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Autore: Romina Zanetta
Il dono del mostro
Fantasy Horror
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Il dono del mostro
Courtney era estasiata ma anche frastornata dal rumore e dalla confusione. Sentiva di aver bisogno di un momento di pausa da tutta quella baraonda. Strattonò il braccio di Roxy che, con il naso all'insù, contemplava l'imponente struttura semovente. Il rumore era talmente assordante che non riusciva a sentire quello che voleva dirle l'amica.
Courtney indicò un bar lì vicino e la ragazza le fece subito cenno di si con la testa.
Riuscirono a farsi strada tra la folla e quando entrarono nel bar e chiusero la porta, i loro timpani parvero ringraziarle.
Si guardarono e sospirarono esauste. Il frastuono ora arrivava alle loro orecchie ovattato e confuso e un'atmosfera decisamente più calma e rilassante regnava nel locale.
Forse le persone presenti, sia al bancone che sedute ai tavoli, avevano avuto la loro stessa idea.
Si accomodarono ad un tavolino il più lontano possibile dall'ingresso e fecero cenno al cameriere di avvicinarsi.
Roxy si tolse le collane colorate che portava al collo e le abbandonò sulla sedia, e lo stesso fece Courtney.
Roxy si sciolse la lunga treccia nera lasciando ricadere i lunghissimi capelli corvini sulle spalle: “Per la miseria, quanto è stancante divertirsi.”
Courtney sorrise mentre il cameriere le salutò cordialmente chiedendo loro cosa gradissero mangiare.
Non se lo fecero ripetere due volte e ordinarono Jambalaya e insalata di patate e per finire una king cake a testa.
Nell'attesa che portassero la cena, Courtney si guardò intorno. Il locale non era certo quello che si poteva definire chic come anche la clientela, ma l'atmosfera era famigliare e accogliente e la donna si trovò immediatamente a suo agio.
Mentre Roxy frugava convulsamente nella borsa alla ricerca del suo cellulare, lo sguardo di Courtney si soffermò su un uomo seduto da solo in un tavolino all'angolo con una birra in mano. Si accorse solo in quel momento che quell'uomo stava guardando proprio lei.
Inspiegabilmente la donna ebbe un tuffo al cuore. Dovette fare uno sforzo non indifferente per distogliere lo sguardo da lui.
Di altezza media ma ben piazzato e muscoloso. I capelli corti e scuri pareva si confondessero con lo spolverino nero che teneva indosso, lungo fino a metà polpaccio. La carnagione era lievemente abbronzata, tipico di chi fa un lavoro costantemente all'aria aperta e sotto il sole, e il pizzetto perfettamente curato lo rendeva ancora più affascinante.
Non sembrava avere molta voglia di divertirsi e meno che mai stare in mezzo alla confusione, in netto contrasto con la baldoria all'esterno.
Courtney si impose di rivolgere lo sguardo sul piatto fumante che le era appena stato portato mentre deglutì rumorosamente.
Questo atteggiamento non passò certo inosservato alla sua migliore amica che la stava fissando con aria interrogativa.
Courtney finse indifferenza: “Bhè? Che cosa c'è?”
L'altra le si avvicinò con sguardo indagatore: “Stavo per chiederti la stessa cosa. Non credere che non mi sia accorta che il fusto seduto in fondo alla sala non ti ha tolto un istante gli occhi di dosso.” Poi mandò giù un'abbondante sorsata di birra.
Courtney iniziava ad essere a disagio. Si sfregò nervosamente le mani l'una con l'altra cercando di evitare lo sguardo, ma poteva sentire gli occhi di quello sconosciuto su di lei.
Tentò di cambiare argomento: “Sono venuta qui perché tu mi hai costretta a fare una vacanza, non certo per infilarmi in un' avventura di una notte.”
Non poteva immaginare che tipo di avventura le si prospettasse davanti.
Si buttò i capelli indietro con uno scatto: “E poi ho fame.”
Ritornò lo stesso cameriere con una bibita in mano e un bicchiere per lei e le interrogò con aria goliardica: “Siete in vacanza ragazze? O si tratta di un viaggio di studio?”
Rispose Roxy: “Avevamo bisogno di distrarci e rilassarci, soprattutto lei.” E indicò Courtney che sorrise imbarazzata.
Il ragazzotto rossiccio e lentigginoso rivolse un sorriso aperto: “Bene, però mi raccomando, vi consiglio di rincasare sempre prima di mezzanotte.”
