La sera prima, quando aveva sbirciato attraverso le tendine del soggiorno, l'ultima cosa che si era aspettata di vedere era la familiare figura segaligna e sbilenca del suo vecchio amico, immobile sul pianerottolo e profondamente assorta, quasi che, subito dopo aver suonato il campanello, l'anziano si fosse ritirato in qualche sorta di anfratto interiore, nelle profondità del guscio decrepito. Ed era logico che lei fosse stupita, visto che, da qualche tempo, i loro rapporti erano cambiati, e lui si era ridotto a vivere al pari di un recluso, additato ormai dal resto della comunità come un vecchio demente e pericoloso, da cui mantenersi il più possibile alla larga. Si era presentato verso l'ora di cena, quando fuori aveva già fatto buio da un pezzo e le strade si erano svuotate, cosa che aveva contribuito a farla sentire a disagio e allarmata. Per fortuna, si era trattenuto giusto pochi minuti, al termine dei quali aveva tolto due cose: il disturbo e il sonno a lei. Quest'ultimo, quasi di certo, per sempre. Le aveva detto di essere venuto a salutarla. Lei gli aveva domandato un po' sorpresa se stava partendo, e lui le aveva risposto di no, non nel vero senso del termine, anche perché, testuali parole, per lasciare un posto, bisogna prima esserci arrivati. - Che significa? - aveva chiesto Miranda, che già si sentiva spiazzata per quella visita inattesa. Senza rendersene conto, aveva fatto strada verso la cucina, sentendoselo alle spalle lieve e fatuo, uno spettro generato dagli ultimi corruschi frantumi di crepuscolo. Aveva accennato ai liquori nella vetrinetta. - Posso offrirti qualcosa? - - Non disturbarti. - Miranda si era afferrata d'istinto all'acquaio alle sue spalle perché sapeva, intuiva, che presto le sarebbe servito un puntello. Aveva avvertito un lieve capogiro, ma si era sforzata di sorridere. Gli aveva indicato la sedia addossata alla parete, accanto al frigorifero. - Che fai lì in piedi? - La voce le era uscita incerta e legnosa, sul punto di incrinarsi. Lui aveva fissato la sedia per qualche istante, e poi si era voltato a scrutare lei, sorridendole in risposta con gli occhi, ma non con il volto, che invece era rimasto rigido, solcato com'era da rughe profondissime, e del tutto privo di espressione. Nonostante l'esortazione, se ne era rimasto lì impalato, alla maniera di un grottesco automa artritico, disattivato di colpo da un comando a distanza. - Ti serviva qualcosa? Sto aspettando Francesco - , aveva mentito lei, a disagio per via di quell'atteggiamento bizzarro. Si era finta indaffarata, le mani che spostavano oggetti a caso sui pensili. - Dovrebbe essere qui tra pochissimo. Pensavo fosse lui. Guarda che disastro. - Aveva afferrato una spugna e si era messa a strofinare intorno allo scolapiatti. - Te l'ho detto: ci tenevo a salutarti. Me ne vado subito. - Lei doveva aver tradito un'aria stupefatta. Aveva iniziato a percepire il pungolo di una paura sommessa ma destinata a crescere in maniera esponenziale. - Hai un'aria strana, sei sicuro di sentirti bene? - E, subito dopo, aveva pensato: Ho fatto la domanda che stava aspettando, quella che funge da catalizzatore, scatenando la furia omicida. Scoppierà in una risata da folle e dirà: No, non sono affatto sicuro di sentirmi bene. E proprio per questo ho intenzione di farti a pezzi e sotterrarti nel mio giardino. Ora sai perché non mi muovevo più di lì: stavo preparando la fossa per te. Perché lo aveva fatto entrare? Perché era stata così incauta, così stupida? Sapevano tutti che era pazzo e, nonostante ciò, lei lo aveva invitato in casa, e per di più in cucina, dove non mancavano di certo gli strumenti per farla tacere prima ancora che riuscisse anche solo a pensare di mettersi a gridare. L'avrebbe uccisa e nessuno se ne sarebbe accorto, fine del discorso e fine della sua breve ma intensa permanenza a Prosperia, ridente località in provincia di nessun luogo in particolare, gemellata con Grossa Psicosi, nella repubblica di Delirio Totale. Come se le avesse letto nel pensiero, Farinelli era arretrato di qualche passo, per lasciarsi cadere sulla sedia che poco prima aveva ignorato, sempre con quell'abbozzo di sorriso gentile, sempre senza staccarle i piccoli occhi azzurri e luminosi di dosso, la faccia che era sempre una maschera inespressiva. Doveva essere un incubo. Gli occhi di Ugo erano marroni. Lo erano sempre stati. Solo in quel momento, forse perché