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Autore: Andrea Indovino
Sandy is Gone - Conscience Killer -
Horror Paranormale
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Sandy is Gone - Conscience Killer -
Un grande polo petrolchimico si stagliava all'orizzonte con le ciminiere fumanti e le raffinerie lungo la costa. Un complesso enigmatico di edifici era protetto da un'imponente cinta muraria: l'involucro di un'autentica roccaforte si celava dietro a un'attività di facciata e soltanto un essere onnisciente poteva essere in grado di immaginare che genere di esperimenti conducessero lì dentro. Il suono assordante delle sirene d'emergenza era presagio di uno spaventoso imprevisto, ma fortunatamente perforava appena la quiete del centro abitato a un paio di isolati di distanza.
Sembrava che una gigantesca sfera di cristallo avesse circoscritto il laboratorio della MediFlow Corporation in una zona di quarantena, isolando in un raggio limitato l'allarme che costantemente gridava al pericolo annunciato.
Cartelli di off limits erano impiantati in prossimità del cancello di sicurezza. L'aria era frizzante ma sapeva di cenere. Il cielo era denso e tenebroso. Masse di vapori sospese nell'aria viaggiavano minacciose verso la contea e occultavano la luna. Se di punto in bianco avesse cominciato a diluviare, la pioggia nera avrebbero impiastrato l'intera area perimetrale con sbavature d'inchiostro e dal miasma irrespirabile, odore di benzina e frammenti di tessuto intrisi di cherosene.
Quella di Cloudville era una contea che aveva la particolarità di non essere suddivisa in comuni, stando alle direttive del Congresso che ne consentì la fondazione in qualità di semplice ripartizione nella zona centrale dello Stato.
I sospetti di una catastrofe imminente furono così concentrati in un'unica cittadina dell'area metropolitana del New Verrida.

Roland Gauss aveva l'aria trasandata della quintessenza dell'onestà quando varcò l'ingresso del Dakota Fresh. I capelli erano arruffati e il viso scavato da profonde occhiaie, accentuate da un paio di occhiali dalla montatura antiquata e con lenti spesse e stratificate. Le guance erano smunte e pallide e la divisa gli stringeva le ascelle, in cui si erano formati degli aloni stagnanti di sudore. Nonostante desse di sé l'aspetto di un uomo stremato dalla vita, Roland adorava aggirarsi tra gli scomparti del minimarket alla fine del suo turno di lavoro e, per quanto possa sembrare strano, l'odore pungente dei molluschi importati da Solaris City ed esposti sul banco frigo gli inebriava la mente.
Avanzò guardingo nel reparto ortofrutta e acciuffò il cesto più economico che potesse trovare. Passò all'angolo panetteria e fece scorta di dolci confezionati e cheeseburger da poter riscaldare al microonde in pochi secondi. Lanciò un'occhiata furtiva alle casse, per vedere in quale di queste Wanda Skyler fosse di servizio. Lo faceva ogni sera. Era la sua routine. E lei stava lì, come sempre, a girarsi i pollici per la noia.
Roland decise di mettersi in fila alla cassa accanto, che era gestita da un'altra cassiera dai capelli corvini e che sembrava essere in dolce attesa. Davanti a lui un'anziana signora continuava a lagnarsi con lei per un set di tazzine di ceramica che pretendeva di riscattare con la raccolta punti, nonostante si rifiutasse di pagare un importo ulteriore di soli cinque dollari.
Wanda alzò la mano per dirgli che poteva tranquillamente spostarsi nella sua cassa, dato che era del tutto libera e vogliosa di rendersi utile. Roland ne fu felice. Era come se lei si fosse abituata alla sua presenza e, ritenendolo un cliente affezionato, avesse finito col volergli bene. Roland prese la spesa e la poggiò sul nastro trasportatore. Wanda afferrò i prodotti e li passò sullo scanner, vigilando costantemente sulle date di scadenza.
- Anche oggi cheeseburger e un cesto di frutta! - commentò Wanda con un sorriso velato e ammaliante; le guance magre e imbronciate di una ragazza di diciott'anni. Il suo nome risplendeva sulla targhetta lucida dell'uniforme e i capelli le cadevano liberi sulle spalle.
- Sì... sono fedele alle mie abitudini - disse Roland, un po' impedito a scandire bene le parole. - Tuo padre è in pensiero per te. Continua a ripetermi che non dovresti tornare a casa così tardi e ultimamente lì fuori non è più sicuro. Senza considerare che domattina hai scuola. -
Dopo aver pronunciato queste parole, Roland iniziò a sudare freddo. Il sorriso di lei gli martellava il cuore e sembrava che potesse riportare uno sprazzo di bel tempo nell'atmosfera cupa che avvolgeva la Contea di Cloudville.
- Ci sono novità dal mondo esterno? Killer spietati, creature soprannaturali o leggende sepolte da tempo che riaffiorano ed esigono vendetta? -
- Niente di tutto questo, ma cerca di capirlo. È solo in pensiero per te. Ti vuole bene e tu lo sai. -
- Sarebbe meglio che fosse lui a dirmelo. -
- Ti capisco. Anche io ho avuto un rapporto complicato con mio padre quando ero un adolescente... È una fase della vita che devi affrontare, che tu voglia o no. - a queste parole Wanda si fece cupa in viso e sentì il bisogno di provare a cambiare argomento.
