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Autore: Iris de Santis
Il gabbiano che scoprì il mare
Fiaba
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Il gabbiano che scoprì il mare

In mezzo ad un gruppo di piccioni viveva un gabbiano di nome Hunter. Lui era nato e cresciuto in quello stormo ed era ignaro dell'esistenza di altri luoghi. Conosceva solo la piazza dove tutti i giorni lui e gli altri piccioni andavano a mangiare gli avanzi di cibo scartati o le briciole dei panini lasciati apposta dagli umani.
Oltre alla fontana, intorno alla piazza c'erano le case degli uomini dove la maggior parte dei piccioni aveva nidificato, qualche negozio e un simpatico uomo con un carrello di fiori che tutti i giorni lanciava un pezzo di pane secco ai piccioni.
Hunter esteticamente era differente da un normale piccione. Il corpo era rotondo, più grande e forte rispetto a quello di un normale piccione, le piume bianche partivano dalla testa e si stendevano lungo il collo e sotto la pancia mentre le ali erano grigie come le nuvole prima di un temporale, un becco forte e le zampe palmate, diverse da quelle piccole e sottili dei suoi compagni.
Hunter era consapevole di essere diverso. Al centro della piazza c'era una fontana dove gli umani lanciavano dei piccoli dischetti dorati e gli uccelli ne approfittavano per bere e bagnarsi le piume in estate. Hunter in particolare aveva l'abitudine di immergersi e riuscire con le piume bagnate, volando verso il sole che come piccoli cristalli faceva brillare le gocce d'acqua sul piumaggio.
Ogni volta si chiedeva perché fosse diverso e come mai gli altri uccelli cercavano di evitare un confronto con tale argomento. In realtà avevano paura di quello che non conoscevano.
Hunter era stato allevato da una vecchia coppia di piccioni. Per un periodo non tennero conto delle perfide insidie dei membri dello stormo ma con il passare del tempo per paura di essere ripudiati loro stessi lasciarono il gabbiano al suo destino.
Hunter aveva da poco compiuto un anno, era sano e sapeva volare. Insomma, possedeva tutte le caratteristiche che doveva avere un volatile per sopravvivere nel mondo.
Eppure non aveva ancora superato la sua più grande sfida: vivere nella piazza senza causare problemi al resto dello stormo.
Hunter era goffo e invadente rispetto ai piccioni. Quando si alzava in volto accidentalmente sbatteva le ali contro gli altri picconi, aveva una voce acuta quando chiamava qualcuno lontano e se andava a trovare un volatile su un albero o un balcone finiva di distruggere il nido costruito con tanto amore perché era troppo grande e lo schiacciava con il suo corpo.
Lo stormo non riusciva a sopportare la presenza di Hunter e tutti i giorni, andavano a lamentarsi dal Capo Stormo, un vecchio piccione dalle piume nere.
“Hunter è insopportabile” borbottò un piccone con le chiazze bianche sulle ali e dopo di lui, si lamentò tutto il resto.
“Dovrebbe rispettare il pasto degli altri! Lui è quello che mangia più di tutti!” esclamò un pennuto gonfiando nervosamente le piume.
“Ed è anche un pessimo esempio per i più piccoli” lamentò una madre che in quel periodo stava covando le sue prime uova “Guardate com'è diverso? Cosa potremmo mai insegnare ai nostri pulcini?”.
Hunter sapeva di non essere accettato dallo stormo nonostante ci provasse con tutte le sue forze ad integrarsi ed essere come loro. Un bravo piccione doveva pensare soltanto a due cose: Procurarsi il cibo e costruire un nido per le uova ma Hunter non ci riusciva.
Cercava di fare i loro stessi versi ma dal becco usciva fuori una voce ridicola, provava a mangiare come loro ma aveva sempre più fame degli altri e infine, era troppo goffo nel trovare dei rametti e costruirsi un nido.
Escluso da tutti i componenti dello stormo, il gabbiano (inconsapevole del suo vero essere) passava le sue giornate sopra il tetto di un palazzo con lo sguardo perso nell'orizzonte. Verso Nord il volatile vedeva le grandi dimore degli uomini e sopra i tetti, un cielo primaverile limpido e Hunter non aveva mai visto un colore più puro del cielo mattutino.
