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Autore: Marcella Nardi
La Maledizione di Bashaar
Giallo Storico
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La Maledizione di Bashaar
Gerusalemme, luglio 1100.

Sangue... sangue dappertutto.
Gerusalemme era caduta sotto la presa degli eserciti crociati e la Città Santa era finalmente in mani cristiane.
Erano trascorsi solo due giorni da quando gli infedeli erano stati sconfitti, ma i messaggeri stavano già cavalcando verso nord per comunicare l'importante notizia al Papa e ai re occidentali, proclamando al mondo che Dio aveva consegnato una grande vittoria nelle mani meritevoli degli invincibili e gloriosi soldati della sua santa guerra.
E tutto questo in nome di Dio! Che ne sarà di noi nel giorno del Giudizio?, si domandava il cavaliere mentre osservava, sgomento, la carneficina operata dagli eserciti cristiani.
Si chiamava Ewart, Sir Ewart Beringar, uno dei pochi cavalieri inglesi che si era unito alla crociata. Non si sentiva un eroe conquistatore. Mesi di fame, malattie, maltempo e difficoltà avevano fiaccato il suo entusiasmo per l'impresa. Quando le imponenti mura della Città Santa erano state finalmente violate e le sue porte spalancate per permettere l'entrata del resto dell'esercito, i cristiani si erano fatti strada tra gli abitanti civili come angeli vendicatori, ed Ewart ne era rimasto disgustato. Le uccisioni si erano perpetrate nel pomeriggio, e durante tutta la notte, così che quando i primi raggi di sole illuminarono Gerusalemme da est, l'astro evidenziò uno scenario infernale.
Dio mio, abbi pietà di noi, se puoi..., non faceva che ripetersi il cavaliere, camminando lungo le strade della Città Santa con la morte nel cuore.
Non era stato concesso quartiere a nessun musulmano o ebreo, così i cadaveri delle donne, dei vecchi e dei bambini giacevano accanto a quelli dei guerrieri. Erano stati massacrati nelle loro case. Porte e finestre sfondate da uomini bramosi di sangue e saccheggio. Erano stati aggrediti per le strade nella loro vana corsa per mettersi in salvo e, peggio ancora, per quanto riguardava Ewart, erano stati assassinati nelle loro moschee e sinagoghe, dove avevano creduto che sarebbero stati risparmiati.
Il feudatario di Ewart, il principe Tancredi, si era impadronito della terra che circondava la possente Cupola della Roccia e aveva posto il suo stendardo sul Tempio, promettendo a coloro che vi abitavano che sarebbero stati risparmiati, in cambio di un congruo riscatto. Ma i capi crociati si disprezzavano a vicenda tanto quanto i loro nemici, e la promessa di clemenza di Tancredi fu ignorata dai suoi rivali.
Quando il giorno seguente Ewart visitò il Tempio, si profilarono davanti ai suoi occhi pile di cadaveri che gli arrivavano alle ginocchia. Gli ebrei, nella loro sinagoga, non se l'erano cavata meglio: furono accusati di aver aiutato i maomettani e l'edificio fu dato alle fiamme, bruciando tutti e tutto all'interno. Quando non era rimasto più nessuno, e ogni casa, animale, pentola e utensili furono sequestrati e divisi tra gli invasori, il saccheggio ebbe fine. I principi guidavano i loro orgogliosi guerrieri, intrisi di sangue, in solenne riverenza a rendere grazie a Dio in modo appropriato e formale nella Chiesa del Santo Sepolcro.
Ewart non si unì a loro.
Si diresse, invece, sulle mura della città vicino alla Cupola della Roccia, rifiutandosi di far parte del pio gongolare in atto tra i vincitori.
Con i crociati in preghiera, e la maggior parte della popolazione morta, la città era tranquilla. Una capra belava da un giardino vicino, e un vento leggero e caldo sussurrava dal deserto e accarezzava le antiche mura. Mulinelli di polvere si muovevano nei cortili abbandonati, dove chiazze di erba gialla e secca tremavano al loro passaggio.
Ewart raggiunse i bastioni e guardò oltre il fianco della collina sterile, dove si erano accampati i crociati prima del loro assalto finale. Le tende svolazzavano, e in alcuni punti erano visibili dei servitori, lasciati a custodire il tesoro dei loro padroni. Dietro di lui, il fumo si alzava in una cappa grigia e untuosa. I fuochi dei saccheggiatori covavano ancora tra le rovine.
