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Autore: Marcella Nardi
Non Toccate Jessica Jones
Giallo Soft
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Non Toccate Jessica Jones
Un giornalista coraggioso.

- Figli di puttana! Vedranno di che stoffa sono fatto. Scriverò un pezzo di fuoco, altro che trafiletto - , imprecò rivolto al cielo e col pugno chiuso.
Ogni volta che qualcosa lo faceva andare in bestia, Walker reagiva sfogandosi sul suo giornale con un lungo articolo denigratorio riguardante le questioni che gli avevano procurato uno scontento.
In quel momento, era infuriato per l'assenza di taxi e di qualsiasi altro mezzo di trasporto. Per di più, una fitta pioggia cadeva con ritmo regolare e monotono, dando alla strada, completamente deserta, un aspetto del tutto irreale.
Bastardi! Nemmeno un taxi, neppure in lontananza.
Alzandosi il bavero dell'impermeabile, si affrettò verso il successivo crocevia nella speranza di poter trovare qualcosa. Già pensava di scrivere, il giorno dopo, un feroce articolo, su quattro colonne e a caratteri cubitali: TAXI, SOLO DISSERVIZI.
Sotto l'imperversare della pioggia, l'asfalto nero luccicava e Walker camminava frettolosamente, accompagnato dall'eco dei suoi passi che si ripercuoteva con rumore esagerato.
Nessun taxi.
Nulla... eccettuati i soliti lampioni fiocamente illuminati, fedelmente allineati, vigili e silenziosi.
A un tratto, voltandosi, vide all'angolo di una traversa una lunga macchina nera ferma e a fari spenti.
Ahimè, non era un taxi.
Due uomini e una donna si muovevano verso di essa e sembrava, a prima vista, che i due sorreggessero l'altra.
Quell'atteggiamento sospetto incuriosì il giornalista che decise di avvicinarsi guardingo, in punta di piedi per non far rumore, sfruttando l'ombra dei palazzi circostanti, per non farsi vedere.
Che stanno facendo?, si domandò.
Man mano che si avvicinava, Walker notò che i due uomini erano impegnati in un'operazione molto poco galante: la donna cercava di resistere alle loro spinte e puntava i piedi sul predellino della vettura, sforzandosi di non assecondare il tentativo degli altri di farla entrare nell'auto contro la sua volontà.
La scena rievocò al giornalista l'immagine di un agnello che, avendo percepito la fine cui era stato destinato, si fosse ostinato, puntellandosi sulle gambe, a non varcare la soglia del mattatoio.
Nell'oscurità della notte, rotta dalla tenue luce dei lampioni, i volti della donna e dei due uomini spiccavano nitidamente per il loro pallore, e poiché agivano in silenzio al giornalista facevano l'effetto di pupazzi mossi da un filo invisibile, più che di persone.
Intuì che la donna aveva bisogno di aiuto.
Senza chiedersi il motivo per il quale non invocasse soccorso, decise di intervenire. Questo anche se la qualifica di giornalista non l'autorizzava a interessarsi delle faccende private altrui.
Ma Walker, in quel momento, sentì che il suo intervento avrebbe ristabilito l'equilibrio di quella nota legge fisica che afferma che due forze eguali e contrarie si annullano.
Spinto dal suo altruismo, egli si trovò a dieci centimetri di distanza dal primo uomo e, non visto, gli sferrò un poderoso sinistro accanto all'orecchio. L'impeto con il quale agì parve sufficiente: l'uomo smise immediatamente di spingere la donna e cadde riverso sull'asfalto. Il secondo si voltò di scatto. Aveva un volto emaciato e il mento sporgente. Il giornalista non perse tempo. Mirando al mento sferrò un secondo pugno ad altri dieci centimetri di distanza, e anche questo fu sufficiente a far sì che egli lasciasse la donna. Urtò contro il parafango della macchina e vi restò alcuni attimi abbandonato, con la testa ciondolante.
