Stazione Termini Roma, Stazione Termini, un giorno di giugno caldo e rovente, sporcizia, cartacce a terra e scritte sui muri, auto che sfrecciano, moto che zigzagano, monopattini elettrici che arrivano all'improvviso- chi razzo ha potuto inventare un simile aggeggio. - Così dice a sé stesso, Francesco, appena sceso dal treno. Lui ha 19 anni, capelli ricci e scuri, non molto alto, piacevole d'aspetto, né perbenino, né modaiolo, né scafato, ma, normale, ordinario, regolare, proprio per questo lo si nota, per il suo aspetto tranquillo, mentre tutti corrono, lui lento, quasi indolente porta a spasso i suoi occhi neri, profondi, insondabili e sfuggenti, come palle che bombardano scintille di verità e di sofferenza. Oggi va di moda apparire un po' strano, un po' diverso, con gli anfibi anche con 40 gradi, i capelli verdi o annodati in lunghe trecce rasta, si veste in déshabillé ma deve essere rozzo e selvatico, oppure si indossano abiti da finto campagnolo con le ciabatte Birkenstock ai piedi scopiazzando gli inglesi o i nobili decaduti, poi ci sono i presunti eleganti col vestito a giacca talmente stretto e corto da sembrare quello della Cresima, con ai piedi le babbucce alla Briatore, seguono gli strani del vestiamoci più bizzarro che si può e poi ultimi ma non ultimi i tatuati, sembra che l'Italia sia il paese più tatuato del mondo, più dei Maori della Nuova Zelanda. Francesco, indossa un paio di jeans con una polo color carta da zucchero e ai piedi ha un paio di scarpe nere in pelle leggera, le cosiddette scarpe estive di una volta, non appartiene a nessun gruppo, ha compagni, amici no, con le ragazze qualche flirt, qualche cotta, non certo l'amore, l'anima gemella. Francesco vorrebbe innamorarsi, con l'anima, col cuore, con la mente, vorrebbe una ragazza con cui essere sé stesso, che sentisse il palpito del suo dentro, del suo cuore desideroso di lealtà, di giustizia, di fiducia, di condivisione. - Oddio, voglio tornare, sono appena sceso e già voglio la mia Genova. Già mi manca il salire lungo le crêuze, salire ai miei monti. - Francesco è a Roma per sostenere l'esame di ammissione al 5° anno del Liceo Scienze Umane; aveva abbandonato la scuola al 4° anno di Liceo Classico. Aveva lasciato lo studio andando bene in tutte le materie, ma disgustato sino ad avere i conati di vomito. Infatti a scuola si studiava Rousseau e il suo “Discorso sulle scienze e le arti”, ma non contava niente, vigeva l'ipocrisia, nessuno si mostrava come era, e la morale e la virtù erano ridicolizzate. Le arti e le scienze servivano per differenziarsi, apparire, primeggiare, sovrastare; facevano gli ecologisti senza mai aver vissuto a contatto con la natura, senza conoscerne le leggi e le ragazze erano per moda e non per indole delle lesbiche, e molti si impasticcavano di MD, per carità non chiamatela Ecstasy, che siete proprio FOMO se lo fate, per tutto questo e per molto altro Francesco aveva lasciato il Liceo. Ma poi si era pentito, la scuola faceva schifo, ma il programma ministeriale era molto bello e poi Orazio, Dante, Foscolo e il suo amato Ovidio mica ne avevano colpa. Già Ovidio, De Andrè lo spiegava meglio di cento commentatori... Io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai/Amore che vieni, amore che vai/Io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai/Amore che vieni, amore che vai. Francesco, dopo aver preso l'autobus, canticchiando ancora fra sé la canzone del De Andrè, arrivò a piedi all'entrata della scuola dove si sostenevano gli esami, si trovava nel Parco dell'Appia Antica, in mezzo agli orti e al bosco, da un muro fuoriusciva un ramo di un albicocco, colse due frutti e mentre se li mangiava andò a sbattere, contro due ragazze. - OMG... ma stai un po' attento. - Già questa gli stava antipatica con il suo frasario. - Oh my God, ma fottiti - , rispose alla ragazza con le trecce alla Pippi Calzelunghe, proprio così, erano queste trecce, allargate ai lati come due grandi maniglie, solo che i capelli erano neri invece che rossi, ma poi volse gli occhi all'altra ragazza e restò fulminato. Non comprese più cosa dicesse la Pippi, era perso in occhi di montagna, occhi allungati come le ali delle aquile, verdi come il fiume quando gli alberi vi si specchiano, puri, liquidi, sinceri e veri. La Pippi si presentò: - Mi chiamo Cinzia e lei è Serena, anche tu qui per l'esame? Da dove vieni tu? Noi siamo della Garbatella, ho un'ansia, mi sento soffocare, volevo fare il Liceo Artistico, vado pazza per Kokoschka, ma non c'era nella scuola serale e così ho scelto Scienze Umane per stare assieme alla mia amica, che ansia, Dio che ansia. - - Si vede che sei ‘artistica' - , rispose Francesco, a queste sconnesse parole, oltre alle trecce-maniglie, Cinzia aveva un paio di pantaloni neri a vita molto bassa con un top bianco che lasciava scoperto tutta la pancia e lo stomaco, doveva essere proprio scema per presentarsi all'esame così, sciocca era, si dava la zappa nei piedi da sola, voleva fare la scafata e poi moriva d'ansia. - Dicendole che è artistica, non sai quanto le hai fatto piacere - , così disse Serena guardandolo con quegli occhi in cui Francesco si scioglieva sino a non capire più niente, - tu cosa porti all'esame d'Italiano, no non dirmi niente, te lo leggo negli occhi che tu sei foscoliano. - - Sì, ho scelto Foscolo e tu? - - Foscolo - e Francesco capì che lei era Teresa, che era innamorata di lui come lui di lei, da prima che si conoscessero, che si erano innamorati leggendo Jacopo Ortis, i Sepolcri e sentendo quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
D'un botto l'amore Là in mezzo a centinaia di studenti che avevano abbandonato la scuola, molti perché incompresi dagli insegnanti e non per sprezzo allo studio, Francesco l'abbracciò e Serena appoggiò il capo sulla sua spalla e gli raccontò tutto. Tutto era scattato così semplicemente, Francesco aveva aperto le braccia e Serena vi si era immersa e l'aveva baciato, l'aveva guardato negli occhi e poi l'aveva baciato, pareva che avesse mirato alla sua guancia, poi aveva virato verso le sue labbra, la sua bocca si era appoggiata alla sua, si era aperta e le loro lingue si erano sfiorate, qualcosa di piumoso e dolcissimo, aveva quasi nascosto la testa nell'incavo del suo braccio, coperta dai capelli aveva iniziato a parlare come un fiume in piena. I suoi genitori che amava e detestava per il loro omologarsi alla società, sua madre che faceva il filo ai suoi amici, in competizione con lei, suo padre che pesava tutti sulla bilancia del denaro, poi l'anoressia e gli psicologi, i farmaci, la scuola dove gli insegnanti facevano il contrario di quello che insegnavano, il timore, il panico, il sentirsi sbagliata e le tante ore a destrutturare il suo corpo. Serena, ma anche Cinzia sapevano contorcere le dita all'indietro, il pollice riuscivano a piegarlo completamente e sapevano stare sul filo dello slogarsi la spalla, giravano l'omero e si fermavano un attimo prima che fuoriuscisse, a volte accadeva che esagerassero così la spalla si lussava e faceva un male tremendo. Francesco stava zitto, la teneva fra le sue braccia ascoltandola, che altro poteva fare? Cercava di espandere dentro ai suoi polmoni, aria calda, affetto, dal profondo, estrapolando il suo inconscio, il suo dentro, affinché il suo spirito si materializzasse e la teneva stretta al suo petto e Serena sembrò percepirlo, perché piano piano il respiro affannoso si quietò, smise di tremare, alzò il viso e gli diede un altro bacio, solo il contatto delle labbra, morbide, impercettibili, magiche e irreali... Francesco si sentì perso, in un altro mondo, in quel momento seppe cosa era la felicità, un qualcosa che ti scoppia dentro e si guardarono e scoppiarono a ridere, ridere e non riuscivano a smettere. Cinzia