Ewart appoggiò le braccia al muro e chiuse gli occhi. Il sole picchiava sulla sua testa nuda e sentì il sudore iniziare a scorrergli lungo la schiena.
Alcuni cavalieri avevano fatto a meno della cotta di maglia e delle spesse sopravvesti che li avevano protetti durante la battaglia, ma Ewart si sentiva a disagio in quella città straniera, con i suoi minareti e pinnacoli, il confuso guazzabuglio di vicoli e le case anguste. Indossava ancora l'armatura, pensando di tenerla finché non si fosse sentito al sicuro.
- Quello che è successo qui vivrà nell'infamia per molti secoli a venire - , dichiarò una voce pacata al suo fianco.
Ewart si voltò allarmato.
Rapido, estrasse la spada dalla cintura e la puntò alla gola dell'uomo che aveva parlato.
Appena l'ebbe messo a fuoco, mise via l'arma.
Era vecchio, con una bocca quasi priva di denti, e le rughe profonde della pelle coriacea suggerivano che avesse trascorso la maggior parte della sua lunga vita sotto il sole cocente della Terra Santa. I suoi vestiti comprendevano un logoro abito monastico, sandali di cuoio consunti e una cintura fatta con i tendini intrecciati di qualche animale. I suoi occhi erano azzurri, luminosi e chiari, che sembravano appartenere a un corpo più giovane e meno debole.
- Dovresti stare più attento - , lo ammonì Ewart, irritato. Prima di rinfoderare la spada, si guardò intorno per assicurarsi che l'uomo fosse solo. - Non è saggio insinuarsi dietro i soldati in silenzio, specialmente ora - .
- Specialmente ora... - , fece eco il vecchio, guardando Ewart cupamente. - Volete dire che i vostri amici sono così assetati di sangue che prima colpiscono e solo dopo cercano di capire se siamo amici o nemici? -
- Sì - , rispose Ewart, appoggiandosi di nuovo al muro. - Dovresti restare nascosto e aspettare che si stabilisca una parvenza di ordine. Fino ad allora, Gerusalemme sarà una città pericolosa per chiunque non abbia una spada, anche per i monaci - .
- Ho questioni importanti di cui occuparmi - , disse indignato il vecchio. - Non posso indugiare oltre, quando ho così poco tempo a disposizione. Ma voi potete aiutarmi - .
- Per fare cosa? - , domandò Ewart, divertito dalla presunzione.
Il vecchio guardò verso l'area dove la massiccia struttura ottagonale dominava il Monte del Tempio, con la sua cupola liscia e lucente e le sue pareti di piastrelle dai colori vivaci. All'interno c'era una pietra dove, secondo la tradizione, Abramo si era preparato a sacrificare Isacco, e dove gli ebrei credevano che si trovasse il Santo dei Santi del Primo Tempio. I musulmani credevano che fosse il punto da cui Mohammed era salito durante il suo viaggio notturno, ed Ewart sapeva che ora sarebbe diventato un santuario cristiano. Macchie rossastre sul terreno e schizzi sui pilastri testimoniavano dove coloro che erano sotto la protezione di Tancredi erano stati assassinati solo due giorni prima.
- Non vi è piaciuto quello che è successo qui, Ewart Beringar. Non ne avete preso parte - , gli disse all'improvviso.
Ewart lo guardò con circospezione. - Come fai a sapere il mio nome? -
Il vecchio scrollò le spalle. - Ho visto cosa è successo e vi ho sentito litigare con gli assassini che sono venuti a versare il sangue maomettano. Ho chiesto a Sir Alfred de Lacy chi foste, e lui me l'ha detto - .
- Sei maomettano? - , chiese Ewart, temendo che se lo fosse stato, sarebbe stato saggio rimanere nascosto fino a quando la frenesia omicida non fosse completamente finita. Il suo amico, Sir Alfred, era un brav'uomo, ma anche lui si era unito all'ondata di violenza.
- Io sono Jonah - , rispose enigmatico il vecchio. - Mi aiutereste o no? -
- Cosa vuoi che faccia? -
- Prendete questo - , rispose il vecchio, frugando nella bisaccia unta attaccata alla cintura e tirando fuori una borsa di pelle. - Voglio che vi assicuriate che raggiunga il Papa a Roma - .