Dopo questo consiglio, Courtney smise di mangiare e rivolse la sua completa attenzione al ragazzo: “E perché dovremmo rincasare prima di mezzanotte?”
Il ragazzo rispose con semplicità: “Per via del mostro.”
Le ragazze si guardarono attonite. Poi tornarono a rivolgere lo sguardo sul cameriere: “C...cosa?”
Il ragazzo guardò prima l'una e poi l'altra: “Si vede che siete forestiere. Non avete mai sentito parlare del mostro che si aggira da queste parti? Pare che viva nel bayou e si nutra dei cadaveri degli animali che popolano la palude.”
Le ragazze rimasero a fissarlo con la bocca spalancata.
Poi improvvisamente, il ragazzo scoppiò in una fragorosa risata: “Ci avete creduto vero? E' una leggenda popolare molto conosciuta in questa zona. Mia madre me la raccontava ogni volta che non volevo mangiare le verdure. Mi diceva che se non le avessi mangiate, sarebbe venuto il mostro del bayou a mangiarmi i piedi.”
Un'altra fragorosa risata e poi si voltò per andare verso il bancone a servire altri due clienti.
Le due donne fecero un sospiro di sollievo, maledicendo quel buontempone che non aveva altro da fare che spaventare le clienti sprovvedute.
Courtney stava per mettere in bocca la terza forchettata di jambalaya, quando con la coda dell'occhio si accorse che l'uomo misterioso si stava alzando dalla sedia.
Iniziò a camminare lentamente, tenendo la birra in mano all'altezza della gamba, con scioltezza.
E si stava dirigendo verso di loro.
Courtney tentò pateticamente di nascondersi dietro ad una ciocca di capelli. Sperò che si fosse alzato semplicemente per dirigersi verso l'uscita, oltrepassandole con noncuranza, ma non fu così.
Si fermò proprio davanti a lei e le rivolse un sorriso. Courtney non poté fare a meno di guardarlo e non immaginava cosa potesse volere quello strano individuo da loro. Si sentì avvampare e il cuore iniziò ad accelerare.
Lui invece non si scompose minimamente, anzi pareva essere totalmente a suo agio, come un vecchio amico che si incontra all'aeroporto.
Rimase a fissarlo per alcuni secondi che a lei parvero ore, prima che Roxy rompesse l'incanto con un finto colpo di tosse.
Lui si voltò a guardare anche l'amica facendo un abbozzo di inchino in segno di saluto. Sembrava essere uscito da un film western, i suoi modi erano così ossequiosi, molto raro al giorno d'oggi.
Poi finalmente parlò e Courtney poté notare che la sua voce era calda e suadente come un vento caldo.
“Buonasera. Posso sedermi?”
Courtney rimase a guardarlo in trance, limitandosi ad annuire come un robot.
Lui sorrise di nuovo ringraziando e si accomodò poggiando sul tavolo la birra che teneva in mano.
Poi le guardò entrambe: “Mi chiamo Jacob. Voi non siete di queste parti, o sbaglio?”
Roxanne rispose disinvolta: “Si, non sei il primo che l'ha notato. E' così evidente?”
Jacob sorrise malizioso incrociando le mani davanti a se: “Si in effetti. Abito qui da molto tempo e conosco praticamente tutti. Non dimentico mai un viso io. E i vostri me li sarei senz'altro ricordati.”
Tornò a rivolgere lo sguardo a Courtney. Sapevano entrambi che aveva usato il plurale per non essere scortese nei confronti di Roxanne, ma quello che realmente intendeva dire, era che non avrebbe scordato il suo di viso.
Courtney non sapeva più da che parte guardare. Quello sconosciuto la rendeva nervosa eppure la attraeva in maniera incontrollabile.
Lui diede una sorsata di birra poi proseguì: “Non è molto prudente che due signorine come voi si aggirino da sole in questa zona senza qualcuno che sia in grado di proteggerle.”
Courtney si decise a prendere la parola: “Anche tu con questa storia del mostro?”
Lui si voltò di scatto a guardarla negli occhi. Lei si sentì improvvisamente in colpa. Aveva detto qualcosa che non andava? O forse no?
“No. Intendo dire che ci sono in giro malintenzionati la notte, soprattutto questa notte, in cui la città è gremita di gente. E mandare in giro due bocconcini come voi per le strade di New Orleans, sarebbe come mandare a pascolare due agnellini in un bosco pieno di lupi.”
