Writer Officina - Biblioteca

Autore: Sonia Brioschi
Una panchina per caso
Giallo Noir
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Una panchina per caso
1° Racconto: Amedeo.

Quel bambino aveva qualcosa che la incuriosiva.

Emma era seduta su una panchina dei giardinetti di via Benedetto Marcello, a Milano. Accucciato di fianco allo scivolo, suo nipote Stefano si divertiva con un camion che lei gli aveva regalato.
Di solito, a quell'ora, subito dopo pranzo, ai giardini non c'era nessuno, ma quel primo pomeriggio arrivarono un vecchio e un bambino.
L'uomo si sedette sulla panchina alla sinistra di Emma. Il bambino rovistò in un sacchetto di plastica, estrasse una ruspa giocattolo e si fermò in piedi, di fianco al vecchio, guardò Stefano e gli si avvicinò: il portamento fiero di chi ha il proprio gioco e può partecipare con diritto al divertimento.
Il signore seguì con lo sguardo il bambino finché lui si inginocchiò di fronte a Stefano e si mise a giocare tranquillo, poi cominciò a scrivere su un taccuino.
- Nonna! Mi ha rubato il camion! - Il pianto del nipote richiamò Emma.
Lei squadrò l'uomo seduto sulla panchina sperando che intervenisse, ma il vecchio, dopo aver alzato lo sguardo verso i bambini, non accennava ad alzarsi. Emma sbuffò con enfasi e lo guardò con disappunto. Ma pensa un po'. Che cavolo! Poteva anche fare qualcosa invece di rimettersi a scrivere.
Chiuse il libro, che aveva sperato di poter leggere, lo infilò nella borsa con gesti nervosi e si avvicinò allo scivolo.
- Che cosa succede? -
- Ha rubato il mio camion! - piagnucolò Stefano, passandosi il braccio sul viso per pulirsi il naso gocciolante. Emma gli diede un fazzoletto di carta, fissò l'altro bambino e finse un'occhiata crucciata sopra un sorriso: - Ma no... Vero che volevi solo giocare un po' col camion? -
Lui spalancò gli occhi di un azzurro quasi grigio, guardò prima Emma e poi Stefano: - Io gli ho dato la mia ruspa e ho preso il camion per fare cambio. Vedi? - e indicò il gioco ai piedi di Stefano.
- Ma io non voglio la ruspa. Voglio il mio camion! - frignò il nipote. Il bambino raddrizzò la schiena e irrigidì il collo: - Questo non è un atteggiamento collaborativo - e rimase lì a fissare Stefano, con
uno sguardo severo, in attesa di un commento. Emma lo osservò stupita. È un'espressione da adulti.
- Se avere il tuo camion, per te, è più importante di giocare insieme... ecco, ti ridò il tuo gioco - e il bambino porse con sdegno il giocattolo.
Stefano, che aveva appena smesso di piangere, arricciò la bocca in un broncio tremulo, gli occhi sul punto di esplodere in un altro tipo di disperazione, questa volta colpevole.
La nonna anticipò il pianto e si rivolse al bambino appena arrivato ai giardini: - Ma no! Certo che Stefano vuole giocare - e, accarezzando la testa del nipote, suggerì: - Vedi? Non voleva rubare il camion. Dai, smetti di piangere. Potete scambiarvi i giochi per un po'. -
Stefano annuì sorridendo e i bambini ripresero il loro divertimento.
Emma si sedette sul finale dello scivolo: quel bambino aveva qualcosa che la incuriosiva: - Come ti chiami? -
Il bimbo alzò lo sguardo: - Amedeo. -
- Ciao, Amedeo, io sono Emma... Quanti anni hai? -
- Ho compiuto cinque anni. -
Emma si irrigidì. Non ha cinque anni. È impossibile! È anche più alto di una spanna rispetto a Stefano. Questo bambino mente o non conosce la sua vera età.
Sorrise ad Amedeo lasciando tra i pensieri la propria incredulità:
- Anche Stefano ha cinque anni. Lui va in quella scuola - Emma indicò l'edificio proprio di fronte. - E tu? Non vai alla scuola materna? -
- No, il nonno dice che, quando sarò grande, andrò alla primaria. Intanto tutte le mattine studio con lui. Mi piace molto la matematica: so fare le addizioni, le sottrazioni e le moltiplicazioni, ma non so leggere. Il nonno sostiene che imparerò a leggere quando andrò a scuola - e Amedeo si rimise a giocare con il camion.
Stefano si intromise: - Nonna, lasciaci lavorare: dobbiamo preparare il cantiere. -
- Sì, sì. Volevo solo chiedere ad Amedeo se abita qui vicino. -
Amedeo sollevò il capo, guardò Emma, sospirò con disappunto
e concluse in tono risoluto: - Dipende. Siamo venuti con il cinque. Dalla nostra casa a qui ci sono otto fermate: le ho contate. Secondo te è vicino? -
Amedeo la fissava, in attesa di una risposta, e lei sorrise: - No, secondo me non lo è. -
- Nonna, lasciaci giocare! -
Emma tornò a sedersi sulla panchina. C'è qualcosa che non quadra. I giardinetti non hanno nulla di speciale, perché fare otto fermate di tram per venirci? Amedeo non può avere solo cinque anni. Perché non va a scuola? Se col nonno ha imparato la matematica, perché non imparare a leggere?
Decise di fare una foto ad Amedeo e di mandarla a sua figlia Chiara, commessa in un negozio di corso Buenos Aires, per chiederle un'opinione sull'età del bambino.

***

Dopo una decina di minuti, Chiara inviò un messaggio di risposta: ‘Sembra un bambino di almeno sette anni. Perché me lo chiedi?'
Eh! Cara mia, se te lo dico mi fai la solita paternale sul non fare la Miss Marple.
Emma sorrise al pensiero e scrisse: ‘Niente, è un bambino che sta giocando con Stefano. Sai che a quest'ora di solito non c'è nessuno. Mi ha detto di avere cinque anni, ma a me sembra più grande. Così ti ho chiesto un'opinione. A dopo, bacio.'
Ripose il cellulare nella borsa e si mise a guardare i bambini. Allora non è solo una mia impressione.
Decise di aspettare e proporre un invito a merenda per fare qualche altra domanda ad Amedeo. Verso le sedici, c'era il rito delle pizzette: il panettiere in fondo alla via ne sfornava di deliziose ed Emma, con la scusa della merenda per Stefano, rinunciava rara- mente a quel piacere, mentendo alla figlia, che preferiva alimenti più salutari.
I due bambini continuarono a giocare cambiando attività più volte e Stefano seguiva Amedeo come fosse un capitano.
Giunta l'ora, Emma propose ai bambini di fare merenda insieme, ma il nonno di Amedeo gli negò il permesso. Emma si recò con Stefano dal panettiere e acquistò pizzette per tutti. Forse, a cose fatte, il vecchio avrebbe permesso al nipote di mangiarle con loro.

***

Al ritorno, notarono Amedeo parlare col nonno. Appena li vide entrare nei giardinetti, il bambino picchiò entrambi i pugni contro le gambe e il vecchio gli afferrò i polsi. Amedeo riuscì a divincolarsi e corse da Emma: - Il nonno dice che abbiamo le nostre merende e che dobbiamo rincasare, ma io vorrei mangiare le pizzette con voi e fermarmi ancora un po', non voglio tornare a casa subito. -
Emma fissò il nonno di Amedeo, che scosse lievemente la testa, sollevò le spalle e allargò le braccia in segno di resa. Lei gli sorrise e inclinò il capo di lato come piccolo gesto di ringraziamento.
Il vecchio agitò la mano invitando Amedeo ad andare da lui e il bambino gli si avvicinò con un visino supplichevole. Il nonno frugò nel sacchetto dei giochi ed estrasse due confezioni di merende:
- Vai, danne una al bambino. -
Amedeo, felice, fece un salto e corse da Stefano scuotendo le merendine come se avesse vinto la Coppa dei Campioni.
I bambini si sedettero sulla panchina; Emma aprì il sacchetto delle pizzette, ne prese una e diede le altre a Stefano: - Dai, fate merenda. -
- Allora, Amedeo... come ti chiami di cognome? -
- Corrisi. Amedeo Corrisi, come il nonno. -
- Ah, come il tuo papà! -
- Il papà e la mamma sono morti. -

NOI STIAMO BENE DA SOLI

Emma stette zitta. Non ebbe il coraggio di esprimere alcun commento.
I bambini finirono di gustare le pizzette.
- Domani, vieni a casa mia a giocare? Ho tanti camion e anche le costruzioni - propose Stefano.
- Non posso. Il nonno non vuole che vada a casa di altri bambini e non vuole che nessuno venga a casa nostra. Noi stiamo bene da soli, ma tutti i giorni andiamo a giocare in un posto diverso, così non ci annoiamo. Dai, adesso torniamo al nostro cantiere! -
Stefano e Amedeo corsero via.
Mhmm... “Noi stiamo bene da soli”? Non è un pensiero da bambini. Certo che anche questo non è molto normale. Amedeo sembra decisamente più grande degli anni che dice di avere, non va a scuola o all'asilo. Il vecchio non vuole che lui veda nessuno e quindi non ha amici. E come fa a farsene di nuovi se ogni giorno cambia luogo dove giocare? Un bambino senza genitori, che vive così... Mah! C'è qualcosa di strano.
Emma pensò a dove potesse abitare. Otto fermate di tram, in che direzione? La fermata più vicina era a poche decine di metri, in piazza Cincinnato, e il tram numero cinque poteva andare verso l'Ospedale Maggiore oppure in direzione Ortica.
Prese il cellulare e guardò sull'app dell'azienda dei trasporti: verso Ortica, dopo otto fermate, si arriva in zona Città Studi mentre, dall'altro lato, nella direzione dell'Ospedale Maggiore, si giunge in viale Marche.
Potrei seguirli. Potrei prendere la bici. Otto fermate in bicicletta non sono tante.
L'applicazione del servizio pubblico indicava, per il tram, un tempo di percorrenza di venti minuti. In bici ce ne sarebbero voluti meno di quindici.
Decise e chiamò la figlia: - Chiara, senti... ho un piccolo imprevisto. Puoi venire ai giardinetti a tenere Stefano? -
- Ma mamma! Come faccio? Sto lavorando. In negozio ora c'è gente! -

- E che cavolo! Non ti chiedo questo tutti i giorni! Una mia amica ha un problema urgente e devo andare ad aiutarla - mentì Emma, sapendo che sua figlia non condivideva la voglia di esplorare ogni volta che la vita la faceva inciampare in una nuova esperienza.
- In negozio ci sono altre commesse. Non possono fare senza di te per qualche ora? Non riesci a venire via? Potresti essere qui in dieci minuti. -
- Accidenti! Provo a chiedere. -
Chiara dovette pregare una collega di sostituirla, le avrebbe restituito il favore. Uscì dal lavoro e si incamminò a passo veloce.
Porca miseria, non basta che Stefano non voglia dormire e le insegnanti lo facciano uscire in anticipo all'una e mezza. Ci mancavano gli impegni imprevisti! Eh, ma lei vuole “dedicarsi il tempo della pensione”, non vuole fare “la nonna a tempo pieno”. Certo, a tempo pieno non ha mai fatto neppure la mamma! E ci volevano anche i problemi delle amiche.
Giunse ai giardinetti in venti minuti: - Eccomi - sbuffò tutta trafelata. - Mamma, lo sai che non è facile chiedere un permesso senza preavviso. -
- Me l'hai già detto, non hai bisogno di rimarcarlo! Avessi avuto una baby-sitter gratis come lo sono io per te... -
- Ah, ti pesa fare la nonna? -
- Non iniziare una partita sul senso di colpa. Ti senti una madre imperfetta? -
- Imperfetta come sei stata tu? -
- No, io non mi sono mai sentita una mamma imperfetta, sei tu che non hai mai accettato di avere una madre diversa da quelle delle tue amichette, tutte casa e doveri. -
- Dovere è una parola che non conosci. -
- Il mio senso del dovere ha un raggio che comprende uno spazio più grande della famiglia. Sarebbe ora che tu abbandonassi quest'alibi. -
- Lavorare è diventato un pretesto? -
- Senti, hai capito benissimo cosa intendo... E non è colpa mia se, per le donne, conciliare lavoro e figli è difficile, ma non è un dovere fare la nonna baby-sitter. Che faresti se non ci fossi io? -
La figlia abbassò gli occhi, Emma si pentì dei toni duri e l'abbracciò: - Amore, lo so che fai il possibile - disse cercando di alleggerire la tensione.

