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Autore: Dan Niló
Sam: I due lupi
Fantascienza
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Sam: I due lupi
Finalmente riprendo il controllo e riesco ad avere un dialogo con Sarah.
Lei si alza dal letto dicendo: “Ti chiami Sam... non so altro, mi dispiace... ti hanno trovato che eri quasi morto e ti hanno portato qua.”
Ora il suo sguardo si è fatto serio e dispiaciuto.
“Avrò una famiglia, degli amici, qualcuno saprà chi sono e magari mi starà cercando!”
Sarah risponde accennando un leggero sorriso. “Sì, sicuramente. Appena qualcuno chiederà di te, ti avviseremo, tranquillo!”
Inaspettatamente, alzandosi dal letto e dirigendosi verso l'uscita, cambia discorso. “Immagino che avrai fame, vado a chiedere di portarti da mangiare, devi sapere che qua il cibo è buonissimo!”
Sembra quasi voglia uscire in fretta dalla stanza.
“Sarah!”
Lei si volta lentamente, sembra quasi turbata. “Sì, Sam?”
“Mi fa compagnia mentre mangio?” le chiedo con un po' di imbarazzo.
Lei fa una risatina, poi, senza dire nulla, esce dalla stanza.

I crampi allo stomaco si fanno sentire sempre più fitti, ripenso alla visita di Sarah... perché ha cambiato espressione dopo che ho chiesto della mia famiglia? Ha subito cambiato discorso, come se non volesse parlarne e, come per trovare una scusa, è uscita di fretta dalla stanza. Qualcosa non mi torna.
La porta si apre, entra un uomo con la stessa divisa bianca degli altri due, così stretta da far notare i suoi possenti muscoli delle braccia e delle gambe. Più che un infermiere ha l'aspetto di un buttafuori. Trasporta un carrello con sopra dei contenitori di acciaio. Lo lascia all'ingresso della stanza. “Ho portato il mangiare” poi si volta e, come se avesse fretta, esce.
Mi alzo con una fatica enorme, mi sento ancora debole e per un attimo la testa mi gira da farmi perdere l'equilibrio e dovermi tenere al bordo del letto per non cadere, ma passa subito, riesco a raggiungere il carrello e lo avvicino al letto.
Apro i contenitori, le pietanze sono tutte ben curate, il profumo che emanano mi fa venire l'acquolina in bocca: un bel piatto di lasagne al forno, due cosce di pollo circondate da verdure miste grigliate, un dolce che alla vista deve essere delizioso! Di Sarah neanche l'ombra. “Non avrà accettato la mia offerta” penso. Non resisto più e inizio a divorare tutto quel ben di dio.
Passa la notte, mi sveglio sempre per quel botto che ogni volta mi fa aprire gli occhi così dolcemente che mi ci vogliono dieci minuti per riprendermi. Sento un rumore provenire dalla porta, entra lo stesso uomo col carrello carico di cibo, lo posiziona all'ingresso della stanza e si volta per andarsene. Rimango sorpreso e un po' confuso per il modo frettoloso dell'uomo.
Mi avvicino al carrello e sopra ci trovo pancake caldi, uova, toast, marmellata e una tazza di caffè fumante. Decido di mangiare qualcosa e mi sento grato per quella colazione così deliziosa che mi fa sentire accolto e confortato.
Dopo essermi saziato del cibo, decido di concedermi il lusso di una doccia. L'acqua bollente che scorre sul mio corpo stanco è come una carezza, avvolgendomi in una sensazione di pace e tranquillità. Non riesco a uscire, il piacere è troppo intenso, così rimango sotto la pioggia calda per molto tempo, godendomi il mio momento di relax, senza alcuna preoccupazione al mondo. Tuttavia, quando decido di uscire, mi sento come se avessi passato ore in quella stanza, mentre invece sono passati solo pochi minuti. Mi avvolgo in un morbido asciugamano e, con passo lento e rilassato, esco dalla porta del bagno.
Con sorpresa mi ritrovo Sarah davanti a me con dietro l'infermiere dalla carnagione scura e l'altro dalla carnagione chiara con il solito vassoio in mano con appoggiata sopra la piccola fiala con un liquido rosso all'interno.
“Buongiorno” dico cercando di nascondere l'imbarazzo per la mia situazione.
Improvvisamente le gambe mi cedono, la debolezza si fa di nuovo sentire e faccio fatica a muovermi. I due infermieri subito mi vengono a sorreggere e mi portano sopra al letto.
“Perché mi sento così debole?” chiedo, e uno dei due infermieri con la stessa manualità del giorno prima mi gira su un fianco, questa volta sento un leggero pizzicore dietro al collo, ma passa subito.