Aveva uno strano modo di parlare. ‘Malintenzionati', ‘bocconcini' la similitudine delle pecorelle e il lupo. Nessuno usava più questi termini da secoli.
Jacob con un sorso finì la sua birra mentre Roxanne, gli rispose con aria spavalda: “Si, ma noi sappiamo badare a noi stesse. Grazie per l'offerta ma non abbiamo bisogno di una guardia del corpo.”
Jacob sospirò. Pareva deluso ma preferì non insistere e rispose con garbo: “Come volete. Ma ricordate che se doveste avere bisogno di aiuto, io arriverò.”
Quella frase, pronunciata in quel modo, aveva più il sapore di una promessa.
Courtney invece avrebbe tanto voluto che quell'uomo le facesse da guardia del corpo, ma ormai si stava già alzando.
Fece un altro inchino in segno di congedo e un ultimo sguardo a Courtney: “Signore. Vi auguro una magnifica serata.”
Roxanne lo congedò con una mano frettolosamente mentre l'amica gli sorrise dolcemente.
Appoggiò il viso su una mano: “Spero di vederti presto, Jacob.”
Pensò di averlo solo immaginato, invece la frase le uscì spontanea e leggera come un alito di vento.
Lui le sorrise di rimando, accarezzandola con lo sguardo: “Se il destino lo vorrà, le nostre strade si incontreranno di nuovo.”
Ruotò su se stesso facendo ondeggiare un lembo del lungo cappotto di pelle nera e si allontanò con passo lungo verso l'uscita, per poi scomparire tra la folla.
Roxanne fece un verso di disgusto: “Ma guarda che gente c'è in giro. Questo tizio è sicuramente un magnaccia in cerca di ragazze da mettere sulla strada, ma io non ci casco.”
Courtney non distolse lo sguardo dalla porta del locale, forse sperando di vederlo rientrare e disse quasi in un sussurro: “Invece a me è sembrato sincero.”
L'altra non la stette a sentire e ordinò altra birra.

La mezzanotte era appena scoccata quando le due donne uscirono dalla locanda. Roxanne aveva bevuto un po' troppo e Courtney dovette sorreggerla per accompagnarla fino all'auto.
Per loro fortuna non era parcheggiata lontano, ma avrebbero dovuto percorrere una stradina secondaria poco illuminata per raggiungerla.
Si incamminarono lentamente mentre non poterono far a meno di notare che l'orda di festaioli era parecchio diminuita rispetto al pomeriggio.
Entrarono nel vicolo, illuminato solo dalla luce fioca di un lampione fatiscente, mentre in terra giacevano cumuli di spazzatura, coriandoli e collane colorate.
Courtney iniziò a sentirsi a disagio. Si guardava continuamente alle spalle, poi a destra e sinistra.
Un grosso gatto arancione sbucò fuori all'improvviso da un bidone dell'immondizia facendole sussultare. Courtney emise un grido soffocato, poi si portò una mano al petto, cercando di far cessare il battito impazzito del suo cuore.
Roxanne, per lo spavento, sembrò riprendersi in parte dalla sbornia e iniziò a camminare con passo svelto strattonando l'amica per il giubbino, incitandola a muoversi.
Si trovarono circa a metà del vicolo, quando udirono un rumore metallico, come delle catene che vengono trascinate sul terreno. Si guardarono con gli occhi sgranati, poi Roxy azzardò un ipotesi poco convincente: “Sarà un altro stupido gatto.”
Non fece in tempo a finire la frase che si ritrovarono alle spalle tre ragazzoni robusti e con delle catene a tracolla. Avevano l'aspetto trasandato e sudicio e un abbigliamento punk. Due di essi avevano in mano due bottiglie di wisky da quattro soldi e l'altro un sigaro mezzo consumato.
“Ma guarda che bella sorpresa. Pensavamo di passare una serata di merda e invece mi devo ricredere.”
Ormai Roxanne si era ripresa quasi del tutto ed entrambe li fissavano con gli occhi spalancati.
Courtney riuscì a dire: “Noi ... ce ne andiamo subito .... non vogliamo problemi.”
I tre scoppiarono a ridere sguaiatamente quasi simultaneamente.
Il più alto e grasso le si avvicinò veloce e le mise le mani sulle spalle: “Ma certo neanche noi, se ci date tutto quello che chiediamo.”
Courtney svelta, prese la borsetta ed estrasse il portafoglio. Tirò fuori tutti i contanti che aveva e glieli porse con mani tremanti: “Va bene, va bene, ecco qui, adesso però lasciateci andare.”