- Rimandiamo questa discussione. Ma dai, devi ammettere che non ci sono imprevisti tutti i giorni. -
Chiara sorrise: - Non sei mai stata la classica mamma e non sei una nonna canonica, ma né io né Stefano ti cambieremmo per nessun'altra. -
Baciò Emma e la sospinse con affetto: - Dai, vai dalla tua amica. - La nonna salutò Stefano e Amedeo e si diresse veloce verso casa per prendere la bici: temeva che il vecchio decidesse di andarsene
prima che lei potesse ritornare.
Si cambiò per evitare che i colori o le fogge dei vestiti fossero immediatamente riconducibili a lei, prese la bici dalla rastrelliera del cortile condominiale e raggiunse il giardinetto.
Si appostò a lato dell'edicola, davanti ai giardini, con la bici orientata nella direzione di piazza Cincinnato da dove passava il tram numero cinque. Non dovette aspettare molto.
Vide Amedeo e il nonno che uscivano dall'area recintata, si girò dando loro le spalle e fece finta di guardare il cellulare.
I due le passarono di lato, senza notarla: parlottavano tra loro e il bambino sembrava contento.

C'È QUALCOSA DI POCO CHIARO

Emma attese che Amedeo e il nonno proseguissero per alcuni metri e li seguì: era sufficiente verificare su quale pensilina si sarebbero fermati per capire la direzione.
Si appostò all'angolo della piazza, spiò il lato sul quale si erano messi ad aspettare il tram, girò la bici e partì. Percorse vie poco trafficate, alcune contromano sul marciapiede e arrivò all'ottava fermata verso Ortica sperando che il tram non fosse già passato.
Legò la bici nella via alberata laterale, andò alla fermata del mezzo che faceva il percorso inverso e finse di essere in attesa.
Sono qui a fare la spia... sorrise. Chiara mi farebbe il solito discorso sul rispetto della riservatezza. Quante volte ne abbiamo parlato...
Emma scese dal marciapiede per vedere se il tram fosse in arrivo:
- Niente. -
Si rimise ad aspettare. Che cosa stavo pensando? Ah... Chiara, sì. Mah, per lei riservatezza è sinonimo di libertà, un valore assoluto. Io sono ancora convinta che “il personale è politico” ma mia figlia non sa nemmeno cosa significhi. Eh, su tante cose non siamo d'accordo. Etica e Morale... Ma che cosa è giusto e cosa no? Tutto ciò che è legale è anche giusto? Inutile discuterne con lei: siamo due straniere morali.
Rise. Però su di una cosa ha ragione: sono una curiosa!
Il cinque arrivò dopo meno di dieci minuti. Spero non ne sia già passato un altro prima che arrivassi.
Scrutò con ansia i passeggeri in discesa dal mezzo.
- Eccoli - abbassò la testa, finse di guardare il cellulare e sforzò gli occhi verso l'alto per tenere sotto controllo i movimenti di Amedeo e del nonno.
I due svoltarono a destra ed Emma li seguì, accertandosi di mantenere una giusta distanza. Si incamminarono lungo la breve via che confluiva in una piazzetta: c'erano un giardino con giochi per bambi- ni e grandi alberi che potevano regalare ombra nelle giornate estive. Amedeo e il nonno attraversarono la piazza passando nel mezzo dei giardini e continuarono per pochi passi entrando nel cancello di un complesso di edifici.
Emma si avvicinò all'angolo. Sembrano case popolari.
Dopo essersi assicurata che i due non fossero più in vista, raggiunse il cancello e cercò, tra i cognomi presenti sul citofono, quello del nonno di Amedeo. Il cognome Corrisi non c'era, ma erano riportati alcuni numeri al posto dei nominativi.
Decise di entrare: il cancello era aperto. Sulla destra del cortile, senza alcun albero o vaso di fiori, c'era il gabbiotto della portineria.
Che tristezza questo spazio vuoto, tutto cemento.
Emma si guardò intorno e si sporse per vedere se ci fosse qualcuno in portineria, ma questa sembrava vuota: - Buongiorno. C'è nessuno? - quasi urlò nel tentativo di richiamare l'attenzione dei possibili custodi.
Non ottenne risposta.
Volse di nuovo lo sguardo verso il cortile in cerca di una presenza e vide una vecchia signora che avanzava appoggiata a un bastone, con una borsa sull'avambraccio, ciondolando sulle gambe come un battacchio al rallentatore.
La donna guardò Emma, si avvicinò e si fermò stando piegata sulle gambe curve: - Cerca il custode? Buona fortuna. Non so perché lo paghiamo. Non c'è mai e non accetta nemmeno i pacchi in arrivo! Mah. Perché lo paghiamo? I cancelli sono sempre aperti e può entrare chiunque. I ladri sono già stati qui più volte, sa? Ma lei cerca qualcuno? -
- Sì, cerco il signor Corrisi. -
- Corrisi... Corrisi - ripeté la donna, cercando con gli occhi nella propria memoria. - No, io abito qui da cinquant'anni e conosco tutti. Non c'è nessun signor Corrisi. -
- Eppure, abita qui. È un signore anziano, ha un nipote che si chiama Amedeo. -
- Ahm, Amedeo... sì, sì, un bel bambino sveglio. Vive col signor Carlo. Il bambino è figlio di una coppia di nipoti morti in un incidente. Sa, la moglie del signor Carlo, la povera signora Paola, pace all'anima sua, è morta di un brutto male qualche anno fa - scosse la mano che reggeva la borsa come a sottolineare la gravità e, forse, il dolore della povera signora Paola, poi continuò: - Eh, avrebbe tanto voluto avere un figlio, ma il Signore non le ha mai dato questa soddisfazione. Mah, che tristezza. -
Scrollò il capo sconsolata: - Il signor Carlo è andato molto giù quando è morta la moglie. Poi è come rinato quando è arrivato Amedeo. Comunque, il signor Carlo, di cognome non fa Corrisi, fa Stucchi. Lo trova sulla scala C, al terzo piano. Adesso la saluto, devo andare a fare la spesa. Chissà dov'è il portinaio. Mah! -
La vecchietta chiacchierona se ne andò dondolando verso il cancello d'uscita.
Emma, con gli occhi corrucciati e la bocca semiaperta, era rimasta muta durante il monologo della vecchietta.
Restò qualche secondo immobile sul posto, poi si guardò intorno per verificare che nessuno la stesse osservando e uscì.
Controllò sul citofono e vide una targhetta: Paola e Carlo Stucchi. Camminò fino alla bici, slegò la catena e si avviò lentamente verso casa. Mille domande le frullavano per la mente.
Come aveva detto la vecchietta, i signori Stucchi esistevano davvero. Era possibile che la signora si fosse sbagliata su Amedeo?
Se Paola e Carlo non avevano avuto figli, perché Amedeo chiamava nonno il signor Carlo?
Perché Amedeo aveva detto di chiamarsi Corrisi come il nonno, che forse nonno non era e che, a detta della vecchietta, di cognome faceva Stucchi?
La signora aveva detto che Amedeo era figlio di nipoti morti in un incidente.
Nipoti... i nipoti o sono figli di figli o sono figli di fratelli e sorelle.
Ma Paola e Carlo non avevano avuto figli: per Amedeo, il vecchio non era nonno.
- Mah! C'è qualcosa di poco chiaro. -
Emma arrivò a casa e, sistemata la bici nella rastrelliera, salì al suo appartamento. Cominciò a preparare la cena mentre le domande si ripetevano come mantra in successione. Doveva fermarle e affrontarle una alla volta.
Prese un foglio: vedere le parole scritte l'aiutava a chiarirsi.
“È vero oppure no che Amedeo vive con Carlo Stucchi? Forse la vecchietta si è sbagliata?”
Questa è la prima questione da appurare.
“Da quanto tempo Amedeo vive con il presunto nonno? L'impressione che Amedeo sia più grande rispetto a Stefano è fondata? Come faccio a dare risposte?”
Lasciò il foglio e le riflessioni giusto in tempo per non far bruciare la cena. Mangiò con il suo solito appetito e poi si scoprì stanca.
Pensò di svagarsi un po' con una partita a scacchi: la notte o la mattina avrebbero portato qualche idea per riuscire a svelare il mi- stero di Amedeo.
A Emma piaceva giocare a scacchi e si era registrata su un paio di piattaforme on line. Aveva imparato da sola a giocare, continuando con caparbietà e sfidando avversari sicuramente più capaci. Lei era ancora una principiante e succedeva che un giocatore le scrivesse stupito: “Che cosa fai? Che mossa è questa?”
Non lo sapeva: giocava per imparare e le sue mosse non erano canoniche. Da qualche tempo, alcune volte, riusciva anche a vincere una partita contro giocatori più esperti, forse grazie alla loro presupponenza che li portava a sottovalutare l'avversario. Emma era contenta quando vinceva: il gioco e le sfide le erano sempre piaciuti. Quella sera, sperava di incontrare un giocatore turco col quale da tempo combatteva duelli senza mai riuscire a sconfiggerlo, duelli che l'avversario evidentemente apprezzava, visto che accettava le sfide nonostante il basso punteggio di Emma nella classifica: forse lo divertivano le mosse ardite che lei escogitava per sperimentare.
Il turco non c'era ed Emma giocò un paio di partite che perse regolarmente. Non le importava: si era divertita.
Valutò se chiamare la figlia, ma lasciò perdere: era tardi e se Chiara le avesse chiesto qualcosa della sua amica, non avrebbe saputo cosa dire.
Meglio evitare.
Il pomeriggio dopo non doveva badare al nipote: era la giornata dedicata al Pilates. Avrebbe sentito Chiara il giorno successivo.
Si preparò per la notte e andò a letto: - Che piacere distendersi
dopo una giornata intensa! -
Inforcò gli occhiali, prese il libro e cercò di mettere a fuoco con l'unico occhio che utilizzava per leggere: - Forse è ora di cambiare le lenti. -
Il libro che l'intrigava era un giallo: amava i gialli, tutti.
Prediligeva quelli che raccontavano storie di ordinaria follia, casi imbevuti di vita quotidiana, gialli in cui si poteva davvero immedesimare, sostituirsi agli investigatori, dedurre le possibili soluzioni.
Lesse alcune pagine e spense la luce.

QUANTE SCOPERTE!