si era volatizzata, aveva capito al volo che fra i due era scattato qualcosa d'importante, e poi lei, come cognome aveva la c e si andava in ordine alfabetico, presto sarebbe stata interrogata su tutte le materie, ma aveva appreso da altri studenti che ci sarebbe stata anche Educazione Civica, con orrore corse da Serena, che era sempre preparatissima su tutto. - Non ti preoccupare Cinzia, puoi parlare della Costituzione, ricordati che è la nostra Legge Fondamentale e parla dell'Art. 3, sai quello che dice di togliere gli impedimenti affinché tutti i cittadini abbiano i loro diritti e diventino consapevoli, puntualizza su questo, coscienti e non indottrinati... - - No, la Costituzione no, non mi interessa tanto nessuno la segue... - - Bene, allora parla del cyberbullismo o della cittadinanza digitale. - - Ma tu come fai a saperlo, non ci hanno fatto studiare questo, e nel programma che ci hanno inviato, Educazione Civica come materia d'esame non c'era, non si fa così. - - Ho fatto per mio conto, leggendomi attentamente dalla prima all'ultima pagina i due testi di Scienze Umane, e lì c'è tutto. - - Amò, tu sei fuori, 550 e 615 pagine, va bene, Ok, allora parlo di bullismo. - - Cinzia, inizia tu così magari il professore ti lascia fare... buongiorno, vorrei parlare della piaga del cyberbullismo e vai così. - Francesco e Serena sempre abbracciati, la seguono con lo sguardo, mentre si avvia alle interrogazioni, ha iniziato con italiano, latino e filosofia, sembra che vada abbastanza bene. Nel piazzale della scuola vi è una serie di banchi, messi a ferro di cavallo, ogni banco un docente e una materia, gli studenti iniziano dal primo e poi proseguono, tutto attorno stanno i ragazzi che devono ancora essere chiamati, stanno tutti in gruppo vicino al primo tavolo, non Serena e Francesco che stanno dal lato opposto, volendo stare appartati. Caso vuole che il banco del professore di Educazione Civica sia vicino a dove si trovano Francesco e Serena, così ambedue si staccano dall'abbraccio per sostenere e seguire col loro sguardo Cinzia, che il quel momento li guarda e annuisce sorridente verso di loro, poi si siede e inizia a parlare.
E poi l'amicizia - Buongiorno, mi piacerebbe parlare del cyberbullismo. - - Bene, inizi pure. - - Dunque bene, è un bullismo nascosto... che... si fa il bullo senza metterci la faccia... così... i bulli sono... sui social c'è un gran casino... - E il professore la interruppe snocciolando per benino il tutto, guardando con riprovazione la sua pancia al vento, il trucco pesante e le trecce d'autore. - Signorina, mi dica cos'è la Costituzione. - - Bene, sono, sono, delle leggi... che... - - È la nostra Legge Fondamentale, mi dica come sono suddivisi i poteri. - - Non mi ricordo, non ce li hanno dati da studiare - Il professore la guardò con occhi stanchi: - Qui non c'è da studiare c'è da conoscere. - Cinzia si alzò e si vedeva che le veniva da piangere, lei non era interessata a come funzionava uno Stato, le bastava che funzionasse. Finalmente Cinzia finite tutte le interrogazioni arrivò quasi di corsa col fiatone e con gli occhi ancora un po' lucidi. - Tranne quello di educazione civica, sono andata abbastanza bene, non credo che mi bocceranno. - Francesco aprì di più le braccia e Cinzia entrò in quel cerchio d'affetto stringendosi a Serena e appoggiando la testa sull'altra spalla di Francesco e lui le strinse tutte e due; dolcemente e intensamente accarezzò le loro scapole, le clavicole e gli omeri, e Cinzia e Serena compresero quello strofinio leggero e continuo sulle loro spalle, a volte poteva bastare un tocco gentile per guarire, un gesto, uno sguardo o un sorriso per ridare fiducia nella vita. Pareva che Francesco avesse una magia per tutte e due. Tra loro tre si era creato un cerchio magico e taumaturgico. Adesso voi penserete che io vi racconti delle fantasie, ma le due ragazze, ormoni, sesto senso, scarica elettrica di neuroni, campo d'energia o altro, sentivano attrazione, fiducia, calore, comprensione emanare dal corpo di Francesco, e pensavano ambedue che magari era ora di smettere di giocare e di torturare le dita e gli omeri, ma non era nessuna magia di Francesco era perché Cinzia e Serena si affidavano a lui, si sentivano protette. Francesco, era un po' scombussolato, lui era quello coi piedi per terra e la testa sulle spalle, benché la sua ritrosia in effetti fosse solo una difesa per non ferirsi troppo con le emozioni. Aveva sempre messo un muro, ma con Serena aveva perso la bussola e con Cinzia, sebbene non gli piacesse per niente come tipo di ragazza, sentiva una certa tenerezza per la sua cafoneria che nascondeva un pulcino bagnato. Per la prima volta nella sua vita si sentì importante, desiderato e unico, capì quella sciocca superstizione degli unti dal Signore. I re merovingi con un semplice tocco della mano facevano scomparire ogni disturbo, erano perlopiù le scrofole, ma le malattie della pelle non erano spesso sintomo di disagio psicofisico, di stress e di ansia? Francesco si chiese perché fosse successo proprio a lui quella specie di evento sessantottino o meglio post sessantottino, con tutte quelle menate yogi and yoghi and bubu, di americanate e orientalate, che detestava perché andavano di moda e non erano comprese pienamente, non lo sapeva, mica era possibile spiegare tutto e soprattutto non gli interessava era su un altro pianeta, dove tutto era possibile, si sentiva pieno, non aveva fame, sete, desideri, interessi... i suoi monti, la pesca, la tranquillità, lo studio, la riflessione cosa erano? Nulla. Nulla in confronto a Serena e a Cinzia. Poi vennero le interrogazioni di Francesco, sempre per via dell'ordine alfabetico dei cognomi, l'abbraccio si sciolse. Francesco era preparatissimo, a tal punto che poi durante l'esame d'italiano, il professore disse a Francesco: - Vuole venire al mio posto? È più preparato di me. - Serena che aveva ascoltato la frase elogiativa, fece un sorriso a Francesco e si avviò alle sue interrogazioni, che lei era subito dopo Francesco, erano simili anche col cognome. - Amò, scialla, Sere è atomica. - - Non puoi parlare normalmente, proprio non ce la fai. - Cinzia gli sgranò in faccia due occhioni da bambina offesa, Francesco li vide quasi luccicare, avrebbe voluto scusarsi ma la Pippi gli girò le spalle e si mise a parlare a ruota libera con un gruppo di ragazzi, sembrava che avesse un gran successo coi maschietti, la Pippi non capiva che era la sua disponibilità, la sua pancia al vento e gli occhi bistrati che la rendevano ‘appetitosa' e ‘ facile', evidentemente aveva carenze d'affetto e cercava dove trovava apprezzamento e consenso, dopotutto Cinzia non era così sgradevole come sembrava. Francesco sentiva un'ondata di calore dentro di sé, ma imperiosamente tacitava quell'impulso-no Cinzia è l'esatto mio contrario, non potrei mai prenderla in considerazione, ma con l'amicizia vanno bene gli opposti e la Pippi mi piace, perché non è finta, lei copia quello che le sembra corretto per essere inserita in questo razzo di società e allo stesso tempo fa la contestatrice perché non vuole farne parte ma è remissiva, è indifesa, prova ad andare controcorrente, ma non ne ha la forza.- Francesco fu contento della sua analisi, a lui piaceva chiarire tutto, già a lui piaceva chiarire tutto, indagava tutto, chissà mai perché non voleva indagare su quello che gli era successo con Serena, no per quello avrebbe aspettato la notte, quando a casa, nei suoi monti, nel suo letto, avrebbe pensato e meditato su quello che provava per Serena. Diede un'occhiata a Serena, lei era di fronte al professore di Educazione Civica, pareva che qualcosa non andasse bene, ma poi Serena si alzò tranquilla... eppure Francesco sentiva che qualcosa di strano era accaduto.
