Il video.
Il turno di notte è il momento migliore per guardare quel video. Anzi, è diventata una sorta di abitudine. Quasi un bisogno perverso. E così torno ancora a immergermi in quel fascicolo, così piccolo e allo stesso tempo così dannatamente oscuro, anche se in fondo so di essere ormai l'unico a pensarlo. E come sempre va a finire che prendo il dvd, clicco sul tasto play e avvicino il viso al monitor per cercare qualche altro dettaglio. Un sorso al bicchierino di caffè. Sbagliato. È l'unico aggettivo adatto a descrivere il video. Niente di quello che passa sullo schermo ha senso. È fin troppo evidente che in quelle riprese ci sia qualcosa di tremendamente sbagliato. Ne sono convinto. Così come sono convinto che prima o poi capirò cosa diavolo non quadra in tutta quella storia. Ma come hanno potuto tutti gli altri non vederlo? Sbagliato. Ogni volta la stessa identica sequenza di immagini. La telecamera, collocata nell'angolo in alto della parete, riprende la stanza dal lato destro rispetto all'uomo paralizzato a letto. Un dispositivo di quelli casalinghi ma dalla resa video notevole. Roberta Milani è seduta sulla poltrona ai piedi del letto ed è intenta in una conversazione. Nessun altro nella stanza a parte loro. L'ennesima imprecazione. E le solite domande. Con chi diavolo stava parlando la Milani prima che entrasse quel folle? Anche senza l'audio si poteva osservare l'infermiera che gesticolava, muoveva le braccia e la testa come quando si discute con qualcuno. E io, per l'ennesima volta, studio con estrema attenzione i momenti di pausa nel bel mezzo di quello che sembra un vero e proprio dialogo a due. La Milani passava, in un attimo, dal gesticolare convulso al silenzio assoluto. All'attesa. E la cosa era durata anche parecchio. Ecco, poi c'era la tenda che si muoveva. Una corrente d'aria proveniente da un'altra stanza? Doveva essere certamente così, visto che la finestra, in quella stanza, sembrava chiusa. Anche se dall'angolazione della telecamera non era possibile visualizzare l'intera forma. Eppure, la tenda si muoveva. Prima molto lentamente, ma più avanti le falde del tessuto avrebbero quasi raggiunto il bordo del letto. Proprio nel momento in cui pare gonfiarsi la tenda, il volto sgranato di Stefano Biondi spunta dallo stipite della porta. Quanto era rimasto ad attendere nascosto? Sette minuti e trentasette secondi, risponde il video. Poi si vede Biondi entrare nel pieno dell'inquadratura in quello che sembra un vero e proprio atto di accusa, è evidente da come si agitava e puntava il dito contro l'infermiera. Il viso è quello di un uomo malato. Sbraitava e gesticolava e puntava il dito contro l'infermiera che parlava da sola. Tutto ciò mentre quel poveretto paralizzato sotto le coperte assisteva alla scena senza poter fare nulla. Assolutamente immobile. Non oso immaginare il suo spavento. Quando osservo Stefano Biondi accovacciato per guardare sotto il letto, torno a chiedermi ancora una volta con chi stesse parlando la Milani. Questa sequenza è realmente surreale. Immagino che Biondi, vittima del suo stato di alterazione, si sia lanciato alla ricerca di un intruso che per qualche oscura ragione, plausibile solo nella sua testa, doveva essere fuggito a nascondersi sotto il letto. E quando lo avrebbe fatto? Biondi stava dando di matto, l'infermiera si era alzata dalla poltrona, aveva indietreggiato fin dietro il bordo del letto e infine si era ritrovata schiacciata con la schiena sulla parete. Biondi aveva un coltello bello grosso dietro la schiena, probabilmente infilato dentro i pantaloni. E comincia a brandirlo in modo convulso. Quante volte ho visto e rivisto tutta la sequenza di quel video? E non sono ancora arrivato alla parte migliore. La Milani è trincerata dietro il letto e il poveretto, nel frattempo, sembrava aver perso i sensi. Poi nel video si vede l'uomo sdraiato nel letto preso da leggeri movimenti del viso, come un tic nervoso. Bisogna fare molta attenzione per accorgersene. E pochi istanti dopo l'inizio del tic, si vede Stefano Biondi muoversi in modo del tutto innaturale, come se il suo braccio avesse cambiato idea sul bersaglio da colpire: non più la Milani ma se stesso. Il braccio trema, si vede chiaramente. I suoi occhi sono sbarrati dal terrore. Ogni volta che arrivo a quel punto della registrazione sento un brivido lungo la schiena. Non ho mai assistito a una scena del genere. Sembra che l'uomo abbia perso completamente il controllo del proprio braccio. Come se, in qualche modo, l'arto fosse staccato dal resto del corpo. E vivesse di vita propria. Ecco, intanto, il momento in cui l'urlo senza voce di Roberta Milani anticipa l'inizio della fine: il braccio di Stefano Biondi si orienta verso la sua stessa gola e la bocca urla un grido silenzioso di terrore. Con uno scatto secco, il folle aveva completato l'opera. Il suo spettacolare suicidio. In un attimo le ginocchia avevano ceduto ed era caduto a terra a pancia in giù. Intorno al tronco, una grande pozza scura. Il corpo riverso a terra