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Autore: Stefano Lazzari
Il ritorno degli artisti
Fantasy
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Il ritorno degli artisti
Un progetto divino
Il giorno, nel Paradiso celeste, non muore mai, è vero: ma la luce che lo illumina non è sempre uguale, sfolgorante a tutte le ore dell'infinito giorno che avvolge i suoi beati e operosi abitatori, ma cresce e decresce senza però mai spegnersi del tutto, in modo non dissimile a ciò che accade sulla Terra nel solstizio d'estate ai due poli - così il tramonto e l'alba sono magicamente accostati per l'eternità, senza mai essere separati dalla notte, confinata a proiettare la sua ombra sul vagabondaggio dei pianeti.
In una di quelle ore di confine fra tramonto e alba, l'arcangelo Gabriele si accostò alla prossimità dell'ingresso oltre il quale, colmo della stessa luce che inondava il resto del Paradiso, stava il trono gemmato del Signore Dio. Tuttavia lo scranno divino non era ornato di diamanti, rubini e tutte le altre pietre preziose che invariabilmente nutrivano la cupidigia dei terrestri: ma soltanto di giochi di luci azzurre, blu, verdi e di tutti gli altri colori che, non diversamente dalle anime, trovavano uguale accoglienza ai piedi del trono supremo.
Senza guardare direttamente lo sfolgorìo delle gemme, l'arcangelo Gabriele frenò i suoi passi (non si vola nella sala del trono...) quando fu abbastanza prossimo allo scranno divino tanto da poterlo toccare.
- Eccomi a te, Signore - . Il primo angelo del Paradiso chinò cauto il capo, sotto il grave peso delle imponenti ali. Contrariamente a quanto credono i terrestri, il regno celeste non è luogo di levità assoluta: e le ali degli angeli, i messaggeri eccellenti, sono cariche di tutte le raccomandazioni che, loro tramite, il Padre ha inviato sulla Terra. E dopo millenni di viaggi, l'arcangelo Gabriele iniziava ad avvertire l'onere, tutt'altro che metaforico, che si portava sulle spalle.
- Benvenuto, Gabriele, mio fedele amico. Vieni a sederti accanto a me - . Il Signore Dio indicò
all'arcangelo un tronetto alla sua destra.
Il primo fra gli angeli si accomodò alla svelta, fra un sommesso fruscìo che la sua veste azzurra emetteva al contatto con le luci gemmate. Dall'espressione più che pensosa del suo Signore comprese subito che qualcosa di speciale stava forse per accadere.
- Dimmi, Gabriele: se tu dovessi definire l'umanità così come si presenta oggi, in due sole parole, quali sceglieresti? - . Il Signore Dio conosceva naturalmente ogni più piccolo pensiero delle anime del Paradiso e dei suoi angeli, ma voleva sentirli lo stesso: poiché il regno dei cieli non poteva certo essere apparentato ad un impero terrestre, gestito da una ristretta oligarchia con un tiranno al suo vertice - quanto piuttosto ad un consorzio di mutua e sollecita collaborazione. Non altrimenti, infatti, il Signore Dio si sarebbe rivolto all'arcangelo con l'appellativo ‘mio fedele amico'.
Gabriele alzò lo sguardo sul trono gemmato. - Pressoché perduta - disse, senza il minimo tentennamento.
Il Signore Dio annuì. - E dimmi ancora, Gabriele: pensi tu che possa davvero salvarsi, senza che io le tolga il libero arbitrio? - .
Ancora una volta, l'arcangelo rispose senza esitazione. - Io non lo credo, Signore - .
Un lampo di inattesa malizia attraversò il volto del Padre. - E forse ti sbagli, Gabriele - .
Il primo angelo fu felice di rendere il celeste sorriso al suo Signore. Il Dio dei dogmi tirannici e assoluti, dipinto dai fanatici terrestri di ogni tempo, perché al meglio asservisse il loro potere temporale, non aveva dimora nel vero Paradiso, consorzio di amici.