La mattina si svegliò, fece colazione e, mentre sorseggiava il suo doppio caffè, pensò a cosa fare. Decise che sarebbe andata a verificare presso la casa di Amedeo: forse avrebbe trovato il portinaio e avrebbe potuto chiedere informazioni.
Dopo una lunga doccia sotto l'acqua piacevolmente calda, che le sciolse qualche tensione, si vestì e valutò come raggiungere la casa di Amedeo. Vado in tram, non voglio essere legata alla bici... sorrise, immaginandosi incatenata alla bicicletta.
Prese il cinque e raggiunse con circospezione l'ingresso della casa: temeva che, per caso, il nonno di Amedeo fosse nei paraggi e potesse riconoscerla.
Il cancello era aperto, entrò e si avvicinò alla guardiola della portineria. Niente da fare, la vecchia signora aveva ragione: - Accidenti! Dov'è il portinaio? -
Attese una decina di minuti e poi si diresse alla scala C, terzo piano. Sul pianerottolo c'erano tre porte d'ingresso: una aveva la targhetta Stucchi, una porta non aveva indicazioni e sulla terza c'era scritto Varriale.
Suonò a quest'ultima e sentì una voce femminile: - Mo vengo! -
Una signora in là con gli anni, alquanto bassa e rotondetta, aprì la porta: - Buongiorno, che vvulite? -
- Buongiorno, cerco Amedeo Corrisi... un bambino che, mi hanno detto, abita qui. Lo conosce? Mi scusi, ma il portinaio non c'è e ho pensato di salire. Non vedo però la targhetta Corrisi sulle porte. -
- Cca nun ce sta nisciuno ca se chiamma accussì... Corrisi. Ma sì, ce sta Amedeo, sta cu ‘o nonno - la donna indicò la porta con la targhetta Stucchi.
- Ah, grazie! Senta, mi scusi la curiosità, ma... da quanti anni Amedeo vive col nonno? -
- E ppecché ‘o vvulite sapé? -
- No, così. Sa, mio nipote ha conosciuto Amedeo ai giardini, sono diventati amici... -
- E allora addimannatangello ‘o nonno! -
Emma irrigidì il collo e scosse la testa sgranando gli occhi: - Scusi? -
La signora sbuffò scocciata, indicò con lo sguardo e un lieve movimento del mento la porta di fronte e chiuse l'uscio di casa senza dire altro.
Emma rimase ferma per qualche secondo e poi se ne andò. La signora non era di certo una chiacchierona come la vecchietta che aveva incontrato il giorno prima. Comunque, aveva avuto conferma che Amedeo viveva col signor Stucchi.
Forse, per età, il signor Carlo si faceva chiamare nonno e Amedeo, non essendo ancora capace di leggere, non sapeva che il “non no” di cognome faceva Stucchi.
Era una possibilità. Rimanevano ancora molte stranezze da chiarire.
Se Amedeo era figlio di nipoti, era possibile che i cognomi fossero diversi. Ma era plausibile che i veri nonni di Amedeo, tutti e quattro, fossero morti, come d'altronde i genitori? Forse, la signora Paola aveva avuto un figlio o una figlia prima di sposare Carlo.
Scese le scale e sbucò nel cortile: vide il portinaio nella guardiola.
- Non ci credo! Deve essere la mia giornata fortunata! -
Si diresse verso la portineria: - Mi scusi, ho bisogno di un'informazione per mia figlia, che lavora e non può venire. Sa, mio nipote ha conosciuto ai giardinetti un bambino di nome Amedeo che abita qui. I bambini hanno fatto amicizia e Amedeo ha regalato a mio nipote un suo giocattolo. Mia figlia vorrebbe ricambiare la genti- lezza, fargli un regalo a sorpresa, ma non sa quanti anni abbia. La baby-sitter, che lo accompagna ai giardini, non ha saputo dirglielo. Lei sa quanti anni ha Amedeo? Mi aiuterebbe a scegliere il regalo. -
- Amedeo? Ha cinque anni, anche se a me sembra più grande. È un bambino molto intelligente, ma un po' solo. Da quando è arrivato, circa due anni fa, il signor Carlo non riceve più nessuna visita. -
- Ah, proprio soli - gli occhi di Emma si intristirono.
- Beh, non che prima ricevesse molte visite, ma, almeno la sorella, che è una zitella più vecchia di qualche anno, veniva a trovarlo qualche volta. Mah! Forse è morta come la signora Paola. Poverina la signora Paola, senza figli e senza fratelli. Quando si è ammalata c'era solo il signor Carlo a curarla, con l'aiuto di qualche amica di lei. È stata dura - il portinaio scosse il capo e sospirò. - Ma, tornando al suo regalo... Amedeo ama la matematica: quando si ferma alla guardiola, gli piace molto se gli chiedo di fare calcoli ed è proprio
bravo. Ah, sì, gli piacciono anche i camion. Di più non so dirle. -
- Grazie, davvero grazie! È stato d'aiuto. Mi ha suggerito un'idea per il regalo. La saluto e, mi raccomando, non dica nulla ad Amedeo o gli rovineremmo la sorpresa! -
- Tranquilla, non dirò niente. Le sorprese non si rovinano. Arrivederla. -
Emma uscì dal caseggiato, era euforica: quante scoperte! Raggiunse con calma la fermata del tram: - Certo che il signor
Carlo e la signora Paola... proprio sfortunati. -
Doveva ancora chiamare la figlia e l'avrebbe fatto una volta arrivata a casa: non voleva telefonarle dal tram perché provava un insopportabile imbarazzo quando i passeggeri conversavano di faccende private e lei era costretta ad ascoltare.
Comprò un arancino per pranzo, lo riscaldò nel forno e preparò la tavola: anche se era sola, riteneva davvero una mancanza di rispetto verso se stessa mangiare senza concedersi un po' di bellezza e metteva sempre un fiore o una piccola pianta sulla tavola.
Quando ebbe pranzato e finito di sparecchiare, riprese il foglio con le domande che aveva iniziato a scrivere la sera prima.
Dunque... facciamo il punto con quello che abbiamo scoperto oggi.
“Amedeo vive con Carlo Stucchi da circa due anni; i signori Stucchi non hanno avuto figli; il signor Carlo aveva solo una sorella che non era sposata e quindi non aveva nipoti (forse è morta); la signora Paola non aveva fratelli e quindi nessun nipote; Carlo e Amedeo non ricevono mai visite.”
Mhmm... veramente strano. Chi è Amedeo? Perché Carlo lo fa vivere in una sorta di isolamento? Se non è nipote, da dove arriva? Perché vive con Carlo? Si chiamerà davvero Corrisi? I suoi genitori sono davvero morti? Mah! Ancora troppe domande senza risposta.
Squillò il telefono:
- Ciao, Emma. -
- Ciao, Antonia, come stai? -
- Bene, dai. Vieni a Pilates? -
- Certo! Lo sai che non manco mai. Con la nostra età è fondamentale mantenersi attive. -
- Già. Proprio questa settimana ho dei forti dolori a una spalla
che mi limitano nei movimenti. Anche vestirmi, infilarmi un maglione... mi provoca delle fitte. Senti, ti va di andare insieme in
palestra? Ci potremmo incontrare alla fermata della metro e bere un caffè prima del Pilates. -
- Sì, volentieri! Così mi racconti le ultime e io ti devo parlare di un mistero. Ci vediamo alle sedici, ti va bene? -
- Un mistero? Emma, in che casini ti sei infilata? Mhmm, mi incuriosisci e mi preoccupi. D'accordo, ci vediamo alle quattro nel solito posto. Ciao. -
- Ti racconto tutto quando ci vediamo. A dopo, ciao. -
Antonia era un'amica di vecchia data: lei ed Emma si conoscevano da quando erano ragazze e avevano i medesimi ideali.
In gioventù, si erano attivamente impegnate in politica, nello stesso collettivo, e avevano partecipato a tutte le battaglie femministe. Emma non aveva segreti con lei e Antonia era un punto di riferimento: sapeva consigliarla, trattenerla nei suoi eccessi e regalarle affetto. Antonia era una donna intelligente e capace di un'ironia caustica: con lei Emma si divertiva sempre.
Preparò il necessario per il Pilates e chiamò la figlia: - Ciao, Chiara. -
- Ciao mamma, tutto bene? -
- Sì, tu? Sei con Stefano ai giardini? -
- Sì, e... non indovineresti mai. C'è quel bambino di cui mi avevi inviato la foto l'altro giorno, Amedeo. -
- No, davvero? Ma aveva detto che cambiavano sempre luogo dove andare a giocare. -
- Questo io non lo so, ma il nonno, quando sono arrivati, si è avvicinato e mi ha chiesto di te. Gli ho detto che oggi avevi la palestra, ma che ci saresti sicuramente stata domani. -
- Ah. E non ti ha detto altro? -
- No, cosa doveva dirmi? Mamma... sento un tono preoccupato. C'è qualcosa che non va? -
- No, no. Niente. Così, chiedevo - mentì Emma cercando di dissimulare la tensione.
- Mamma, non prendermi per scema, ti conosco... c'è qualcosa sotto! -
- Senti, Chiara... non c'è niente. Ora devo andare a Pilates - Emma finse un tono forzatamente allegro. - Dai, ci sentiamo domani. Ciao! -
- Mhmm. Ciao. -

COS'È QUESTO MISTERO

- Allora, cos'è questo mistero? Sono curiosa! -
- Dai, andiamo al bar e ti racconto. -
Emma cominciò a narrare dell'incontro con Amedeo e della sua decisione di seguirlo a casa, ma non ebbe il tempo di finire: la lezione di Pilates le costrinse ad affrettarsi verso la palestra.
- Non mi puoi lasciare così. Voglio sapere tutto! Che ne dici se, dopo la lezione, andiamo a casa mia? Magari ti fermi a cena. -
- Va bene. Mi devi anche consigliare su cosa fare, sai che non potrei raccontare nulla a mia figlia. Parla tanto di riservatezza, lei, e poi siamo tutti sui social, nelle mani di chi tratta i dati come merce di scambio. -
Antonia trascorse l'ora di Pilates molto distratta dai pensieri che ripercorrevano il racconto di Emma.
Al termine della lezione, andarono insieme a casa mentre Emma rispondeva alle domande dell'amica delineando nei particolari i fatti accaduti e i dubbi emersi.
Proprio mentre Antonia apriva la porta di casa, Emma le disse che il vecchio aveva parlato con sua figlia: - Ti rendi conto? Ha chiesto di me! Comincio ad avere davvero paura e mi vengono pensieri drammatici su chi sia Amedeo e su che tipo di relazione possa avere con lui, il vecchio. -
Per alcuni istanti, Antonia rimase con la mano sulle chiavi infilate nella toppa.
Si girò, guardò l'amica e scosse la testa: - Non affrettiamo conclusioni. Entriamo e beviamo un tè: ne parliamo con calma. -
Antonia mise a bollire l'acqua e si sedettero in cucina.
- Secondo te, perché mi ha cercata? -
- Eh, forse la signora del suo piano gli ha raccontato che una donna aveva fatto domande su Amedeo. Avrà fatto una descrizione di te e lui ha capito che eri la nonna dei giardini. Forse anche il portinaio non ha mantenuto il segreto. Mhmm... tu, al suo posto, che avresti fatto? Vorrà sapere perché lo importuni, come ti permetti di andare a casa sua a fare domande. -

- Importuno? Mi sembra di sentire mia figlia... Io mi preoccupo per Amedeo! Va beh, lasciamo stare. Però devi ammettere che è strano. Tu che idea ti sei fatta? -
- Beh... strano è strano! Dalla foto che mi hai mostrato, pare anche a me che abbia più anni di quelli che dice di avere e l'isolamento nel quale il supposto nonno lo fa vivere non lascia immaginare nulla di buono. Poi, perché gli insegna tante cose, ma non a leggere? Mah. Hai già provato a cercare il nome del bambino in internet? -
- Il nome del bambino non porta risultati. C'è qualche omonimia, ma sono persone adulte che non vivono a Milano. Anche di Carlo Stucchi, che vive in quella via, non c'è traccia. Forse solo pochi vecchi si possono ancora permettere il lusso di non esistere sui social. Qualche volta invidio chi non è rintracciabile, chi non ha lasciato tracce e non ha bisogno di lasciarne. -
- Sì, come no! Tu non potresti mai vivere nel nulla: non hai l'animo da eremita. Hai bisogno di stare nel tumulto delle vite: la tua, è evidente, non ti basta e devi ficcare il naso in quelle degli altri! Senti, piuttosto, hai controllato se, più o meno due anni fa, c'è stato un incidente che ha visto la morte dei coniugi Corrisi? -
- Chi è che ficca il naso? - Emma rise. - Comunque, questo non l'ho ancora verificato. -
- Dai, allora! Mentre tu versi il tè, io accendo il computer. -

***

- Proviamo a digitare “Coniugi Corrisi” e mettiamo anche l'anno. Vediamo. Mhmm... niente! -
- Prova a scrivere “moglie e marito morti a Milano”. -
Antonia inserì i termini: - No, non c'è alcun risultato che riguardi i Corrisi. -
- Tentiamo con “deceduti Milano”, “mortale incidente” e “scontro mortale”. La vecchietta ha detto che i nipoti di Carlo sono morti in un incidente, ci dev'essere qualcosa - suggerì Emma.
- Accidenti, non c'è nulla. E se fossero una coppia non sposata? - ipotizzò Antonia, che, dopo la ricerca, sospirò: - No, anche con “coppia deceduta” non risulta. Forse non sono morti nell'incidente, ma dopo e può essere che non siano di Milano. -
- È una possibilità. Tenta con “grave incidente stradale” o “tragico

schianto” e metti l'anno. Chissà se Amedeo era con loro in auto. - Antonia scorse con pazienza tutti i siti sul motore di ricerca.
- Anche aprendo “Ricerche correlate” non si trova alcun accenno. Ormai, dopo tutte le pagine che abbiamo visualizzato, potremmo scrivere noi stesse i titoli della cronaca locale - sorrise Antonia guardando la sua amica.
- Beh, ci abbiamo provato. Cos'altro potremmo fare per verificare? L'ipotesi che Amedeo Corrisi non sia il vero nome non ci aiuta per- ché non sapremmo da dove partire - Emma sospirò delusa.
- Siamo un disastro come Miss Marple improvvisate. Dai! Andiamo a preparare la cena - e Antonia spense il computer.
- Una semplice pasta con pomodoro e basilico? - propose mentre si recavano in cucina.
- Benissimo! Hai del peperoncino? Sai che amo il piccante. -
- Certo! Ho preparato un olio al peperoncino che ti farà piangere. -

***

Cenarono e poi si concessero uno squisito limoncello che un'amica comune preparava in casa.
- Senti, domani verrò anch'io ai giardini - Antonia appoggiò con decisione il bicchierino del liquore e assunse un tono che non ammetteva obiezioni: - Non sappiamo che tipo sia questo Carlo, magari è matto. Che ne so... violento. Non puoi rischiare di trovarti da sola con lui. È vero che sarai in un luogo aperto, un giardino pubblico, ma hai anche la responsabilità di Stefano. Non possiamo rischiare. Vengo con te: andiamo insieme a prendere Stefano alla scuola materna e poi ci sistemiamo ai giardini sulla panchina più vicina all'uscita. -
- Penso sia la cosa migliore da fare - Emma assentì col capo.
- In effetti ho un po' di paura. Ti ringrazio, sei un'amica. -
- Ma lascia stare. Piuttosto, hai uno spray antiaggressione? -
- No, io no. Uno spray antiaggressione? Tu ce l'hai? -
- No, ma ho un profumo che se ti va negli occhi brucia da morire! Domani lo porto. Oh, così eh, giusto per precauzione. Non facciamoci prendere da ansie eccessive. -
- Parli tu che hai pensato allo spray - rise Emma.
- Va beh, tu sei un'incosciente. A che ora ci vediamo domani? -