Si avvicinò quello più magro ma che sembrava essere il capo e il più cattivo. Strappò letteralmente di mano i soldi a quello grasso e li annusò. Le ragazze si guardarono in preda al terrore non riuscendo a capire il motivo di quel gesto.
Il bullo continuò: “Oh ma io sono sicuro che potete fare di meglio, vero principessine?”
Il tono della sua voce era gracchiante e sgradevole tanto quanto la sua immagine. Roxy intuì e prese a sua volta il portafogli consegnandogli l'intero contenuto. Poi si sfilò l'orologio e la collana, seguita a ruota da Courtney la quale si tolse in fretta gli orecchini per consegnare tutto il bottino nelle mani del delinquente.
Lui osservò con ammirazione il malloppo e ne parve appagato. Questo fece tirare un sospiro di sollievo alle due donne che ormai credevano di poterla scampare. Con qualche dollaro e qualche gioiello in meno, ma almeno erano incolumi.
Purtroppo si sbagliavano.
Il bullo fece un cenno al terzo ragazzo che fino a quel momento era rimasto un po' in disparte. Arrivò con un sacchetto nero e mise dentro tutta la loro roba, per poi chiuderlo per bene.
“Siete state molto generose, puttanelle, ma io non ho ancora finito con voi, vero ragazzi?”
Gli altri due sghignazzarono perfidamente e in breve le accerchiarono.
Il più grasso si passò la lingua sulle labbra e il ‘capo' iniziò a slacciarsi la camicia.
Courtney era paralizzata dalla paura. Non erano semplici ladruncoli che le avrebbero lasciate andare una volta avuti un po' di soldi per gli spinelli e qualche paccottiglia. Questi erano maniaci stupratori.
Ma avrebbero venduto cara la pelle. Courtney ricordò che sua madre le aveva sempre detto che, in caso di aggressione, è sempre bene mirare alle palle.
E' il punto debole di ogni uomo. E così avrebbe fatto se il tizio grasso non le fosse arrivato da dietro, stringendola brutalmente per le spalle e impedendole di muovere le braccia. Iniziò ad urlare e scalciare come una forsennata, sperando che qualche suo calcio riuscisse ad andare a segno, colpendo là dove si era prefissata.
Nel frattempo vide Roxy che con gli occhi fuori dalle orbite, si dimenava scompostamente in braccio al ‘capo' tentando di graffiarlo e colpirlo con ogni mezzo, ma l'altro scagnozzo si occupava di tenerle ferme le braccia.
La portarono sopra al cofano di un auto abbandonata all'angolo del vicolo, mentre Courtney poteva sentire i risolini compiaciuti dei due bruti. Si mise a urlare con quanto fiato aveva in gola: “AIUTO, VI PREGO QUALCUNO CI AIUTI.”
Ma per quanto urlasse, era improbabile che qualcuno sarebbe accorso, perché la maggior parte della gente era ancora riunita nella piazzetta e la musica incessante sovrastava ampiamente gli altri rumori.
Sentì il ‘capo' con la voce gracchiante che diceva: “Non fare storie, ti piacerà.” Seguito da un'inquietante risata del suo scagnozzo mentre Roxy seguitava a divincolarsi tentando di mettersi in salvo. Ormai le due donne erano allo stremo delle forze, non sarebbero riuscite a tenergli testa ancora a lungo, e quei maledetti bastardi lo sapevano. Di sicuro non era il primo stupro che tentavano, chissà di quante altre ragazze innocenti avevano abusato.
Courtney non voleva arrendersi ma era sfinita. Iniziò a piangere come un'isterica nell'ultimo disperato tentativo di liberarsi dalla presa di marmo del bestione alle sue spalle.
In quel momento, come un lampo le tornò in mente l'uomo misterioso incontrato alla taverna. E nella sua mente si compose la frase pronunciata da lui prima di andarsene ‘Se doveste avere bisogno di aiuto, io arriverò.'
Era una follia, e lei lo sapeva bene ma che altra scelta aveva? Non avevano scampo, quei tre schifosi le avrebbero violentate e poi le avrebbero abbandonate nel vicolo come spazzatura. Si, pensò ..... nella migliore delle ipotesi.