- Niente mi renderà più felice di questo mio errore - sospirò l'arcangelo, più liberamente. - Ma adesso sono curioso di sapere come farai - .
Il Signore Dio rimase silenzioso per qualche attimo, giusto per osservare quanta perplessità ondeggiasse un po' inquieta nel mare limpido della fede e della devozione del suo amico arcangelo. E di certo, dopo la creazione dell'universo e dell'uomo, il progetto che stava
per confidare a Gabriele era più che arduo. Uno shock divino alla storia e alla morale, questo stava per ascoltare il primo angelo del Paradiso.
- Vedi Gabriele, non senza motivo ho pilotato l'evoluzione perché avesse come terminale l'Homo Sapiens. Perché, unico fra tutti gli animali terrestri, vivesse secondo morale e non secondo natura: e in ordine a questo principio, creasse un mondo pieno di Bellezza. L'uomo ha saputo rendere onore ai suoi talenti realizzando opere per lui immortali e, con esse, un anticipo di Paradiso sulla Terra. Ma l'ideale di suprema bellezza è sempre stato asservito all'inestinguibile ossessione per il denaro e il potere: credi tu forse che il ‘Giudizio Universale' sia stato dipinto per celebrare il tuo Signore o, magari, per arricchire spiritualmente le generazioni successive? Eh!... Quell'opera suprema è stata realizzata unicamente per soddisfare la sete di gloria, potere e immortalità del mio vicario in terra, a quel tempo! Naturalmente, il contatto con tanta sublimità non poteva che rendere migliori, o meno peggiori, tutti gli uomini dell'ultimo mezzo millennio. E questo vale
per il monumento, il tempio, la sinfonia, il libro, l'architettura urbana: tutte parziali attenuanti all'esercizio delittuoso del potere e alla cupidigia di ricchezza. Ecco, è come se una medicina terrestre avesse successo e diffusione non per gli effetti sperimentati e dichiarati dall'azienda che la produce, quanto per quelli collaterali, da nessuno previsti - .
Il Signore Dio fece una pausa, e non sembrava più né sorridente, né pensoso. Semplicemente, determinato.
- In nome di questi effetti collaterali, che in qualche modo hanno tenuto a galla l'umanità, ho sopportato senza intervenire le più orribili infamie... ma adesso che l'uomo ha quasi del tutto smarrito il senso della ricerca del Bello, essenziale per celebrare degnamente se stesso e la sua vita immortale, perché si nega il tempo per pensare alla Bellezza e ricrearla - PEGGIO, NON SA PIU' COS'E', LA BELLEZZA - allora, prima che la perdizione sia assoluta, ho deciso di intervenire. E senza interferire col libero arbitrio... non direttamente, perlomeno - . Un sorriso sornione guizzò per un attimo sul volto del Signore Dio.
- Se prima ero curioso, adesso non sto più nel manto - commentò l'arcangelo Gabriele.
- Ancora qualche attimo di pazienza, e ci rientrerai - promise il Padreterno. - Voglio rimandare sulla Terra tre uomini, tre sublimi artisti. Loro compito sarà quello di riportare alla luce della vita il senso del Bello, perché l'umanità possa regredire in tempi brevi dall'abbrutimento in cui ora sprofonda, prima che si perda irrimediabilmente. Sono certo che questi tre sapranno ricreare opere indimenticabili, al pari di quelle che li hanno resi immortali già nella loro precedente vita terrestre. E poiché il Bello e il Buono sono indissolubilmente associati, conto che sapranno ridonare agli uomini quel perduto grado di nobiltà per celebrare, di nuovo, degnamente se stessi e quindi il loro Creatore - .