- Io devo essere alla scuola materna per le tredici e trenta. Vuoi che ci vediamo prima o davanti alla scuola? -
- No, va bene all'entrata della scuola. -
- D'accordo. Ora è tardi, è meglio che vada a casa. Grazie per la cena e per l'aiuto. -
- Eh, sai che fatica! Una pasta al pomodoro. - Antonia accompagnò Emma alla porta.
- Buonanotte. E non pensarci troppo! -
- Facile a dirsi. Mi conosci, passerò la notte a rigirarmi nel letto immaginando ogni possibile variante dell'incontro di domani. Buonanotte, Emma. -

FORSE È ARRIVATO IL TEMPO

Il giorno successivo, all'ora stabilita, Emma e Antonia si incontrarono davanti all'entrata della scuola materna; Emma salì a prendere Stefano e l'amica attese all'ingresso con lo sguardo rivolto ai giardini: era curiosa di conoscere l'aspetto di Carlo.
Quando nonna e nipote scesero, Antonia salutò Stefano e insieme si diressero all'altro lato della via. Si sedettero sulla panchina di fianco all'entrata dei giardinetti e Stefano raccontò come si era divertito il giorno prima con Amedeo: - Speriamo che venga anche oggi! -
Le due amiche si guardarono: - Penso proprio che verrà - Antonia fece l'occhiolino a Stefano; Emma alzò gli occhi al cielo.
Dopo meno di dieci minuti, Amedeo entrò di corsa nei giardini, salutò Emma con la mano e andò da Stefano. Pochi secondi dopo, Carlo giunse con passo lento, ma deciso e si fermò davanti alle amiche:
- Buongiorno. Signora Emma, vedo che oggi non è sola. -
- Buongiorno. - Emma strinse una mano di Antonia che rispose alla stretta e fece al vecchio un sorriso teso di circostanza, subito cancellato da uno sguardo accigliato.
Squadrò il vecchio cercando di cogliere qualche indizio che potesse prevederne le intenzioni. Notò che il portamento di Carlo, retto e fiero, era in contrasto con la gracile persona: un uomo basso e molto magro, con una calvizie impietosa e un paio di occhialini rotondi che quasi nascondevano i docili occhi castani.
- Mhmm. Vedo che non sono ben accolto - Carlo abbassò un poco il mento e fissò gli occhi in quelli di Antonia, che sostenne lo sguardo.
Il vecchio si girò verso Emma: - Ma, da quanto mi hanno raccontato, è stata lei a venirmi a cercare... o sbaglio? -
- Come conosce il mio nome? - tentò di sviare Emma.
- Amedeo mi ha detto come si chiama. Con entusiasmo ha manifestato la sua simpatia per Stefano, la contentezza di aver conosciuto un amico che, come lui, ama tutto ciò che attiene alle costruzioni. Si è profuso nel raccontare i dettagli dei suoi giochi

con Stefano e ha chiesto con determinazione di tornare a giocare con lui. Forse è arrivato il tempo... Beh, lei ieri non c'era, volevo darle una cosa. -
Antonia afferrò il profumo che teneva nella borsa, pronta a usarlo, se necessario.
Il vecchio era cosciente della tensione delle due donne: - Stia tranquilla. Io non so cosa l'abbia spinta a interessarsi alle nostre vite, ma prima che lei possa fare congetture o esprimere giudizi vorrei che leggesse questo. -
Carlo diede a Emma un piccolo taccuino nero chiuso con un elastico rosso, fece un leggero inchino e andò a sedersi su di una panchina.
Emma tenne il quadernetto sospeso per qualche secondo, come se volesse restituirlo e si girò incredula verso Antonia:
- Mah? -
- Boh... - l'amica sollevò le spalle, allargò le braccia e scosse la testa. - Mi aspettavo delle urla, una piazzata o, che so, una minaccia di chiamare la polizia. Un taccuino? - Antonia guardò il vecchio che scriveva senza prestare loro alcuna attenzione.
- Che facciamo? - Emma era indecisa se aprire il piccolo quaderno o riporlo nella borsa, ma la curiosità fu più veloce del dubbio: tolse l'elastico e aprì il taccuino a una pagina centrale.
Una scrittura rotonda e grande abbastanza da poter essere letta anche da un miope riempiva la pagina in modo ordinato, senza cancellature.
Una data dava l'idea che fosse un diario.
Antonia afferrò un braccio a Emma e fu perentoria: - Mettilo via. Lo leggiamo dopo. Penso che, anche se non sembra, ci stia spiando. Quell'uomo sta aspettando le nostre reazioni. Non diamogli una soddisfazione, non facciamogli capire che siamo ansiose di sapere. -
Emma chiuse il taccuino e lo ripose nella borsa: - Hai visto che Amedeo non somiglia per nulla a Carlo? -
- Sì, Amedeo ha i capelli ricci, così biondi da sembrare bianchi, quasi come quelli di un albino, mentre Carlo doveva avere i capelli castani, a giudicare dalle sopracciglia. Tu hai notato cosa ti ha detto? - chiese Antonia.
- Notato cosa? Ero così tesa, mentre mi parlava, che non sono

sicura di ricordare... Perché? -
- Beh, ha detto, o meglio, si è quasi lasciato sfuggire “Forse è arrivato il tempo”. -
- Di fare cosa? -
- Chissà... potremmo capirlo leggendo il suo diario. -
Il tempo sembrava sospeso come spaventato da ciò che il futuro avrebbe potuto rivelare. Le due amiche non vedevano l'ora che arrivasse il momento in cui poter leggere quel misterioso taccuino.
- Antonia, tu hai pensato a una possibile storia di abuso? -
- Mi è sembrata veramente strana la solitudine in cui Carlo tiene il bambino, il continuo cambiare luogo dei giochi... Perché lo fa? Devo confessarti che il dubbio mi ha sfiorato, ma oggi, vedendo Amedeo, posso dire che mi sembra un bambino sereno, non pare vittima di abusi. Ho letto un paio di libri su casi di maltrattamenti. Il negare la realtà è indispensabile alla vittima per continuare a vivere... - Antonia si fermò a pensare per un momento e concluse:
- E quante volte anche noi, senza rendercene conto, dipingiamo la nostra esistenza come accettabile, ci raccontiamo una vita discosta dalla realtà pur di trovare forza per continuare. -
- Ognuno sopravvive come può! - Emma sorrise all'amica e, anche per distoglierla da pensieri tristi, riportò il discorso su Amedeo:
- Senti, hai presente il libro che mi avevi prestato tempo fa: Innamorarsi del proprio carnefice? Sai che, quando Amedeo mi ha detto: “Noi stiamo bene così”, riferendosi al fatto che nessuno andava a casa loro, ho pensato all'identificarsi col “Noi” contrapposto a “Loro” tipico della Sindrome di Stoccolma? -
Antonia si fermò a riflettere per alcuni secondi: - Mi è venuto in mente il film Un mondo perfetto di Clint Eastwood. L'abbiamo visto insieme. Il bambino del film era in una tipica ragnatela affettiva. Mah, non so... a me, comunque, Amedeo sembra un bambino felice. Forse stiamo esagerando. -
- Eh, anche a me non sembra ci sia dipendenza affettiva. In fin dei conti si è opposto al nonno per affermare i propri desideri, anche se solo per restare ai giardini a mangiare le pizzette con Stefano. Mah, fare le psicologhe da bigino non è che aiuti. Cara Antonia, forse dobbiamo smetterla di leggere gli stessi libri e andare al cinema insieme - e per un momento la tensione si sciolse in un sorriso di entrambe.

- Non riesco a distogliere il pensiero da questo taccuino nero. E se io andassi dal panettiere con la scusa della merenda e gli dessi una sbirciatina? - chiese Antonia.
Emma stava per dare la propria approvazione, quando vide il vecchio avvicinarsi.
Lui sorrise: - È quasi ora della merenda e vorrei rendere il favore fatto l'altro giorno. Se siete d'accordo, andrei a comprare le pizzette per tutti. Voi potreste occuparvi dei bambini? -
- C...certo. Ma non deve disturbarsi - balbettò Emma.
- Nessun disturbo. Ad Amedeo è piaciuto tantissimo fare merenda con voi e ha gustato con piacere le pizzette. Anche ieri le ha volute. Bene, allora io vado. -
- Grazie - bisbigliarono in coro le due amiche.
Antonia arrossì per l'intenzione avuta poco prima e che, sapeva per certo, avrebbero messo in atto appena il vecchio se ne fosse andato.
Carlo andò da Amedeo, gli disse qualcosa e gli accarezzò i capelli; si avviò verso l'uscita dei giardini e sparì dalla vista.
Emma estrasse il quadernetto dalla borsa, scambiò uno sguardo d'intesa con Antonia, che annuì, sorridendo complice.
Le due amiche si strinsero più vicine ed Emma aprì la prima pagina.
Quasi urlò e lasciò cadere d'istinto il quaderno: - Dio mio! Ma è sangue! -
Antonia si portò una mano sulla bocca socchiusa e scosse la testa incredula, prese un fazzoletto di carta dalla borsa e raccolse il libricino: - Ma no, non può essere. -
Con precauzione, aprì di nuovo la prima pagina: - Eh, sì, sembra proprio sangue. -
Usò il fazzolettino e sfogliò alcuni fogli bianchi macchiati di sangue rappreso fino a giungere alla prima pagina scritta.
Guardò l'amica e iniziò a leggere a voce alta.

Martedì, 4 giugno Paola!
Perché? Perché tu? Perché lasciarmi sopravvivere?

Sono uscito dall'ospedale.
Non potevo credere: tu non c'eri più. Sono tornato a casa stordito.
Quando ho chiuso la porta d'ingresso, nel silenzio e nell'assenza di te, ho pianto. Poi un solo pensiero: il tuo nome. Paola...
Il dolore misto alla rabbia.
Ho sillabato più e più volte il tuo nome col mio pugno contro la parete fino
a sanguinare. Volevo tenerti qui, in questa casa, con me. Avessi potuto urlare!
Il dolore implodeva muto.
Paola. Avessi potuto urlare sarebbe stato un urlo così forte da far crollare le colonne d'Ercole e il mondo intero.
Un mondo che non ha più senso esista.


Antonia guardò Emma e chiuse di scatto il quaderno: intravide, dietro l'amica, che Carlo stava rientrando nei giardini.


***

















2° Racconto: Mistero a porta Venezia

SAI, CI VUOLE PIÙ CORAGGIO SE NON HAI I SUPERPOTERI

Emma e suo nipote Stefano, di cinque anni, uscirono dalla scuola materna.
- Andiamo ai giochi? - propose la nonna.
- Prima voglio stare un po' vicino alla fontana, poi andiamo ai giochi. -
Attraversarono la strada, passarono davanti ai giardini dedicati a Falcone e Borsellino e Stefano si fermò: - Nonna, perché hanno messo dei fiori davanti alle foto? È una tomba? -
- No, tesoro. Non è una tomba. Loro non sono qui. Le foto e i fiori sono per ricordare questi due uomini, due eroi. -
- Due eroi come Superman? -
- No, non come Superman. Due eroi veri, senza superpoteri. Sai, ci vuole più coraggio se non hai i superpoteri e non ti nascondi dietro a una maschera. Loro hanno combattuto contro la mafia. -
- La mafia? Ma cosa ha fatto? -
Emma sorrise. Come gli spiego cos'è la mafia?
Accarezzò i capelli a suo nipote: - Eh, la mafia fa solo i propri interessi e non si preoccupa del bene degli altri. -
- Come Giorgio? Lui prende sempre i giochi di tutti e dice che sono suoi. Poi li rompe e non gli importa. -
- No, la mafia è più cattiva, ma è troppo complicato... Capirai quando sarai più grande. -
Stefano fece spallucce e andò saltellando verso la fontana.
Emma si sedette, osservò il nipote correre intorno alla grande vasca e fermarsi di fronte a una ragazza che si stava smaltando le unghie, seduta sulla spalliera di una panchina, proprio di fronte al vaso di agave, in marmo e bronzo, al centro della fontana.
- Tu sei come la mafia? - chiese Stefano fissando la ragazza, il capo leggermente piegato di lato.
La ragazza irrigidì il busto: - Piccolo, che cosa dici? -

- Lo sai che non si mettono i piedi sulla panchina? Non è tua.
Così la rovini. -
La giovane chiuse la boccetta di smalto viola, attenta a non rovi- nare il lavoro appena fatto e agitò la mano per far asciugare il colore; guardò le unghie, alzò un sopracciglio e fissò Stefano: - Senti, perché non te ne vai? -
- Io combatto i cattivi che fanno le cose sbagliate - Stefano non si lasciò intimidire dal tono duro della ragazza; corrucciò il viso, strinse i pugni e si posizionò come Superman in partenza per un volo: un braccio ripiegato, stretto al lato del corpo, e l'altro steso verso l'alto.
La ragazza sgranò gli occhi, stupita dal bambino che restava lì, fermo in quella posa, a sfidarla. Si riscosse e, con la mano, fece a Stefano un chiaro invito ad andarsene.
Dalla panchina, Emma sorrise vedendo il nipote fare il gesto del suo supereroe preferito, gli scattò una foto col cellulare e la inviò a sua figlia Chiara, che era al lavoro.
‘Guarda Stefano, che fa Superman davanti a questa ragazza!' ‘Oh, no! Mamma, lo sai che quando fa così combatte i cattivi.
Dai, vai a vedere.'
Emma inviò un'emoticon ridente e aggiunse: ‘Meno male che qualcosa da me ha imparato. Vado.'
La nonna ripose il cellulare e si avvicinò al nipote: - Allora, Stefano, che c'è? -
- Lei è come Giorgio. Rovina le cose che non sono sue. -
La ragazza, in evidente imbarazzo, sbuffò: - Signora, perché non porta via il moccioso? -
- Il moccioso ha ragione. Lei tolga i piedi dalla panchina e sia più educata. -
La giovane saltò dalla panchina, si picchiettò una tempia con l'indice e sibilò: - Ma fatti i cazzi tuoi. -
Fece pochi passi e si girò verso Emma mostrandole il dorso della mano con le due dita a formare una V.
- Perché ha fatto il segno di vittoria? - Stefano abbandonò il sorriso di soddisfazione che aveva sul viso da quando la nonna era intervenuta.
- Mhmm, non penso sia un segno di vittoria, non ha senso. Sarà il gesto preso da una di quelle emoticon che si usano sui cellulari.