Di notte si scuriva e il resto della città si illuminava di luci artificiali che all'insaputa del gabbiano andavano a nascondere le piccole stelle nel cielo.
Quando si addormentava il gabbiano sognava di volare ininterrottamente ma purtroppo volava soltanto sopra una vasta macchia nera perché nella sua mente non erano stampati luoghi particolari.
Hunter non aveva idea di cosa fosse il mondo. Il suo cuore era limitato in quella città. Non aveva una conoscenza umana per distinguere le stagioni o contare i giorni dell'anno però il suo grande cuore gli suggeriva che forse, lontano c'era un posto dove un uccello come lui poteva essere sé stesso, senza limitazioni.
Ma era troppo impegnato a comportarsi come un piccione e ignorò la voce per tanto tempo.
Un giorno il gabbiano andò a riposarsi su uno dei balconi appartenenti al palazzo dove andava ad isolarsi dallo stormo e prima di scivolare completamente nel sonno udì una voce rauca alle sue spalle che esclamò con stupore: “Non posso crederci!”.
Hunter si voltò, la finestra era aperta e tra l'interno della casa e fuori il balcone in una gabbietta bianca c'era un uccello di piccole dimensioni ma con le piume colorate come i fiori che l'uomo al centro della piazza pescava dal suo carrello e distribuiva agli altri umani.
Si trattava di un pappagallo domestico ma Hunter era all'oscuro del fatto che esistevano tante razze di uccelli, ognuna con un nome diverso.
“Dici a me?” domandò Hunter “Certo! Dimmi, cosa ci fa un uccello come te in città? Sei un gabbiano, dovresti vivere vicino al mare” parlò il pappagallo con il becco curvo e appuntito.
Mare.
Era la prima volta che Hunter udiva quella parola e alle orecchie del gabbiano aveva un suono magico e nostalgico. Un sentimento ancora incomprensibile al volatile ma gli lasciò una carezza sul cuore.
Hunter scosse la testa confuso “Che cos'è? Io sono cresciuto in questa città insieme ai piccioni non ho mai visto il mare. Tu come lo sai?”.
Il pappagallo si gonfiò il petto, vantandosi di sapere cose che gli altri uccelli ignoravano del tutto “Vedi, il mio umano studia i volatili. Il pomeriggio viene nella sua stanza e si mette a fare ricerche sugli uccelli. È grazie a lui se conosco tante cose.
Ti dirò, non siamo gli unici uccelli al mondo, esistono tantissime specie che vivono in luoghi diversi. I volatili come te vivono vicino mare, ho visto le loro immagini su uno dei suoi libri. Giuro sulle mie piume che sei identico a loro quindi lo confermo, sei un gabbiano”.
Hunter non capiva diverse parole ma il pappagallo sembrava molto convincente. Dopo tanto tempo, il cuore gli prese a battere per l'emozione e il sentimento della scoperta si accese in lui come una fiamma ardente. La sua mente si aprì a vasti orizzonti e nel chiaro cielo trovò parte di una risposta che aveva sempre cercato.
Mare il solo pensarlo, gli faceva palpitare energicamente il cuore.
“Va bene! Andrò a cercare il mare” aprì le ali eccitato. Stava per alzarsi in volo ma si fermò all'ultimo.
“Tu vieni con me?” chiese al pappagallo colorato.
“Venire con te? Sei matto! Perché dovrei se qui ho tutto quello di cui ho bisogno!” disse l'uccello, soddisfatto di avere sempre una scodella con del mangime granuloso e una piccola altalena dove dondolarsi in momenti di noia.
“Non vuoi vedere quello che impari dal tuo umano con i tuoi stessi occhi?” alla domanda di Hunter l'uccello in gabbia scoppiò a ridere “Che m'importa! Preferisco vivere qui e dipendere dagli uomini. Il mondo lì fuori non fa per me”.
Hunter rimase deluso all'idea del pappagallo e prese il volo.
Cavolo pensò mentre volava sopra i tetti Come può un uccello vivere dipendendo solo ed esclusivamente da un umano? Io non ci riuscirei, credo che morirei per la tristezza.
Mi vengono i brividi all'idea di vivere per sempre in gabbia. Almeno io e gli altri piccioni siamo liberi per fortuna.
Hunter dimenticò poco dopo il pappagallo, ora era impegnato a cercare il mare e si spinse oltre la piazza alla sua ricerca ma ciò che trovò fu un mondo identico a quello che vedeva tutti i giorni nella zona dove viveva.

Iris de Santis

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