Il ribaltamento
Alle 14 e un quarto, anche Serena finì le interrogazioni, finalmente, perché i banchi dei docenti erano sotto un tendone, in un grande cortile e ora che il sole aveva girato l'angolo, piombava diritto sul telone, creando un caldo effetto serra che manco si respirava. Francesco andò a braccia aperte verso Serena, ma lei immusonita si scostò quasi con disgusto, lui restò di sasso, solo un'ora prima lei aveva raccontato la sua vita in un'ora di soliloquio ininterrotto e lui l'aveva sentita vicina come mai nessuna ragazza prima d'ora, sembrava amore a prima vista ma forse era, se non un calesse, un cavallo o un'altra cosa. - Che è successo, che hai. - - Niente, non è successo niente, dov'è Cinzia? - - È andata in segreteria per sapere quando ci saranno i risultati. - Intanto Serena gli voltò sdegnosamente le spalle, si stava grattando a sangue un braccio, ma questo Francesco non lo sapeva, lei stava girata in modo che lui non potesse vedere ciò che stava facendo, poi arrivò Cinzia e se ne andarono insieme, velocemente, senza salutare. Francesco, restò lì senza capire nulla, impiantato nel terreno, anzi nel cemento, si sentiva coi piedi a mollo nel cemento liquido e melmoso, pronto da buttare e da affondare in acqua, non era successo nulla eppure pareva che a Serena fosse caduto in testa un meteorite e che quel meteorite avesse fatto esplodere nel cuore di Serena del ghiaccio, mentre quello di Francesco sembrava schiantato in frammenti. Le due ragazze se ne andarono in due sul motorino e ciao, ciao, chi s'è visto, s'è visto, tutte quelle menate, il Foscolo, gli occhioni puri, ma sì Francesco aveva sentito uno strano mescolio nello stomaco, forse erano le famose farfalle anche se a lui era parso più un imbarazzo di stomaco o un aggrovigliarsi di budella, ma poi per Serena lui era diventato trasparente, pure per la Pippi, sembrava non si fossero mai visti, né incontrati, forse i baci Francesco se li era sognati. -Azz, azz, non ho sempre pensato che la vita deve essere razionale e scientifica, che i sogni e le chimere devono stare dentro, nel tempo della coscienza, ora non so più chi sono, cosa è successo, sono arrabbiato con me stesso, con me, me la devo prendere, azz, azz, azz- Francesco mugugnava fra sé, il cellulare suonò e trillò facendolo innervosire, certo era sua madre che voleva sapere come era andata. Si era raccomandata talmente tanto sua madre di chiamarla e farle sapere qualcosa, ma ora Francesco a lei proprio non pensava, aveva una tale rabbia in corpo, con qualcosa doveva sfogare la sua rabbia, lanciò il telefono là in mezzo al traffico e si avviò verso l'autobus, sentendosi cretino due volte, ora era anche senza cellulare e aveva più idrofobia di prima, voleva prendere il treno e tornare a Genova subito, via, via dal caos. Va bene anche Genova c'aveva il suo smog, ma lui abitava fuori città, su in montagna, a Sant'Olcese e là era tutta un'altra cosa... se i genovesi erano schivi, prudenti di poche ciance, quelli che abitavano in montagna lo erano ancora di più. -Come ho fatto a farmi prendere al naso da quelle due sardelle, la Cinzia e la Serena poi con quegli occhioni... a casa, voglio andare a casa, e poi domani mattina alle cinque mi alzo e vado a pescare e al diavolo le due sètte belésse che son genovese, rido di rado, stringo i denti e parlo chiaro. Se, se, inutile che me la giri in tondo, sono rimasto male, mi ha fatto fesso quella Serena, Cinzia è una testina di trota, prevedibile, ma Serena mi ha svolvolato, via, via, via di qua- così pensava fra sé mentre saliva sull'autobus. - Francesco, Francesco. - Era Cinzia, in motorino sola, lì accanto all'autobus, si era tolta il casco e lo guardava con occhi imploranti.