Delle volte sbaglio a capire le faccine che mi manda tua madre, sono vecchia. Mah, sediamoci e controlliamo il significato. Che ne dici? -
Stefano rise, annuì e andò di corsa a sistemarsi su una panchina. Emma lo raggiunse: - Proviamo a cercare questo segno di vittoria in internet. - Mentre la nonna digitava e Stefano osservava incuriosito, Chiara telefonò: - Allora, mamma, tutto bene? -
- Stefano ce l'aveva con una ragazza. Oh, ma che maleducata! Era seduta coi piedi appoggiati sulla panchina. Degli anfibi neri... Le ho chiesto di toglierli e mi ha detto di farmi i fatti miei. Quando se ne è andata, ha fatto un segno con la mano, una V, ma non mi sembrava avesse senso, dico, il segno della vittoria. Tu, che conosci tutte le emoticon, sai cosa significa? -
- Il segno della vittoria? Ma il dorso della mano era verso di te? -
- Sì, perché? -
Chiara rise: - Ma mamma, in alcuni paesi significa ‘Vaffanculo'. -
Emma cercò con lo sguardo la ragazza: si era spostata di fronte all'ingresso del liceo, proprio di lato alla scuola materna di Stefano, ed era intenta a guardare il cellulare.
- Ah! Davvero? Ma tu guarda che stronza. -

DORMIREMO INSIEME, ABBRACCIATI IN UN UNICO SOGNO

‘Dove sei?'
‘Quasi arrivato.'
‘OK. Muoviti.'
Dopo alcuni minuti, un giovane le cinse la vita da dietro e le sfiorò il collo con le labbra. Lei si girò, con il cellulare ancora in mano, e lo abbracciò. Si scambiarono un lungo bacio.
- Andiamocene - propose lei con tono brusco.
- Ma che hai? Sembri nervosa. Sei sempre decisa o ci vuoi ripensare? -
- Quella vecchia e il nipote cretino mi hanno fatto girare le palle - indicò la panchina sulla quale erano seduti Emma e Stefano.
Il ragazzo guardò in quella direzione: vide il bambino alzarsi e dirigersi verso la fontana mentre la donna continuava a fissarli. La osservò: capelli corti, castani, e un giubbotto nero che gli sembrava un ‘chiodo' di pelle, jeans e scarpe del tennis. Si girò verso la ragazza: - Non mi sembra tanto vecchia. Dai, andiamo - e le prese la mano.
Si incamminarono, lui le pose un braccio sulle spalle, la strinse a sé e sfiorò appena un capezzolo, turgido sotto la maglietta.
- È lontana casa tua? -
- No, saranno duecento metri, verso la Stazione Centrale - le sussurrò il ragazzo stuzzicando con la lingua il piercing che lei aveva sull'orecchio.
Un brivido le corse dietro la nuca e gli si strinse più vicina.

***

Entrarono nell'appartamento, all'ultimo piano: un ampio salone si affacciava su una terrazza semicoperta, arredata con piante rampicanti e fiori. Lei si guardò intorno stupita: - Wow! Che bella casa. - Andò decisa in terrazza; la vista spaziava sui tetti e dovette schermare il viso con la mano per ammirare lo scenario. Chiuse

le palpebre e assaporò il calore del sole per alcuni istanti. Si girò quando sentì la mano del ragazzo poggiarsi sul fianco; lo guardò di sbieco, si scostò lievemente e lo schernì con tono aspro: - Però! Non ti facevo così ricco. -
Lui staccò la mano e si irrigidì: - Emi, che cazzo dici? Ricco? Questa è la casa di mio padre. Ce l'ha lasciata quando se ne è andato a vivere con la sua amante. È architetto e non fa certo la fame, ma mia madre lavora come psicologa alla ASL e si fa il culo. -
- Calmino, eh! Sei sensibile all'argomento? -
- Non sono ricco. Punto. -
- Tommaso, guarda, se tu vivessi, come me, in un bilocale con tua madre e un fratello, forse avresti un'idea diversa di ricchezza. E se tua madre faticasse a tirare la fine del mese con l'ex marito che non le versa l'assegno di mantenimento, forse... -
- Dai, lasciamo stare ‘sti discorsi. - Le porse la mano aperta e le sorrise: - Andiamo di là. Ho preparato una cannetta e qualcosa da bere. -
Rientrarono nel salone. Tommaso accostò le persiane e creò una soffusa penombra; prese un bouquet di fiori viola appoggiato sul grande tavolo in cristallo e glielo porse.
- Oh! - Emi spalancò gli occhi - No, dai, per me? Ma dove cavolo li hai trovati? -
- Ti piacciono? -
- Sono bellissimi! Sai che adoro il viola... e che profumo. Grazie! - lo abbracciò con impeto e poi si rannicchiò teneramente tra le sue braccia forti. Lui le diede un bacio sulla fronte e le accarezzò i capelli tinti col suo colore preferito: - Sei la mia fata Turchina. -
- La tua fata Turchina è un po' nervosa. -
- Emi, abbiamo tutto il tempo che vuoi. Mia madre starà fuori fino a domani. Se cambi idea, non importa. Lo facciamo se... -
- Ma io lo voglio! Sono solo un po' tesa. -
- Rilassiamoci e se ci viene voglia... bene, altrimenti, quando vuoi, ti riaccompagno a casa. -
- Ho detto a mia madre che avrei dormito da Sara e sarei rientrata
domani, dopo la scuola. -
- Allora dormiremo insieme, abbracciati. -

PER ME NON È METTERCI IL NASO, MA IL CUORE!

La mattina, Emma stava preparando la borsa per la palestra; il martedì e il giovedì non doveva andare a prendere Stefano e, nel pomeriggio, avrebbe fatto l'amata attività di Pilates con Antonia, l'amica di una vita. Ascoltava la sua stazione radio preferita, Radio Popolare, cui era abbonata da quando era giovane, molti decenni prima.
Il giornale radio del mattino era in onda: - A Milano, in zona Porta Venezia, è stato rinvenuto il corpo di una ragazza. -
Emma si bloccò, si avvicinò alla radio e alzò il volume: - L'adolescente è stata ritrovata morta, stamattina all'alba, sull'erba ai lati di viale Vittorio Veneto, proprio di fronte all'imbocco di via Settala. La giovane non è stata ancora identificata. Si procederà all'autopsia per determinare le cause del decesso. Prossimi aggiornamenti nell'edizione del giornale radio delle tredici e trenta. -
Ma... è la mia zona! Spense subito la radio, accese il computer per cercare la notizia e, su uno dei quotidiani che poteva leggere in internet, trovò un articolo di cronaca con una breve intervista a un passante, che si era avvicinato al luogo prima dell'arrivo della polizia e che aveva scattato la fotografia, riportata sul giornale, della giovane morta.
Non può essere! È la ragazza che ieri era ai giardini! Corrugò la fronte e tentennò il capo incredula.
Prese il cellulare e controllò la foto che aveva inviato alla figlia:
- Santo cielo, sembra proprio lei! È morta... e io le ho dato della stronza. Ma cosa le è successo? Povera piccola. -

***

Chiara sentì squillare il telefono e, quando vide che era sua madre, non rispose: c'erano un paio di clienti, interessate all'acquisto di alcuni capi, che richiedevano la sua attenzione.

Il cellulare suonò di nuovo per tre volte. Chiara si scusò con le signore, si appartò e rispose sottovoce: - Mamma, porca miseria, ora ho due clienti! Ti richiamo appena posso. -
Riagganciò senza dare la possibilità a Emma di parlare.
E che cavolo! Se ti chiamo e non rispondi lo so da sola che hai delle clienti! Ma, se insisto, c'è un motivo. Potrei avere bisogno, no? Se avessi un attacco cardiaco? Mi lasci morire per servire quelle stronze che vengono nella boutique ad acquistare capi firmati? Non possono aspettare un momento? Ah, ma poi glielo dico...
Emma appoggiò il cellulare sul tavolo con un gesto brusco. Noi a fare le file alle casse, ma loro, le signore... fece una linguaccia in direzione del telefono. Loro no, non possono aspettare un minuto, anche se non hanno nulla da fare nella vita.
Sorrise: si ricordò di quando, poco più che adolescente, nel negozio di sua madre, aveva mandato a quel paese una cliente ed era uscita lasciandola lì, allibita, da sola. Quel giorno, Emma si era detta che mai e poi mai avrebbe “servito” qualcuno.
- E ora, mia figlia... mah! - si rabbuiò.
Riprese il cellulare e osservò di nuovo la foto della ragazza.
A me sembra proprio lei... che faccio? Intanto mando a Chiara l'articolo con la foto.
Mezz'ora dopo Emma ricevette la telefonata della figlia: - Allora, mamma, che c'è? Perché mi hai mandato l'articolo? -
- Ma l'hai letto? -
- Gli ho dato una scorsa. -
- Hai visto la foto? Guarda che è la ragazza di cui ieri ti ho inviato la fotografia! La ragazza dei giardini. Quella contro cui combatteva tuo figlio. -
- Ma no, sei sicura? -
- Eh, volevo proprio una conferma da te. Poi stasera parliamo della tua disponibilità in caso io abbia urgente bisogno. -
- Mamma, non voglio litigare ancora con la storia del lavoro. Per favore. -
- Cara mia, devi assolutamente darti delle priorità. Ci sono cose più importanti... -
Chiara non la lasciò terminare: - Di quelle stronze. Lo so, quante volte me l'hai già detto? -
- Dai. Rimandiamo la discussione e guarda la foto. Chiamami

subito. -
- Va bene. -

***

- Mamma, sai che hai ragione? I capelli tinti di viola sulle punte sono poco comuni e, anche se il viso non si vede chiaramente, sembra la ragazza. I vestiti, messi in malo modo, sono i suoi. -
- Io sono convinta che sia lei. Ma ora che facciamo? -
- Che facciamo? Che cosa vuoi fare? -
- Come, cosa voglio fare? Bisogna fare qualcosa. Stanno cercando di identificarla e io l'ho vista ieri. Devo andare alla polizia. -
- Per dire cosa? Che era ai giardini a lottare contro Superman? Mamma, lascia stare. -
- Eh, no. Che cavolo! Io l'ho vista andare via con un ragazzo. Magari per gli inquirenti è importante. Pensa a sua madre. -
- Va bene. Ho capito che ti impiccerai. Cerca di lasciar fuori Stefano. -
- Impicciarsi? Secondo te, è meglio girare la testa dall'altra parte? Beh, farsi i fatti propri a volte ha un limite, sai? -
- Qualche volta è un pregio - rispose tagliente.
- Chiara, per me non è metterci il naso, ma il cuore! L'individualismo non è nelle mie corde... e nemmeno nelle tue, lo so. -
- Ah, almeno questo. -
- Dai, tu vuoi proteggere Stefano e anche me. Lo capisco, ma troppa protezione limita l'autonomia... lo sai, vero? Ti voglio bene. -
- Anch'io. Tanto. Fammi sapere. -
- Sì. Cerco di capire cosa devo fare. Telefono alla polizia. -

MA LA MADRE DI QUESTA RAGAZZINA DOV'È?
NON LA CERCA?