Il Signore Dio tacque, e colse un lieve fremito correre fra le pieghe del manto dell'arcangelo. Sorrise fra sé. Eh, caro amico... noi lavoriamo da millenni, col peso dell'Universo sulle spalle, e non possiamo essere stanchi mai... non certo come gli uomini, che dopo appena trent'anni di servizio già sognano la pensione e, magari, uno strapuntino in Paradiso senza averlo veramente meritato, pensò severo. Era ora di rivelare i nomi all'arcangelo Gabriele.
- I nomi prescelti per la missione sulla Terra sono: Ludwig van Beethoven, per la musica; Michelangelo Buonarroti, per le arti figurative; Victor Hugo, per la letteratura. Vai a chiamarli, prima che il nuovo giorno termini ho intenzione di rimandarli sulla Terra per la loro seconda vita. Anche più gloriosa della prima - chiosò il Signore Dio.
L'arcangelo chinò il capo e uscì dalla sala del trono.

- Quello è un do diesis, e invece tu continui a suonarmi il bemolle - . Ludwig van Beethoven scosse il capo e posizionò la mano dell'angelo sul tasto giusto.
- Perdona maestro, se oggi sono così lento nell'apprendere - sospirò l'angelo, scrollando i riccioli biondoscuri. Sollevò lo sguardo dal pianoforte. - È che ogni tua suonata sembra voler superare, in virtù sublime, quella precedente. E imparare diventa per noi sempre più difficile... siamo solo messaggeri, noi, mica Beethoven - . Lanciò un'occhiata birichina al maestro.
Ludwig non fece in tempo a replicare, perché una grande ombra si proiettò sulla tastiera del pianoforte. Subito si voltò, e l'angelo allievo con lui.
Era l'Arcangelo Gabriele.
- Spiacente di interrompere la lezione, ma il Signore Dio desidera parlarti subito, maestro Beethoven - . Anche se in Paradiso le anime erano tutte uguali per il Padreterno, gli angeli continuavano a rivolgersi a Ludwig con l'appellativo di ‘maestro', peraltro riservato a tutti gli artisti che avevano preso dimora presso le sfere celesti. Naturalmente, il Signore Dio si rivolgeva a lui chiamandolo semplicemente ‘Ludwig'.
Dall'espressione più che pensosa dell'arcangelo sospeso su di lui, Beethoven comprese immediatamente che qualcosa di speciale stava preparandosi. E si vede che il Gran Vecchio deve pensare che io mi stia annoiando un po', a dare lezioni di pianoforte e scrivere una sonata e una sinfonia dietro l'altra, pensò con una punta di irriverenza - che nemmeno un soggiorno di due secoli presso il Paradiso era riuscita a smussare.
- Continua ad esercitarti, e quando torno riproviamo tutta la suonata, da capo - . Ludwig fece un cenno di saluto al suo allievo e seguì l'arcangelo.

Non appena mise piede nella sala del trono, la sua perplessità divenne quasi stupore. Davanti al Signore Dio lo avevano preceduto Victor Hugo e Michelangelo Buonarroti... e l'arcangelo non gli aveva detto nulla. Cercò di captare qualcosa dagli sguardi dei colleghi artisti, ma gli fu subito chiaro che ne sapevano quanto lui. Cioè niente, salvo il presagio che doveva trattarsi di un compito specialissimo - poiché, nei quasi duecento anni che Beethoven aveva trascorso in Paradiso, qualcosa del genere non s'era mai verificato.
- Benvenuto, Ludwig... e non temere, so bene che non ti stai annoiando, ma ho distolto te, Victor e Michelangelo dalle vostre attività perché desidero affidarvi una missione del tutto speciale, finora sconosciuta alle anime del Paradiso. Voglio rimandarvi sulla Terra, a vivere una seconda vita. Ascoltatemi bene... -
Il Signore Dio parlò, ed era come un tuono sommesso, da ascoltare in trepido silenzio. Beethoven cercò di sbirciare le facce dei colleghi artisti. Hugo pareva impassibile, una blanda curiosità affiorava appena sotto lo sguardo da vecchio saggio; quanto al Buonarroti, un sogghigno nemmeno tanto velato gli attraversava il volto, come chi abbia qualche rivalsa da inseguire. E lui, Ludwig? Il pensiero di tornare sulla Terra lo sconvolgeva, e non certo per il lavoro in sé: sapeva che avrebbe potuto produrre opere degne della sua prima vita. Ma dover affrontare di nuovo tutte le tempeste terrestri, e con quella immane, pazzesca responsabilità: INDURRE LA REDENZIONE NEGLI UMANI PER MEZZO DELL'ARTE!... Come ci sarebbe riuscito? E Victor, Michelangelo: come avrebbero fatto, loro, che invece non sembravano per nulla preoccupati?...