Lo shock - Sali Francesco, che ti porto da Serena. - Francesco era indeciso, non sapeva che fare, non gli piaceva prendere decisioni sui due piedi, se non prendeva adesso l'autobus, poi andava a finire che perdeva il treno e restava a Roma come minimo per una notte e lui voleva solo tornare a casa, tornare alla normalità, che qua era tutto un casino e magari fosse stato solo per il traffico. - Sali sul predellino dietro, che guido io. - - Ma non sai dove andare e poi non è una cinesata muoversi nel traffico romano. - Ma Cinzia percepì dallo sguardo duro e irremovibile che gli aveva lanciato Francesco, di lasciar perdere e salì sul sellino dietro dando il casco a Francesco. - Al Cimitero degli Inglesi, poco lontano da qui, fai la rotonda, giri a destra e poi sempre dritto sino a Porta San Paolo, te ne accorgi subito è una porta-castello coi torrioni. - - Al cimitero, a fare che cosa? - - Serena, ci aspetta là, ti deve spiegare alcune cose, vedrai che il cimitero è un bel posto. - Si infilarono nel traffico e Cinzia si strinse a lui, Francesco sentì che le sue braccia e le sue mani erano pesanti, lo erano davvero o era qualcosa d'altro? -Oh questa poi, mi sto eccitando, mi fa effetto Cinzia, oh questa poi- - Gira, no, a destra, no, non di lì, là, sei proprio rinco e failato. - Francesco, non gli badò, andò avanti, dove non sapeva, ma era veramente rincoglionito, sentiva il suo coso pulsare come se fosse impazzito, manco le prime seghe da ragazzino erano state così forti, vorrebbe prendersi la Pippi, stenderla in mezzo al traffico e baciarla ovunque, mangiarla addirittura o almeno sentire il gusto della sua pelle, - che è ‘sta roba, non mi piace la Pippi è il diavolo per me, non mi piace una ragazza coi manubri alle orecchie, ignorante, vanitosa e scema, razzo ‘sto coso maledetto che s'alza e preme senza che io lo voglia- bofonchiava tra sé, fermandosi poi col motorino davanti a una chiesa. - Dove siamo finiti. - - Dove sei finito tu, ti avevo detto a destra, hai girato a sinistra, siamo tornati indietro, siamo dentro al Parco dell'Appia. Questa è la chiesa del “Domine Quo Vadis” e tu invece di Porta San Paolo hai preso quella di San Sebastiano. - - Quindi sai anche parlare oltre a saper balbettare e a slangare. - Cinzia lo guardò coi suoi occhi grandi e spalancati, marroni spruzzati di pagliette dorate come le uova di quaglia, aveva ciglia nere lunghissime, aveva il volto da agnello, di una dolcezza incredibile, lo guardava tale e quale un cucciolo di un qualsiasi animale, un gattino, un coniglio o i cuccioli di iena, questi ultimi erano per Francesco il non plus ultra, anche se dal vero non li aveva mai visti. A Francesco venne in mente una leggenda del suo paese. A Sant'Olcese, c'era un grande orso che aggrediva le pecore, le mucche e gli animali domestici e gli abitanti erano terrorizzati, pensavano che prima o poi si sarebbe mangiato pure un bambino. Un giorno Olcese un vescovo francese vissuto nel 400 che divenne Santo e che diede il nome al paese, col carro pieno di pietre per costruire la chiesa, si trovò di fronte l'orso che azzannò uno dei due buoi che tiravano il carro e poi si avventò sul Santo, ma Olcese guardò negli occhi l'orso e l'animale si accucciò, scodinzolando come un cane, lasciandosi accarezzare e poi mettendosi da solo al posto del bue che aveva ucciso. Francesco davanti agli occhi della Pippi, si sentiva come l'orso della leggenda, prima feroce e ingordo di desiderio e ora -ora, cosa, un barboncino, non mi piacciono le ragazze come Cinzia, sono scioccato, sono abituato a cose normali io, prima il colpo di fulmine per Serena, che poi mi volta le spalle e se ne va, poi un'erezione pazzesca, insopportabile, da non capirci niente e ora vorrei abbracciare la Pippi, ma mi fa paura, ho paura di toccarla, già è troppo intenso il guardarla, ora che ci penso non mi avranno messo qualcosa nell'acqua della bottiglietta? Questo non sono io, non sono io- Francesco era scioccato pensava che era impossibile questo suo smoderato desiderio per la Pippi, non era mezzo perso per Serena? I minuti passavano e la Pippi era ancora davanti a lui muta con gli occhi fissi nei suoi e fu allora che gli uscirono dalla bocca quelle parole... A thing of beauty is a joy forever. - Che Cosa hai detto? Non ho capito? Ripetilo per favore in italiano, lentamente, ripetilo lentamente. - - Cinzia il tuo frasario, sta diventando forbito, ho detto che questa cosa di essermi fermato col motorino davanti alla chiesa del Quo Vadis è un qualcosa di molto bello, una vera gioia... Signore, dove vai? /A Roma, per essere crocifisso una seconda volta. Dove vado con vuoi due? - - Guido io, andiamo che Serena ci aspetta. - Francesco salì sul sellino dietro, senza una parola. Molto meglio così, non voleva le sue mani sulla sua pancia, non voleva riprovare l'effetto di prima... stava mentendo a sé stesso.
Serena Serena esteticamente era l'esatto opposto di Cinzia, era assai carina ma non era appariscente, un viso ovale e delicato, il corpo sottile ed esile, ma passava inosservata, nonostante i grandi occhi verdeazzurri. I capelli castano chiaro erano splendidi ma li portava sempre legati a coda di cavallo, le ciglia e le sopracciglia erano biondastre, la facevano sembrare un po' slavata. Serena sapeva bene che le sarebbe bastato darsi un po' di rimmel scuro per diventare più attraente, ma lei non voleva nessuno che le facesse la bava dietro, in casa era sufficiente sua madre con il suo stuolo di ammiratori, era sua madre la vamp, lei era del genere elfo. Era un anno ormai che non si curava di sé stessa e vestiva con jeans e magliette o felpe extralarge con ai piedi scarpe da ginnastica comprate dai cinesi, un po' lo faceva per far rabbia a sua madre, che sembrava una bambola gonfiabile, ma il vero motivo era un altro. Era per via del fattaccio. Il Cimitero degli Inglesi era il rifugio preferito delle due ragazze, era pieno di gatti e Serena aveva i suoi mici preferiti, bastava mettersi in un angolo, vicino alla tomba del gatto Romeo e i gatti arrivavano e strusciavano sulle sue gambe, ronfavano, erano morbidi e lei riusciva a non pensare a rilassarsi molto di più che con le sedute da quell'odiosa so tutto della psicologa, che blaterava cicicicò, cicicicò con suo padre. Quale cicicicò, cicicicò riportasse la dottoressa al padre non si sapeva, in quanto Serena del fattaccio non le aveva detto nulla. Serena prima di ogni seduta si preparava cosa dire, a volte si inventava un misto delle storie che trovava, cercando su Internet e sui social nei gruppi denominati... manicomio, depressione, anedonia, bipolarismo e altro. Solo Cinzia sapeva del fattaccio. Cinzia era la sola vera amica, si conoscevano da qualche anno, avevano frequentato lo stesso liceo e assieme lo avevano lasciato, per solidarietà l'una con l'altra. Cinzia si mostrava con la sua maschera preferita, quella di artista stravagante, un po' bohémienne, un po' naif, che le permetteva di essere eccentrica senza essere additata come un'emarginata. Sbandierava Kokoschka e Schiele e i poeti maledetti, con gli insegnanti non andava d'accordo, amava scandalizzarli, d'altronde non amava neanche studiare perché divorava tutto come un'affamata, non leggeva mai due volte lo stesso testo, tranne le poesie, che altrimenti si annoiava, il suo difetto più grande era la curiosità, tutto ciò che la colpiva, veniva da lei indagato con passione. Era tenera come un pulcino e nascondeva questo con la maschera di quella che aveva già provato tutte le esperienze, baciava tutti i ragazzi che le piacevano, e questi dicevano in giro che se l'erano bombata, non era vero niente, ma le piaceva avere questa fama e quando le offrivano gli orsetti gommosi alla marijuana se ne ficcava in bocca tre o quattro, ma li sputava di nascosto. Il suo sogno era trovare un ragazzo che sapesse andare oltre alle apparenze, che l'amasse anche se era tanto, tanto, perduta, femme fatale e mangiauomini. Cinzia era fisicamente l'opposto di Serena, ma le due ragazze si comprendevano a meraviglia, l'una si fidava solo dell'altra e viceversa, se per vendicarsi della vita, non avevano combinato niente di veramente brutto, era perché trovavano forza l'una nell'altra, si intuivano fra loro con uno sguardo. Serena aspettava con ansia, i gatti se n'erano andati e Cinzia non arrivava, ormai si era mangiata tutte le pellicine delle dita, aveva un braccio avvolto nella carta che Cinzia aveva preso dal bagno di un bar, per coprire i graffi che si era procurata, la carta era macchiata di sangue e Serena avrebbe voluto mangiarsela, ma aveva promesso a Cinzia, che sarebbe stata calma, senza combinare qualcosa di strano, che lei avrebbe portato Francesco e tutto si sarebbe sciolto... che era destino. Da quando era successo il fattaccio, Serena si sentiva meno di un niente, poi improvvisamente aveva visto Francesco e le era sembrato di rivivere il suo splendido amore perduto, aveva fatto un transfert, la ripetizione di ciò che le mancava più dell'aria e che aveva distrutto per la sua pochezza, la sua banalità, la sua piattezza di cuore, di intelligenza, di sentimento. Aveva creduto di essersi innamorata all'istante di Francesco, invece davanti al professore di Educazione Civica, aveva capito tutto. Aveva capito tutto tramite il naso del professore.
