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Autore: Briciola scrive
Destini intrecciati
Romanzo Erotico
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Destini intrecciati
Seduto a un tavolo, c'è lui, il ragazzo dal cappuccio nero sulla testa. Mentre gusta delle patatine fritte ricoperte da maionese, fissa l'esterno: tanta gente che corre con gli ombrelli aperti perché anche quella sera piove a Leeds. Continua ad alternare lo sguardo da persona a persona quando qualcosa lo rapisce. Sull'altro lato della strada c'è una coppia che si guarda intorno fermando qualche passante, forse per chiedere delle informazioni.
Il ragazzo scuote la testa, non gli importa chi siano, non ama dare confidenza a nessuno e se questo succede, finisce per trasformarsi in una rissa.
L'unica persona che riesce a strappargli qualche parola è sua zia. La zia Julia che l'ha accolto con tanto amore quando lui aveva solo otto anni, ha persino lasciato il marito per stargli accanto. Durante gli incubi, i pianti notturni e tutte quelle volte che finiva per essere richiamato dalla preside delle superiori, zia Julia era lì. Le prime volte dopo i rimproveri, tirava dritto ma quando ha capito che la zia finga di sgridarlo, ecco che tornava a combinare guai.
Tutti lo evitano come se fosse un appestato, eppure i suoi occhi azzurri e suoi capelli biondo scuro fanno impazzire le ragazze del quartiere. Lui non sa cos'è l'amore, conosce solo la paura, il timore di restare da solo e di non sapere amare e quelle poche donne che ha avuto sono state solo un passa tempo, una botta e via.
Fuori continua a piovere, forse è meglio andarsene via. Si alza lanciando la mancia sul tavolino e senza ringraziare esce dal locale, attraversa di corsa la strada e correndo rischia di travolgere la ragazza della coppia. Una strana scossa gli percorre il corpo, rallenta e per la prima volta chiede:
“Scusa!”
I suoi occhi incrociano per un momento quelli della ragazza, si sente soffocare, chiude gli occhi ma nel riaprirli scopre che la coppia è sparita.
Non sa ancora che quello scricciolo gli avrebbe stravolto la quotidianità.

Ho sempre odiato i cambiamenti mi mettono ansia e paura di scoprire cosa mi aspetta in futuro.
È da ore che fisso il soffitto contando le pecore con la speranza che il sonno prenda il sopravvento:
1 ... 2 ... 3 ... 1000.
Nulla, mi giro verso il comodino e afferro il cellulare: sono le 2:00. Sbuffo mettendomi seduta, passo una mano tra i capelli, dopodiché mi alzo infilandomi le ciabatte.
Afferro la felpa che qualche ora prima ho buttato sulla sedia davanti al piccolo tavolino a mo' di scrivania ed esco dalla camera.
Nel lungo corridoio regna il silenzio, l'unico rumore che si può udire è il ticchettio di un orologio appeso al muro. Busso alla porta e aspetto un paio di minuti, faccio per girarmi quando la voce assonnata di Riccardo mi fa sussultare:
“Stella?”
Mi mordo il labbro inferiore abbassando lo sguardo per un attimo.
“Scusa, non riuscivo a dormire”.
“Entra! Vieni qua da tuo fratello”.
Non me lo faccio ripetere due volte e mi fiondo tra le sue braccia: appena posa le sue labbra sui miei capelli, chiudo gli occhi cacciando via le lacrime che minacciano di uscire.
“Mi vuoi bene? Anche se sono tua sorella solo per metà?”
Appoggia le sue mani sulle mie spalle spostandomi di qualche centimetro da lui.
“Te l'ho già detto: tu sei e rimani la mia sorellina preferita”.
Alzo un sopracciglio:
“Perché sorellina preferita? Non mi pare che abbiamo altre sorelle”.
Scuote la testa ridacchiando:
“Non mi stupirei se saltasse fuori una sorella che non conosciamo”.
Il suo sguardo da divertito diventa serio, Riccardo si siede sul letto, con gli occhi cerca i miei: “Stella, per me non cambia niente e tu questo lo sai”.
Apro la bocca per ribattere ma non faccio in tempo a continuare che lui prende nuovamente la parola:
“Loro hanno sbagliato, tu non hai nessuna colpa”.
Quelle parole suonano come una rassicurazione e io ho proprio bisogno di essere rassicurata.

