Era stremato. Stanco di aver a che fare giorno dopo giorno con la sofferenza. Ancora di più: era svuotato di ogni energia a causa del costante trovarsi a convivere con la morte. Il senso di impotenza era un trauma violento, da combattere in ogni istante della propria vita, preparati a perdere ogni singola battaglia.
Si era inerpicato a fatica fino al tetto dell'ospedale dove prestava servizio. Poco distante da lui, dipinto in brillante vernice gialla, il largo cerchio che indicava il punto di atterraggio degli elicotteri. Non c'erano emergenze in arrivo, quindi non c'era nessun rumore a disturbare il flusso dei suoi pensieri. Solo il vago brusio lontano dei motori delle auto e qualche sporadico colpo di clacson rompevano la quiete. La primavera non si era ancora fatta sentire e un brivido di freddo gli corse lungo la colonna vertebrale. In un moto istintivo si strinse nel camice, inutile gesto di protezione. La stoffa, per quanto fosse pesante cotone, non sarebbe servita a ripararlo dal freddo che aveva dentro. Ogni volta che perdeva un suo paziente si sentiva uno sconfitto.
Perdere.
Che termine imbarazzante da usare per una cosa di tale importanza. Non si perde un paziente, è assurdo usare una parola che implica la possibilità di ritrovarlo. Molto meglio essere onesti.
Il paziente muore. Stop.
Nel suo caso il dolore era doppio, perché i suoi pazienti erano tutti bambini in età pediatrica e qualche adolescente. Con le braccia strette attorno al proprio torace e la testa china, il mento quasi a sfiorare lo sterno, desiderava solo una doccia calda e sparire per sei mesi su qualche isola deserta.
Il calore improvviso non lo colse alla sprovvista.
“Grazie, Giulia.” “Che ne dici di rientrare?” “Dammi ancora dieci minuti.”
Oltre la coperta che gli era stata posata addosso, la mano della caposala sfregava la sua schiena, in un tentativo di riattivare un po' la circolazione superficiale.
“Vorrei poterti concedere anche di più, Alex, ma in reparto ci sono i carabinieri che aspettano di parlarti.” “Per la ragazzina?” “Già.”
Alessandro Mario Alfieri girò su sé stesso, prese al volo la mano di Giulia Navigatore per posarle un breve bacio sul dorso e poi annuì con un sospiro. Un attimo dopo la prese sottobraccio, in cerca di ulteriore sostegno e conforto, e si avviò con lei per rientrare e affrontare un altro momento faticoso, a voler usare un eufemismo.
“Andiamo a sentire i nostri cari amici delle forze dell'ordine.”
Giulia sorrise appena senza rispondere. Era amica di Alessandro, che lei chiamava Alex, da sempre o quasi. Erano cresciuti a pochi portoni di distanza, in una delle tante vie poco trafficate di un paesotto di provincia, non contava quale. Uno valeva l'altro in realtà. L'Italia era fatta in quel modo da sempre e, nonostante quello che tutti parevano pensare, era davvero tutta uguale. I valori umani, l'educazione e la sanguigna veracità italica erano sempre gli stessi, che si fosse a Bolzano oppure a Caltanissetta. Il modo di esprimere i sentimenti cambiava tra nord e sud, ma il nocciolo dell'anima restava lo stesso ovunque, lungo tutta la penisola.
Era stata la prima fidanzatina di Luca, fratello di Alex, nonché compagna di classe di sua sorella Veronica. Alessandro era più grande di tutti loro, il punto di riferimento, quello sempre pronto a tirarli fuori dai guai. Giulia in lui aveva trovato soprattutto un amico sincero, che le era rimasto accanto anche quando tra lei e Luca era finito tutto. Un uomo splendido sotto ogni punto di vista. L'aveva scelto perfino per essere accompagnata all'altare, al posto di un padre scomparso troppo presto. Era diventato anche padrino di entrambi i suoi figli.