- Non posso - , rispose Ewart, rifiutandosi di accettarlo. - Forse resterò qui altri anni ancora al servizio del principe Tancredi, e la vita di un cavaliere in Terra Santa è a dir poco precaria. Tuttavia, ci sono molti monaci in partenza per Roma ora che Gerusalemme è stata conquistata. Uno di loro lo prenderà - .
- Ma questo è il mio problema - , lo contraddisse Jonah. - Ora come ora non posso fidarmi di nessuno - .
- Neanche tu mi conosci - , gli fece notare Ewart.
- Ne so abbastanza. Un uomo che cerca di salvare i civili nemici quando potrebbe saccheggiare, parla da solo. Dovete aiutarmi. Quello che contiene questa borsa è importante - .
- Mi dispiace - , ribatté Ewart con fermezza. - Chiedi a Nicodemus Fitzroy: è al servizio del Papa e ha intenzione di recarsi presto a Roma. È onesto e prenderà il tuo... - . Fece una pausa, poiché non sapeva cosa ci fosse nella borsa che Jonah considerava così importante.
- Morirà - , affermò Jonah, convinto. - Siete sicuro che ci si possa fidare di lui? -
- Perché morirà? - , domandò sospettoso Ewart, chiedendosi perché avesse offerto con immediata spontaneità i suoi servigi allo sfortunato monaco. - Era più che sano stamattina - .
- Questo è irrilevante - , affermò Jonah sprezzante. - Allora, dal momento che non mi aiuterete, parlerò a questo Fitzroy, per chiedergli di portare la mia reliquia a Roma - .
- Una reliquia? E appartiene a te? - , domandò Ewart, stupito.
Jonah baciò la borsa con notevole riverenza. - In questa sacca c'è un frammento della Vera Croce. L'ho salvato dalla chiesa del Santo Sepolcro prima che i vostri compagni arrivassero - .
- Hai rubato una reliquia da una chiesa? - , chiese Ewart, inorridito. - Ma questo è un sacrilegio! Dovresti rimetterlo a posto prima di essere colpito da una punizione divina - .
- È troppo tardi per quello - , affermò il monaco con tono pragmatico. - Troppo tardi - .
- Non è vero - , disse Ewart, resistendo all'impulso di allontanarsi da Jonah e dal suo pericoloso bottino. Non era un uomo particolarmente superstizioso, ma nutriva un profondo rispetto verso le sacre reliquie. - Dovresti rimetterlo a posto prima... -
- Ve l'ho detto, è troppo tardi - , insistette Jonah bruscamente. - Questo frammento santo è stato custodito per secoli nella chiesa del Santo Sepolcro, sempre sotto la tutela di un sorvegliante arabo. Ma gli eventi degli ultimi due giorni hanno posto fine a tutto questo - .
- Perché un arabo? - , chiese Ewart, incuriosito da quella informazione nonostante il suo sesto senso lo avvertiva di non avere più nulla a che fare con la faccenda. - Se è davvero un pezzo della Vera Croce, allora sarà una delle cose più sacre della Città Santa e dovrebbe essere custodita dai cristiani - .
- La maggior parte dei cristiani è troppo spaventata dal suo potere per servirla adeguatamente - , dichiarò Jonah con impazienza. - E questa famiglia araba se ne occupa con devozione da centinaia di anni. L'ultimo membro si chiamava Bashaar - .
- Suppongo che sia stato ucciso - , ipotizzò Ewart, - non sapendo che lui e i suoi antenati avevano servito fedelmente la Chiesa per così tanto tempo - .
- Peggio - , affermò Jonah. - Avete ucciso la sua famiglia, qui, al Monte del Tempio. Quando Bashaar ha saputo quello che era successo, ha strappato la reliquia dal suo santuario e l'ha maledetta: chiunque vi metterà un dito sopra morirà - .
- Un motivo in più per rimetterlo a posto... - . Ora Ewart si sentiva del tutto giustificato nel fare un passo indietro, e non gli importava che quel gesto lo rendesse un codardo. Almeno sarebbe rimasto vivo.