Quella notte, per la prima volta mi addormento con le lacrime che scorrono sul mio viso.
La mattina successiva, a svegliarmi sono delle voci dal piano di sotto, anche mio fratello sembra averle sentite. Mi passo una mano sugli occhi e poi lo guardo, a parlare per prima sono io:
“Andiamo a controllare?”
Mi fissa alzando un sopracciglio:
“Tu gli affari tuoi non riesci proprio a farli?”
Piego la testa di lato, mettendo su lo sguardo da cerbiatto scemo e mio fratello come risposta scuote la testa per poi alzarsi da letto.
“Hai vinto, contenta?”
Gli faccio una linguaccia arricciando il naso, prima di uscire dalla camera mi blocca il braccio:
“Andiamo solo a controllare, non fare la paladina della situazione”.
“Va bene boss!”
“E non chiamarmi boss!”
Ridacchio leggermente.
Mentre scendo l'ultimo gradino, una ragazza dai capelli biondo cenere raccolti in due trecce, entra dalla porta principale borbottando cose incompressibili, appena si accorge della nostra presenza, tenta tutti i modi di scusarsi.
Ridacchio, mio fratello mi tira una pacca sulla spalla guardandomi male, mi porto una mano davanti alla bocca: non è colpa mia! La ragazza è troppa buffa!
A rompere quell'imbarazzo che si è creato, è proprio Riccardo:
“Non c'è bisogno di scusarsi, è tutto a posto?”
E poi ero io quell'impicciona?
Scuoto leggermente la testa, la ragazza abbozza un mezzo sorriso:
“Diciamo di sì – prende una pausa guardandosi intorno – Ah! A chi voglio prendere in giro?”
Alzo un sopracciglio e stavolta sono io a parlare:
“In che senso?”
Ci fa il segno di seguirla. Raggiungiamo la sala da pranzo: ci sono pareti tinte di un giallo pallido, due finestre che danno verso la strada e dei quadri antichi appesi in modo sparpagliato. La stanza è occupata da quattro tavolini con quattro sedie ciascuno e un tavolo più lungo, se non sbaglio dovrebbe essere quello del buffet, ogni tavolino è ricoperto da una tovaglia quadrettata blu e bianca.

Preso posto la ragazza inizia a parlare:
“Vi chiedo nuovamente scusa, purtroppo queste risse sono diventate frequenti.”
Sembra essere dispiaciuta e nello stesso momento frustata dalla situazione.
“Se continuano, rischio che chiudano il B&B per una settimana e questo non posso permetterlo!”
A interromperla ci penso io:
“Scusa, non possono allontanarli?”
“Ci hanno provato se Brandon non ...”, s'interrompe sbarrando gli occhi, “Che sbandata voi siete i nuovi ospiti!”
Annuisco e non faccio in tempo a parlare che è ancora lei a farlo:
“Non voglio rovinare il vostro arrivo con i miei problemi”.
Ci sorride continuando:
“Chiamatemi Jenny, voi come mai siete qui? Di sicuro non per lavoro”.
Io e mio fratello ci guardiamo per un momento negli occhi, a prendere la parola questa volta sono io:
“In realtà non siamo nemmeno venuti in forma di turisti”.
Jenny alza un sopracciglio, i suoi occhi s'illuminano, sembra incuriosita.
“Ah no? E cosa siete? Agenti segreti?”
Scoppia a ridere per qualche secondo.
“Sono venuta a cercare una persona”, non so se parlare con lei, sto facendo la cosa giusta ma di certo di una cosa sono sicura da qualche parte devo pur iniziare, “Di preciso la mia madre naturale”.
Il suo sguardo da curioso diventa interrogativo.
“Storia lunga! E mio fratello ha voluto accompagnarmi”.
“Scusa se te lo chiedo...”
“Chiamami Stella”.
“Hai una foto della tua mamma naturale?”
“Ne ho una perché?”
“Oltre al servizio di B&B offriamo il pranzo d'asporto ai lavoratori”.
Prendo il mio cellulare:
“Qui è molto giovane: è di quando faceva la babysitter a mio fratello e aveva i capelli lunghi e biondi”.
Le lascio il tempo per guardare a meglio la fotografia, scuote la testa.
“Non mi viene in mente nessuno, potrei provare a chiedere a mia madre”.
“NO!”
Rispondo in modo secco e freddo, sia Jenny che mio fratello mi guardano perplessi, abbasso lo sguardo per poi alzarlo immediatamente.
“Scusa e che...”
In realtà non so nemmeno io cosa mi sia preso.