Chiuse gli occhi per un attimo, venne colto da vertigine. Nonostante fosse ancora in Paradiso, già si sentiva preda di sintomi terrestri.
- Per i dettagli della missione vi rimando a Gabriele, voglio solo ricordarvi che varranno per voi le stesse regole degli umani: libero arbitrio senza limiti. Sono certo che dopo secoli di Paradiso lo saprete usare onorevolmente... e sappiate che al vostro compito non si porrà alcun limite temporale: la vostra seconda vita si spingerà esattamente fino al limite che vi verrà consentito dal vostro orologio biologico. Quindi non vi richiamerò qui in Paradiso prima del vostro tempo, qualunque cosa accadrà dal momento in cui rimetterete piede sulla Terra - .
Il Signore Dio girò lo sguardo fra i tre artisti e trattenne un sorriso. Se Hugo e Buonarroti sembravano già ‘dentro' alla gravosità del compito che li attendeva, ma tutto sommato ancora colmi della quiete dell'empireo, non così Beethoven, che già straripava dai suoi vestimenti celesti, già sconvolto da un tumulto colorato di terrestre.
- Ancora un dettaglio importante: vi ripresenterete sulla Terra con l'età, l'aspetto, le forze e l'esperienza dei trent'anni. È infatti necessario allo scopo che siate tutti abbastanza giovani per compiere un lungo e fruttuoso percorso, ma anche già abbastanza adulti perché le persone importanti con cui verrete a contatto siano indotte a offrirvi la visibilità indispensabile per realizzare il progetto. Ti ascolto, Ludwig - .
Beethoven calmò per qualche attimo il suo tumulto e dominò la sua impazienza. Non avrebbe rinunciato, pur confermando la fede nell'Ente Supremo, a manifestare i suoi dubbi sulle effettive possibilità di redenzione degli umani, a suo parere ormai pallidi simulacri dell'antica immagine e somiglianza al Divin Fattore.
- Lasciare intatto il libero arbitrio degli umani, lo comprendo: che altrimenti, non sarebbero più tali. Ma che, assunto questo, sia possibile restituirli ad un decoroso grado di nobiltà dello spirito solo perché leggeranno un'opera di Victor, ammireranno un dipinto di Michelangelo e magari ascolteranno una mia sinfonia - beh, che accada tutto questo è talmente inconcepibile da superare l'atto di fede. A meno che la nostra nuova presenza sulla Terra non si prefigga un obiettivo intermedio: che gli umani riducano poco alla volta la loro espansione morale per cedere quel territorio ad un vivere più naturale. Così, forse, sarebbero meno ossessionati dall'idea del potere e del denaro e più stimolati alla ricerca del bello, e quindi del buono che indissolubilmente vi è legato. È forse questo il nostro obiettivo, mio Signore? - .
- Due secoli di Paradiso ti hanno insegnato qualcosa, oltre la tua musica - . Il Padreterno fece un cenno di assenso. - Ma che sia la prima e l'ultima volta che ti permetti di tenere una lezione di teosofia proprio a me, che sono il tuo Dio - . Si girò verso Hugo e Buonarroti. - Dimmi, Michelangelo - .