Emma chiamò il Commissariato di zona e, quando raccontò di aver scattato una foto alla giovane morta e di averla vista andare via con un ragazzo, l'agente la invitò a recarsi in sede il prima possibile. Lei giunse alla centrale di polizia poco dopo mezzogiorno e si avvicinò al vetro che la separava dall'agente all'ingresso: - Buongiorno, ho telefonato per quella ragazza che è stata trovata morta stamane... -
- Ah, sì signora - il giovane agente non la lasciò continuare e si alzò dalla sedia sporgendosi verso il microfono, - ho ricevuto io la chiamata e ho già avvisato la dirigente, che vuole parlare subito con lei. Entri. L'accompagno nel suo ufficio. -
- La dirigente? - Emma irrigidì il collo e gli rivolse un'occhiata interrogativa. Il giovane agente sorrise: - Sì, quello che una volta si chiamava commissario... ha presente Montalbano? -
- Ah, adesso si chiamano ‘dirigenti' anche in polizia. Mah! Entro di lì? Devo aspettare molto? - indicò la stanza adiacente affollata di persone in attesa.
- No, no. L'accompagno io - ribadì l'agente invitandola a entrare col gesto aperto della mano.
L'agente si affacciò all'ufficio della commissaria: - Dottoressa, ecco la signora che aveva telefonato per la ragazza morta. -
Lei, con un gesto, gli fece segno di farla entrare.
- Buongiorno, si accomodi - la dirigente indicò la sedia di fronte alla propria scrivania.
Emma rispose al saluto, si sedette sul bordo della sedia, si guardò in giro e osservò la commissaria che impilava dei fogli e li inseriva in un fascicolo.
- Allora, signora, lei conosce la ragazza? -
- Assolutamente no. Io non l'avevo mai vista. L'ho specificato chiaramente quando ho telefonato. Ieri, ai giardini di via Benedetto

Marcello, le ho scattato una fotografia insieme a mio nipote che si era fermato davanti a lei nella posa di Superman in partenza. Poi ho osservato la ragazza incontrare un giovane e andarsene via abbracciata a lui. Ho pensato che dovessi dirvelo, visto che, da quanto ho potuto ascoltare e leggere sui mezzi d'informazione, non si sa ancora chi sia e come sia morta. Magari è utile. Ci sono troppe donne uccise nel nostro paese. -
- Sì, una vera strage. Troppi femminicidi, anche se il termine non mi piace e li chiamerei omicidi. Comunque, per la ragazza, ha fatto benissimo a venire - la commissaria le sorrise rassicurante - non si preoccupi, per prima cosa mi faccia vedere la foto. -
Emma prese il cellulare, cercò la fotografia e gliela porse.
- Sembra proprio la giovane - confermò la dirigente annuendo e alzando il cellulare in direzione dell'ispettore seduto alla scrivania alle spalle di Emma. Lui si avvicinò e osservò la fotografia: - Se non è lei... è la sua gemella - tese le labbra e scambiò uno sguardo d'intesa con la commissaria che restituì il telefono a Emma e si alzò: - Ispettore, predisponga un verbale di sommarie informazioni; io chiamo la PM. -
Verbale di sommarie informazioni? si chiese Emma e si agitò sulla sedia.
La dottoressa notò il nervosismo: - Come si chiama? -
- Emma, Emma Cavalieri. -
- Bene, Emma... la vedo tesa, stia tranquilla. Ora lei darà le sue generalità all'ispettore che redigerà il verbale. Io devo informare la PM. Quando torno, mi espone, con calma, i fatti. -
Meno di dieci minuti dopo, la dirigente rientrò e si fece racconta- re nei dettagli l'incontro di Emma con la ragazza.
- Dal messaggio che ha inviato a sua figlia, possiamo stabilire con certezza dov'era la giovane all'ora dello scatto. Ora è molto importante che lei cerchi di descrivere il ragazzo. Sarebbe in grado di identificarlo? - chiese la commissaria.
- Non saprei. Era dall'altra parte della strada. Da lontano possiedo ancora un'ottima vista, ma identificarlo... non so - Emma scosse la testa e sollevò le spalle.
- Provi a descriverlo, è molto importante. Da dove è arrivato? L'aveva mai visto in zona? -
- Mhmm... no. Il ragazzo è arrivato dalla parte della caserma dei

vigili del fuoco e sono andati via insieme nella stessa direzione dalla quale lui era venuto. -
- Si concentri. Com'era? Alto, magro, di che colore aveva i capelli? -
- Aveva gli occhiali, una montatura sottile ed era più alto della ragazza. -
Emma prese le misure del proprio capo con una mano appoggiata sopra e l'altra a sfiorare il mento; staccò le mani, le osservò e le mostrò alla commissaria: - Sì, sì, sicuramente almeno così - confermò.
La dottoressa guardò l'ispettore: - Scriva che era più alto della ragazza di circa venticinque centimetri. -
Si rivolse a Emma: - Prego, continui. -
- Aveva spalle ben strutturate, forti. Non era magro-magro. Aveva una specie di chignon. Ha presente come portano i capelli molti ragazzi? Vogliono sembrare antichi guerrieri giapponesi. Mah, forse perché non hanno ideali per cui lottare. -
- Signora, lasci... -
Emma anticipò l'obiezione: - Devo attenermi ai fatti. -
La dirigente sorrise, invitandola a proseguire con un gesto della mano.
- Il colore dei capelli... - Emma spinse gli occhi in alto a cercare nella memoria - direi castani. -
- È sicura? -
- Beh, non erano biondi, ma nemmeno neri. -
- Signora, saprebbe ipotizzare l'età del ragazzo? -
- Assolutamente no. Non riesco proprio a capire quanti anni abbiano i ragazzi oggi. Sono adolescenti, ma sembrano più grandi. Quella giovane sembrava uno scricciolo, ma di certo, per come ha reagito alla mia osservazione, non era né timida né indifesa e
- mi spiace dirlo visto che è morta, e io continuo a pensare a sua madre - era maleducata. La mia impressione, ma non lo posso sottoscrivere... perché poi devo firmare vero? -
La dirigente annuì.
- Ecco, appunto. Dicevo che è solo una mia impressione, ma il ragazzo mi sembrava più grande. -
- Va bene, se non vuole sottoscriverlo, non lo metteremo nel verbale. Mi dica un'ultima cosa. Com'era vestito? -
- Come tutti i ragazzi: maglietta e jeans. La maglietta era bianca e

aveva una scritta sul davanti. Di più non so dirvi. -
- Ora rileggiamo il verbale e poi lo firma. Signora Emma, la sua testimonianza ci è utile. Adesso sappiamo dove si trovava la ragazza nel pomeriggio e sappiamo che era con un suo ipotetico fidanzato. Se le viene in mente qualcosa, non esiti a chiamarmi - la dirigente le porse un biglietto da visita. - Questo è il mio numero. -
- Sicuramente, dottoressa... - disse Emma mentre leggeva il nome
- Greta Certi. -
Quando ebbe firmato il verbale, Emma uscì.
La commissaria si abbandonò sulla sedia e guardò l'ispettore:
- Dobbiamo trovare il fidanzato della ragazza. La PM è d'accordo nell'accantonare l'ipotesi che sia stata abbandonata qui per depistare le indagini. Se si trovava in zona nel pomeriggio, è probabile che sia morta nel quartiere. Speriamo di identificarla al più presto in modo da interrogare la famiglia e i conoscenti. -

***

Mentre rincasava, Emma ricevette la telefonata di Antonia: - Allora? Sei uscita dal Commissariato? -
- Scusa, avevo silenziato il telefono e ho visto solo ora le tue chiamate. Ho appena finito. Mi hanno fatto molte domande sui particolari dell'incontro con la ragazza, sul suo fidanzato e ho dovuto firmare un verbale. Ero tesa, sai benissimo che non ho fiducia nelle forze dell'ordine e, da quando eravamo giovani, mi è sempre rimasta la paura di trovarmi di fronte a un poliziotto, è più forte di me. -
- Eh, come non diffidare? Le esperienze nelle manifestazioni dal Sessantotto in poi, i pestaggi, i morti, il G8 di Genova, per non parlare di Stefano Cucchi, Federico Aldrovrandi e molti altri... - Antonia cercò di sdrammatizzare: - Io sono tesa anche quando devo andare a fare denunce di furto o rinnovare il passaporto. -
- Beh, sai che la commissaria mi è piaciuta? Mi è sembrata gentile e professionale. -
- Ah, una donna? -
- Sì, e non era in divisa: aveva i jeans, come me, e un'ampia camicia bianca. Capelli ambrati, mossi e curati, orecchini con una pietra verde che s'intonava con gli occhi vivaci. Di certo non è come i

poliziotti descritti da Pasolini: “figli di poveri” che “vengono da subtopie, contadine o urbane che siano” ... -
Antonia l'anticipò: - “umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti”. Quella poesia fece discutere tantissimo all'epoca in cui fu pubblicata. Dio mio, mi sembrano secoli fa, ma i tempi sono cambiati e oggi le commissarie e i commissari sono laureati. Non che sia garanzia di alcunché, ma sicuramente non vengono più da “subtopie”. Lasciamo stare, dimmi della ragazza. È quella che hai fotografato? -
- Pare di sì, sembra proprio lei. -
- Cavolo! L'ennesima donna morta... speriamo non sia un femminicidio. -
- Eh, anch'io l'ho pensato e l'ho detto alla commissaria. -
- Qualche commento sessista? -
- No, dai... li ha definiti una strage. Te l'ho detto: la dottoressa Certi, così si chiama, mi è piaciuta. -
- Mhmm... sei sempre troppo istintiva, ma forse hai ragione e le donne potrebbero essere il cambiamento necessario nelle forze dell'ordine. Ma, dimmi, ora che succederà? -
- La commissaria mi ha dato il suo numero e mi ha detto di chiamarla se mi dovesse venire in mente qualunque particolare. Sai, mentre descrivevo il fidanzato, ho avuto la sensazione di averlo visto in precedenza. -
- Potresti averlo intravisto in quartiere. Gliel'hai detto? -
- No. È solo una vaga impressione. Se mi venisse in mente qualcosa, potrei sempre telefonare. -
- Certo, hai fatto bene. Povera ragazza. E non riesco a non pensare alla madre. Chiamami qualunque dubbio ti venga. Buona serata. -

***

- Pronto, mamma, tutto bene? È quasi sera e non mi hai fatto sapere nulla. Non è da te. -
- Scusa, ma mi hanno fatto correre in Commissariato per la mia testimonianza e ho dovuto raccontare tutto alla commissaria. Ho riletto e firmato il verbale e sono tornata da poco. Sai... ho un dubbio. -
- Quale dubbio? Mamma, non avrai esagerato facendo la Miss

Marple come tuo solito, vero? -
- Senti, sono stanca e non ho voglia di replicare al tuo pessimo senso dell'umorismo. -
- Dai, non essere permalosa, dimmi. -
- Ma niente. La dirigente ha detto che la mia testimonianza era utile per determinare dove si trovasse la ragazza nel pomeriggio. Mi hanno chiesto se avessi mai visto in zona il fidanzato e ho detto di no, ma più ci penso e più mi convinco di averlo già intravisto. Non sono sicura. -
- Ecco, se non sei sicura, lascia stare. Hai fatto quello che dovevi. -
- Mhmm, eppure... Beh, la commissaria mi ha dato il suo numero, l'ho già salvato. -
- Siamo a posto. Già ti vedo a setacciare il quartiere. -
- Chiara, lasciami in pace. Farò quello che ritengo giusto. Buonasera - riagganciò, quasi batté il cellulare sul tavolo.
Accese la radio e l'ascoltò distrattamente mentre preparava la cena.
Quando il GR mandò in onda un aggiornamento sulla ragazza, si fermò e si avvicinò all'apparecchio: - La procura di Milano ha aperto un fascicolo per omicidio riguardo alla morte della giovane. Al momento, l'indagine è a carico di ignoti. L'inchiesta sarà diretta dalla PM Alessandra Piccoli, che ha disposto l'autopsia. Ancora nessuna certezza sull'identità della ragazza: non ci sono denunce di scomparsa corrispondenti alla giovane rinvenuta morta all'alba di ieri e priva di documenti. -
Ma la madre di questa ragazzina dov'è? Non la cerca?