la distanza che si era stabilita tra di loro, ma, soprattutto, quella che si era creata tra Farinelli e i coltelli sul ripiano del lavandino, le aveva trasmesso un po' di sicurezza, Miranda aveva fatto caso a un dettaglio non meno surreale di tutto il resto: l'uomo indossava una camicia di flanella a scacchi rossi e un paio di calzoni verdi di velluto a coste larghe, sopra un paio di alti scarponcini da lavoro. E questo, nonostante il caldo torrido, senza versare una sola stilla di sudore. È come te lo immagineresti dai racconti dei pettegoli, aveva registrato lei con una parte di sé che riusciva ad assistere in maniera spassionata a quello strambo colloquio e a trarne persino delle conclusioni logiche. La rappresentazione sputata di un vecchio fuori di senno che passa tutto il tempo a girellare sotto il solleone tra le siepi del giardino. Ciò che lui le aveva risposto a quel punto era stato, per certi versi, persino più terrificante che se avesse davvero ammesso di volerla fare a pezzi per sotterrarla in giardino. - A essere sincero, è di come stai tu che mi piacerebbe parlare. - Lei si era sentita schiaffeggiare la nuca da una ventata di freddo polare, ed era stato in quella circostanza, non quando aveva messo a disposizione di Farinelli l'assortimento completo di coltelli da cucina, che aveva commesso l'errore davvero imperdonabile: aveva calato una pesante saracinesca mentale che, con ogni probabilità, le aveva precluso ogni futura possibilità di comprensione. Aveva tentato di assumere un atteggiamento frivolo. - Davvero non vuoi fermarti a cena con noi? - Controllati, stupida che altro non sei. Pensa se accetta. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che gli venisse una delle sue crisi mentre erano lì da soli. Vedendo che lui non accennava a muoversi, e sembrava anzi sul punto di precipitare di nuovo in quella sua inquietante catalessi, aveva cercato di dirottare la conversazione, riuscendo, in qualche modo, a dissimulare l'agitazione che rischiava di soverchiarla. - Credo che ne sia arrivato un altro, stamattina. Mentre tornavo dall'emporio, ho visto in lontananza la corriera che ripartiva. Ogni tanto una faccia nuova non guasta, non credi? - Per tutta risposta, una sorta di sipario grigio era calato sui lineamenti di Farinelli, come se il sangue gli fosse defluito via dalla testa in un battibaleno, un cambiamento così radicale e inaspettato che Miranda era indietreggiata in preda all'allarme. - Non mi sarei mai aspettato che proprio tu potessi avere paura di me. - La sua voce: le labbra all'improvviso per conto loro, parole fuori sincrono, il labiale che non corrispondeva al suono. Pura follia, scherzi dell'immaginazione. Concentrati sul resto, non guardare la sua bocca. - Paura? No, invece. - Eccome, cazzo. - Eppure dovresti sapere meglio di chiunque altro che cosa ho passato. - Cosa te lo fa credere? Io non ho la più pallida idea nemmeno di cosa stia succedendo a me. Regola numero uno coi pazzi: assecondare, assecondare sempre. - Mi dispiace per come ti hanno trattato. - Te lo sei immaginato. È solo un vecchio che biascica cose senza senso. Le persone non vanno fuori sincrono con la propria voce. - Adesso è tutto a posto - , l'aveva informata lui, concedendosi un sorriso dolce e inatteso, i denti erosi che affioravano tra le labbra esangui come sassi preistorici da una pianura riarsa. - Ho esagerato anch'io, ma non potevo immaginare come stessero le cose. - Perché, adesso invece sì? Adesso lo sai? - Sono felice che tu ti senta meglio. - In realtà, sarò felice solo quando ti toglierai dai piedi. Non costringermi a urlare, non farmi questo, ti scongiuro. In nome dei vecchi tempi, di tutte le passeggiate e le belle chiacchierate nostalgiche che ci siamo fatti. - Sì, infatti - , aveva annuito lui, d'un tratto niente di diverso da un vecchio afflitto e pieno di acciacchi con la voglia di lasciarsi andare. - Mi sento molto meglio, adesso. Ma tu lo sai. Non ho certo bisogno di spiegarlo a te. Speriamo solo non causi troppi fastidi a quel poveretto. - - Quale poveretto? Di che parli? - Lui aveva scosso la testa con aria infelice. - Ha mentito, forse crede di proteggerti. Tu che cosa gli hai raccontato? - - Io non ho raccontato niente a nessuno. Non capisco di cosa parli - , aveva ribattuto lei. Ed era vero. Non ci stava capendo niente sul serio e, soprattutto, le sfuggiva il nesso con il resto. Lui