- Potremo vederci liberamente sulla Terra? Mi piacerebbe tanto visitare la Francia e la Germania, cosa che nella precedente vita non ho potuto fare... e anche, lo confesso, per raccontarci l'un l'altro le facce che faranno i terrestri quando ci presenteremo a loro con i nostri veri nomi e le nostre fisionomie di allora - . L'artista italiano ammiccò da vero monello verso i colleghi.
Il Signore Dio scosse impercettibilmente il capo. Eccitati come ragazzi in gita scolastica, pensò sorridendo. Alzò una mano. - Naturalmente, avrete completa libertà di movimento e comunicazione. Solo un'ultima osservazione, poi vi lascerò a Gabriele per tutti i dettagli - . Li guardò severamente uno per uno. - Poiché sarete umani di nuovo, di nuovo peccherete. Ma con la moderazione e la consapevolezza di chi già conosce la vita del Paradiso da secoli. Mi sono spiegato bene? - .
I tre artisti annuirono, s'inchinarono, poi uscirono dalla sala del trono seguendo l'arcangelo Gabriele.

Beethoven

GERMANIA, Primavera 2015

Ludwig aprì gli occhi e trasse un bel respiro. Si trovava nell'Englischer Garten a M*, a ridosso del fiume Isar che lo attraversava tutto. Per il suo secondo debutto terrestre, la primavera germanica gli aveva riservato una giornata di sole brillante e quasi calda, almeno per come lui si ricordava il clima di fine aprile dalle sue parti.
Si guardò intorno, vagamente stordito. Un vociare caotico rincorreva se stesso senza sosta, soprattutto ragazzi che in quell'assolato sabato mattina non avevano evidentemente meglio da fare se non invadere festosamente il parco principe della città, con musica, scherzi, schiamazzi e sbaciucchiamenti. A Ludwig venne da ghignare, osservando di sbieco una coppietta che pareva volesse mangiarsi di baci. Duecento anni fa vi avrebbero arrestato, per questa tenera scenetta, pensò captando aromi inebrianti da un chiosco poco lontano. Artigliò saldamente il pesante trolley che aveva con sé, risistemò lo zaino sulle spalle e a passi cautelosi, ad occhi quasi chiusi ma a narici ben aperte, raggiunse il chiosco bar.
Una brunetta indaffarata sollevò gli occhi dal banco. - Buongiorno, signore. Cosa prende? - .
Tedesco pulito, ma accento esotico... deve essere turca, argomentò Ludwig, con un occhio al colorito ambrato della ragazza e l'altro sullo sfavillìo delle paste sotto di lei. - Un caffè e un krapfen - disse, allungando timidamente un dito sul vetro.
- Subito - fece lei, sfilando svelta un piattino dalla pila alla sua sinistra e deponendovi sopra il krapfen più grosso della compagnia.
Eh, deve aver capito che non mangio queste delizie da due secoli, sorrise Beethoven mentre affondava i denti nel dolce. Chiuse gli occhi e masticò lentamente. Voleva che quel primo, meraviglioso impatto gustativo gli rimanesse bene impresso fino all'ultimo istante della sua seconda vita terrestre.
- È buono, le piace? - .
Ludwig aprì gli occhi e sussultò, come un bimbo goloso sorpreso con le mani nella torta. - Oh sì, raramente ne ho mangiati di altrettanto squisiti - rispose, intanto che la brunetta finiva di armeggiare sulla macchina dell'espresso.
Sorseggiò il caffè nello stesso modo in cui aveva assaporato il krapfen, e cercò inutilmente di ricordare che sapore avesse quello di duecento anni prima. In ogni caso, non certo paradisiaco come questo, sospirò deponendo la tazzina sul piattino.
- Quanto le devo? - . Mentre cercava il portafogli, parve a Ludwig che il sorriso della brunetta fosse già meno formale di un minuto prima, e lui non era per niente sicuro che ciò dovesse attribuirsi esclusivamente ai suoi apprezzamenti sul krapfen. Mah, dopotutto può anche darsi che il mitico Beethoven abbia esteso la sua popolarità fino alle giovani turche del XXI secolo, celiò con se stesso catturando qualche moneta.
