppa. Quando la madre morì lei volle restare come custode e guardiana nel palazzo del conte. Ha sempre rifiutato qualsiasi proposta di matrimonio, e ne ha avute parecchie perché un tempo era una donna molto bella. - - Ora si spiega perché la chiamano la contessa e perché viene sempre a pregare sulla tomba di quell'uomo. - borbottò il professore - Che storia triste e che grande e inutile amore. Due vite distrutte. -
Sergio Bertoni
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