non sembrava intenzionato a cedere. - Io ti ho vista. Una o due volte, sei andata vicinissima a perdere il controllo, ma adesso sono qui per dirti che non devi più avere paura, che puoi confidarti con me. Come hai sempre fatto. - Solo una o due volte? Sono più brava a recitare di quanto credessi, allora. - Lo sai, non sono mai riuscita ad ambientarmi fino in fondo. Forse è per quello: ho solo un po' i nervi a fior di pelle, tutto qui. - Aveva esitato, frugandosi nella mente in cerca di qualcosa di sensato da dargli in pasto. - Le cose con Francesco non vanno come dovrebbero. - Farinelli si era sporto in avanti, coi palmi premuti sulle ginocchia. I suoi occhi, aveva pensato lei con un fremito di raccapriccio: Sono di nuovo marroni. - Ci sono porte che non vanno sprangate. Ci sono passato anch'io, non dimenticarlo. - Miranda aveva trattenuto un gemito. - Io davvero non capisco. - E continuava a essere vero: le sembrava di aver cominciato a leggere un romanzo giallo da pagina cento, dopo che gran parte degli indizi era già stata raccolta. - Sono confusa, e non ti nascondo che hai ragione: adesso mi stai spaventando. - - Tu eri già spaventata. - Lei aveva aperto la bocca per replicare, ma non era riuscita a trovare nulla di coerente da dire. L'espressione di Farinelli, adesso, faceva davvero paura: sebbene non recasse vere e proprie tracce di collera, ogni parvenza di cordialità si era dileguata da lui, quasi che se ne fosse disfatto scrollandosela semplicemente di dosso. - Sono più incline a credere che tu non voglia capire. Devi aprirti e devi farlo adesso. - L'unica cosa che voleva aprire lei era la porta di casa, ma sapeva anche che, per liberarsi di lui, doveva lasciarlo finire di vomitare tutte quelle sue stronzate. Be', che mi venga un colpo, vai avanti, a questo punto sono curiosa: sentiamo quante cartucce di questo letame ti restano ancora nel caricatore del tuo cervello marcio. Contro ogni sua aspettativa, invece, Farinelli si era alzato in tutta calma dalla sedia, senza alcuno sforzo apparente, accontentandosi di scrutarla per alcuni secondi con quelle sue implacabili iridi di nuovo impossibilmente azzurre. Alla fine, si era limitato a voltarsi e ad avviarsi a piccoli passi verso l'ingresso, quasi a concederle l'opportunità di fermarlo prima che potesse raggiungere la porta. Miranda era passata nel soggiorno, seguitando a sorvegliarlo da lontano, senza allontanarsi dal muro, come se temesse la presenza di una voragine nascosta al centro della stanza. Si sentiva stordita, incapace di staccarsi dalla parete. L'ingresso, oltre l'arco, era ormai quasi per intero immerso nell'oscurità. Davanti a lei, nulla era più distinguibile: Farinelli era poco più che la sagoma appena abbozzata di un vecchio macilento e corroso, sull'orlo della notte. Più che domandarglielo, Miranda aveva avuto l'impressione che qualcun altro, alle sue spalle, fosse emerso dalle ombre per chiederlo al posto suo. - Dove stai andando? - Prima di chiudersi la porta dietro, lui si era voltato un'ultima volta a osservarla da quella che ormai appariva una distanza incolmabile, in bilico sull'uscio, quasi in attesa di scomporsi per sempre nelle tenebre. Forse, Farinelli non aveva detto più nulla e, da quel punto in poi, era stata solo l'immaginazione di Miranda. E, forse, non era mai nemmeno stato lì, quella sera. Forse, Miranda si era sul serio fabbricata ogni cosa: il campanello che suonava, lei che andava ad aprire e Farinelli che la seguiva in cucina come un automa, per poi mettersi a fare tutti quei discorsi strampalati. Gli occhi che avevano cambiato colore, la voce fuori sincrono, tutto: ogni dettaglio frutto della sua fantasia. O, invece, Farinelli era stato davvero lì fino a pochi istanti prima e, intanto che si sbatteva la porta alle spalle, aveva veramente detto quell'ultima folle cosa, i restanti rauchi brandelli di voce che gli venivano strappati via dall'urto assordante del battente. Immaginazione: nulla di più, nulla di meno. Quella di una donna frastornata e troppo sola, o, molto più probabile, quella di un vecchio fragile e isolato, facile preda delle illusioni e della paranoia. Di certo, dopo quella volta, la donna sola e il vecchio fragile non si sarebbero mai più rivisti e, comunque, di lì a non molto, nessuno a Prosperia avrebbe più sentito parlare di loro.
Gian Luca Scendoni
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