- Sono due euro e venti, signore - . La brunetta prese le monete, e per qualche attimo il suo sguardo sfiorò l'ingombrante trolley al fianco di Ludwig. - E benvenuto a M* - .
Lui piegò impercettibilmente il capo. - Tornerò presto ad assaggiare gli altri dolci, promesso - . Le rimandò un sorriso altrettanto informale. Un sorriso da krapfen extralarge.
- L'aspettiamo con piacere. Buona giornata, signore - . Con il piattino del krapfen ancora fra le mani, la brunetta salutò Beethoven che senza troppa fretta si avviò a guadagnare l'uscita del parco.

Il taxi viaggiava disinvolto nello scarso traffico del sabato mattina e inutilmente Ludwig tentava di riconoscere qualche strada. Macché, nemmeno chiese e monumenti gli rimandavano immagini familiari, progresso tecnologico ed erosione ambientale avevano reso M* una città nuova, misteriosa e affascinante... ma anche inquietante, sarebbe riuscito ad inserirsi in un mondo tanto più veloce di quello che lui aveva conosciuto due secoli prima? dove uno scarto di cavallo ad una curva rappresentava probabilmente il top dell'emozione su strada.
Alla settima ripartenza da GP dopo un semaforo, con tanto di sgommata da qualifica e relativo sballottamento sul sedile posteriore, Ludwig decise che era tempo di darci un taglio. Sono appena tornato sulla Terra, e questo pazzoide già vorrebbe rispedirmi in Paradiso, mugugnò sporgendosi verso il sedile anteriore.
- Vorrebbe rallentare, per piacere? Se arrivo due minuti più tardi, va bene lo stesso - . Incrociò lo sguardo col tassista nello specchietto retrovisore.
- Come vuole, signore. Comunque fra cinque minuti siamo arrivati - . Con un sorrisino impertinente, il tassista frenò dolcemente al successivo semaforo rosso.

Quattro minuti più tardi, Beethoven scese dal taxi e rimirò la palazzina non proprio modernissima al civico 8 della Funkerstrasse. Tre piani, sei balconcini, facciata color ocra, portone massiccio ad arco color verde scuro. Macchinalmente rilesse il foglietto che aveva in tasca: - Ilde Kellenburg, affitta-appartamenti - con indirizzo e numero telefonico.
Il citofono presentava soltanto due targhette: - Kellenburg – Ufficio - e - Kellenburg – Casa - . Evidentemente, gli eventuali visitatori degli inquilini dovevano comunque farsi annunciare dalla portineria. Ludwig si accorse che il portone era soltanto accostato, perciò spinse ed entrò.
Un atrio non molto spazioso, ma ben illuminato e pulito, lo accolse: un finestrone rettangolare in cima alla prima rampa di scale, esposto ad oriente, proiettava verso l'ingresso un'allegra ondata di luce primaverile. Subito a sinistra, Ludwig si trovò davanti ad una vetrata che separava l'atrio da una guardiola piuttosto angusta, dove una ragazza dai capelli rosso scuri stava armeggiando su un PC con aria infastidita.
Ludwig picchiettò leggermente sul vetro per attrarre la sua attenzione e lei mollò subito il mouse per andargli incontro. Occhi scurissimi, naso minuscolo, labbra che sembravano scolpite in un marmo di passione, efelidi discrete spruzzate su un volto di un candore abbagliante. Eh, dovrebbe vederla quel buontempone di Michelangelo, il suo secondo debutto artistico sarebbe da schianto, argomentò Beethoven fra sé, per la verità non troppo dispiaciuto che fosse invece la SUA potenziale padrona di casa ad avere tale aspetto.
- Buongiorno! Posso esserle utile? - . La voce della ragazza era poco più che un fruscìo di seta.