- Domani ho in programma di prendermi una giornata libera e mi chiedevo se poteste portarmi con voi, tanto per provare l'ebrezza dell'avventura. Forse mio padre te lo avrà già accennato, dato che da quanto ho capito gli piace tanto parlare di sua figlia quand'è in ufficio. Sai... me la cavo a scrivere. Potrei documentare tutto ciò che fate! -
- Beh, non so che idea ti sia fatta del nostro lavoro, ma ti assicuro che non è per niente stimolante. Potrebbe venirti a noia e saresti una preda facile in un mondo di sciacalli! -
- So badare a me stessa, però è molto carino da parte tua preoccuparti per me... Mmh, questi cheeseburger sono scaduti ieri. Sono desolata! Avremmo dovuto sostituirli con quelli preparati stamattina. Dovrò segnalarlo a chi di competenza! - non fece a meno di notare Wanda, che era così scrupolosa e attenta ai dettagli.
- Non fa niente, oggi posso rinunciare ai cheeseburger - puntualizzò Roland, sbottando a ridere e passandosi la mano tra i capelli. Wanda ammiccò in segno d'intesa. Lui si ammutolì, pagò l'importo segnalato sul display del registratore e imbustò la spesa. La salutò chinando appena la testa e se ne andò superando alla svelta le porte automatiche.
Salì in auto e imboccò la direzione Greyhills. Durante il tragitto proseguì lungo una strada costeggiata dal fiume Blackwater. Accese la radio e si lasciò trasportare dalle note di una canzone country di cui non riusciva a ricordare il titolo. Era la prima volta che intavolava una conversazione piacevole con Wanda, e ciò lo appagò al punto da allungare le labbra in un sorriso sincero.
A un tratto, nell'oscurità della sera, un'anomalia elettromagnetica si abbatté sul motore della sua auto e questa rimase impantanata in una gigantesca chiazza di fango. La radio implose in un vortice di scintille elettriche, spegnendosi di botto ed esalando una lunga scia di fumo.
Roland, completamente stordito e dubbioso sul da farsi, scese e aprì il cofano. Non capiva niente di motori, ma sperava che un colpo ben assestato a una qualsiasi componente meccanica avrebbe potuto risolvere la situazione.
Per una strana ragione fu colto dalla sensazione odiosa di sentirsi osservato da qualcuno. Si guardò le spalle, ma non vide nessuno.
Pensando di dover rabboccare il serbatoio del radiatore prese una borraccia dal sedile posteriore e si diresse verso la riva del fiume. Si chinò sulle ginocchia per riempirla d'acqua e fu in quel preciso istante che gli parve di scorgere un essere dalla pelle viscida, che si muoveva in prossimità di un canale di scolo abbastanza largo da contenere una creatura simile. Aguzzò la vista e realizzò di essersi imbattuto in un raro esemplare di salamandra. O almeno in un essere che aveva tali sembianze. Era lunga circa un metro e a ogni passo sollevava leggermente la testa e la punta della coda. I fianchi erano eccezionalmente squamosi e di un rosso cremisi. Aveva delle insolite escrescenze umidicce lungo tutto il dorso e una bocca larga e sottile. La testa era ovale e piatta come i contorni di un pallone da rugby sgonfiato e le zampe palmate sostenevano il peso di un continuo movimento oscillatorio.
Rimase lì a osservarla, mantenendo le dovute distanze. Cercava di capire dove avesse gli occhi, ma era praticamente impossibile scorgerlo alla luce fievole della torcia da taschino, che aveva acceso poco prima e che ormai aveva le pile quasi scariche.
Sentì dietro di sé un fremito di foglie calpestate e un crepitio di piccoli rami spezzati. Un bambino gli si avvicinò. Indossava un camice bianco sporco di sangue, e ciò poteva considerarsi un motivo sufficiente per condurlo subito alla centrale ed effettuare dei controlli. Dopotutto Roland ne aveva l'autorità, essendo stato assunto da poche settimane come agente di pattuglia. Tuttavia, per qualche losco motivo, non si voltò. Era profondamente turbato dalla visione di quella bestia che neanche il filo di voce di un bambino sperduto poteva esortarlo a volgere la sua attenzione altrove.
- Stia attento a non avvicinarsi troppo. Potrebbe secernere veleno. - La salamandra sembrò accelerare il passo, come se si sentisse minacciata dalla voce del bambino in camice.
- Chissà dov'è diretta... il mondo è pieno di creature strane. Mi chiedo cosa abbia potuto spingerla fin qui... - sibilò Roland accigliato.