Il naso freudiano Si era seduta davanti al professore, contenta delle altre interrogazioni che erano andate molto bene, il professore di Civica, era l'ultimo, Serena si sentiva leggera e sorridente dentro, si sentiva innamorata, aveva alzato gli occhi, stava per dire buongiorno, poi aveva visto il suo naso, grosso, lungo, un naso enorme, grosso e lungo. All'improvviso il fattaccio le apparve come se fosse appena accaduto, vedeva il professore che muoveva la bocca, ma non sentiva nulla, voleva rispondere, dire qualcosa, ma non usciva niente, era terribile, la voce era strozzata dalla gola, vedeva gli occhi interrogativi del docente, non seppe se passarono ore o minuti, il terrore sembrava non finire mai, poi riuscì a dire che doveva andare in bagno, scappò quasi rovesciando la sedia e poi infine riuscì ad andarsene insieme a Cinzia. Cinzia aveva capito al volo che era successo qualcosa di grave, aveva visto il sangue gocciolare dal braccio, si era fermata nel bagno di un bar e ne era venuta fuori col rotolo di carta asciugatutto. - Ma hai rubato il rotolo della carta. - - Dammi il braccio, te lo avvolgo, così smetti di graffiarlo. - - Cosa ti è successo, mi sembravi tutta presa da Francesco, non posso credere che tu non sia andata bene nelle interrogazioni, sei talmente secchiona che fai paura. - - Aspetta, togliamoci da qui. - Cinzia riprese il motorino e si avviò verso il Cimitero Inglese che era assai vicino al Parco dell'Appia Antica ed era il loro rifugio segreto. - È stato il naso, all'improvviso ho notato il naso del professore, grande e grosso, ho pensato che più è grande il naso, più grande è il “coso”. - - Quale coso intendi? Quello tra le gambe? E allora? - - Ma non capisci? Accadrà la stessa cosa con Francesco, deluderò anche lui. Anche Francesco è un intellettuale, un razionale, un non macho, non hai visto che ha il naso alla francese, piccolo, quasi da donna? - - No Serena basta, hai fatto una sciocchezza un anno fa, perdonati, guarda adesso vado a ripescare Francesco e lo racconti a lui, vedrai che ti dirà che ciò che hai fatto è stata solo una sciocchezza, che le maligne sono state le compagne di scuola, che ti hanno fatto un tranello perché invidiose di te. - Cinzia era partita a razzo e Serena intanto che aspettava ripensava ai due mesi da sogno, prima del fattaccio. I loro sguardi si erano incrociati mentre al semaforo Serena attraversava le strisce pedonali, se lo era ritrovato davanti poche centinaia di metri più in là mentre saliva sull'autobus e quando era scesa alla sua fermata lui era lì, si erano guardati e poi erano scoppiati a ridere. Era cominciata così, Marco aveva qualche anno in più di lei, lavorava e allo stesso tempo frequentava l'Accademia Internazionale di Teatro, era alto, aitante, moro e riccioluto con gli occhi verdi e le spalle da nuotatore, e quando strizzava gli occhi e sorrideva era qualcosa di talmente bello da mozzare il fiato. Questa apparenza strepitosa nascondeva una specie di repulsione per le ragazze che considerava sciocche, non sopportava quelle che gli facevano le avance, lo facevano sentire un oggetto, mentre Serena era per lui la ragazza da amare e da proteggere, senza grilli nella testa, amante del silenzio, dei libri, dello studio e soprattutto la scelta era stata reciproca, naturale come l'acqua, il fuoco, l'aria o un fiore. Marco il suo nome, la vita non era stata tenera con lui, aveva abbandonato gli studi perché in casa mancavano sempre i soldi, entrambi i genitori lavoravano, ma i soldi del padre finivano in alcol e gioco; quelli della madre nei gratta e vinci, così aveva lasciato la scuola e si era messo a fare il cameriere, poi aveva ripreso gli studi, preso il diploma e poi l'Accademia, continuando a fare il cameriere, perché trovava questo mestiere assai interessante come indagine sociologica e caratteriale. Guadagnava molto soprattutto con le mance, che arrivavano generose, in quanto oltre a essere un figo pazzesco, era sempre sorridente e sapeva strizzare l'occhio in modo ammiccante e irresistibile, in più recitava agli inglesi versi dalle poesie di Keats o di Wordsworth, mentre a tutti gli altri declamava in italiano il Foscolo e le terzine di Dante e a volte i monologhi o i versi creati da lui. - Teresa, mia Teresa, vispa Teresa, vespa, Vesta Teresa baciami, portami in paradiso, succhiami il collo che io te lo mordo e saremo vampiri persempreepersempre... tatattà... bum bum... friulì, friolà... - - Non chiamarmi Teresa che porta male, lui si suicida e lei sarà per sempre triste. - - Teresita mia bella, per questo il nostro amore sarà uno splendore, hanno già sofferto loro per noi. - E ridevano, ridevano tanto facendosi il solletico, quanto ridevano, finché i sensi non si risvegliavano e allora iniziavano i baci e non ridevano più, diventavano molto seri, molto, molto impegnati... Così scherzavano e facevano le fusa, quando Serena e Marco facevano all'amore nel piccolo appartamento che lui divideva con un amico. Marco chiamava Serena col nome di Teresa la ragazza di cui Jacopo Ortis, il personaggio letterario foscoliano, era innamorato profondamente, purtroppo il loro amore finì male. Per entrambi era il primo amore e la prima esperienza, sebbene Marco avesse ventidue anni, non l'aveva mai fatto prima e anche per Serena era la prima volta anche se lei era nella norma non essendo ancora diciottenne. E poi venne il fattaccio.