Jonah sembrò non notare il suo disagio e continuò con il suo racconto, uno sguardo lontano nei suoi occhi azzurri. - Poco tempo dopo che Bashaar aveva urlato la sua maledizione al vento, i crociati hanno fatto irruzione nella chiesa e lo hanno ucciso. Ho visto e sentito tutto, e sono riuscito a salvare la reliquia dalla mano di Bashaar, ormai morto, prima che venisse calpestata e distrutta per sempre - .
- Se è davvero maledetta, allora l'unico posto in cui deve restare è nella chiesa del Santo Sepolcro - , dichiarò Ewart, pensando che Jonah avrebbe dovuto permettere che fosse schiacciata in modo che non potesse fare del male a nessuno. - Riportala ai sacerdoti e racconta quello che hai visto. Forse possono... -
- Non possono fare niente! - , sentenziò Jonah. - In questo mondo, non c'è niente di più pericoloso di una sacra reliquia che è stata maledetta da un uomo buono. Non può restare a Gerusalemme, perché chissà cosa potrebbe succedere se cadesse nelle mani sbagliate. Gli uomini malvagi possono usarla per i propri fini e ne può derivare ogni sorta di caos. No, c'è un solo luogo dove sarà reso innocuo, ed è Roma, vicino alle tombe dei santi padri. Siete sicuro di non potermi aiutare? -
- Non posso abbandonare i miei doveri qui - , spiegò Ewart. - Ma se questa reliquia è pericolosa come dici, allora dovresti dirlo ai capi della crociata. Sapranno come tenerla nascosta dalle persone sbagliate - .
Jonah gli rivolse uno sguardo sprezzante, che evidenziava quanto lo considerasse un imbecille per aver riposto fiducia negli uomini duri e avidi che avevano imposto le loro truppe crudeli e bramose alla Città Santa. - Non sarà al sicuro qui, non tra questi macellai - .
- Allora rimettilo a posto e non dire niente a nessuno - , suggerì Ewart per tagliar corto. - I macellai non faranno irruzione in una chiesa ora che il saccheggio è finito, e la tua reliquia sarà più al sicuro qui che in viaggio verso Roma - .
- Mi sbagliavo su di voi - , dichiarò Jonah amaramente. - Pensavo che foste un uomo di principi, ma siete proprio come tutti gli altri, e per giunta uno sciocco - .
Si voltò e si allontanò, mentre i suoi passi echeggiavano nel cortile deserto della città che odorava di morte.

Non appena gli obblighi religiosi dei principi furono adempiuti attraverso un lungo e ostentato servizio di ringraziamento, Ewart si trovò impegnato, nella settimana successiva, ad aiutarli a ristabilire la legge e l'ordine in città. Gli incendi dovevano essere estinti, i soldati nutriti e alloggiati, i cavalli messi in stalla e il bottino diviso in modo equo dalla maggioranza. I danni causati alle mura durante l'attacco dovevano essere riparati, elaborando dei piani per rafforzarle in caso di attacco o di rappresaglia.
Quando la giornata di lavoro terminò, mentre il sole tramontava in una sfera rosso fuoco, Ewart e Sir Alfred de Lacy rientrarono nei loro alloggi temporanei sulla via del Santo Sepolcro. Era stato imposto un coprifuoco civile, e le strade erano già quasi deserte. Un vecchio greco, vestito di nero, zoppicava lungo un vicolo polveroso, mentre un uomo con un carro trainato da un asino carico di frutta viaggiava a passo svelto nella direzione opposta. Due monaci si precipitavano verso la chiesa del Santo Sepolcro, dove una campana suonava per annunciare l'inizio della compieta.
Ewart era stato troppo occupato per pensare ulteriormente alla sua strana conversazione con Jonah, ma la ricordò quando riconobbe uno dei monaci: Nicodemus Fitzroy, il prelato al servizio del Papa. Indossava l'abito benedettino, portava una sacca sulle spalle e stringeva un robusto bastone in una delle sue forti mani. Il secondo monaco era una persona che a Ewart non piaceva: un tipo piccolo, con la faccia da donnola, originario della Normandia, di nome Melvyn. Melvyn era stato coinvolto in uno spiacevole incidente relativo al furto di un crocifisso d'oro alcuni mesi prima e, sebbene nulla fosse mai stato provato, Ewart nutriva seri dubbi sull'onestà dell'uomo.
- Partiamo domani all'alba - , comunicò Fitzroy, dopo che si furono scambiati i saluti di rito. - Sono via da tre anni ormai, e dubito che il Papa possa farcela senza di me ancora per molto - . Strizzò un occhio ai due cavalieri, chiaramente impaziente di tornare a casa.
