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Autore: Renato Delfiol
Aldruda Frangipane una donna contro il Barbarossa
Romanzo Storico
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Aldruda Frangipane una donna contro il Barbarossa
- Mio signore - rispose Aldruda - io vedo che siete l'unico imperatore che merita questo nome. Non quel condottiero tedesco che vuole imporre il suo potere sull'Italia. Se lo dovrò combattere lo farò con grande piacere. Sono una donna, ma so stare a cavallo e anche usare le armi, se necessario. E se lo farò avrò voi come riferimento, voi sarete il mio sovrano. -
Compiaciuto Manuele si fece portare un suo stendardo e lo consegnò ad Aldruda.
- Prendete, contessa, come debito della vostra fedeltà. Forse non sarete mai nella condizione di imbracciarlo, ma ve ne faccio dono anche per considerazione della vostra persona. -
Aldruda lo prese e si inginocchiò di fronte a lui, ricevendone quasi un'investitura. Manuele la rialzò con la mano, la baciò su entrambe le guance e la congedò.
Tornata a Brittinoro, Aldruda espose lo stendardo di Manuele nella sala, accanto a quello di Rainerio.
Non si avevano nuove sulla contesa tra i comuni e l'impero. Federico Barbarossa non si faceva vedere, si diceva perché aveva problemi di potere in Germania, forse alcuni dei suoi nobili gli erano avversi o non volevano più arrischiare i loro soldati in imprese che non comprendevano. Aveva tuttavia lasciato dei luogotenenti in Italia, con milizie, tra cui l'arcivescovo di Magonza, Cristiano di Buch, per sottomettere i comuni che si ribellavano e questi si rese famoso per le sue gesta in Tuscia, dove però non riuscì a vincere alcune città. Alcuni anni dopo, nell'estate del 1173, si presentarono a Brittinoro degli ambasciatori della città di Ancona, chiedendo un urgente colloquio con la contessa. Aldruda li ricevette con onore, e dette subito disposizioni per organizzare un banchetto e per far disporre delle stanze perché si potessero riposare. Ma essi volevano parlarle al più presto, per spiegare i motivi della loro visita. Essa ben sapeva del legame che univa la città all'imperatore Manuele e domandava se vi fosse qualche urgenza a determinare la loro impazienza. Il più anziano di essi rispose subito:
- Madonna contessa, è stato Guglielmo Marchesella di Ferrara a consigliarci di venire da voi. Noi siamo sotto attacco da parte del luogotenente di Federico imperatore, che si è alleato con Venezia per espugnarci. Questa città, come sapete, aiuta la Lega, ma combatte anche contro di noi e si alleerebbe con chiunque, perché è gelosa della nostra potenza commerciale e del favore che godiamo presso l'imperatore Manuele, mentre essa non ne è più favorita come un tempo, avendo dimostrato scarsa fedeltà. -
- Dunque voi siete alleati di Manuele, che considero il mio sovrano... ditemi -
- Mia contessa, l'assedio dura da mesi e, nonostante i nostri sforzi e l'eroismo dei cittadini, siamo arrivati allo stremo. Sapete, non c'è mai molta gente presente in Ancona, dall'inizio della primavera, quando si sono presentati gli imperiali, e per tutta la buona stagione. I nostri concittadini che esercitano la mercatura sono fuori per i loro affari. Così ci siamo ritrovati indeboliti e comunque l'arcivescovo Cristiano ci chiude da parte di terra e i Veneziani dal mare; il primo, dopo i primi tentativi di espugnarci si è ritirato un poco su un colle per tagliarci ogni via di rifornimento, da terra e dal fiume. Così non possiamo più ricevere cibo dai dintorni e in città imperversa la fame. La presenza delle navi veneziane nel porto ci impedisce anche di gettare le reti per pescare. Solo possiamo grattare gli scogli e recuperare un po' di conchiglie e di ortiche marine. Il nostro piccolo gruppo è riuscito, risalendo il fiume, di notte, a passare in mezzo agli assedianti e ci siamo diretti in primo luogo a chiedere aiuto a Ferrara. Il Marchesella, sentendo i fatti, ci ha promesso soldati e si sta dando da fare per raccoglierli, impegnando i suoi beni. Ma ci ha raccomandato di venire presso di voi, perché conosce il vostro valore – così ha detto – e anche che siete imparentata con i Comneni; e poi che avete aderito alla Lega contro Federico detto Barbarossa. Mia signora, noi vi preghiamo di soccorrerci, non solo per noi, ma per le nostre donne che, in caso di sconfitta, sarebbero alla mercé di quei soldatacci tedeschi. Tutto quello che potrete fare sarà importante e ben accetto. -
Sentite queste richieste, Aldruda chiamò a partecipare al banchetto sia il figlio che le sue dame dicendo agli anconetani:
- Intanto rifocillatevi, vedo bene che siete stanchi e affamati. Così possiamo parlare più comodamente della vostra situazione e di quello di cui avete bisogno. -
Seduti a tavola essi continuarono narrando le vicende dell'assedio e gli episodi di eroismo che vi erano stati. Tutta la città era alla fame e, nonostante che il poco cibo disponibile fosse stato riservato ai combattenti, ormai non ve n'era più e anche chi portava le armi era indebolito dall'inedia. Una situazione così non poteva durare. Vani erano stati i tentativi di rompere l'accerchiamento dell'arcivescovo, che si diceva uomo crudele e determinato a prendere la città per fame. Aveva devastato la campagna intorno e comunque bloccava tutte le porte dal laro di terra. Era impossibile poi forzare il blocco delle navi veneziane. Alcune erano state prese e incendiate, una anche per l'eroismo di un sacerdote, che si era buttato in mare nuotando fino a esse, ma molte altre sostavano nel porto, ed erano così vicine che sembrava di averle dentro la città. I marinai però non potevano sbarcare perché gli anconetani facevano buona guardia sui moli, pronti a respingere un eventuale assalto.