- La MediFlow Corporation sta causando più danni del previsto, ma molti sembrano ignorare la cosa... in queste acque dovrebbero nuotare tranquillamente centinaia di pesci. O almeno dovrebbe essere così... l'ho letto in un libro, sa? Che li abbia mangiati tutti quanti? È disgustoso e spietato. -
- Non è un'ipotesi da escludere. Non so di cosa si nutrano le salamandre, ma credo che ne abbia tutto il diritto. Canis canem edit: la natura fa il suo corso - gli rispose Roland, che nel frattempo aveva continuato a pungolare la salamandra con un lungo bastone. La creatura cominciò a contorcersi pur di evitare il contatto con quella punta secca e legnosa.
- Signore, la sua auto è andata in panne. Se riuscissi a metterla in moto potrei chiederle un passaggio? Ne ho un disperato bisogno - propose il bambino in camice.
- Questa mi è nuova! - Roland sbuffò e ridacchiò tra sé.
- La prego. Avrei voglia di un bel bagno ghiacciato - implorò singhiozzando. Era una richiesta insolita, tramutata in una necessità impellente di mutare forma.
- Chi diavolo sei, si può sapere?! - esclamò voltandosi, ma il bambino si era già dileguato.
I fanali dell'auto cominciarono ad accendersi e spegnersi a intermittenza, e il segnale acustico dell'antifurto cominciò a squillare come per spazzare via spiriti ostili.
Roland prese un cacciavite dalla cassetta degli attrezzi nel bagagliaio e rimosse la copertura e i pannelli del piantone. Il frastuono si faceva sempre più insopportabile e non sapeva che fare con tutti quei morsetti sotto lo sterzo. Preso dal panico, d'impulso afferrò il cacciavite dal manico e lo infilzò nel groviglio di fili, disinnescando miracolosamente la fonte di alimentazione. Tutto tacque e un'ombra solitaria lo inghiottì.
La salamandra scivolò giù nel ruscello che scorreva nel canale di scolo, e scomparì da sotto le canalette in pietra che lo ricoprivano.
Roland perse ogni speranza di continuare in auto e proseguì a piedi, salendo per un sentiero sterrato e in pendenza che si diramava su una collina. Arbusti rampicanti si intrecciavano tra i resti di una casa abbandonata. Uno stuolo di corvi sulle grondaie muschiate gracchiava e spiegava le ali. Roland sentì un brivido percuotergli il corpo e affrettò il passo.
Arrivò infine al Border Inn Motel. Rampe di scale esterne e corrimani arrugginiti. Dava l'aria di stare per sprofondare in un pantano per quanto era decadente.
La signora Helen Couper si stava concedendo come ogni sera un bagno rigenerante dentro un calderone di metallo, simile a un bidone verticale, sistemato nello spazio antecedente all'edificio e circondato alla base da disparati sacchetti di cubetti di ghiaccio. Si sporgeva dai bordi e sputava grumi densi di catarro e saliva su una padella logora e adibita a sputacchiera.
Roland salì la prima rampa di scale e, gettando un'occhiata dall'alto, inorridì quando intravide i residui di pelle morta depositarsi sulla superficie dell'acqua gelida. Visibilmente provato da quello spettacolo obbrobrioso, proseguì al secondo piano e aprì la seconda porta. Stanza numero 302.
L'unica cosa che dava un tocco di classe a quell'ambiente spoglio era una vetrinetta espositiva, stipata di gingilli e reperti vintage: fotocamere analogiche, registratori, bobine, macinini per il caffè.
La fondina con la pistola di servizio era riposta sulla scrivania in fondo. L'aveva dimenticata lì per il terzo giorno consecutivo, e questa sua nuova abitudine gli aveva procurato diverse lavate di capo da parte dello Sceriffo.
Sedutosi su una poltrona da pavimento con il telaio ammuffito, regolò lo schienale per mettersi comodo e cominciò a rimpinzarsi di ciambelle.
Accese la TV e si mise a guardare una puntata del Dave Andrew Show. Il conduttore entrò in studio distruggendo con una mazza chiodata tutto gli oggetti di scena, accompagnato da un sottofondo di musica jazz. Era il suo abituale numero d'apertura e Roland lo trovava davvero spassoso.
Sussultò per un attimo quando qualcuno bussò alla porta con veemenza. Guardò dallo spioncino e il sudore gli colò dalle tempie. Si precipitò alla scrivania, ma qualcuno aveva già fatto irruzione sfondando la porta con un calcio. Si ritrovò davanti un uomo alto e dalla corporatura massiccia che entrò in stanza di prepotenza e prese a strozzarlo, sbattendolo contro la parete. Si faceva chiamare Colabrodo, per via della pelata splendente e dei profondi solchi sul cuoio capelluto. Aveva un torace enorme e delle spalle imbottite. Entrambi gli avambracci erano ben tatuati e aveva il lobo dell'orecchio sinistro mozzato.
Dietro di lui uno scagnozzo basso e dal fisico tozzo guardava Roland con occhi carichi di odio. Tutti quelli che ci avevano avuto a che fare lo conoscevano col soprannome di Vespa, dato che ogni cosa che usciva dalla sua bocca risuonava come un ronzio fastidioso. E per di più era affetto da una strana forma di palilalia.