Il sogno segreto... bellissima e non intelligentissima Spesso Marco la veniva a prendere all'uscita del Liceo Classico che frequentava, studentessa modello della IV C, le più ganze avevano tentato di soffiarglielo via, consideravano di conquistarlo facilmente con la loro bellezza, ma non avevano capito nulla, Marco non era quello che sembrava, il suo aspetto era fuorviante. Serena non era gelosa (mentiva) perché lo conosceva bene, sapeva che l'amava perché lei era un po' retrò, una antica bellezza acqua e sapone (lo detestava per questo perché lei voleva essere strabellissima per lui, la più bella del mondo). Prendila te quella col cervello/Che s'innamori di te quella che fa carriera/Quella col pisello e la bandiera nera/La cantatrice calva e la barricadera/Che non c'è mai la sera... Sebbene la distanza d'età fra Vecchioni e Marco avesse un'ampia forbice, Marco sulle donne aveva gli stessi gusti del famoso cantante milanese. Serena non se la prendeva neanche per quel... Prendila te quella col cervello, sapeva bene che Marco l'amava soprattutto per la sua intelligenza così diversa da quella maschile, (mentiva perché Serena voleva essere amata per la bellezza e non l'intelligenza) Marco le diceva che l'amava perché si incastrava geometricamente con lui come l'anatra. - Io e te ci incastriamo geometricamente come la papera col papero. I maschi delle anatre sono dotati di ‘pene' allungabile e retrattile. Lo tengono nascosto all'interno del loro corpo, per poi all'occorrenza allungarlo sino a quaranta, dico 40 centimetri e tac cercano di infilare il biscotto. - - Con maschi del genere le femmine devono stare attente anche solo ad avvicinarsi. Non ti avvicinare, anatrone non ti allungare troppo, che lo hai appena tolto il biscotto... Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! - Ridevano, quanto ridevano, Serena ancora non sapeva che avrebbe pagato a caro prezzo quelle risate. - Ah! Ah! Ah! Eh! Eh! Eh! Eh no, Serena voi donne siete sempre fantasiose, le anatre femmine hanno un sistema antimaschio. Se i ‘peni' delle anatre maschio sono costruiti come dei cavatappi che ruotano in senso antiorario, la ‘vagina' delle anatre è a spirale e ruota in senso orario, quindi geometricamente incompatibili. - - Ah! Ah! Ah! Allora non sono un'anatra perché... - - Sei un'anatra perché quando la papera femmina è consenziente, la ‘vagina' assume una posizione ricettiva, divenendo geometricamente compatibile al maschio. - Allora si mettevano a fare la lotta a gareggiare a chi faceva di più il solletico, a volte cadevano dal letto, ma sempre rifacevano all'amore. Queste battute spiritose sui paperi che si scambiarono poi spesso quando amoreggiavano sul letto singolo della camera da letto di Marco, risultarono ambiguamente profetiche. Al liceo, ma in ogni ambiente che si frequentava, era meglio adeguarsi, tenere una maschera come difesa, altrimenti diventavano bocconi amari. Tra le ragazze forse copiando il mondo maschile, spesso si parlava delle avventure amorose come delle medaglie o delle tacche di valore sul petto, si criticavano o si esaltavano gli attributi maschili, soprattutto si chiacchierava sulle dimensioni del loro gioiello e si scambiavano i particolari sulle loro performance e le défaillance avevano una particolare attenzione. Serena e Cinzia qualche volta partecipavano a questi incontri, loro due stavano nella via di mezzo, non erano fra le ganze, ma non erano neanche fra le ultime, quelle considerate invisibili quindi neanche da guardare, non erano clannate nel gruppo più esclusivo perché Serena era troppo una brava ragazza e Cinzia era una tipa da liceo artistico. - Eddài, Serena racconta cosa ti fa Marco. - - Eddài Serena, come bomba Marco? - - Eddài Serena, come ce l'ha Marco? Piccolino? Grossettino? - - Eddài facci vedere il coso di Marco. Basta una foto, noi ci mettiamo la faccia e li facciamo vedere i pesci che imbocchiamo hi, hi, hi. - Questo era il genere di battute che le ganze lanciavano a Serena, intelligentemente lei stava zitta, non fiatava, le ganze non si divertivano così la smettevano quasi subito. Questo faceva infuriare Cinzia, che invece usava il metodo opposto, inventava e ingrandiva le sue esperienze amorose. - Dobbiamo avere la forza di smettere di stare con loro. - - Amo', la colpa è tua, se tu fossi meno secchiona e soprattutto non avessi quel gran figo di Marco... ma perché non gli fai vedere una foto di un qualsiasi coso maschile... - - Cinzia, sono invidiose, mi fanno pena, non riescono a digerire che Marco manco le saluta, che non le vede proprio, sono io che non mi capisco, e pure tu, cosa ci andiamo a fare nel loro gruppetto, anche te ti umiliano, perché elemosiniamo la loro attenzione? - - Amo', non iniziare con la secchionaggine... si fa quel che si vuol fare e stop, io mi diverto a raccontare e loro se le bevono tutte... Ah! Ah! Ah! - Serena mentiva a Cinzia, ma soprattutto mentiva a sé stessa, lei correva dalle ganze perché era gelosissima e pensava che Marco mentisse perché era impossibile che prima o poi lui non la mollasse per l'una o per l'altra ganza... erano talmente belle, eleganti, sicure, altere, alte e con lo sguardo ancora più alto.
Il fattaccio
Poi le ganze-compagne di scuola iniziarono a insinuare che il David di Michelangelo ce l'aveva piccolo, perché un pene piccolo era associato alla moderazione, all'essere filosofi, all'usare la ragione, mentre un pene grosso simboleggiava la virilità e il saperci fare a letto con le donne e che Marco ce l'aveva piccolo di sicuro, visto che Serena non voleva farlo vedere e visto che aveva il nasino alla francese aveva di sicuro un cosino piccino, piccino... Ah! Ah! Ah! Proseguivano poi dicendo che per Serena andava bene in quanto lei era una casalinga non certo un tipo wow o amazing, nessuno avrebbe mai detto con lei ... sono senza parole! (Quest'ultima parte del discorso Serena lo detestava con tutte le sue forze) Eddài, eddài, eddài, Serena cercò su Internet, trovò un sacco di foto dei cosi e si convinse che Marco ce l'aveva davvero piccolo, trovò pure che il naso grosso significava una maggiore grandezza del pene, quindi matematicamente Marco l'aveva piccolo visto che aveva il nasino alla francese. Alla fine, questa cosa che non aveva nessuna importanza, alla quale non aveva mai pensato, diventò assillante, non sopportava più Marco, le dava fastidio anche il suo tocco e all'ultimo il fattaccio. Aveva il coso piccolo, aveva il coso piccolo... Serena si sentiva la più squallida delle ragazze, ma era come se lo volesse essere sordida e turpe, più si vergognava e più il tarlo era insistente... Aveva il coso piccolo, aveva il coso piccolo. Finché decise di rompere il tabù, dopo innumerevoli scuse durate all'incirca due settimane, era andata a casa sua, avevano scherzato, poi lui si era avvicinato con gli occhi pieni di desiderio, Serena aveva cominciato a tremare, le lenzuola attorno al corpo, avvolta come un sudario, tremava di paura, con gli occhi atterriti. Marco se ne avvide subito, Serena era come un blocco di pietra, Marco capì che era inavvicinabile, che era la sua presenza che la bloccava, che Serena aveva paura di lui... l'accompagnò a casa in silenzio, Serena fu tanto grata di questo, in quel momento lo amava immensamente, ancora una volta lui la capiva più di quanto lei comprendesse ciò che era il suo dentro. Fu quel giorno che l'amicizia con Cinzia divenne vera e sincera. Dopo che Marco l'aveva accompagnata a casa, Serena si era buttata sul letto, senza neanche la forza di piangere né di pensare, né di riflettere sull'accaduto. Era domenica e i suoi genitori non erano in casa, ma tanto con loro non poteva certo chiedere aiuto con ‘sta cosa, forse con la nonna, no, non poteva dirlo a nessuno, proprio a nessuno, per rispetto a Marco non poteva dirlo a nessuno. - Aiutami, ti prego aiutami, lo so che credo solo quando ho bisogno, ma ti prego aiutami, aiutami... - Questo era la sola cosa che riusciva a fare Serena, un'invocazione al divino, continua, intima e con tutta la sua mente... e suonò il campanello e Serena si alzò dal letto e alzò il citofono. - Amo', sono Cinzia, ho incontrato per caso Marco, mi ha detto che mi cercavi... -
Una cosa bella è una gioia per sempre.
