Il paese delle anime sospese
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Per essere fine maggio, la temperatura era fin troppo calda quel pomeriggio. Proprio a causa del clima particolarmente mite, Mario Pastorino decise di fare una lunga passeggiata nel verde col suo cane, uno spaniel inglese. Per l'abbigliamento che indossava, chiunque lo vedesse poteva scambiarlo per un cacciatore, gli mancava solo il fucile. In realtà lui odiava la caccia, detestava tutto quello che aveva anche la minima attinenza coi passatempi del padre, ma non poteva lasciare il povero animale sempre nel suo box. Camminava distrattamente sul sentiero che tagliava in due il bosco e nei tratti più radi di alberi, riusciva a scorgere la parte più alta del paese. Erano altri tempi quando, anche nella boscaglia, si sentivano le grida dei bambini e le voci dei paesani. A dispetto di tutti i tentativi fatti dalle ultime amministrazioni comunali, Valtimbone si stava spopolando in modo lento ma inesorabile; si chiese con quale coraggio, i primi abitatori del posto, avessero chiamato in quel modo assurdo, un villaggio arroccato sul costone di una montagna. Venne riportato alla realtà dal lieve abbaiare di Lola, ma non aveva nessuna intenzione di giocare con lei; quindi, ignorò i suoi guaiti e tornò a immergersi in una delle sue solite fantasie. Sorrise ricordando che qualcuno aveva tentato di nobilitare i sognatori a occhi aperti, definendoli pensatori creativi. Ma nelle sue riflessioni non c'era nessuna variazione, il soggetto era sempre lo stesso, anche lui voleva scappare dalla monotonia di quel paese in cui si sentiva in trappola. Ritornò serio, all'interno del suo malumore aveva omesso di inserire il concetto orfano da due anni, quando si rese conto della dimenticanza si compianse, capì che non poteva imputare sempre al padre il motivo del suo malcontento. Le ragioni di quel comportamento scriteriato, in fondo, erano solo l'effetto dell'ultimo desiderio della madre. Rosina Traverso l'aveva fatto chiamare al suo capezzale mentre lui si trovava a Genova per comprare le sementi e, nonostante la vita stesse scivolando via da quel corpo esausto, aveva resistito fino all'arrivo del figlio. Stringendo la mano del suo ragazzo era riuscita a farsi promettere di non abbandonare la fattoria che per lei era tutto. Solo dopo aver ottenuto il giuramento, aveva smesso di respirare. A quel ricordo, Mario sentì un groppo alla gola e, per non mettersi a piangere, smise di pensare alla sua condizione e si concentrò sul sentiero che scendeva sinuosamente verso la radura. Camminava nel bosco immerso in quel silenzio pieno di vita. Era irrequieto perché si era accorto che il cane si era allontanato da lui, aumentò l'andatura, ma dell'animale, nemmeno l'ombra. Provò a modulare il triplice fischio, l'unica cosa che aveva imparato dal padre, ma la cagnetta si rifiutava, categoricamente, di rispondere al suo richiamo. Seppure a malavoglia, si costrinse ad allungare ulteriormente il passo per raggiungerla. Quando arrivò in un tratto rettilineo finalmente la vide, Mario fischiò ancora un paio di volte, ma Lola rimase ferma e cominciò a guaire sommessamente, era come se gli stesse chiedendo di sbrigarsi a raggiungerla. La fissò sorpreso, ma l'animale continuava a stare con la testa bassa a livello del suolo e a dimenare la coda. Mario era contrariato, si diresse verso di lei con il guinzaglio in mano, sapendo che detestava essere legata, aveva intenzione di castigarla. Non riuscì ad agganciare il moschettone all'anello del collare perché capì il motivo del comportamento della sua cagnetta: aveva visto un mucchio di stracci nell'erba. Aggirò una barriera di rovi e, cambiando visuale, si rese conto che quella massa informe era una ragazzina. Indossava un completo giallo strappato in più punti, dai quali s'intravvedeva la pelle, dove il vestito non era riuscito a proteggerla, era ricoperta di graffi. Ritornò alla sua memoria l'incubo che l'aveva assillato per tutta la sua infanzia, non riusciva a credere che il mostro si fosse risvegliato. D'istinto, si lanciò verso quel corpo martoriato temendo il peggio, ma non appena le poggiò le dita sul collo si rilassò, seppure flebilmente: la giugulare pulsava. Chiamò il 118 e i carabinieri, spiegò loro la strada per arrivare sul posto. Mentre attendeva gli aiuti, sistemò il corpo affinché la ragazza potesse respirare meglio. Gli bastò guardarsi intorno per intuire il perché dei graffi e dell'abito strappato. La ragazzina era stata lanciata sui rovi, forse con uno sforzo estremo era riuscita a trascinarsi fuori o, più probabilmente, era caduta. Per evitare di cancellare eventuali tracce, legò Lola ad un albero e si sedette accanto alla bambina, di tanto in tanto le puliva la bocca con un fazzoletto imbevuto con l'acqua della sua borraccia, era depresso perché non poteva fare altro che aspettare. Il tempo sembrava essersi fermato, sentì un debole respiro, si girò verso il cane, ma l'animale era immobile con la testa tra le zampe, in preda a uno strano presentimento, si alzò per avvicinarsi alla ragazza, voleva inumidirle il viso e tastare la giugulare, riuscì solo ad accostarsi al corpo martoriato, le parole dell'uomo, che era apparso all'improvviso, gli arrivarono nello stesso tempo del rumore di un ramoscello spezzato, la voce del carabiniere che si era avvicinato, nella prospettiva di una prossima promozione, aveva già assunto il tono da sceriffo: - Non fare movimenti bruschi, alzati lentamente e vieni verso di me, al primo gesto sbagliato ti sparo - . Mario l'aveva riconosciuto all'istante, era l'ispettore Carlo Gardella e futuro maresciallo, il quale, per continuare gli studi si era trasferito con la famiglia a Genova, la città situata venticinque chilometri più a valle. Era tornato a Valtimbone da quando aveva sposato Arianna Pittaluga, la figlia del comandante del posto avanzato. Era un fanatico con l'hobby dei film polizieschi; con Giovanni Pittaluga, il maresciallo capo, tre carabinieri scelti e un allievo, rappresentava tutto quel che restava del posto avanzato del paese. Mario gli rispose senza muoversi da dove si trovava: - Avevo avvisato quelli del 118 di fare in fretta, l'ospedale è più vicino della caserma, non capisco: come mai sei arrivato prima tu? - L'ispettore, sentendosi affrontato, lo guardò con odio e riprese con lo stesso tono plateale: - Le domande le faccio io! Dovevo immaginarmelo che, oltre a quella faccia da idiota, avevi ereditato anche il vizietto di quel bastardo di tuo padre, che cosa le hai fatto? - Mario, senza pensarci due volte, mise il fazzoletto in tasca e si avventò contro l'uomo. Quando sentì il rumore dello sparo d'istinto si abbassò e, contemporaneamente, avvertì una forza che gli premeva sulla spalla, trascinato dal proprio peso, la violenza dell'impatto col ramo appuntito gli procurò un dolore lancinante che interruppe il suo slancio, il ragazzo stramazzò al suolo. Lo sparo fece accorrere Giovanni Pittaluga, che fino a quel momento aveva girato in tondo: il rilevatore di segnali GPS gli aveva dato seri problemi nel localizzare il cellulare del ragazzo.
Antonio Cuccurullo
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