LO SO, LO SENTO... LE È SUCCESSO QUALCOSA

- Pronto? Sono la mamma di Emilia. C'è Sara? -
- Sono io. Buonasera, signora Anna - Sara strinse le spalle come a proteggersi da uno scapaccione. Cazzo! Avrà scoperto che non ha dormito da me?
- Sai qualcosa di Emilia? Non è ancora rientrata. Mi aveva detto che sarebbe tornata dopo la scuola. -
- Non so. Ci siamo salutate stamattina sotto casa, lei è andata a prendere l'autobus e io sono andata a scuola. Nel pomeriggio ho dovuto studiare per una verifica e non ci siamo ancora sentite - mentì Sara per mantenere fede agli accordi presi con Emilia.
- Ormai è ora di cena, dove cavolo è finita? Non risponde al cellulare. Sarà coi suoi amici balordi. Quando torna, mi sente! Questa casa non è un rifugio per sbandati. Prova a chiamarla tu, forse a te risponde. -
- Ok. La chiamo e le dico di tornare. -
- Ecco, brava, fammi questo favore. -
Sara chiuse la conversazione. Ora che faccio? Doveva chiamarmi per dirmi com'era andata e invece niente, nemmeno un messaggio. Non è da lei.
Provò più volte a comporre il suo numero, ma fu inutile e decise di richiamare Anna.
- Mi spiace, Emilia non risponde. Non so perché. -
- Dio mio... ora comincio davvero a preoccuparmi. -
La voce rotta della madre fece sorgere un forte senso di colpa a Sara che decise di non raccontare nulla: - Io continuo a provare. Se mi dovesse rispondere, le faccio sapere. Va bene? -
- Grazie. Mia figlia è una testa matta, ma non mi aveva mai lasciata senza notizie. Magari mi diceva solo che stava fuori, ma mi avvisava... - Anna si soffiò il naso. - È davvero la prima volta che mi fa andare in ansia. Sarà successo qualcosa? Hai qualche numero di telefono dei suoi amici? Puoi chiamare qualcuno del suo giro? -
- No, mi spiace. Emilia ha degli amici che non conosco. Nuovi

amici, nuovi compagni di scuola della zona dove vi siete trasferiti. Io non li frequento. -
- Tu sei sempre stata una brava bambina. Mia figlia è cambiata e i suoi nuovi amici... - Anna si voltò sentendo le chiavi girare nella serratura: - Sara, ti lascio, è rientrato Flavio. Mi raccomando, fammi sapere se riesci a parlarle. -
Gli occhi di Anna, fissi in quelli del figlio, erano aggrappati alla speranza, ma Flavio chiuse la porta scuotendo il capo: - Niente. Ho fatto il giro del quartiere e ho provato a chiedere ai suoi amici dei giardinetti, ma nessuno l'ha vista da un paio di giorni. Sara? -
La madre si portò le mani al viso e le lacrime si riaffacciarono prepotenti: - Sara l'ha lasciata stamattina e non riesce a parlare con lei. -
- Te l'ho già detto, il telefono è irraggiungibile. Non è da Emilia, ha sempre con sé la ricarica e non si stacca dal cellulare. Non lo spegnerebbe mai. Mamma... -
Flavio abbracciò la madre e le sussurrò: - Secondo me, dobbiamo chiamare la polizia. -
Anna singhiozzò rannicchiandosi tra le braccia del figlio, lo guardò e annuì. Lui le diede un bacio in fronte e slacciò le braccia: - Ho già controllato e, per le denunce, il Commissariato chiude tra poco. Telefono e poi sentiamo gli ospedali. -
Flavio compose il numero del Commissariato di zona.
La madre, seduta sul bordo di una sedia, si asciugava le lacrime.
- Buonasera, devo fare la denuncia della scomparsa di mia sorella. Ha 16 anni. -
- Lei è maggiorenne? -
- Sì, sì. Ho compiuto i diciannove. -
- È l'unico familiare? -
- No, c'è mia madre. È qui, davanti a me, ma è sconvolta. -
- Va bene, mi dica. Da quanto tempo è scomparsa? -
- Doveva rientrare oggi, dopo la scuola. Il telefono non è raggiungibile. -
- Ha un fidanzato? Può essere con lui o da qualche amica? Ha manifestato volontà di andarsene? -
- Senta, non sappiamo di fidanzati e ieri ha trascorso la notte dalla sua migliore amica, che l'ha lasciata questa mattina: è l'ultima persona che l'ha vista. Gli amici non sanno nulla. Emilia non ha

mai detto di volersene andare. Siamo angosciati. -
- Ora le chiederò i suoi dati e quelli di sua sorella. Mi dovrà descrivere la ragazza: peso, altezza, colore dei capelli, segni particolari, com'era vestita. Mi dovrà dire se assume farmaci, stupefacenti, alcol. Non deve tacere nulla. Mi darà elementi per parlare con i suoi amici. Ha capito? -
- Sì. -
- Bene. Domattina deve venire in Commissariato e presentare denuncia scritta. -
- Ma a cosa serve allora questa telefonata? -
- La segnalazione serve a far partire tempestivamente le ricerche. Trasmettiamo la segnalazione a tutte le Centrali e facciamo una verifica negli ospedali. Non perdiamo altro tempo. -
- Ha ragione, mi scusi. -
L'agente cominciò a raccogliere le informazioni, ma quando Flavio descrisse i capelli, il piercing e l'abbigliamento che aveva visto indossare alla sorella la mattina in cui era uscita, alzò lo sguardo al cielo. Ma porca miseria! Non hanno letto i giornali? È la ragazza trovata morta!
A Flavio, il silenzio fece pensare a un'interruzione di segnale:
- Pronto? Mi sente? -
- Sì. Ci sono... Può aspettare un momento in linea? -
- C'è qualche problema? -
- Attenda. - Il poliziotto si recò di corsa dall'ispettore di turno e gli raccontò.
- Informo la dottoressa Certi che si occupa delle indagini preliminari, se non è in ufficio la faccio chiamare sul cellulare - l'ispettore prese il telefono.
- Intanto, io che cosa dico a questo ragazzo? -
- Per ora non dirgli niente, non siamo sicuri. Anzi, avvisalo che arriverà una pattuglia: dobbiamo avere una foto della ragazza. Digli di andare, domani, al Commissariato che cura le indagini a fare la denuncia scritta. Ma che mondo di emme! Cavolo, era proprio giovane. -
L'agente annuì e tornò alla postazione: - Pronto? Eccomi. Prepari una fotografia recente di sua sorella. Le mandiamo una pattuglia a casa, per verificare. Domani si rechi al Commissariato di via Cadamosto numero quattro a fare la denuncia, chieda della
dottoressa Certi. -
- Ma... perché non posso venire da voi, al Commissariato di zona? Non capisco. -
- Senta, ora non posso spiegarle il perché. Abbiamo il suo indirizzo e numero di telefono. Prepari la fotografia per la pattuglia e attenda aggiornamenti - l'agente cercò di essere il più gentile possibile, ma il tono accorato lasciò Flavio dubbioso.
Chiuse la chiamata e guardò la madre: - Arriva una pattuglia a controllare una foto di Emilia. Devo averne una sul cellulare, di qualche settimana fa, quando siamo andati a fare un giro al parco. -
- Ma cosa ti hanno detto? -
- Hanno preso la segnalazione. Mamma... - con un nodo alla gola, distolse lo sguardo e fece scorrere velocemente le foto - telefonano agli ospedali e cercano Emilia. -
- Gli ospedali... - la madre, piangendo, si strinse le braccia sul busto e dondolò lenta sulla sedia: - Dio mio. Lo so, lo sento, le è successo qualcosa. -
Flavio l'abbracciò con forza, chiuse gli occhi e inspirò a fatica, le lacrime compresse in un peso che gli schiacciava il petto: - Speriamo sia in ospedale e non sia successo nulla di grave, ma è meglio se avvisi papà. -
- Quel disgraziato non mi risponde, lo sai. -
- Mamma, scrivigli un messaggio. Io vado da Maria e la avviso. - Flavio uscì sul ballatoio della casa di ringhiera e suonò alla vicina.
- Ciao, Flavio - il sorriso subito spento - Madonna santa, ma che hai? -
- Emilia non è tornata e abbiamo avvisato la polizia. Puoi venire dalla mamma? -
- Madonna mia. Spengo il sugo e vengo. Certo che vengo. Subito. - Maria rientrò in casa, uscì pochi secondi dopo e spinse Flavio, intento a guardare il cellulare nella speranza di ricevere qualche
messaggio.
- Vai, vai. -
- Maria, io devo fare delle cose. Puoi stare con la mamma? -
- Tu fai, fai. Con tua madre ci sto io. -
Entrarono in casa: - Maria! Emilia non è tornata, la polizia la cerca. -
- Eh, sai quante volte mio figlio mi ha fatto morire di crepacuore... -
- No, lo sento che le è successo qualcosa. Non è da lei non

avvisare. -
La vicina si sedette di fronte ad Anna, le prese le mani e si girò verso Flavio: - Ce l'hai un tranquillante? -
- Guarda tra le medicine in bagno. C'è sicuramente qualcosa. La mamma fatica a dormire. -
Maria si alzò e si avviò verso la piccola cucina: - Preparo una camomilla e poi cerco. -
Il citofono suonò e Flavio rispose.
- Buonasera, polizia. Siamo qui per la fotografia. -
- Senta, è meglio se scendo. Mia madre è troppo sconvolta. -

LO ODIO

La sera, Tommaso raggiunse il ristorante. I muscoli erano tesi e i crampi allo stomaco non gli davano pace. Suo padre, seduto a un tavolo, leggeva il menù.
Tommaso inspirò con forza e si avvicinò. Lo odio.
- Ah, eccoti. In ritardo, naturalmente - il tono maligno e compiaciuto fu accompagnato da un ghigno di scherno.
Tommaso si sedette. Stronzo! pensò.
Il padre appoggiò il menù sul tavolo con forzata lentezza: - Bene, vedo che hai tagliato quello stupido chignon, come ti avevo detto, ma non hai messo le lenti a contatto. -
- Non riesco a tenerle per tutto il giorno, mi danno fastidio. -
- Povero, gli danno fastidio... - lo provocò con un sorriso finto e derisorio.
Tommaso abbassò il viso; il padre si sporse sul tavolo e sibilò:
- Ti sei ficcato in questo casino e io sto tentando di tirartene fuori. Metti quelle cazzo di lenti a contatto! Me ne frego se ti danno fastidio. Pensa a quella vecchia dei giardini che ti ha visto baciare la tua fidanzatina del sottoproletariato urbano. -
- Buonasera, vi porto dell'acqua? Avete già scelto? - il cameriere sorrise guardando i due commensali.
- Buonasera - , il padre rispose senza voltarsi e chiese a Tommaso:
- Acqua? -
- Sì, naturale, grazie - annuì verso il giovane che attendeva risposta.
- Prenderò del vino, ma sceglierò dopo. Ci lasci decidere - e, senza degnare di alcuna attenzione il cameriere, il padre riprese il menù dal tavolo.
- Certo. Non c'è problema. Torno dopo. -
Tommaso sollevò le sopracciglia e tese le labbra a scusarsi per il padre; il cameriere fece un sorriso sghembo e se ne andò.
Spero ti sputi nel piatto! pensò Tommaso e scorse svogliatamente la lista: i profumi provenienti dalla cucina gli davano la nausea.
- Niente di speciale - il padre chiuse con decisione il menù
- comunque, io ho scelto. Tu? -
- Non ho voglia di nulla. -

- Oh... il piccolo è in crisi e inappetente. -
- Smettila. Tu non sei umano. -
- Smettila tu! Non fare l'adolescente. Hai appena compiuto diciotto anni, dovresti sapere cosa fare della tua vita, avere ambizioni! Invece ti scopi una sedicenne, le dai della droga e dell'alcol e ora ti piangi addosso. -
- Sei stato tu a non volere chiamare la polizia. Siamo in questo casino per colpa tua. -
- Ah, sarebbe colpa mia? Tu, con una minorenne morta e la droga in casa, avresti chiamato la polizia e ti saresti rovinato la vita. Che genio! E a me non hai pensato? No. Io ho in ballo un contratto da centinaia di migliaia di euro e tutto sarebbe saltato per una scopata. Già, ma chi se ne frega? Fai il sinistroide coi miei soldi. Tu e tua madre... -
- Lascia stare la mamma! Emi per me non era una scopata, l'unico che si fa scopate sei tu! - Vide avvicinarsi il cameriere, si sistemò sulla sedia e fece un cenno al padre.
Il cameriere fece accomodare nella saletta tre giovani chiassosi, si avvicinò al tavolo di Tommaso e del padre, prese le loro ordinazioni e si allontanò.
- Speravo di non avere orecchie indiscrete, ma forse è meglio così: questi fanno un casino tale... - il padre estrasse da una tasca un cellulare e glielo fece scivolare vicino. - Eccoti il nuovo cellulare. -
Il ragazzo gettò un'occhiata torva al telefono, ma non lo prese:
- Tutto questo è assurdo... la polizia può chiedere i tabulati, lo sai benissimo. E non mi hai dato nemmeno il tempo di salvare i miei contatti. -
Il padre si voltò a controllare che i ragazzi appena arrivati non stessero ascoltando; le loro risate lo rassicurarono: - Certo, perché, se ti arrestano, sai che te ne fai dei tuoi stracazzi di contatti. Sveglia. Mi confermi che hai cancellato le foto e tutte le comunicazioni con Emilia? Vero che non hai fatto stronzate? -
Tommaso si passò una mano sui capelli e strinse le dita nel punto in cui, fino al giorno prima, aveva avuto lo chignon: - Avevamo una chat segreta: Emi temeva che il fratello potesse controllare il suo cellulare. -
- Sì, come no. La polizia con un'indagine informatica potr... -
- No. - Il tono deciso fece ammutolire il padre.