Prese quanto più fiato riuscì a trattenere e urlò a squarciagola: “JACOB, AIUTOOOO, JACOB AIUTACI TI PREGO”
I tre delinquenti si fermarono un secondo a guardarla, interrompendo per pochi istanti il crimine che stavano per compiere. Poi scoppiarono a ridere sguaiatamente all'unisono e lo ‘scagnozzo' le chiese: “Chi chiami tesoro, un tuo amico? Non siamo abbastanza per te?” Altra scomposta risata da parte di tutti e tre.
Il ‘capo' la guardò facendo un gesto osceno con la lingua: “Non essere impaziente, adesso arrivo anche da te.”
All'improvviso una voce tuonò dal fondo del calle. Una voce calma, controllata ma che non ammetteva obiezioni. Una voce familiare: “Ehi, farabutti. Da dove vengo io le donne si trattano con rispetto e mi sembra che voi abbiate bisogno di una lezione di galateo.”
I tre si fermarono di colpo, volgendo lo sguardo verso l'ingresso del vicolo. Una figura imponente si stava avvicinando a loro con passo lento e pesante.
Jacob, con le mani infilate nello spolverino, avanzava puntando dritto verso di loro.
Illuminato solo dalla fioca luce del lampione, la figura in nero si portò con calma quasi vicino al ‘capo' che senza ritegno iniziò ad insultarlo: “E tu chi cazzo sei? E' meglio che alzi i tacchi, amico, se non vuoi una bella linciata.”
Jacob non si scompose. Si aspettava quella reazione quindi rispose con calma e determinazione, guardandolo dritto negli occhi: “Lasciate andare le signorine o sarà peggio per voi.”
Il ‘capo' iniziò a perdere la pazienza e con un gesto nervoso si tirò su le brache che si era appena calato e andò verso Jacob, sotto lo sguardo attonito di tutti: “Adesso mi hai proprio rotto le palle, amico. Perché non vai a fare ....”
Non riuscì a finire la frase che la pallida luce del lampione si spense improvvisamente. Tutti rimasero immobili non riuscendo subito a realizzare quanto stava accadendo.
Ora la viuzza era illuminata solo dalla luce della luna che illuminava alcune fasce mentre il resto era quasi completamente nell'oscurità.
Jacob si trovava in un punto quasi totalmente buio, era visibile solo la sua sagoma che, imponente, pareva sovrastare l'intera stradina.
I tre iniziarono ad agitarsi, visibilmente spaventati ma cercando di non darlo a vedere. Guardandosi freneticamente attorno alla ricerca dell'individuo che aveva scombussolato i loro piani abominevoli.
Poi una voce parlò: “D'accordo, allora. Adesso sarò io a divertirmi.” Una voce troppo profonda per essere naturale, gutturale, sembrava arrivare dalle profondità degli inferi.
Courtney teneva gli occhi aperti, attenta ad ogni minimo movimento, mentre sentiva che la presa dell'energumeno dietro di lei iniziava ad allentarsi. A quanto pareva lo sconosciuto aveva involontariamente creato un diversivo, perché il bestione in quel momento era più preoccupato di orientarsi in quell'oscurità e capire con chi avevano a che fare, che di tenere ferma lei.
La donna ne approfittò immediatamente, e riuscendo a liberarsi dalla sua stretta, svelta come un gatto gli rifilò una gomitata allo stomaco. Non lo vide ma lo sentì gemere dal dolore ed indietreggiare di alcuni passi. Riuscì solo a dire con voce strozzata: “Dannata troietta.”
Roxy non fu da meno, riuscendo a tirare un calcio in pieno mento allo scagnozzo che tentava di tenerle ferme le braccia, mentre il capo brancolava letteralmente nel buio iniziando ad imprecare contro i suoi uomini.
“Fate qualcosa, trovate quel pezzo di mer...” Non finì la frase che si sentì una ventata gelida e potente travolgerli in pieno. Si udì una specie di ruggito mentre lo scagnozzo veniva sollevato da terra di un metro e scaraventato contro il muro. Non riuscì nemmeno ad urlare.
L'energumeno tentò pateticamente di assestare pugni al nulla lottando alla cieca contro un nemico invisibile. In realtà il suo nemico era proprio alle sue spalle. Lui invece riuscì ad urlare e fu un urlo lancinante che penetrò nelle orecchie delle ragazze.
Courtney si accovacciò in terra proteggendosi i timpani anche per non sentire quei lamenti strazianti. In ultimo venne il ‘capo'. Lui fu quello che ebbe la peggio.