Serena raccontò tutto a Cinzia e lei con la sua fantasia risolse magnificamente il fattaccio. Nessuno doveva sapere la storia del pene piccolo, per Marco, ma soprattutto per Serena che sebbene fosse cosciente che doveva troncare all'istante con Marco, per via che volente o nolente provava repulsione per lui, non voleva lasciarlo per quel motivo del coso piccolo, che l'avviliva, la faceva sentire squallidissima e invece voleva essere ricordata come... A thing of joy is a beauty forever. A thing of beauty is a joy forever: Its loveliness increases; it will never Pass into nothingness; but still will keep A bower quiet for us, and a sleep
Full of sweet dreams, and health, and quiet breathing. Therefore, on every morrow, are we wreathing A flowery band to bind us to the earth, Spite of despondence, of the inhuman dearth Of noble natures, of the gloomy days... Le due ragazze amavano ambedue i versi di John Keats, era per il poeta inglese che avevano iniziato a frequentare il Cimitero Inglese, perché era il luogo dove lui era sepolto, morto a soli venticinque anni, a Roma... dove se non a Roma, toponimo che letto al contrario diventa Amor? In un giro tortuoso erano arrivate a eleggere come loro motto personale “A thing of beauty is a joy for ever”, tramite Foscolo, che era il loro tipo ideale di uomo. Come erano arrivate dal Foscolo a Keats? Per mezzo di Thomas Chatterton, che per entrambe era l'eroe romantico per eccellenza, visto che la sua vita aveva ispirato sia Goethe che il basettone, ceruleo e amato Foscolo. (Mi sembra superfluo, precisare che le due ragazze erano assai romantiche ma mi piace sottolinearlo) Chatterton, fu un poeta inglese precursore e simbolo del Romanticismo morì suicida all'età di 17 anni. Serena e Cinzia sognavano come anima gemella un ragazzo con l'animo ruggente e che fosse talmente innamorato da rinunciare al suicidio, come invece fecero Chatterton, Ortis o Werther, se le cose fossero andate male, lui doveva continuare a vivere felice nel ricordo, nella bellezza che Serena e Cinzia avevano donato... le ragazze chiedevano poco, volevano solo essere indimenticabili. Cinzia in questo caso era la più passionale perché Chatterton era morto il 24 agosto del 1770, lo stesso giorno in cui era nata lei, tra l'altro era anche la data della terribile eruzione di Pompei... Cinzia pensava di essere come l'inferno o il paradiso, mai come il purgatorio o la via di mezzo. Alla morte di Chatterton si aggiungeva un particolare misterioso, tre giorni prima del suicidio, passeggiando in un cimitero insieme a un amico cadde dentro a una tomba aperta da cui naturalmente emerse subito, l'amico rise e scherzando gli disse che aveva visto la resurrezione di un genio. - Mio caro amico, da un po' di tempo sono in lotta con la tomba, - così rispose il giovane poeta all'amico. Keats dedicò il suo capolavoro “Endimione” a Chatterton e il poema inizia con le famose parole... A thing of beauty is a joy for ever. Serena e Cinzia avevano anche tradotto insieme e assai liberamente parte dell'Endimione. La bellezza è una gioia eterna: la sua grazia si espande; e mai e poi mai sarà niente; sempre e per sempre sarà per noi dolce rifugio, nel sereno sonno soffuso
di soavi sogni che rendono forti e incoronano di fiori ogni nostro domani, seppur i giorni terreni sian mortali, nei tempi cupi e desolati, la beltà vissuta resta Cinzia aveva compreso pienamente il sentire di Serena, e i versi di Keats avevano rianimato un poco Serena, che ora aveva uno scopo, quello di lasciare di lei un bel ricordo. Mancava la soluzione finale, il falso motivo che giustificasse la rottura lasciando a Marco un bel ricordo.
Lei si sarebbe presa Marco
Cinzia aveva anche la soluzione finale, cioè il motivo della rottura, Serena si era innamorata di un altro, ma questo non andava bene a Serena, non voleva un altro ragazzo neanche per finta, e poi Marco avrebbe sofferto, no Serena pensava di farsi suora, di iniziare un cammino spirituale, qui non era d'accordo Cinzia. - Amo', alla tua età, capirei se tu avessi la vocazione, avrai tempo di fare la monaca a sessant'anni, da vecchia. - Così dopo varie elucubrazioni, arzigogoli e fantasticherie insieme decisero che Serena avrebbe fatto outing, avrebbe detto di aver scoperto di essere una lesbica e Cinzia si sarebbe prestata per la messa in scena. Il complotto machiavellico andò in porto, con sorprendente velocità, nel giro di una settimana non solo era finita la storia fra Serena e Marco, ma il big bang dell'outing determinò l'abbandono della scuola da parte sia di Serena e di Cinzia, poi venne il lockdown che apparentemente fece dimenticare il tutto. Serena e Cinzia, non tornarono al Liceo, ma frequentarono una scuola privata, cambiarono compagnia, e tutto ritornò come prima, Serena dedita allo studio, Cinzia artistica ed eccentrica, ma entrambe avevano iniziato ad avere problemi alimentari e a destrutturarsi il corpo, se provavano insoddisfazione o un certo non so che dentro di loro se la prendevano col loro corpo. Le loro famiglie avevano dato la colpa del loro malessere al periodo strano, aleatorio e alieno del lockdown. Poi arrivò giugno, il covid smise di covidare e venne il giorno degli esami di ammissione, il giorno in cui Cinzia e Serena si incocciarono con Francesco. L'attrazione fulminea con Francesco, il senso di liberazione, poi il naso del professore avevano scatenato il tornado, Serena amava ancora Marco, non era stato lo sciocco affare delle misure di un pene, ma perché si riteneva brutta per Marco e la paura o meglio l'angoscia di perderlo aveva fatto sì che lei lo avesse mollato, prima che lo facesse lui. Aveva fatto come coi denti da latte, quando uno di questi iniziava appena appena a scuotere e sua madre si raccomandava di non toccarlo, lei immancabilmente dopo poche ore le mostrava il dente sulla mano. Serena e Cinzia erano fuggite da Francesco, ma poi si erano guardate negli occhi, e vi avevano scorto lo stesso pensiero. - Non è stato un caso incontrare Francesco, Serena, mi sento in colpa perché ti ho sostenuto in una pazzia. - - No è tutta colpa mia, tu Cinzia sei quella delle pazzie, quella che nasconde perché vuoi essere ritrovata, sono io quella che è per l'aprirsi e la sincerità, quella dell'acqua trasparente. - - Va bene tu hai copiato quello che faccio io, Marco c'è cascato perché in effetti hai fatto il contrario del tuo solito, ciò non toglie che devi contattare Marco e dirgli la verità, l'aver incontrato Francesco e tutto l'ambarabam conseguente è un segnale. - - Dopo un anno? - - Ma piantala, che sai tutto quello che fa e sai che non ha nessuna ragazza fissa. - - Quindi anche tu pensi quello che penso io? - Serena guardò Cinzia con occhi speranzosi. - Che andiamo a riprendere Francesco, gli raccontiamo tutto e sentiamo cosa ne pensa del fattaccio? - - Ok, Cinzia, vai corri, che forse lo abbiamo già perso. - Cinzia con la motoretta arrivò nel momento in cui Francesco stava salendo sull'autobus. Sentì morsi, aghi, frullii, nello stomaco, pensava che se Serena tornava con Marco lei si sarebbe presa Francesco.