- Che Dio ti faccia procedere veloce - , gli augurò Sir Alfred, allungando una mano per afferrare affettuosamente la spalla del monaco. - Cavalca leggero e non bere acqua che il tuo cavallo non ingoierà. Me l'ha detto mia madre, ed è un consiglio che mi è sempre servito - .
- Andrai anche tu a Roma? - , chiese Ewart a Melvyn, ritenendo che non fosse il compagno di viaggio ideale per Fitzroy, soprattutto se il monaco avesse acconsentito alla richiesta di Jonah di portare con sé la reliquia maledetta. Melvyn era riservato e inaffidabile. Si strinse nelle spalle e un'espressione furba gli attraversò il viso. - In parte, forse. Dipende da quali opportunità si presentano mentre procediamo - .
Sir Alfred evidenziò sprezzante. - Non molte, immagino. Abbiamo saccheggiato il meglio durante il viaggio per arrivare qui, e dubito che sia rimasto qualcosa per il viaggio di ritorno - .
- Comunque non ho tempo per simili distrazioni - , dichiarò Fitzroy con noncuranza. Abbassò la voce confidenzialmente, guardandosi intorno mentre parlava, per assicurarsi di non essere sentito. - Sono stato incaricato di portare una reliquia al Santo Padre a Roma. Non voglio occuparmi di una cosa del genere più a lungo del necessario e intendo viaggiare il più velocemente possibile - .
- Una reliquia? - , chiese Melvyn in un modo che mise Ewart in allarme. - Ho sentito dire che una ciocca dei capelli della Vergine è ancora dispersa, e tutti noi abbiamo scheggiato la roccia di Abramo al Monte del Tempio - . Batté la sua sacca, per indicare che portava con sé il suo frammento.
- Non tutti noi - , precisò Ewart, perentorio.
- Ho un pezzo della Vera Croce - , bisbigliò Fitzroy, - macchiato del sangue preziosissimo di nostro Signore Gesù Cristo - .
L'interesse di Melvyn aumentò visibilmente. - Esiste una cosa del genere? -
- Certo che esiste - , affermò Sir Alfred, precedentemente informato. - Mio padre è il vescovo di Lacey, come sai, e mi ha parlato della Vera Croce. Per molti anni nessuno seppe cosa le fosse successo, e si presumeva che fosse marcita su quella collina laggiù - . Indicò dove pensava potesse essere il luogo della crocifissione con un vago cenno della mano. - Ma poi circolò la voce che la Vergine Maria l'aveva portata a casa, fatta a pezzi e consegnato un frammento a ciascuno dei discepoli - .
- Da sola? - , chiese Melvyn palesando la sua incredulità. - Si diceva che queste croci fossero molto grandi e pesanti - .
- Oh, sì - , affermò Sir Alfred con velata soddisfazione. - Era una donna forte. Ed era la madre di Nostro Signore. Era la forza divina ad agire in lei - .
- Non sono sicuro che sia andata davvero così - , espresse Ewart con una vena di scetticismo, chiedendosi se il vescovo di Lacey avesse davvero raccontato a Sir Alfred una storia del genere, o se avesse sentito qualcosa di completamente diverso e l'avesse abbellita per renderla più interessante. - Nessuno sa cosa sia realmente successo alla croce, ma si diceva che l'imperatore Costantino fosse in possesso di un suo frammento - .
- Il mio ordine sa da secoli che una parte della Vera Croce si trovava qui, a Gerusalemme - , dichiarò Fitzroy. - Pertanto, non sono rimasto sorpreso quando mi è stato chiesto di portarne un frammento a Roma - .
- Dov'è? - , chiese Melvyn, incuriosito.
- Al sicuro - , rispose Fitzroy. - In un posto che conosco solo io - .
Melvyn sembrava deluso, ed Ewart si chiese se avrebbe dovuto consigliare al prelato di non portare l'uomo con sé durante il viaggio. Ma Fitzroy non era uno sciocco, ed Ewart era convinto che sapesse cosa stesse facendo.