Spesso pensava di aver scelto il mestiere di infermiera per colpa sua. Il pensiero di come avrebbe ribattuto lui la fece sorridere: è una vocazione. Alex era sempre stato convinto di voler essere un medico, ancora di più un pediatra. Adorava i bambini. Da anni lei gli augurava di trovare l'amore della sua vita e di poter realizzare il sogno di una famiglia. I suoi figli sarebbero stati molto fortunati ad averlo come padre. C'era solo un problema; quello che per tutti era complicato, quando si trattava di lui diventava quasi impossibile. Purtroppo. Per quanto riguardava la persona ideale, il suo amico aveva uno specifico standard molto ristretto. Si partiva da un aspetto piacevole, ma recitava altre peculiarità difficili tra trovare. L'amore della sua vita doveva essere una persona: impegnata in un mestiere al servizio del prossimo; amante della famiglia; sincera; gentile ma di carattere.
Come ultimo imprescindibile punto: alta circa quanto lui.
Se già non fossero state impegnative tutte le caratteristiche caratteriali richieste, alquanto rare raccolte in una persona sola, ci mancava la statura. Perché Alessandro era alto due metri esatti. Non mezzo centimetro in più, non mezzo in meno. Un colosso di muscoli semovente. Inoltre, cosa che non guastava, era equipaggiato con capelli color del grano maturo, due occhi dell'azzurro più intenso avesse mai visto e nel suo petto batteva il cuore più amorevole e dolce del mondo.
Giulia sorrise di nuovo, per la curiosità questa volta. Voleva vedere che faccia avrebbe fatto Alex al cospetto del nuovo carabiniere, in attesa al piano di sotto. Era certa che si sarebbe divertita e anche parecchio.
Si infilarono in ascensore in silenzio. Una volta dentro Alessandro iniziò a piegare la coperta con cura prima di restituirla a Giulia. Quando alzò lo sguardo su di lei qualcosa lo colpì. Le afferrò il mento per costringerla a girare appena la testa a favore delle luci un po' fioche della cabina. La osservò in silenzio per una manciata di secondi. Dopo un breve attimo si abbassò verso di lei di qualche centimetro come per osservare meglio qualche piccolo dettaglio. Un sorriso luminoso gli rilassò i lineamenti, mentre lo stress della giornata sembrò sparire come d'incanto. Nel momento in cui le porte si aprirono le parole che pronunciò le sentì solo lei.
“Di nuovo?”
* * *
All'accettazione del reparto di pediatria il più giovane dei due carabinieri in attesa iniziava a spazientirsi. Aveva impegni ben più importanti che stare lì ad aspettare l'arrivo del fantomatico dottor Alfieri, tanto lodato dal collega al suo fianco. Appena più anziano e decisamente più tranquillo, il brigadiere capo cercò di fermare l'incessante tamburellare dell'altro.
“Smettila, consumerai il bancone se continui a grattarlo con le unghie in quel modo.” “O mi sfogo su questo o sul dottorino quando arriva.”
Gianni Fasani guardò storto il collega, ma non disse nulla. In fondo erano in servizio e quindi lo capiva, ma Carlo non conosceva Alessandro quanto lui. Inoltre il nuovo brigadiere doveva darsi una regolata in fretta. Non era più a Milano, dove le persone erano abituate a ben altri ritmi. Adesso era assegnato a una caserma molto più piccola e, nonostante fossero in un capoluogo di provincia, il modo di vivere era paragonabile a quello di un paese. Grandicello sì, ma non troppo. La gente si prendeva i propri tempi e, se non era questione di vita o di morte, non bastavano certo le strisce rosse sui loro pantaloni a scuoterli.
Quando le porte dell'ascensore si aprirono a Carlo Buongiovanni bastò un'occhiata per giudicare. Il solito medico che metteva in piedi una storiella con l'ennesima infermiera. Come nei peggiori romanzetti. Cliché triti e ritriti. Li odiava. Lo spintone che la donna rifilò all'uomo lo fece ben sperare per un finale meno prevedibile.
“Ma ti sei ammattito? Non se ne parla proprio!”
Uno a zero per la signora.