A salvarmi da quella situazione è il telefono di Jenny.
“Pronto, ciao Matthias! Oggi propongo un menù tipico italiano... Ok, a dopo!”
Dopo aver terminato la chiamata, si rivolge a noi:
“Scusatemi, ora devo andare a scaricare la merce e poi scappo in cucina”.
Annuisco mentre mio fratello le dice:
“Se vuoi una mano a scaricare, non farti problemi a chiedere”.
Mi volto a guardarlo sbarrando gli occhi: sta scherzando? Mi sta scaricando per una ragazza appena conosciuta?
Gli tiro una gomitata come per dire: che diamine fai?
Jenny lo guarda aprendosi in un sorriso:
“Ti ringrazio! Però non so se tua sorella...”.
Riccardo taglia la frase:
“Per Stella non ci sono problemi!”
“Possiamo parlare?”, voglio dire la mia, “Da soli!”
Tiro mio fratello da un braccio e raggiungiamo il piccolo corridoio che conduce all'uscita, solo una volta fuori prendo la parola:
“Fai seriamente? Ti sei dimenticato il motivo per cui siamo qui?”
“E dai, Stella! Che male c'è? Devo solo scaricare la merce!”
“Oh sì scaricare la merce! Oppure sei rimasto affascinato dalla sua bellezza? Non sai nemmeno se è fidanzata, sposata o...”.
“Taglia corto! Sono da poco uscito da una relazione complicata”. Si passa una mano tra i capelli e poi continua:
“Sta tranquilla, nel frattempo potresti iniziare a fare un giro da sola e poi ti raggiungo”.
Accarezza una guancia, in seguito mi lascia un bacio sulla fronte e senza darmi il tempo di replicare, mi lascia sola come un pesce lesso. Sbuffo e per un momento lo confesso: mi sento sola e tradita.
Inizio a camminare guardandomi intorno, soffermandomi su ogni figura femminile con capelli biondi, con la speranza di riconoscere in un qualche volto gli occhi verdi della donna che mi ha partorito.

“Maledetto quel giorno che ci siamo trasferiti.”
Mamma non smette di ripetere queste frasi ormai da ore, mio padre è seduto al tavolo con la testa tra le mani. Mentre io stringo il mio certificato di nascita tra le mani, alterno lo sguardo sui miei genitori, aspettando che uno dei due si decida di rispondere.
“Mamma! Papà!”
Mio padre alza lo sguardo verso mamma:
“Te l'avevo detto che era arrivato il momento che lo sapesse ...”.
“No! E tu eri d'accordo con me!”
Non ci sto capendo più nulla, li interrompo urlando:
“BASTA!”
Papà cerca le attenzioni di mamma:
“Elisa...”.
“È anche mia figlia, solo perché non l'ho partorita...”.
“Mamma? Di cosa state parlando?”
Mamma prende un respiro e con lo sguardo cerca suo marito che annuisce solamente, negli occhi non capisco perché leggo terrore e preoccupazione.
“Siediti”.
Quando ordina di sedersi è solo per due motivi: rimproverare oppure quello che sta per dire è una cosa importante, come in questo caso.
“Tutto ha inizio quando Riccardo aveva solamente dieci anni”, gli occhi di mamma diventano lucidi appena inizia parlare, “Io ero incinta quando al settimo mese la bambina ha avuto una crisi fatale” e io ero stata adottata? “nel frattempo tuo padre ha iniziato una relazione con la babysitter di tuo fratello e...”.
Scuoto la testa, non voglio sentire altro.
“Taglia corto”.
“Quando è rimasta incinta lei non ti voleva ... Per cui abbiamo fatto un patto: ti avremmo cresciuta noi e lei avrebbe avuto aggiornamenti sulla tua crescita, solo che...”.
“Mi state dicendo che io sono solo figlia di papà?”
“Non dire sciocchezze, ti ho amato e cresciuta come se ti avessi partorito io!”
Scoppio a ridere nervosamente e poi:
“Mi fate schifo!”
“STELLA! Fila in camera tua ora!”
Non me lo faccio ripetere due volte. Quando raggiungo la cameretta mi chiudo la porta alle spalle, scivolo contro di essa e mi porto le gambe al petto nascondendoci la testa.
Mille pensieri mi frullano in mente.
Le lacrime rigano il mio viso.
E io che ho sempre creduto che la nostra famiglia fosse come quella della pubblicità del Mulino Bianco... Ma ora mi accorgo che era solo un'illusione.