- Sono contento che ci siamo incontrati, Ewart - , continuò Fitzroy, - perché voglio che tu faccia qualcosa per me. Sono maldestro con la penna, ma la tua scrittura è chiara e ordinata. Vuoi fare da scrivano per me? - . Senza attendere una risposta, frugò nella sua bisaccia alla ricerca di pergamena, inchiostro e penna, che stese su un muretto.
Ewart si fece avanti e prese la penna offertagli, immergendola nell'inchiostro e sollevando le sopracciglia con aria interrogativa mentre aspettava che Fitzroy iniziasse a dettare. Non era la prima volta che gli veniva chiesto di scrivere delle lettere. Un cavaliere istruito era insolito e, sebbene la maggior parte dei suoi compagni militari considerasse la sua educazione un anatema, a volte alcuni chiedevano il suo aiuto. Si chinò sulla pergamena quando il prelato iniziò a parlare a bassa voce.
- Questo è un frammento della Vera Croce, macchiato del sangue di nostro Signore Gesù Cristo, che è stato custodito nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme... -
Sir Alfred si sporse per osservare le parole che si formavano sulla pergamena. - Sì. Una reliquia ha bisogno di una presentazione, così tutti sapranno che è reale. Firmalo anche con il tuo nome, per farlo sembrare ufficiale - .
- E includi la data - , aggiunse Melvyn. - Questo dirà a tutti che è stato trovato dopo il salvataggio della Città Santa. Così nessuno metterà in dubbio la sua autenticità - .
- E un sigillo - , suggerì Sir Alfred. - Ha bisogno di un sigillo adeguato - .
- Non ne ho uno - , rispose Ewart, le cui mani erano prive dei pesanti anelli che molti uomini usavano per imprimere le lettere che avevano composto. Finì di scrivere le parole latine con la sua bella grafia rotonda, in attesa che il caldo sole della sera asciugasse l'inchiostro.
- Usa il mio, allora - , propose Sir Alfred, sfilandosi l'enorme anello dal dito medio. - Mio padre me l'ha donato prima che partissi per la guerra - .
Sir Alfred non sapeva scrivere e non aveva mai avuto bisogno di apporre un sigillo su nessun tipo di documento, ma l'anello era d'oro e aveva anche un valore affettivo. Comprendeva un disco di circonferenza simile a una moneta d'argento, ed era decorato con una croce sormontata da una mitra, per rappresentare l'ufficio del vescovo di Lacey come prelato. Ewart lo prese e lo pigiò nel mezzo della cera che Melvyn stava gocciolando sul fondo della sua pergamena.
- Ecco - , disse Melvyn soddisfatto. - Ora porta il sigillo di un importante vescovo normanno. Nessuno oserà mai mettere in dubbio la sua autenticità - .
Ewart non ne era così sicuro, data la dubbia reputazione di molti vescovi, e del padre di Sir Alfred in particolare, ma tenne la lingua a freno e si concentrò sull'agitare la pergamena finché la cera non si fosse rappresa. Consegnò il documento a Fitzroy, che lo mise al sicuro nella sua bisaccia. La campana della compieta suonò di nuovo e il prelato cominciò a dirigersi verso la chiesa del Santo Sepolcro. Gli altri lo seguirono.
- Hai sentito cos'è successo qui? - , chiese Sir Alfred, osservando lo strano miscuglio di torri e cupole della chiesa, mentre camminava. - Ethan di Oxford, che era incaricato di sottomettere questa zona in Terra Santa, si è imbattuto in un arabo che sosteneva di essere un fedele servitore della nostra Chiesa e, in quanto tale, chiedeva che lui e la sua famiglia venissero risparmiati. Ma Ethan gli ha mostrato cosa succede agli infedeli che sporcano le nostre cose sacre con mani profane. Cosa credevano di fare i sacerdoti, permettendo a un arabo di entrare in un posto del genere? -
- Tradizione - , dichiarò Fitzroy con voce sommessa. - La famiglia di Bashaar si era presa cura della reliquia per anni. Era un leale servitore della Chiesa ed Ethan di Oxford non avrebbe dovuto ucciderlo - .
Fece un cenno di addio a Ewart e Sir Alfred ed entrò nell'edificio. Melvyn gli corse dietro. Ewart li osservò con un'espressione turbata. Avrebbe preferito che Fitzroy non avesse raccontato a Melvyn della reliquia e, ancora di più, che Melvyn non viaggiasse con il monaco la mattina seguente. Continuava anche a chiedersi se avesse fatto bene a suggerire a Jonah il nome di Fitzroy come qualcuno di cui potersi fidare, temendo che l'impegno di portare la reliquia a Roma potesse causargli problemi.