- Sapete, mia signora, per mostrare quale sia l'eroismo dei nostri concittadini, c'è stata una madre che, nonostante si nutrisse solo di cuoio bollito, come molti ormai, e non avendo quindi che poco latte da dare al suo bambino, è andata da un balestriere a offrirgli il suo seno per mantenerlo in vita. E un'altra, una nobildonna, che si è aperta le vene dei polsi per dare da bere il suo sangue ai figli impegnati nella difesa. E, figuratevi, altre donne si sono offerte per essere uccise e mangiate dai combattenti. Immaginate voi a che punto siamo ridotti! -
Aldruda si sentiva ribollire di rabbia e già si proponeva di aiutarli. E anche gli altri intervenuti erano commossi da quelle parole.
- E c'è stata una vedova, certa Stamura, che ha compiuto un sacrificio degno di un grande combattente. Sentite, contessa: gli imperiali stavano per dare l'ultimo assalto alla città, con torri d'assedio e altre macchine da guerra e allora degli uomini avevano preparato un barile pieno di pece e stoppa per incendiarle e l'avevano lanciato vicino alle macchine. Solo che nel lancio la fiamma che gli era stata appiccata si era spenta e non era agevole farlo dopo con frecce, perché il barile si era fermato dietro un cavallo morto; e stava lì, inerte e nessun combattente osava uscire dalle mura e avvicinarsi, sarebbe stata morte sicura. Molte frecce incendiarie furono scoccate, ma senza risultato. Ma Stamura, che era vedova perché il marito era stato ucciso dagli imperiali, prese lei stessa una torcia di mano a un soldato e, fattasi aprire una porta, corse rapida verso il barile appiccandovi il fuoco. Nel far questo, però, rimase uccisa dai dardi degli assalitori. Ma già il fuoco era acceso e la pece si sparse incendiata, molte macchine andarono a fuoco e i tedeschi dovettero ritirarsi. Pensate che i difensori recuperarono quel cavallo morto da giorni per mangiarlo. Però l'esempio di questa donna dette nuovo coraggio agli uomini, che si disposero ancora alla difesa. Le donne sono state come gli uomini in prima linea nella resistenza della città. Agli inizi dell'assedio si pensava di poter riscattarci col denaro e offrirne agli assedianti e anche in quell'occasione tutte le nobili e le mogli dei mercanti avevano portato le loro gioie all'ammasso. Sapete, a differenza di quello che succede spesso negli assedi, dove i ricchi danno i compiti più gravosi ai poveri, ad Ancona siamo tutti solidali: poveri e ricchi, nobili e plebei, tutti combattiamo come fratelli. -
Aldruda, sentendo questo, fu presa dalla commozione e si rivolse alle sue dame:
- Mie signore, vedete di cosa siamo capaci noi donne se lo vogliamo: e voi e noi cosa faremo? Staremo qui a osservare la fine di questa gloriosa città, le loro donne così eroiche trascinate nella polvere? -
- No, contessa - rispose ad alta voce Maria Traversari, una delle più giovani, - noi andremo con voi a liberarle. Voi ci guiderete e le salveremo! -
E le altre assentirono a gran voce. Aldruda si rivolse al figlio:
- Cavalcaconte, tu verrai con noi? -
- Verrò, madre mia, al vostro comando. Raduniamo gli armati e mandiamo messi alle nostre città soggette. E altri prenderemo come mercenari dalle terre vicine, che non sono nostre. Ci sono in quei luoghi tanti che combattono a soldo. Me ne occuperò io personalmente con Berto. In capo a due giorni avremo i combattenti. Non si dirà che il conte di Brittinoro non abbia portato aiuto a una città in pericolo e alle sue eroiche donne. -
- A questa città amica di Manuele, di cui io sono vassalla. Ma quando ci raggiungerà il Marchesella? - chiese poi Aldruda agli ambasciatori. -
- Ci ha detto che è bene che ciascuno di voi parta coi suoi armati per risparmiare tempo, vi troverete vicino ad Ancona, prima dell'attacco alle truppe imperiali. -
- Voi tornerete con noi, immagino. -
- No, mia signora, noi partiamo subito, appena il tempo di chiudere occhio, perché siamo sfiniti. Ma dobbiamo tornare per cercare di portare le fauste notizie alla città. Essendoci certezza di aiuto, sarà più facile sopportare le privazioni. -

Renato Delfiol

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