Nell'interno della macchina vi era un terzo uomo, ma anche di lui si vedeva solo il viso, un viso leggermente annoiato dalla scena. In una mano teneva una sigaretta stretta fra le dita. Attraverso il finestrino semiaperto, dal quale usciva il fumo, egli osservava la scena senza scomporsi minimamente, con aria staccata, quasi l'accaduto non lo interessasse.
Per il giornalista dai pugni formidabili, il materiale da colpire parve esaurito. Si fermò un attimo incerto guardando l'uomo della macchina, ma la donna gli strinse freneticamente un braccio e, dandogli dell'incosciente, lo esortò a fuggire immediatamente facendo ella stessa la medesima cosa.
Correva leggera sulle punte dei piedi, esile, nel suo impermeabile bianco. Sembrava una bambina, nelle sue basse scarpine.
Il giornalista le si affiancò eguagliandola in velocità, chiedendosi con scetticismo fino a quando ella avrebbe resistito nella corsa, quantunque dimostrasse di essere molto giovane.
Svoltarono un angolo e vennero investiti da una violenta raffica di pioggia. Dopo avere percorso altri trecento metri di strada, cominciando a sentirsi mancare il respiro, Walker chiese a se stesso se sarebbe riuscito a dimostrare la medesima forza di resistenza della sconosciuta. Dai lontani anni universitari non aveva più corso tanto in vita sua.
Urlò, rivolto verso la donna che correva ansimante al suo fianco: - Cerchiamo un bar e chiamiamo un taxi al telefono! -
- Non credo che ce lo mandino - , rispose senza rallentare la sua corsa.
Imboccarono una strada a destra e scorsero l'insegna al neon di un pub. Come la strada, anche il locale era deserto. Sicuramente, con quel diluvio i suoi abituali frequentatori preferivano starsene, una volta tanto, a casa loro.
Il barista pareva assorto nella lettura di un giornale. Vedendoli entrare sorrise e si fece loro incontro: - La notte è un po' umida e si direbbe che abbiate corso sotto la pioggia! -
- Esatto, è una notte umida e abbiamo corso sotto la pioggia. Voglio un doppio whisky - , poi, rivolgendosi alla donna: - e lei? -
- Niente, grazie - .
Walker non insistette. Si tolse l'impermeabile fradicio e lo appese all'attaccapanni, poi si sedette accanto alla donna che aveva già preso posto in fondo al locale, a un tavolo d'angolo. Rimasero entrambi silenziosi cercando di calmare l'ansito affrettato dei loro respiri. Il barista si avvicinò recando una bottiglia e un lungo bicchiere, li posò con cautela sul tavolo, versò un po' di whisky, e tornò indietro per prendere l'acqua, poi, preso il biglietto da cinque dollari che il giornalista aveva messo sul tavolo, tornò alla cassa per prendere il resto e infine si sedette definitivamente al suo posto, riprendendo la lettura che aveva interrotto.
La donna abbozzò un sorriso e disse: - Lei è stato molto gentile. Ma temo che il suo gesto le procurerà diversi guai. Guai grossi - .

- Mi dispiace. Si incontrano pochi uomini come lei, al giorno d'oggi - .
Walker, guardandola attentamente mentre parlava, notò che aveva un viso grazioso, per il quale sicuramente qualsiasi uomo avrebbe corso volentieri dei rischi. Gli ricordò, guardandola meglio, un altro viso riprodotto su un cartellone pubblicitario di creme per la pelle. La stessa carnagione di alabastro, i medesimi occhi neri, dolci ed espressivi, i capelli scuri ondulati, morbidi, sciolti lungo la schiena, un viso delicato, fine, pulito, ma, nello stesso tempo, sensuale. Pareva, tuttavia, inconsapevole di tale bellezza, e non vi era civetteria nel suo sguardo, né posa nei suoi gesti. Benché indossasse l'impermeabile, si notava che il suo corpo aveva curve nei punti giusti e i seni, nel respiro affannoso, dimostravano una sodezza esemplare.
- Davvero mi dispiace - , rimarcò la donna dopo un attimo di riflessione.