Osservò i due monaci puntare al presbiterio, poi li seguì, con l'intenzione di attraversare l'edificio per raggiungere il suo alloggio temporaneo sito in una stradina dall'altra parte. La funzione serale era già in corso e l'inebriante profumo di incenso aleggiava lungo la navata. I sacerdoti erano radunati intorno all'altare maggiore, intonando un salmo, e le loro voci echeggiavano attraverso le varie cappelle che componevano la chiesa. Dentro faceva fresco, ed Ewart voleva indugiare, dopo il caldo intenso della giornata, per assaporare la pace, ma Sir Alfred aveva altre idee in mente e iniziò a intrattenere il suo amico con le descrizioni di un nuovo bordello che voleva fargli visitare quella sera. Tirò la manica di Ewart quando il cavaliere si fermò, esortandolo a sbrigarsi.
Uscirono dalla porta sul retro, dirigendosi verso lo stretto vicolo in cui si trovava la loro stanza, mentre Sir Alfred si dibatteva sulle delizie da assaporare al Palazzo dei Piaceri di Abdul. Ewart fingeva interesse, più preoccupato per Fitzroy e Melvyn che per l'analisi sulle prostitute di Abdul. Fu scosso dalle sue preoccupazioni da un'imprecazione di Sir Alfred mentre venivano allontanati con una gomitata da qualcuno che indossava un abito marrone. In un primo momento, Ewart credette che quel tipo fosse Jonah, ma quest'uomo era più giovane e aveva più capelli. Lo osservò sfrecciare verso un mucchio di stracci, dove cadde in ginocchio e iniziò un basso, lamentoso gemito di angoscia.
Il nobile crociato provò un acuto senso di disagio quando vide che il mucchio di stracci era in realtà un altro uomo con una tunica marrone, che appariva morto. Si avvicinò all'uomo in lutto e guardò oltre la sua spalla.
Jonah giaceva lì, con la faccia bianca come la cera e gli occhi azzurri che fissavano il cielo serale che si oscurava, senza vederlo.
- Non c'è sangue - , osservò Sir Alfred, ispezionando il corpo con l'occhio professionale di un uomo che aveva visto più cadaveri di quanto un essere umano possa aspettarsi nella sua intera esistenza. - Deve aver avuto un attacco di cuore - .
- Ha detto che sarebbe morto - , singhiozzò l'amico di Jonah. - Non appena si è sbarazzato di... - , esitò, come se si rendesse conto che avrebbe dovuto mantenere il silenzio.
- La reliquia? - , domandò Ewart, fissando l'uomo che si alzava in piedi e indietreggiava allarmato. - Il pezzo della Vera Croce? -
- Come fate a saperlo? - . Si guardò intorno con timore.
- Jonah mi aveva chiesto di portarlo a Roma - , rispose Ewart. - Ho rifiutato e qualcun altro lo sta facendo. Ma chi sei? -
- Ambrose - , sussurrò l'uomo, affranto. - Jonah e io apparteniamo a un Ordine chiamato Confraternita della Croce e ci dedichiamo all'adorazione della Santa Croce - .
- Non a chi è davvero morto? - , chiese Ewart, pensando che le loro priorità fossero confuse.
- La croce è un oggetto sacro, intriso di grande potere - , dichiarò convinto il monaco, asciugandosi gli occhi con la manica e parlando come se stesse recitando a memoria qualcosa che gli era stato insegnato. - È degna della nostra totale devozione, esattamente come alcuni ordini rendono omaggio a un particolare santo - .
- Quanto della Vera Croce esiste ancora a Gerusalemme? - , domandò Ewart, desideroso di sapere. - Avevo l'impressione che ci fosse solo un frammento - .
Ambrose abbassò lo sguardo su Jonah e gli occhi si riempirono nuovamente di lacrime, ma rispose comunque alla domanda. - Il frammento custodito qui, nel Santo Sepolcro, è più sacro degli altri, perché è macchiato del sangue di Cristo. Ma ce ne sono altri in città, e sono degni anche loro delle nostre preghiere e devozioni - .