Ludwig si schiarì la voce. - Ecco... io veramente cercavo la signora Ilde Kellenburg... - . S'era messo in testa che il nome 'Ilde' fosse ormai roba datata e dovesse quindi appartenere ad una donna di mezza età e mai e poi mai alla ragazza deliziosa che gli si parava davanti.
La rossa emise una risatina sommessa. - Mia zia non c'è... io sono Odilia, e se lei cerca un appartamento da affittare, posso farle da guida, e anche stipulare il contratto, nel caso lei decidesse subito. Sempre ammesso che quel dannato computer decida che è arrivata l'ora di lavorare anche per lui - smorfiò, tirando all'indietro una ciocca di capelli. Beethoven si rilassò. L'impatto con la sua seconda vita terrestre si stava rivelando alquanto morbido, tutto sommato, certo i suoi impulsi creativi ne avrebbero tratto vantaggio. Trovare uno sponsor per i suoi prossimi capolavori, ecco, quello lo impensieriva un poco... ma avrebbe affrontato la questione con calma, dopo aver risolto il problema appartamento con la giovane e fascinosa Kellenburg.
- Mi affido completamente a lei... Odilia - . Stava per dire ‘signorina', ma poi si ricordò che tale appellativo, nel XXI secolo, era da considerarsi ormai obsoleto. - Io mi chiamo Beethoven. Ludwig van - precisò tutto serio, guardandola negli occhi.
Un sorrisetto sornione, venato di inesplicabile complicità, attraversò le labbra della ragazza. - Ne ha tutto l'aspetto, ne convengo. Per quanto - eccepì, mentre entravano in ascensore - il vecchio Ludwig rimandava un'immagine decisamente più scorbutica, e non doveva essere facile aver a che fare con lui... anche lei compone musica, Herr Beethoven? - .
Il tono sconcertò Ludwig. D'accordo, la sua faccia era pur sempre quella, ma insomma era
vestito e acconciato come un qualunque trentenne del 2015... eppure, sia la brunetta del chiosco bar all'Englischer Garten che Odilia Kellenburg sembravano averlo identificato senza alcuno sforzo. Peggio, avevano l'aria di considerare ovvia e normale la sua presenza fra di loro. Forse erano angeli anch'esse, inviate dal Padreterno per guidarlo nell'arduo compito che gli era stato affidato?
- Ehm... in effetti sì, qualche sonata per pianoforte, ed anche piccole sinfonie. Qui a M* spero di conoscere le persone giuste per entrare nel giro che conta, e scrivere la grande sinfonia che inizio ad avere in mente - . La porta dell'ascensore si schiuse al terzo piano.
Un lampo soavemente furbesco illuminò ulteriormente il volto di Odilia. - Mi viene un'idea, ma prima sarà il caso che lei dia uno sguardo all'appartamento, Herr Beethoven - Un breve corridoio partiva dall'ascensore fino ad una grande vetrata centrale; da lì si diramavano altri due corridoi laterali. Odilia prese quello di destra, c'erano tre porte per lato. Si fermò davanti a quella centrale sul lato destro, quello esposto ad oriente.
Entrarono, e Ludwig si ritrovò in un soggiorno abbastanza ampio, con scrivania sotto la finestra e balconcino annesso; a destra qualche scaffale per i libri e ingresso alla cameretta con bagno; a sinistra, ingresso al cucinotto, e tra questo e la parete esterna uno spazio vuoto (proprio quello giusto per sistemarci un pianoforte, notò Beethoven con soddisfazione). Fece qualche passo in lungo e in largo mettendo su un'aria pensosa, giusto per non dare a Fräulein Odilia l'impressione che avrebbe accettato a scatola chiusa qualunque espressione della sua grazia. Appartamento su tutto.
- Allora, che ne pensa? Può andare per un artista che sta per creare il suo capolavoro? - .