Roland si dimenava come un ossesso e aveva finito con lo sputare alcune briciole di ciambella che erano rimaste incastrate tra gli interstizi dentali.
- Ho sempre avuto un buon fiuto per i cani rognosi come te. Non provare a nasconderti, perché non puoi sfuggirci - grugnì Colabrodo.
- Cane rognoso! Non puoi sfuggirci! - rincarò Vespa con qualche difetto di pronuncia.
- Andiamo, ragazzi! Tutto questo è assurdo! - si arrischiò a dire Roland.
- Sei stato scelto. Devi dare prova della tua lealtà agli Esecutori, sennò sei fuori! - gridò a gran voce.
- Sei stato scelto, lealtà, sei fuori! - ripeté Vespa.
- Ti restano poco più di ventiquattrore, o ti ficcheremo i genitali in un tritarifiuti! Libera subito la ragazza e portala da noi! Ti abbiamo già rivelato dove si trova il passaggio segreto, quindi non hai scuse per tergiversare. Il tempo stringe! - lo minacciò Colabrodo, facendogli urtare per un attimo la nuca sulla parete.
- Ventiquattrore o ti taglieremo le biglie in un tritarifiuti! - sottolineò Vespa, giocando con le parole com'era solito fare.
Colabrodo allentò la presa e Roland poggiò le punte dei piedi a terra, facendo fatica a trattenere un tremito di paura. Poi gli sferrò un pugno alla mandibola brandendo un tirapugni, e ciò bastò a stenderlo definitivamente. Vespa rincarò la dose sferrandogli un calcio alle costole.
Se ne andarono e lui rimase lì per qualche minuto a dimenarsi. Si trovava in un bel pasticcio e venne assalito da una tremenda malinconia.
Trascorse un po' di tempo prima che potesse riacquistare le forze per rimettersi in piedi. Si batté i vestiti per togliere via la polvere e si sistemò le stanghette degli occhiali. Gli facevano male le meningi. Non avrebbe mai immaginato di impelagarsi in una situazione tanto assurda.
Guardò l'orologio e vide che s'era fatta mezzanotte. Aprì la cesta e mangiò una fetta di melone. Prese la fondina con la pistola, allacciandola stretta al girovita, e uscì dalla camera.
La signora Couper, ancora a mollo nel calderone di metallo, gli porse un sacchetto di ghiaccio.
- Ci sono problemi, Roland? - chiese con un'espressione poco preoccupata, quasi non si rendesse conto di ciò che era appena successo.
- No, signora Couper. Ordinaria amministrazione. - Roland prese quell'impacco improvvisato e lo applicò sulla ferita alla mandibola, da cui continuava a scorrere un rivolo di sangue.
Ridiscese il sentiero sterrato e superò la casa abbandonata. I corvi se ne stavano ancora sulle grondaie, come impalati con gli stuzzicadenti.
Si fermò davanti a un tombino e sollevò il coperchio di ferro, dove gli si rivelò un tunnel a misura d'uomo con una scaletta. Scese con una gran fretta, non prima di richiuderlo sopra la sua testa e di accertarsi che nessuno lo avesse visto.
Arrivato quasi a terra, si tuffò su una pozzanghera e le scarpe si infradiciarono. Poi si fece strada nel condotto fognario con una torcia elettrica. Le gambe erano immerse in acque stagnanti. File di ratti scorrazzavano creando scompiglio con lo scalpiccio delle zampe sulle tubature metalliche.
Per un attimo Roland si chiese se la salamandra che aveva visto qualche ora prima potesse aggirarsi in quel labirinto di condotti, dispersa nei dintorni.
E se vi si fosse imbattuto per sbaglio, quell'essere sarebbe stato clemente con lui o lo avrebbe divorato senza pietà?
Percorse il canale con la paura sulle spalle, fin quando una luce abbagliante comparì in fondo. Poteva sentire lo sciabordare delle onde.
Uscì dallo sbocco del condotto di scarico che terminava in uno sputo di sabbia. Relitti di piccole imbarcazioni sembravano essersi incagliate alla scogliera tanti anni prima.
Attraversò un viale costellato da totem inquietanti e dall'aria minacciosa; una corda di canapa si intrecciava sopra la sua testa, legata ai tronchi di due alberi adiacenti. Si addentrò in un portale, dove la vernice era scolorita per la salsedine, e si inerpicò su una lunga fune annodata.
Raggiunse così il crinale di un'isola.

L'urlo soffocato di chi è stanco di aspettare il tramonto e di chi sa che non potrà mai accedere alle porte del paradiso. Il rinvenimento di un cadavere carbonizzato e incatenato al sedile di una Cadillac, al fine di precludere ogni possibilità di fuga. Dichiarazioni fuori luogo di chi non ha più niente per cui combattere e sperare. Lo scoccare dell'ora di punta in una società allo sbando e in preda al panico. L'amore e l'odio per la nuova generazione, sempre più diffidente e plagiata da idee che stentano a trovare un nesso logico. L'ordine che sfocia nel caos e che prorompe nelle nostre vite come una gigantesca onda che travalica i confini di una diga. Il vago presentimento che il terrore stia sempre in agguato, per quanto ci si possa difendere ed erigere barriere all'apparenza insormontabili.