Tommaso mantenne fisso lo sguardo nei suoi occhi increduli e beffardi: - La chat segreta usa una crittografia end-to-end. Non resta traccia sul server cloud e chi riceve non può salvare nulla sul cellulare o sul PC. I messaggi si autodistruggono, ma... - negò col capo più volte con lentezza e sospirò - la polizia risalirà comunque al numero di telefono e alla geolocalizzazione. -
- Sarà... - il padre ridusse in briciole il pezzetto di pane che aveva assaggiato. - Intanto il tuo cellulare e quello della tua fidanzata non esistono più. Il tuo smartphone era intestato a me, come questo. A noi serve tempo: sto cercando un buon avvocato, ma dimmi una cosa... -
Il cameriere si avvicinò e mostrò la bottiglia a entrambi: - Ecco il vino. -
Un sordo plop: - Assaggia lei? -
- Certo, è per me. -
Il cameriere sollevò di poco le labbra da un lato, attese e, al cenno di assenso del padre, versò il vino mentre Tommaso, con la mano, faceva intendere di non gradire.
Il padre sorseggiò il vino, schioccò la lingua e fece un cenno di assenso al cameriere, che se ne andò.
Tommaso trattenne il respiro e abbassò il capo tentando di nascondere la smorfia che accompagnava il pensiero. Sei solo un burino arricchito.
- Dovresti assaggiarlo. Costa, ma ne vale la pena - il padre alzò il calice in direzione del figlio: - Allora, i tuoi amici sapevano di te ed Emilia? Sai se lei aveva parlato di te a qualcuno? -
Attese qualche istante prima di rispondere: - Sicuramente ne ha parlato alla sua amica Sara, ma io e lei non ci siamo mai visti. Conosco... - gli occhi di Tommaso si velarono. - Conoscevo Emi da poco meno di un mese, ci siamo incontrati al parco. -
- Già. Chissà cosa cercavi al parco. -
Tommaso strinse i pugni e si sporse sul tavolo: - Adesso basta! - il tono basso e tagliente e i denti stretti. - Tu e i tuoi danarosi amici vi fate di... -
Il padre gli intimò di zittirsi con l'indice appoggiato alle labbra, le palpebre una fessura.

***

Il cameriere portò gli ordini e lanciò un veloce occhiolino a Tommaso, che abbassò il capo per non far vedere il sorriso.
Il padre mangiò con voracità, senza dire una parola. Tommaso lo guardò. Che schifo. Non ci sono i tuoi amici a guardarti... mangi come sei e accompagnò il pensiero con un'espressione di disgusto che il padre non notò.
Il ragazzo, dopo il primo boccone, non riuscì a continuare: lo stomaco chiuso e un senso di nausea gli impedivano di mangiare. Rigirò la forchetta nel piatto e si arrese.
Quando ebbe finito di cenare, il padre si rilassò sullo schienale e si sistemò il colletto alzato della polo: - Non mangi? Facile buttare i soldi degli altri. Già. -
- Lasciami stare. Possibile che davvero non capisci come mi sento? -
- Ascolta, te l'ho già detto. Davanti ai problemi devi prendere decisioni da uomo. In questo momento dobbiamo cercare di recuperare tempo. Non posso rischiare uno scandalo: a giorni firmerò il contratto e dobbiamo cercare di rimandare il più possibile il tuo e il mio coinvolgimento. Questa dovrebbe essere la tua unica preoccupazione. -
- Certo, comportarmi da uomo. Un uomo come te? -
Tommaso lasciò la forchetta con un movimento brusco, delle patate si sparsero sulla tovaglia, la posata cadde a terra e rimbalzò con rumori secchi richiamando l'attenzione dei ragazzi del tavolo accanto.
Il cameriere si avvicinò, Tommaso si scusò e il padre chiese il conto con due secche parole.
- Ho sentito tua madre oggi. Mi ha confermato che la donna ha pulito tutto e lei stessa ha gettato i tuoi indumenti e la biancheria in discarica. Ma mi devi rassicurare su una cosa... - il padre si fermò e abbassò la voce. - La tua fidanzatina prendeva la pillola o l'hai fatto col preservativo? L'avvocato mi chiederà di sicuro se ci sono tracce che possono ricondurre a te. -
- A me arriveranno comunque - Tommaso si passò le mani sul viso e le premette contro le orecchie. - Dovrei andare alla polizia. -
- Non dire e non fare cazzate! - si girò intorno e riabbassò il tono.
- Dovranno dimostrare qualcosa. Il cellulare della tua fidanzata risulterà in giro ai Bastioni mentre tua madre potrà testimoniare che

tu eri a casa. Chissà chi potrebbe aver incontrato la tua fidanzatina... È pieno di extracomunitari e drogati. Io e tua madre stiamo facendo il possibile per proteggerti. Tu cerca di stare calmo e comportati normalmente. Ora rispondi alla domanda. -
Tommaso chiuse le palpebre, stette in silenzio per alcuni secondi, inghiottì a fatica e si alzò. Si avvicinò al padre e gli sibilò: - Preservativo. -
Lasciò il ristorante senza aggiungere altro.
Fatti pochi passi, sentì un dolore dietro lo sterno, un peso che lo schiacciava.
Avrebbe voluto urlare, ma serrò i denti fino a sentire la pressione alle tempie. Tese con forza le dita delle mani e contrasse tutti i muscoli insaccando il collo. Liberò la rabbia: con un calcio fece quasi cadere un cestino dei rifiuti.
A quello stronzo non gliene frega niente di come mi sento, pensa solo al suo cazzo di contratto. E io? Sono come lui, penso solo a me.
Sfregò le mani sudate sui pantaloni e si avviò verso casa, poco distante dal ristorante.
Le immagini della notte si accavallarono nella mente e il cuore cominciò ad accelerare, pulsando in gola; faticava a respirare e si dovette fermare: un senso di vertigine lo obbligò ad appoggiarsi a un muro.
La paura di rivivere una crisi di panico, come la notte precedente, amplificò la sensazione di soffocare, di morire.
Dovette aspettare alcuni minuti prima di riacquistare l'equilibrio e poter tornare a respirare senza sentire fame d'aria. Si guardò in- torno e riprese a camminare, piano, concentrato sulle proprie sensazioni, attento a controllare il respiro, il desiderio di raggiungere casa come un porto sicuro.
Camminò, la testa bassa, un passo dopo l'altro, un respiro dopo l'altro fino a che la paura si sciolse di nuovo in pensieri: Emi. Avrei dovuto chiamare la polizia, l'ambulanza, non la mamma. E lei non avrebbe dovuto telefonare allo stronzo. Sono un mezzo uomo. Sono un fallito.
Un sorriso amaro. Bravo, eh? Autocommiserarsi è il massimo... e mi
giustifico pure. Sono un coglione che non ha spina dorsale.
Un uomo, illuminato come un albero di Natale, gli venne incontro e gli mostrò qualcosa di brillante e colorato. Tommaso non capì neppure cosa fosse; scrollò la mano e la testa e cercò di passare
oltre, ma lui insistette: - Non ho venduto niente stasera. Per favore... un euro per mangiare. Un euro. -
L'uomo sorrideva; Tommaso lo guardò. Come può essere contento?
Cercò, senza pensare, nella tasca dei pantaloni ed estrasse il portafoglio. L'uomo inclinò il capo e aprì la mano, sempre sorridente:
- Un euro. -
Tommaso gli diede gli unici due euro che aveva come moneta e proseguì senza ascoltare i ringraziamenti. Avrà qualche anno più di me. Io sono nato dalla parte giusta del mondo, cosa mi manca?
Le lacrime, che fino a quel momento non avevano trovato la strada, si affacciarono e scesero copiose. Pianse fino all'uscio di casa.

***

La madre sentì il rumore delle chiavi e raggiunse il corridoio.
- Ha telefonato tuo padre, era molto arrabbiato... - Tommaso la superò senza rispondere, il capo chino.
- Che cos'hai? - lo seguì e l'afferrò per un braccio.
Lui si divincolò e andò in camera sua; non chiuse la porta e si sedette sul letto, le mani a coprire il volto e le lacrime.
Lei gli si mise di fianco e l'abbracciò: - Amore mio, che è successo? - Tommaso si accoccolò in quella stretta avvolgente e sussurrò:
- Mamma, mentre tornavo, mi è piombata addosso un'altra crisi di panico. Ho avuto paura della mia paura. -
- Tesoro, ho sperato che quello di ieri fosse un episodio isolato, dovuto alla situazione, ma se si è ripresentato, forse ti farebbe bene raccontare. -
Lo strinse forte e continuò: - Non abbiamo avuto il tempo di parlarne, ma gli attacchi di panico si nutrono anche della paura: più li temi e più tornano a tormentarti. Se impari a conoscerli li puoi gestire. Ti prego, prova a dirmi cosa hai provato. -
Tommaso inspirò profondamente per alcuni secondi, in silenzio; sua madre gli accarezzava i capelli e aspettava le sue parole.
- Avevo Emi tra le mie braccia. L'ho scossa, l'ho chiamata, ma lei non si è mossa, non ha risposto. -
Premette le mani sul viso e scrollò il capo; si asciugò le lacrime e

guardò i palmi: - Ho sentito un formicolio alle dita, il cuore ha cominciato a battere sempre più veloce. Sudavo e l'aria non riusciva a entrare nei polmoni: stavo soffocando! Mi scoppiava la testa e quello che vedevo mi sembrava confuso, irreale. -
Si strinse alla madre: - Ho avuto paura di impazzire e non riuscivo a respirare: ho provato terrore. Ho pensato che sarei morto. -
Nel silenzio che seguì si sentiva solo il suono del respiro forzato di Tommaso.
La madre attese.
Lui raddrizzò la schiena: - Morto come Emi, perché, nell'angoscia di soffocare, che mi impediva di pensare, potevo solo sentire una vocina stridula, accelerata, sempre più insopportabile che continuava a ronzare e a dirmi che Emi era morta. Mi sarei strappato la testa pur di zittirla! Mamma, volevo scappare. Sono solo riuscito a chiamarti. Ho chiesto aiuto per me. Non volevo morire! -
La madre prese le mani di Tommaso tra le sue: - Guardami. - Lui si girò, lo sguardo ancora pieno di paura.
- Amore mio, stasera hai rivissuto quello che ti è successo ieri. La situazione è molto stressante. Possiamo capire perché sia ricapitato con tempi così brevi, ma non possiamo sapere se o quando potrà sopraggiungere un altro attacco. Tommi, tu hai una mente scientifica. Sai benissimo che quando c'è il panico non ci sono pensieri razionali, ma, credimi, l'unico modo che hai è comprendere. -
Tommaso cominciò a inspirare con forza, mosse il capo a rifiuta- re quello che stava succedendo e fissò i palmi.
La madre gli prese con delicatezza il mento e lo fece girare:
- Guardami. Già ieri sera ti ho suggerito come modulare la respi- razione, non devi iperventilare. Dai, inspira per cinque secondi e trattieni per due secondi. -
Lo accompagnò come un'ostetrica in sala parto: - Bene. Espira contando di nuovo fino a cinque. Inspira... trattieni... espira. -
Il figlio si lasciò guidare con fiducia.
- Ecco, vedi? L'organismo, di fronte a una situazione di allarme, rilascia una scarica di adrenalina perché si prepara a lottare o fuggire. L'iperventilazione genera uno squilibrio dell'anidride carbonica e un aumento della pressione sanguigna. Pensaci: tutti i sintomi che hai descritto li puoi ricondurre a questo, lo sai. -

- Certo, lo so, ma non mi aiuta a evitare un altro attacco. -
- No. Ti aiuta a essere cosciente che non ne morirai, ti aiuta a
individuare i sintomi, a cercare di controllare la respirazione e a diminuire la durata dell'attacco. Hai visto? La prima volta è stato difficile e ti è sembrato infinito, ma stasera è durato meno, vero? Hai controllato meglio il respiro e l'hai superato più in fretta. -
- Ma la paura c'era. Non ho potuto evitarla. -
- Ci vorrà tempo. Ora non ne abbiamo. Ti porto un ansiolitico. Domani non andrai a scuola e io starò con te. Ne parliamo con calma domani. -

Sonia Brioschi

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