Se solo avessi una gomma per cancellare l'ultimo periodo l'avrei già fatto.
Se mi metto nei panni di mia madre avverto la sua paura di perdermi e una piccola parte di me capisce il perché ha voluto nascondere questo segreto. E chissà per quanto tempo ancora l'avrebbe tenuto nascosto se non fossi stata io a trovare il certificato di nascita. Ed è per questo che dall'altro lato sono arrabbiata con lei: non sono più una bambina, ho vent'anni e sono abbastanza grande da decidere cosa fare.
A distogliermi dai miei pensieri è il mio stomaco che brontola, ora che mi ricordo non ho fatto colazione e devo rimediare! Non sono abituata a non farla, è uno dei miei momenti preferiti e soprattutto l'unico momento in cui posso strafogarmi di miele. Apro Google Maps e imposto la mia posizione: fortunatamente non lontano da dove sono, c'è un McDonald's.
Una volta entrata mi accorgo che è uguale a quello che abbiamo in Italia a parte il menù, mi domando ancora come facciano a mangiare salsiccia e uova o pancetta di mattina, il mio stomaco si lamenterebbe. Rimango a fissare il menù, la commessa scocciata inizia a sbuffare:
“Mi scusi, se non si decida lascio passare gli altri!”
Mi volto di poco, dietro di me ci sono altre cinque persone, alzo le spalle.
“Chiedo scusa. Allora prendo dei muffin e un porridge alla marmellata di fragole, da portare via grazie!”
Aspetto un paio di minuti:
“Ecco a lei sono 3,50 sterline”.
“Grazie e arrivederci!”
Merda! Mi sono dimenticata di mostrarle la foto di mia madre naturale, però pensandoci bene mi è sembrata maleducata e sono certa che se rientrassi per chiedere delle informazioni se potesse, mi ucciderebbe, mi taglierebbe a pezzetti e mi getterebbe nella macchina trita carne per farci degli hamburger. Scuoto la testa iniziando a ridere come una matta.
Mentre assaggio il muffin, percorro The Headrow, senza accorgermi mi trovo davanti al Leeds City Market: da quello che mi ricordo è uno dei grandi mercati al coperto d'Europa, dove si può trovare di tutto dal cibo fresco alle bevande, a capi di moda e ai fiori e tanto altro!
Prima di entrare provo a chiamare mio fratello.
“Hey, dove sei?”
“Sono davanti all'ingresso Leeds City Market, tu?”
“Sono ancora qua con Jenny, ha avuto un contrattempo e le sto dando una mano”.
Sento un pizzico di gelosia invadermi, prima di rispondere conto fino a dieci.
“Stai dicendo che non riesci a raggiungermi?”
“Stella mi dispiace, domani ti aiuterò, promesso”.
“Tranquillo, faccio un giro e torno, cosi possiamo andare a mangiare qualcosa”.
“In realtà Jenny ha preparato anche il pranzo per noi”.
Sbuffo.
“Ok!”

Briciola scrive

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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