Solo così si poteva descrivere il preludio di una crisi, di una giornata come tante altre e che non era cominciata nel migliore dei modi.
Lo sceriffo Jerald Skyler, quarantacinque anni e da tempo afflitto da un principio di calvizie, si era appena sintonizzato sulla frequenza della stazione radio “Good Morning Verrida” e abbozzò una smorfia, come se non avesse trovato nulla che potesse placare la sua sete di giustizia. Lo sguardo perso nel vuoto tradiva la sua apparente compostezza. Una morsa gli serrava le viscere.
- Buongiorno un cazzo! - pensò a voce alta, e aveva tutte le ragioni per farlo. C'era qualcosa che non poteva permettersi di ignorare. L'ultimo caso di cronaca nera, annunciato dal conduttore radiofonico poco prima della chiusura della trasmissione, riguardava la piccola contea affidata alla sua giurisdizione. Malgrado Jerald avesse fatto il possibile per evitare che la notizia potesse trapelare, si era inevitabilmente diffusa a macchia d'olio in tutto lo Stato accaparrandosi le attenzioni dell'opinione pubblica.
Norah Clarke, sedici anni, era scomparsa misteriosamente da sei giorni e nessuno sapeva che fine avesse fatto. Un vero e proprio pandemonio mediatico aveva sconvolto l'intera comunità, ed erano in molti a pretendere che l'indagine dovesse essere eseguita in maniera impeccabile.
L'unico caso di persona scomparsa, registrato nella breve storia della contea, riguardava infatti un'anziana signora che ricomparve dopo nove mesi e in apparente stato confusionale. Ma egli non custodiva alcuna memoria sull'accaduto, senza considerare il resoconto sintetico e contraddittorio riferitogli dal suo subalterno dell'epoca, prima che quest'ultimo gli consegnasse una lettera di dimissioni priva di delucidazioni in merito.
Per la prima volta da tanto tempo, Jerald sentiva sulle sue spalle il peso della responsabilità di una vita in pericolo e nulla poteva scrollargli di dosso quel cattivo presentimento: la sensazione che Norah Clarke fosse stata assassinata. Ne era sicuro e lo sentiva in cuor suo, come un brivido perpetuo lungo la schiena. Non poteva trattarsi di un rapimento o di una scappatella. Conosceva bene la famiglia Clarke e sapeva che quella ragazza non sarebbe mai arrivata a tanto.
E se al posto di Norah ci fosse stata sua figlia Wanda, come avrebbe reagito? Avrebbe permesso che la ragione prevalesse sull'istinto o si sarebbe fiondato alla sua ricerca senza attuare un piano?
L'addestramento all'Accademia, concluso tanti anni prima, gli aveva insegnato a ponderare ogni situazione prima di compiere una scelta. Perché bastava una decisione sbagliata o un gesto avventato per mettere a repentaglio la sicurezza di tutti. Aveva sempre creduto che bisognasse essere abili a gestire una faccenda in modo riservato, all'interno dei propri confini. Per questo motivo Jerald era un uomo che cercava di dare il meglio di sé in tutto, anche se di certo non poteva considerarsi uno Sceriffo o un padre modello.
Quando decise di abbandonare Solaris City per trasferirsi a Cloudville circa dieci anni prima, pensò che non fosse poi così male dedicarsi a una vita tranquilla, priva di eventi capaci di destare l'indignazione generale. D'altronde era impensabile che una contea come quella riservasse così tante sorprese. Tuttavia, ora era diverso. Tutti gli occhi erano puntati su di lui e sul suo operato, che tardava ancora a trovare una soluzione al caso, ripercuotendosi sulla fiducia che in molti gli avevano riposto.
Tormentato da questi pensieri, Jerald gettò un'occhiata sospetta allo specchietto retrovisore, come per accertarsi di non avere nessuno alle calcagna. Poteva soltanto intravedere l'incombenza di un cielo burrascoso, tipico del clima della Contea di Cloudville, che durante l'anno raramente poteva concedersi il calore dei tenui raggi solari. Si accorse poi dei baffi ancora imbevuti di caffè latte e allungò la manica della divisa per asciugarseli. Dopotutto era stato costretto ad alzarsi in fretta e furia, quella mattina, poiché era stato espressamente richiesto un sopralluogo immediato.
Aveva ricevuto un'ora prima la chiamata del coroner Reynard Henson e, dovendo trattarsi di un caso urgente come pochi, carambolò giù dal letto e ancora in dormiveglia. Afferrò il ricevitore e non fece neanche in tempo a dare una risposta, che egli riagganciò dopo aver pronunciato queste parole: “Greyhills, versante nord. Vedi di essere lì per le otto. La Scientifica è già sul posto e se non muovi il culo quelli della Federale ci soffiano il caso! Non farmi fare brutte figure!”.