Ludwig si voltò. Nella sua vita precedente lo avrebbe infastidito, un approccio così disinvolto e confidenziale, ma adesso no, lo trovava divertente. Certo, era probabile che avere una faccia da Beethoven avesse acceso curiosità e soprattutto premure professionali della rossa Kellenburg, in ogni caso lui avrebbe condiviso piacevolmente il suo gioco:

l'appartamento l'aveva convinto, e non sarebbe poi stato spiacevole, ritrovarsela ogni tanto fra i piedi. Facendole magari capire da subito che non l'avrebbe lasciata sola, a recitare la parte della spiritosa.
- Visto e preso - . Ludwig fece scorrere un dito sul bordo della scrivania.
- Lei è più sintetico di Giulio Cesare alla testa delle sue legioni - commentò Odilia, ma si bloccò subito. Beethoven aveva puntato il dito sullo spazio vuoto dalla parte del cucinotto.
- Lì vorrei sistemare un pianoforte... se pensa che non sarà un problema per gli altri inquilini - .
- Magnifico! - . Odilia batté le mani. - Nell'appartamento successivo abito io con mia zia, in quello precedente c'è un anziano vedovo mezzo sordo... sarà un grande piacere per le signore Kellenburg ascoltare rapite la sua musica, presente, passata e futura - . Abbozzò un mezzo inchino.
Irriverente ragazza, pensò Ludwig uscendo dopo di lei dall'appartamento.

Beethoven uscì da palazzo Kellenburg già carico di afferenze emotive. Proprio mentre stava per firmare il contratto che l'avrebbe legato al civico 8 di Funkerstrasse per i successivi tre anni, e opzione per altri tre, Ilde Kellenburg rientrò in casa. Cinquantina appena passata, occhi felini, sguardo da Inquisizione, energia spigolosa ma voce sorprendentemente morbida e flautata... come la nipote Odilia, non sembrava per nulla sconcertata di ritrovarsi in casa un musicista di nome Beethoven e dopo che lui ebbe firmato il contratto e l'assegno per i primi due mesi d'affitto, scrisse rapidamente poche righe su carta intestata. - Si presenti con questa mia al ‘Pathos Transport Theater', in Dachauerstrasse, a pochi passi da qui... il direttore artistico, Bernard Heldrein, è un mio caro amico, e forse la riceverà per visionare la sua produzione - . Tese la busta a Ludwig. - Ancora una cosa, Herr Beethoven. Non dimentichi la sordina quando suonerà il pianoforte, ho attacchi di emicrania qualche volta, e in quelle ore non sopporterei neppure un coro degli angeli - . Lo sguardo da Inquisizione modulò perentorio la voce flautata e morbida.
- Non farò nulla che possa minimamente turbare la deliziosa quiete di casa Kellenburg - declamò Ludwig, solo con un pizzico di ironica enfasi.
- Ecco bravo, non dimentichi tale lodevole proposito, e andremo d'accordo - concluse Ilde. - E stasera, se non ha già un impegno, è invitato a cena da noi. Voglio impicciarmi un po' di più sul suo conto - specificò senza giri di parole e senza ritegno. Sorrise, stavolta senza Inquisizione, e incrociò lo sguardo con quello sbrilluccicante di Odilia.
- Sarà gran piacere per me rispondere a tutte le sue domande. Anche se, temo, le risposte non saranno altrettanto interessanti, Frau Ilde - . Un ghigno di sfida attraversò il volto di Ludwig.
- Non faccia tanto il modesto, ho la certezza che non le si addica - lo ammonì lei. - E ora si sbrighi, il dottor Heldrein non l'aspetterà tutto il giorno - .
- Vado subito - . Volse lo sguardo verso la Kellenburg junior. - E grazie a lei della sua squisita assistenza - .
Odilia mosse impercettibilmente il capo. - Dovere, Herr Beethoven - . Proprio all'ultimo momento si morse la lingua, perché non gli uscissero di bocca le parole ‘è stato un piacere'.

Stefano Lazzari

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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