Quando i lamenti cessarono, calò il silenzio. Si poteva solo udire in lontananza il vociare di qualche ubriaco che usciva farfugliando da qualche locale.
Courtney ebbe l'impressione che il cuore le scoppiasse nel petto. Rimanendo sempre inginocchiata a terra tolse lentamente le mani dalle orecchie e iniziò a guardarsi intorno incredula.
Poi con voce tremante tentò di chiamare l'amica: “Roxy, ci sei?”
L'altra, riversa carponi vicino al parafango dell'auto arrugginita riuscì solo a rispondere con un bisbiglio: “Si, io bene, tu tutto ok?”
Tirò un sospiro di sollievo ma quell'oscurità opprimente pareva le si fosse incollata addosso. Riuscì barcollando a mettersi in piedi e allungò le braccia in avanti alla ricerca di qualche appoggio o qualunque cosa che potesse farla orientare in qualche modo.
Sentì un fruscio alle sue spalle. Si voltò di scatto sempre tenendo le braccia in avanti quando due mani le presero i polsi. Urlò tentando di divincolarsi ma una voce la calmò immediatamente: “Stai calma, sono io.” Quella voce così calda e rassicurante.
“J...Jacob? Sei tu?”
“Si, stai tranquilla.”
Si lasciò abbracciare ma era sotto choc. Tremava in preda alle convulsioni e le girava fortemente la testa.
Poi sentì la voce di Roxy: “Ehi dove siete?”
Teneva le mani sul cofano avanzando cautamente verso l'esterno. Socchiuse gli occhi nel tentativo di abituarli all'oscurità e riuscì a dirigersi verso una piccola fascia di terra rischiarata dalla luna.
Courtney la vide e, sciogliendosi dall'abbraccio dell'uomo, corse verso di lei. Inciampò in qualcosa di morbido per terra ma riuscì a rialzarsi quasi subito e andò incontro all'amica stringendola forte a se.
Entrambe erano ansimanti ed esauste quando Jacob, si avvicinò ad entrambe con disinvoltura.
“Con il vostro permesso, vorrei accompagnarvi a casa.”
In quella frase era sottinteso il ‘ve lo dicevo io che non era prudente andare in giro da sole.' Ma non lo disse.
Era troppo galante per sottolineare quanto fossero state stupide ed incoscienti a gironzolare per strade sconosciute da sole.
Le due amiche non parlarono ma si limitarono ad annuire.
Lui sorrise e si aggiustò il bavero dello spolverino: “C'è aria fresca stanotte non trovate?”
Parlò con tale disinvoltura che le due si guardarono in faccia attonite. Come riusciva ad essere così tranquillo dopo quello che era accaduto? Perché non era minimamente affaticato dopo aver fatto a botte con quei tre?
Ma la domanda che più le assillava era: ‘che cosa era realmente successo?' La mancanza totale di luce aveva celato tutto quello che era successo ai loro occhi.
Jacob le scortò fuori dal vicolo con aria elegante. Quasi fosse stato un cameriere di un ristorante di lusso che accompagna le clienti più facoltose al proprio tavolo.
Una volta fuori dalla via, il lampione riprese a funzionare. Prima ad intermittenza, poi riuscì a fissare la luce illuminando buona parte della strada e rivelando l'epilogo di quanto accaduto.
Lo scagnozzo giaceva mezzo seduto in terra con la testa fracassata. Scivolando a terra aveva lasciato una copiosa scia di sangue sul muro mentre parte di materia grigia si intravedeva dall'orrido squarcio in mezzo alla fronte.
L'energumeno era riverso con la faccia a terra con entrambe le braccia strappate e accantonate a pochi centimetri di distanza mentre una grossa pozza di sangue andava allargandosi sotto il suo corpo. Alcuni zampilli di sangue scuro, uscivano ancora dalle arterie recise all'altezza dell'avambraccio.
Ma mentre questi due avrebbero (si fa per dire) potuto vantare una morte quanto mai dignitosa, lo stesso non poté fare il loro capo. Giaceva agonizzante in terra con i genitali zuppi di sangue ben calcati in bocca mentre con le mani tentava penosamente di sorreggere quello che una volta era la sua virilità.
Le due donne camminavano lentamente dietro a Jacob non riuscendo a proferire una parola, sorreggendosi a vicenda. Tutto intorno a loro era silenzio, interrotto solo da un gufo che sostava placidamente sul ramo di una pianta poco lontano, indifferente al massacro che si era appena consumato.

Romina Zanetta

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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