Era davvero insolito che Reynard fosse così sgarbato e Jerald odiò immensamente quell'atteggiamento. Doveva essere successo qualcosa di grave, pensò, e si promise di uscire di casa in orario. Trovò appena il tempo per dare un bacio sulla fronte imperlata di sudore di Wanda, che dormiva con una smorfia di dolore impressa sulle labbra. Probabilmente avrebbe tardato a scuola un'altra volta, ma se Jerald avesse indugiato ulteriormente non avrebbe fatto in tempo ad arrivare sulla scena del crimine e, sinceramente, avrebbe voluto risparmiarsi ulteriori e inutili lamentele da parte di Reynard.

“Giace in fin di vita, nel tempio della notte”
Jerald ebbe un sussulto che lo destò dai ricordi di quel risveglio così traumatico. Fece per alzare il volume ruotando l'apposito pomello, ma qualcosa di simile a un sibilo gli tagliò improvvisamente i timpani costringendolo per un breve momento a sbandare con il suo fuoristrada a quattro ruote motrici. Quelle parole gli riecheggiarono in testa come un prezioso e doloroso indizio, di cui non poteva permettersi di sottovalutare l'importanza. Con un colpo di reni si rimise in carreggiata, recuperando l'andamento lineare della corsia, ed esalò un profondo sospiro di sollievo per il pericolo appena scampato. Tese le orecchie, come in procinto di cogliere un segnale, per ottenere una visione meno offuscata di ciò che gli era parso di sentire.

“Giace in fin di vita, nel tempio della notte.
Una richiesta di sacrificio è stata accolta,
e gli dèi dell'obelisco se ne compiacciono.”

Fu questo il messaggio che trapelò con tono stentoreo dagli altoparlanti dell'impianto stereo, e in quell'istante il sudore dei polpastrelli di Jerald si impregnò sullo sterzo ormai usurato.
Era una voce meccanica, difficile da riconoscere, filtrata dalle interferenze dello speaker che sembravano scandire le pause tra una parola e l'altra. Nei suoi anni di servizio non aveva mai sentito nulla di così inquietante. Aveva appena assistito a un sabotaggio in diretta della messa in onda di “Good Morning Verrida”, a quanto pare attuato da qualcuno che stava spontaneamente confessando di aver rapito Norah Clarke e di averla ridotta in fin di vita.
Jerald nel suo intimo provò una felicità contenuta per il semplice fatto che il suo istinto fosse stato smentito: Norah era ancora viva e bisognava agire in fretta.
Fece una sosta obbligata in una piazzola. Prese la penna dal taschino della giacca, tolse il cappuccio con i denti e annotò quelle parole in un taccuino poggiato sul cruscotto. Dopodiché attivò d'istinto la ricetrasmittente che portava alla spalla sinistra.
- Roland, mi ricevi? Vai subito alla torre radio e cerca di trovare il motivo dell'interferenza al segnale. Richiedi subito assistenza investigativa e fai setacciare l'intero perimetro. Vedi di procurarmi un testimone! -
Stranamente non ottenne nessuna risposta.
Provò altre due volte a trasmettere il messaggio, ma entrambi i tentativi si rivelarono inutili.
A quel punto pensò di ritrovarsi così lontano da Cloudville da aver perso la frequenza giusta. Per quanto avesse voluto fiondarsi nuovamente alla ricerca della giovane Clarke, un nuovo e strano caso di omicidio lo attendeva in una zona del tutto isolata appena oltre il confine.
Erano le otto e mezza quando giunse al versante nord che si diramava tra le colline di Greyhills. Jerald era in netto ritardo, nonostante avesse fatto il possibile per arrivare in tempo.
Scese dall'auto e si incamminò in direzione di Reynard, che sporgeva dal ponte di un canale prosciugato e sembrava assorto in profondi pensieri.
L'intera rete perimetrale era stata delimitata ai confini dai nastri segnaletici. I marcatori numerati dovevano essere stati riposti dai Federali poco prima, in più punti e in entrambe le sponde. Il marcatore con il numero tre era stato piazzato in prossimità di una spranga di ferro, in una pozza di sangue secco cerchiata dal gesso. Gli agenti della Scientifica stavano portando via il cadavere su una barella, avvolto in un sacco nero con cerniera. Un altro agente scattava fotografie da diverse angolazioni.
Jerald accelerò il passo per raggiungere la barella, stringendo tra le mani il distintivo, che esibì senza esitazione agli agenti della Scientifica. La cerniera fu abbassata, rivelando un volto martoriato e irriconoscibile, ma Jerald aveva già visto quel corpo in divisa ed era impossibile confonderlo con un altro. Quella visione gli diede allo stomaco e cadde sulle ginocchia, rovesciando sul terreno vomito e caffè latte. Quando finì, si portò un fazzoletto alla bocca e avvertì una mano posarsi delicatamente sulla sua spalla.
- Non è di certo un bello spettacolo - lo rincuorò Reynard Henson, trentatré anni.