Il pensiero gli si accese in testa come il lampo di un faro e lo fece sorridere, nonostante il nervosismo che lo pervadeva. Si apprestò ad attendere la goleada dell'infermiera, con la speranza che il dottorino non riuscisse a recuperare alla distanza. Carlo si mise in ascolto, attento e immobile, pronto a spostare i grani sull'immaginario segnapunti dentro la sua mente. Il medico cercò di rilanciare.
“Se fossi al tuo posto, crederei a quello che ti ho detto. Ci ho preso già due volte.” “Certo, ma ero molto più giovane.”
Due a zero, brava ragazza.
Dentro l'ascensore il dottore si riportò in posizione eretta e, per un solo secondo, Carlo dimenticò i suoi propositi di essere l'arbitro in quella disfida. La larghezza di quella schiena, strizzata a malapena dentro il camice, lo colpì allo stomaco. Inghiottì a vuoto un paio di volte mentre cercava di recuperare il controllo. Dall'alto del suo metro e novantanove centimetri di solito si sentiva un po' solo, ma a occhio e croce quel fusto doveva essere in grado di tenergli compagnia.
Gianni gli dette di gomito e lui si rese conto di essersi perso almeno un paio di battute. Fece in tempo a pensare solo a quello prima di venir distratto e incatenato da due laghi azzurri. Perché mai tutti quelli così dotati da madre natura dovevano essere dei playboy invertebrati e fin troppo etero?
Giulia scambiò un cenno di intesa con Gianni, tra loro non servivano parole dato che si conoscevano da anni. Il loro primo incontro risaliva a quando era nato il primo figlio del carabiniere. Oramai si incrociavano più spesso per lavoro che non per piacere, purtroppo. Quando rialzò gli occhi verso Alex lo vide fissare con intensità il nuovo arrivato in città. Sì, come previsto ci sarebbe stato da divertirsi.
Alessandro era rimasto senza fiato nel momento stesso in cui si era voltato per uscire dall'ascensore. Quel carabiniere non lo aveva mai visto prima, altrimenti se lo sarebbe ricordato. Eccome! Una simile perfezione non poteva essere scordata. Doveva essere alto quanto lui e parecchio in forma. Capelli scuri, occhi nocciola. Con quel colore di pelle sembrava quasi abbronzato, impossibile a febbraio. Gianni spezzò il momento e si rivolse al medico in modo molto informale. Una libertà di espressione che Carlo intuì avere radici lontane, altrimenti sarebbe stata poco consona in quel contesto.
“Ciao, Alex. Tutto bene?” “Mi conosci, Gianni.” “Appunto. Permetti che ti presenti il nostro nuovo collega, il brigadiere Buongiovanni. È stato trasferito qui da poco più di un mese. Non penso abbiate avuto modo di incontrarvi prima di oggi, dato che è entrato in servizio attivo solo da una settimana.”
Alessandro aveva dovuto abbassare appena la testa per parlare con il vecchio amico e gli sembrò strano, ma piacevole, doverla rialzare per poter guardare dritto in faccia l'uomo che lo aveva colpito poco prima.
“Piacere di conoscerla. Alessandro.”
Lo disse con la mano tesa, ma dovette attendere parecchio prima che il giovane gli rivolgesse la parola. Lo osservò puntare lo sguardo al suo tesserino e leggere il cognome. Solo dopo tese la mano per stringere con vigore la sua.
“Piacere di conoscerla, dottor Alfieri.”
Alex sentì netto dentro di sé il rumore di una porta che si chiudeva di colpo dopo essere stata sbattuta con violenza. Avrebbe voluto trattenere la mano del carabiniere nella sua, ma al suono gelido di quella risposta la lasciò andare di colpo. Come se fosse stata bollente. Giulia sogghignò e Gianni scosse la testa, non era così sicuro che l'amica avesse puntato sul cavallo giusto.
La seconda porta in faccia arrivò un istante dopo e questa volta perfino la caposala restò spiazzata.
“Vogliamo procedere? Devo andare a casa prima che la babysitter mi abbandoni.”
Martina Tognon
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