- Le assicuro che non è affatto il caso. A me, talvolta, i guai interessano... Ma che volevano quei tipi? -
- Probabilmente volevano uccidermi - .
Un profondo solco comparve sulla fronte del giornalista.
- Quello seduto in macchina era... -
- Ricardo Alvarez, un tipo conosciuto dalla legge, ma molto furbo - , la interruppe Walker.
- Lo conosce? -
Formulando quella domanda, gli occhi della donna tradirono una subitanea angoscia.
- Di vista. Perché voleva ucciderla? -
- È una lunga storia. Lui... -
- Non le pare che sia ora di sapere il suo nome? -
- Già, mi scusi - . Sul pallido volto della donna si diffuse un leggero rossore. - Mi chiamo Ivana Stark, cioè questo è il mio nome d'arte. Il mio vero nome è Jessica Jones - .
- Nome d'arte? -
- Sì, canto, benché io non mi ritenga molto brava. Lavoro al Rio Bambo. Non è un locale di prim'ordine, ma è abbastanza buono - .
- Ne ho sentito parlare, ma come ha fatto a immischiarsi con un tipo come Alvarez? -
La donna apparve risentirsi: - Non mi sono immischiata affatto con lui, e stasera è la seconda volta che lo vedo. Mio marito e io... - , esitò, poi, come ricordandosi di qualche cosa, s'interruppe per dire ancora: - Ma non mi ha detto ancora il suo nome! -
- Teddy Walker - .
Lei lo guardò piacevolmente sorpresa: - Oh, io ho già sentito parlare di lei... -
- Certamente... Allora mi diceva che lei e suo marito... -
Walker si interessò finalmente al suo whisky, lo trangugiò tutto d'un fiato e, quasi a spegnere il bruciore che questo gli aveva procurato nello stomaco, trangugiò immediatamente anche il bicchiere d'acqua.
Sempre guardandolo, la donna riprese a parlare: - Mio marito è scomparso, sono certa che l'abbia ucciso Alvarez, perché, vede, se fosse diversamente non sarebbe sparito senza dirmi una parola - .
- Ma perché Alvarez avrebbe dovuto ucciderlo? - , chiese Walker con impazienza.
- Vi erano cose... -
- Perché non si è rivolta alla polizia? - , la interruppe.
La donna teneva lo sguardo fisso alla finestra. Aprì la bocca per rispondergli, ma il suono le morì in gola, impallidì, si alzò di scatto e, aggiustandosi addosso l'impermeabile, scomparve frettolosamente dietro la porta della toilette del bar, da lei raggiunta con un balzo, prima che il giornalista si rendesse conto di ciò che ella stava facendo.
Il barista si avvicinò e, con malcelata indifferenza, prese il bicchiere di Walker, chiedendogli se volesse altro whisky.
- C'è forse una finestra nella toilette? -
- Che cosa? - , rispose il barista stupito dalla strana domanda.
- Una finestra, dico, abbastanza grande perché qualcuno possa passarci - .
- Una finestra c'è, ma non grande. Forse una donna, volendo, potrebbe uscirne fuori. Non l'ho mai visto fare, comunque - .
- Certo... -
Improvvisamente si spalancò la porta.
Tre uomini entrarono in fila indiana.
Walker riconobbe gli stessi individui incontrati poco prima.
Lo spettatore apatico della macchina, che doveva essere il capo, si diresse spedito, seguito dagli altri due, verso il suo tavolo. Era impeccabile nel suo cappotto nero col bavero di pelliccia. In testa aveva un costoso cappello, e una sciarpa di seta bianca gli avvolgeva morbidamente il collo. Aveva tutto l'aspetto di un importante manager che tornava da un viaggio di affari.
Con naturalezza si dette un colpetto col dito al baffo sinistro poi, guardando Walker, con aria di superiorità, disse: - Lei stasera mi è parso molto affaccendato... -
- Credo che lo siamo stati un po' tutti... Come sta, signor Alvarez? -

Marcella Nardi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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