- Sono arrivato tardi, mi dispiace. -
- Fandonie. Anche se fossi arrivato in tempo non ci avrebbero lasciato ficcanasare. Sono proprio dei porci, quelli dei poteri forti. Dicono che quest'area non è sotto la nostra giurisdizione. È pur vero che siamo poco oltre il confine, ma Roland era un nostro collega. E anche un nostro caro amico. Cristo, che ci faceva qui a Greyhills, in mezzo al nulla? -
- Stento ancora a crederci! - imprecò Jerald, assestando un pugno al terreno bagnato.
- Vedrò cosa posso fare. Se troviamo un accordo potrei ottenere il referto autoptico e i risultati delle analisi sul calco dentale e sul DNA, per assicurarmi che corrispondano. Ricordi i fantocci della fattoria degli Hernandez? È se fosse stato tutto insabbiato? Insomma, dubito fortemente che Roland Gauss sia stato ucciso a sprangate in faccia. Non mi convince per niente... -
- Certo che mi ricordo... ma non ha nulla a che vedere con una banda di mascalzoni che inscena un delitto tanto per divertirsi e farci perdere tempo. Quello che ho visto non mi sembra un fantoccio e tutto questo non è una fottuta messinscena. Lascia perdere le teorie complottiste. Cristo, la sua testa è stata completamente fracassata, Reynard. Ma è Roland... non ci sono dubbi che sia lui, dannazione! -
Reynard tirò fuori una sigaretta, l'accese e diede una boccata lunga e profonda. Si sistemò i capelli, rivelando una verruca sulla fronte.
- C'è una cosa che devi vedere. Seguimi... - disse, intimando a Jerald di rialzarsi.
Lo seguì senza fare troppe domande fino ad arrivare a una sorgente in ebollizione. Sfere di liquami si formavano in superficie. Jerald fissò quei grumi di liquido tossico e gli sembrò che al loro interno lo spazio si dilatasse fino a implodere in un sonoro scoppio.
Nel frattempo il rappresentante della MediFlow Corporation, in montgomery e cappello nero, scese da un Suv dai cerchioni lucidati e gli venne incontro. Un'espressione diabolica stampata sulle labbra. Le prime rughe gli rigavano il volto.
Il dottor Elijah Black, quarant'anni, se ne stava ingobbito dal peso insostenibile di atrocità commesse in passato. La prova inconfutabile dell'esistenza del male e di una mente stralunata da segrete preoccupazioni.
- A prima vista potrebbe sembrare un fenomeno paranormale, ma vi assicuro che si tratta di una reazione spontanea del terreno, probabilmente dovuta a un coagulo formatosi in una cavità del sottosuolo - disse senza troppi preamboli, pavoneggiandosi come un illustre scienziato.
- Dottor Black, non mi aspettavo di trovarla qui! - Reynard e il dottor Black si scambiarono una stretta di mano. - Ricordo ancora le sue lezioni di scienza al liceo, erano fantastiche! -
- Eppure mi sembra di averti bocciato più volte all'esame, Henson. Come tu abbia fatto a diventare il medico legale della contea è ancora un mistero per me. -
- Che bella riunione di famiglia... - commentò Jerald, alterando il tono di voce in un impeto di ilarità. - Si può sapere che diamine vi prende?! Vi sembra il momento? -
- Mi dispiace molto per il vostro collega. Una fine orribile. Non ci voleva proprio, a pochi giorni dalla scomparsa di Norah Clarke. D'ora in poi sarà sempre più difficile tenere a bada le voci giù in città e la gente esige delle risposte al più presto. -
- Non mi dica come gestire le cose, dottor Black - replicò Jerald con tono irritato. - Attualmente stiamo seguendo delle piste. Questione di pochi giorni e tutto sarà risolto. -
- Che stai dicendo, Jerald? Non abbiamo ancora nulla riguardo il caso Norah Clarke - gli ricordò un attonito Reynard.
- C'è stata una manomissione all'impianto della torre radio, poco fa. Quel figlio di puttana ha voluto rilasciare un messaggio indecifrabile, e chissà se anche dietro la morte di Roland possa esserci il suo zampino... -
- Sono sicuro di non aver sentito nulla, forse perché ero troppo impegnato a camminare nei dintorni. Non esco mai dal mio laboratorio e volevo vedere che aria si respirasse qui a Greyhills. -
- Esatto... perché scomodarsi tanto? - gli chiese Jerald, insospettito e parecchio imbronciato.
- La invito a rivelarmi cos'ha sentito. Gli enigmi sono la mia più grande passione - propose il dottor Black, rivolgendogli un'occhiata inquisitiva.
- A quale scopo? Non dovrebbe avere altro a cui pensare? Cavie da torturare o esperimenti in cui scervellarsi? Conosco i tipi come lei. Si atteggia come un innocente che non ha colpe, quando in realtà sappiamo benissimo che c'è qualcosa di marcio. Si guardi intorno, dottor Black. Lei e i suoi tirapiedi state deturpando tutto ciò che vi capita sottomano. -
Si rivolsero uno scambio di sguardi irritati, come se ci fosse ancora una questione irrisolta e in sospeso tra i due.