Francesco, Serena e Cinzia
Serena si alzò in piedi, si era seduta sull'erba all'ombra della lapide di Keats, al Cimitero non c'era nessuno, neanche un turista, anche i gatti si erano rintanati in qualche luogo fresco, poi sentì il rombo della motoretta di Cinzia, ascoltava sempre attentamente i rumori, era certa che fosse Cinzia, così quasi di corsa si diresse all'entrata, perdeva pezzi di carta dal braccio, poi li avrebbe raccolti ora voleva vedere se c'era anche Francesco, se Cinzia era riuscita ad acciuffarlo... c'era anche Francesco. Raccolse la carta insanguinata e si avviò verso loro, che l'aspettavano all'entrata, all'ombra del grande glicine, dietro la Piramide Cestia. Serena raccontò tutto dall'inizio non omettendo nulla, Cinzia stava taciturna, aveva deciso di moderare il suo linguaggio, di slangare di meno, Francesco ascoltava attentamente. - Cosa volete, che mi tiri giù i jeans, dentro a un cimitero, perché ve lo mostri? Avete un metro per misurarlo? - Scoppiarono a ridere tutti e tre, il ghiaccio era rotto, sciolto, le parole scorrevano calde e benefiche come l'acqua. - Da una parte mi sento tranquillizzato, tu Serena mi hai squinternato, mi sei venuta incontro mi hai baciato sulla bocca e io non ho capito più niente. Un colpo di fulmine, non solo per il gesto intimo che non mi aspettavo, ma i tuoi occhi luccicavano, erano innamorati, era come se dai tuoi occhi un fluido d'amore e passione mi travolgesse, sono stato preso... - - Amor ch'a nullo amato amar perdona... - - Che fai Pippi, hai lasciato l'arte da parte per la poesia? - - Perché mi chiami Pippi? - - Per le tue trecce alla Pippi calzelunghe, dunque dicevo, che sono stato preso, e sì per una volta la Pippi ha ragione sono stato preso dall'amore che vedevo nei tuoi occhi Serena e non mi capacitavo, come potevano brillare d'amore per me? Ora tutto si spiega. - - Cosa devo fare? Cinzia mi ha consigliato di confessare tutto a Marco, dopo un anno, tu cosa mi consigli? Cinzia dice che se ho fatto il transfert con te, vuol dire che in te c'è qualcosa di lui. - - Il naso e il pene piccolo? No, dai scherzo. Secondo me, visto che il sesso con lui era da favola, hai preso quel pretesto per sminuirlo ai tuoi occhi e per lasciarlo, perché dentro di te avevi l'angoscia che ti lasciasse, lo hai messo su un piedistallo e in più ce l'avevi con lui perché ti impediva di salirvi accanto a lui. Lui non ti diceva bellissima che è quello a cui tengono maggiormente di apparire le ragazze al loro lui e così tu lo hai abbassato dove più duole ai maschi. D'altronde se ho ben capito è quello a cui sei arrivata anche tu. - - Ma tu cosa consigli, glielo deve dire del coso piccolo? - - No, non all'inizio, dopo, se le cose fra di voi ripartono, glielo dirai, ora digli solo la conclusione, non l'inizio, che sai, Serena noi maschietti su questa cosa del piccoletto siamo un po' suscettibili, mettiti nei nostri piedi, se le donne vogliono essere bellissime, gli uomini vogliono essere i preferiti a letto. - - Ok, gli telefono ora o lo faccio subito o mai più... - - Prima prestami il cellulare, che telefono a mia madre prima che le venga un coccolone. - - Tieni, ma tu non hai il telefono? - - L'ho gettato in mezzo alla strada, non so perché l'ho fatto, suonava, suonava e l'ho lanciato, certo che il tuo Marco con te e la Pippi non è messo tanto bene. - - Non essere scortese con Cinzia, lei non è come sembra, non te lo direbbe mai, ma ama anche lei il Foscolo, Dante e la poesia e il Cimitero degli Inglesi e Keats, a thing of beauty is a joy for ever è il nostro motto, sia io che Cinzia vogliamo essere una gioia per sempre, io desidero tanto esserlo per Marco, Cinzia potrebbe esserlo per te... - Francesco non rispose, prese il telefono, chiamò la madre, ma era di nuovo scioccato, lui di fronte a Cinzia perso nei suoi occhi, si era imbambinito e gli era venuto fuori il verso di Keats e la Pippi aveva fatto finta di non capire -oddio, via di qua, via da Roma che qua divento scemo- - Pronto, sì ciao mamma, non ho telefonato, perché ho perso il cellulare o rubato non so, arrivo col treno di mezzanotte, che gli esami sono andati alla lunga, sì sto andando in stazione ora, parto col treno delle 18:30, ciao. - - Ma dove è finita la Pippi, se mi accompagna in motorino forse riesco a prendere il treno... - - Non me n'ero neanche accorta che Cinzia fosse andata via, tranquillo che è qui attorno, adesso le faccio un trillo col cellulare. - Intanto che aspettavano Cinzia che era andata in bagno si scambiarono indirizzi e numeri telefonici. Serena avrebbe tenuto aggiornato Francesco sugli sviluppi della situazione. Se tutto fosse andato bene forse potevano progettare anche una vacanza a quattro a Sant'Olcese, alle Cinque Terre e al Principato di Seborga. -Oddio, oddio- Per il povero Francesco le sorprese non erano finite, era sopraggiunta la Pippi, si era disfatta le trecce, i capelli erano lisci e lunghi, con la riga in mezzo e una leggera frangia che evidenziava due grandi occhi dorati e fanciulleschi, senza più trucco ora era molto chic e parigina, ma nessuno fiatò, né Francesco, né Serena e neppure la stessa Cinzia, come se niente fosse cambiato. Francesco salì dietro al motorino e in poco tempo furono alla Stazione Termini. Cinzia lo accompagnò al binario, il treno era già arrivato, Francesco vi salì, incapace di dire una parola o altro, si salutarono con uno sguardo poi le porte si chiusero e il treno ben presto svanì.
Paola Tassinari
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