aveva iniziato quella lenta e inesorabile danza che porta alla fine. Tutto sbagliato. La mia testa torna a correre a pieno ritmo. Perché quella donna parlava da sola? Stava parlando col malato? Sì certo, ci sono persone che parlano per ore anche con un cane o un gatto, ma non era quello il senso di quelle immagini. Un dialogo. E Biondi? Perché quel repentino cambiamento? Che cosa lo aveva portato a uccidersi, se fino a poco prima sembrava volesse aggredire la donna? Perché tremava in quel modo? Era tutto terribilmente innaturale. E poi, chi ha spento la telecamera? Come sempre quando torno a rivedere quel video, mi fermo a osservare la pozza di sangue attorno al corpo di Stefano Biondi. La donna ancora appoggiata al muro, pietrificata. Il tic facciale dell'uomo nel letto si era fermato. E un momento dopo, schermo nero. Come se qualcuno avesse staccato i fili della piccola telecamera. Il caso era stato facile da istruire e ancor più da chiudere. C'erano le immagini. Suicidio. Per quanto alcuni inquirenti avessero concordato sin dall'inizio con me sulla oggettiva stranezza di quello che era successo, le immagini erano chiare e non c'era altro da dire. Torno ancora a leggere il file relativo al caso. Anche se conosco già il contenuto dell'autopsia eseguita sul corpo di Stefano, non posso trattenermi dal constatare, per l'ennesima volta, che il suo corpo era pieno di alcool fino alle orecchie. Un altro punto a sfavore. Ammetto che mi piace riaprire l'indagine ogni tanto, lo faccio solo per me. Sono convinto che mi sia sfuggito qualcosa, sin dal momento in cui siamo entrati in quella stanza per la prima volta. Come se, in fondo, io speri ancora che mi sia sfuggito qualcosa. Ricordo perfettamente il giorno in cui siamo arrivati sul posto. La Milani ha aperto la porta e noi abbiamo raggiunto la stanza a passo svelto. Il sangue, l'uomo a letto. Una scena che, sin dall'inizio, mi ha trasmesso la stessa identica sensazione che provo ogniqualvolta mi trovo a visionare quel maledetto video. L'uomo paralizzato. Mi ha guardato? Forse per un istante. E io ho sentito una morsa stringermi le viscere. Poveretto, chissà come sta, penso ancora. E poi spengo il monitor e chiudo la cartella del caso Biondi. Fino alla prossima volta, ne sono sicuro. E come sempre, terminato il mio turno, lascerò l'ufficio mordendo la nebbia dell'alba e rientrerò a casa consapevole che la vista di quel video renderà molto più difficile l'arrivo del sonno. E molto più facile, se non inevitabile, quello degli incubi.
La dannata mail
Sono esausta. Non avrei mai creduto di dover combattere anche io contro la Maledetta. Chissà da quando lo sto già facendo e per quanto tempo dovrò ancora farlo. E allora, benvenuta Maledetta. Vediamo che cosa possiamo fare con te. Ma sappi che non vincerai. In fondo, da quando ho ricevuto la mail, tutta la prospettiva è cambiata. Non ho il coraggio di aprire il messaggio e scaricare il file allegato, ma il semplice fatto di aver ricevuto quella mail cambia tutto. Ho assistito solo a una piccola parte di questa storia incredibile ma alla fine... chi mi crederà? E poi, non sono proprio io la prima ad avere un dono? Certamente, e questo dono ha avuto un ruolo centrale con il mio paziente zero. “Ecco lo scopo di tutto”. È questa la mia missione. Permettere ai malati di comunicare con l'esterno attraverso un canale diverso. E invece, fino a quel momento, c'era riuscito solo lui. Mi tornano in mente alcune delle parole che lui aveva semplicemente pensato e che io ero stata in grado di decriptare in quella stanza. Sto scrivendo una storia. In questa storia ci sei anche tu. Racconterò tutto, anche quello che sta succedendo in questo momento tra di noi. È la mia vita. Vorrei essere utile a chi verrà dopo di me. E quella dannata mail era arrivata davvero. Quindi, che cosa succederà ora? Chiuderò gli occhi e finirò altrove? Mi metterò a scrivere anch'io? Troverò anch'io la mia stanza privata? Per me non sarà la stessa cosa. La Maledetta potrebbe arrivare dappertutto, anche fin dentro la mia testa. E non avrò scampo. Vorrei trovarle un nome, proprio come aveva fatto lui. E i pensieri tornano potenti come scariche elettriche. ...il volto è pallido, spigoloso. Al posto degli occhi sembra che abbia due pozzi neri e profondi. Veste di nero. Quello che più di tutto la rende tanto impressionante è il tono della sua voce... Non potrò tenerla fuori, lo so. Mi divorerà e non potrò difendermi. Da dove proviene quel cigolio? La testa piroetta di scatto verso la porta d'ingresso. C'è qualcuno lì fuori? Il pianerottolo è deserto. Mi gira la testa, deve essere colpa dell'adrenalina. Il computer è ancora appoggiato sul tavolo del soggiorno. Aver ricevuto la mail cambia tutto. E ora mi restano solo due cose da fare: la prima è leggere la storia, tutta la storia. Dall'inizio. E poi stamparla. E poi... Calmati. Respira. Apri la casella di posta. La mail è nella posta in arrivo. Eccola. Doppio click.
Luca Marchesani
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