- Tieni a freno la lingua. Che diavolo ti prende? - Reynard lo strattonò per il gomito.
- Lascia perdere, Henson. Non mi permetterei mai di contraddire lo Sceriffo di Cloudville. La mia era soltanto una proposta. Ho diverse conoscenze nei servizi segreti e pensavo che avrei potuto rendermi utile. -
- Dacci un taglio. Dicci subito cosa hai sentito - lo esortò ancora Reynard, piuttosto accigliato per la situazione.
In qualche modo Jerald si sentì costretto a rivelargli tutto – nonostante nutrisse dei seri dubbi nei confronti del dottor Black – mosso improvvisamente da un desiderio irrefrenabile di condivisione.
- Giace in fin di vita, nel tempio della notte. Una richiesta di sacrificio è stata accolta, e gli dèi dell'obelisco se ne compiacciono. -
- Cosa vorrà dire? Sembra una fattura lanciata da uno stregone o l'inizio di un racconto dell'orrore per bambini. - Reynard lasciò scorrere liberamente il flusso dei suoi pensieri.
- Vi dice niente l'obelisco? - domandò Jerald.
- Assolutamente nulla - scosse la testa il dottor Black, con il proposito di chiamarsi subito fuori dalla faccenda in cui si era immischiato.
- Direi che è un dettaglio da non sottovalutare. Potrebbe essere un indizio - disse Reynard, come colto da una geniale intuizione.
- Forse hai ragione. Difficile trovare qualcosa di più chiaro in un insieme di frasi così criptico. Un tempio della notte? Stronzate! Non ho mai sentito parlare di un tempio qui nel New Verrida. E l'idea di un sacrificio mi sembra un concetto troppo arcaico per essere concretizzato nella società odierna. Potrebbe essere una metafora, un'analogia o stronzate simili. Reynard, come te la cavavi in letteratura? -
- Meglio lasciar perdere... - rispose il dottor Black, esalando un sospiro di rassegnazione. Al contempo un funzionario federale gli si avvicinò, esortandolo a seguirlo per avere dei chiarimenti riguardo la configurazione del terreno che, apparentemente, risultava essere un nodo essenziale da sbrogliare per la conduzione delle indagini. Il dottor Black si congedò, lasciando che i due si consultassero in privato, intrappolati in un reticolo di ipotesi avallate a caso.
- Quindi l'obelisco potrebbe riferirsi a un monumento. Qualcosa di rappresentativo o eretto in onore di personalità importanti del passato. Sì, sento che siamo nella direzione giusta! - esclamò Reynard, stranamente sovreccitato.
- So solo che è arrivato il momento di tornare in ufficio e aggiornare il rapporto su Norah Clarke. Non è ancora cominciata la giornata e ce le ho già girate... -
- E per quanto riguarda Roland? Lasciamo che quelli della Federale se lo portino via così, senza far nulla? -
- Gli permetteremo di agire per conto proprio. Te l'ho già detto. Credo che i due casi siano collegati e in qualche modo ci condurranno nella stessa direzione. È inutile cercare rogne o un conflitto di interessi al momento... -
- E qualcuno dovrà pure andare alla torre radio per un controllo, ma siamo a corto di personale... -
- Ok, Cristo. Andrò io... Sai qual è stata l'ultima cosa che gli ho detto? - Jerald cominciò a stringere forte il crocifisso che portava al collo, nella speranza di trasmettere parole che invocavano perdono.
- Jerald, non sei costretto a parlarmene se non vuoi... -
- Gli ho detto che se avesse dimenticato un'altra volta la fondina a casa lo avrei licenziato. L'ho persino insultato, sputando veleno sul suo conto: “Sei privo di cervello e senza speranze”. E altre stronzate del genere. Solo ora mi rendo conto di quanto quelle parole abbiano potuto ferirlo. Non so perché io me la sia presa tanto. Era arrivato da poco, qui a Cloudville. Avrei dovuto capirlo e lasciargli più tempo per adattarsi... -
- Sì, lui era fatto così. Sempre con la testa tra le nuvole, la passione per gli oggetti vintage e quegli occhiali orrendi, ma non si può negare che fosse dotato di una grande forza di volontà... Che sia dannato! - Reynard sputò sul terreno.
A Jerald sembrò un gesto insolito per mostrare ripugnanza nei confronti della sorte che Roland aveva patito. Salirono poi nei rispettivi mezzi, promettendosi con lo sguardo di ritrovarsi in giornata in caso di ulteriori aggiornamenti.
Imboccarono quindi strade totalmente opposte.
Sulla via del ritorno a Cloudville, Reynard Henson scorse oltre il parabrezza i resti dell'auto di Roland Gauss. Ciò che ne rimaneva non era altro che l'abitacolo, con il telaio in ferro semi corroso. Le restanti componenti sembravano essere state scorticate via da un tornado.
Gli addetti della Stradale montarono tutto su un carro attrezzi, avvalendosi del permesso fornitogli dai Federali e chiedendosi quale strano fenomeno avesse potuto innescare una simile devastazione.

Andrea Indovino

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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