Sarah risponde alla mia domanda: “È un effetto del trauma che hai subito... passerà!”
Con un movimento elegante, Sarah si avvicina al letto, indossa un abito blu che la fa sembrare ancora più radiosa.
Non riesco a distogliere lo sguardo da quella bellezza senza tempo, quando improvvisamente la mia attenzione viene catturata da un evento imbarazzante. L'asciugamano che mi copriva il corpo si apre, scoprendo una parte di me che avrei preferito mantenere nascosta. Sono colpito dall'imbarazzo, ma Sarah con la sua grazia lo ignora, chiudendo l'asciugamano con la sua mano delicata.
“Buongiorno Sam, dormito bene?”
Le sue parole mi calmano, facendomi dimenticare il motivo per cui sono lì. Mi perdo nuovamente nei suoi occhi scintillanti, sentendomi ipnotizzato da quella bellezza incantatrice.
Ma il suo richiamo improvviso mi riporta alla realtà, facendomi tornare in me. “Sam!” ripete lei con un sorriso ironico, notando la mia momentanea assenza mentale.
“Sì... scusi, ero in sovrappensiero. Sì, ho dormito bene, grazie! Mi ha dato buca ieri per la cena!”
Lei ridacchia. “Sì, scusa, avevo una riunione e ho fatto tardi! Mi perdoni?”
Mi guarda con quegli occhi che mi fanno andare fuori di testa.
“Sì, è perdonata!” rispondo lentamente, come imbambolato.
“Bene!” risponde lei sorridendo. “Adesso ti devo fare un po' di domande, e faremo degli esercizi, per vedere il tuo stato mentale. Sei d'accordo?”
Io annuisco con la testa.
Con l'aiuto dei due infermieri che mi sollevano delicatamente dal letto, mi avvio verso la piccola stanza alla mia sinistra. Sarah estrae una chiave dalla sua borsetta e apre la porta con cautela. All'interno, scorgo un modesto ufficio arredato solo con un tavolo e due sedie posizionate una di fronte all'altra. Con premura, i due uomini mi fanno accomodare e poi escono, richiudendo la porta dietro di loro.
Sarah inizia a farmi un mucchio di domande del tipo se ricordo cosa ho mangiato la sera prima, l'ultimo ricordo che ho prima del mio risveglio in quella stanza, mi fa fare degli esercizi di calcolo su un foglio, disegnare animali, oggetti, che lei nomina; tutti esercizi talmente semplici che mi creano disagio visto la banalità.
Ad un certo punto, quando la cosa inizia a scocciarmi, chiedo a Sarah: “Ma sono tutti esercizi stupidi... non ne capisco il senso! Ho perso la memoria ma 2 + 2 sono in grado di farlo!”
Lei con sguardo serio dice: “Non sono stupidi, Sam. Questi esercizi mi sanno dire tutto di te, vedi questa tigre che ti ho chiesto di disegnare, ad esempio? Non te l'ho chiesto per sapere se la tua memoria è in grado di riconoscere una tigre, ma il modo in cui tu l'hai disegnata mi racconta molti aspetti di te!”
Al suo sguardo serio spunta un cenno di sorriso e continua: “A volte nelle cose semplici si nascondono incredibili meraviglie Sam!”
Passano i giorni, mi sveglio ogni mattina in questa stanza dove le pareti grigie sembrano imprigionarmi in una sorta di limbo senza fine. La monotonia delle mie giornate inizia ad innervosirmi, mi sento intrappolato in questa vita senza scopo e senza significato. Nessuno a parte infermieri e la dottoressa si è mai presentato nella stanza come mio famigliare, o qualcuno al di fuori è venuto a trovarmi e la cosa inizia a preoccuparmi. Sempre e solo le solite iniezioni al mattino, le sedute psichiatriche con la dottoressa, le improvvise debolezze che col tempo sono diminuite; ma la cosa strana che ho notato, è che le ho sempre solo prima che qualcuno entri nella stanza. Ogni volta che faccio domande su di me, su quello che mi riserverà i giorni futuri o sul mio passato, le risposte sono sempre vaghe. Ogni tanto sembra quasi che alla dottoressa diano fastidio i miei quesiti. Più di una volta ho chiesto a Sarah quando sarei potuto uscire e la sua risposta tutte le volte è stata: “Devi pazientare, Sam. Quello che facciamo è per il tuo bene!”
Anche dagli infermieri... mai una risposta. Avrei voluto uscire un po', anche solo dalla stanza, per vedere altra gente, incontrare altre persone. Iniziano a prendermi dei dubbi sul motivo per cui io sono lì e sulle poche cose che mi hanno raccontato. Ora un dilemma che da tempo gira nella mia testa è cresciuto e non posso fare a meno di non pensarci: “E se il posto in cui sono, fosse una prigione?”

Dan Niló

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