- C'è un enorme pezzo nella chiesa di Santa Caterina - , manifestò Sir Alfred, indicando con le mani qualcosa delle dimensioni di un pezzo di pane. - Le schegge vengono staccate e vendute a chiunque abbia cinque monete d'oro - . Accarezzò la borsa in un modo che indusse Ewart a presumere che ne avesse acquistata una per sé.
- Quel pezzo in particolare non è riconosciuto dal mio Ordine - , spiegò Ambrose, asciugandosi il naso con la manica. - Ma potrebbe essere genuino, suppongo. Tuttavia, non è santo come quello che era custodito qui - .
La sua dichiarazione indusse Ewart a sospettare che un chierico senza scrupoli avesse imbrogliato prendendo un pezzo di legno da un edificio e che stesse facendo fortuna con acquirenti creduloni. Immaginava che le schegge sarebbero arrivate alle chiese e ai monasteri di tutta la cristianità, dove sarebbero state venerate. C'erano molti soldi da guadagnare da fondazioni religiose che possedevano sacre reliquie, e la maggior parte avrebbero pagato molto per possederne una. Sentiva che gli affari di Santa Caterina erano probabilmente i primi di una lunga serie di menzogne che sarebbero seguite dalla Crociata.
- Povero Jonah - , disse Ambrose, ricominciando a piangere. - Ha detto che sarebbe morto, e aveva ragione - .
- Perché l'ha detto? - . Ewart ricordò che Jonah gli aveva evidenziato che Fitzroy sarebbe morto, ma non aveva menzionato la propria morte.
- La maledizione - , sussurrò Ambrose, impaurito. - La maledizione di Bashaar - .
- Maledizione? - , domandò Sir Alfred, indietreggiando rapidamente. - Quale maledizione? -
- Bashaar ha detto che chiunque avesse messo un dito sulla reliquia sarebbe morto - . Ambrose tirò su col naso miseramente. - Jonah l'aveva presa per consegnarla a un monaco affinché la portasse a Roma. Affermò che non appena l'avesse ceduta alla sua custodia, lui sarebbe morto. Speravo che la maledizione di Bashaar non fosse vera, ma Jonah era certo che avrebbe funzionato, motivo per cui non avrebbe permesso a nessuno di noi di toccare la reliquia, eccetto lui. Si è sacrificato per noi - .
Ewart si chinò per ispezionare il corpo con più attenzione. Non vedeva alcuna ferita, e anche dopo aver passato le dita sul cuoio capelluto dell'uomo non si notava alcuna prova di un colpo alla testa. Per quanto ne sapeva, Jonah era morto per cause naturali.
- E ha incontrato il Creatore non appena ha passato la cosa a Fitzroy? - , chiese Sir Alfred, guardando a disagio la propria bisaccia con la scheggia appena acquistata. - Signore, salvaci! -
- Questo faceva parte della maledizione - , spiegò Ambrose. - Una volta che ci hai messo le dita sopra, devi tenerla sempre con te, se vuoi vivere. Anche Fitzroy morirà, una volta che lo cederà al papa. E il Papa morirà dopo averlo deposto nelle sue cripte - .
- Jonah credeva così fortemente nella maledizione che nel momento in cui ha consegnato la reliquia a Fitzroy ha perso la voglia di vivere - , tentò una spiegazione Ewart, che era dotato di un forte spirito pratico. Conosceva bene il potere della mente umana in tali situazioni.
- Ci credeva - , convenne Ambrose. - Ma ci credereste anche voi, se aveste sentito le maledizioni di Bashaar. Provenivano da un terribile dolore e da una profonda furia per il tradimento subito. Quella reliquia è contaminata e sono felice che presto sparirà dalla mia città - .
La reliquia e la sua maledizione occuparono la mente di Ewart per tutta la sera, al punto che abbandonò Sir Alfred ai suoi allegri sollazzi presso il Palazzo dei Piaceri di Abdul. Rifletté sulla convinzione di Jonah che sarebbe morto non appena avesse ceduto la reliquia a Fitzroy, e pensò che il vecchio fosse morto semplicemente perché il suo cuore aveva cessato di battere. Cose del genere succedevano spesso agli anziani. Era stata solo una semplice coincidenza. Quando finalmente si addormentò, il suo sonno fu turbato dagli incubi.
Si svegliò il giorno seguente prima dell'alba, disturbato dal russare tonante di Sir Alfred, e andò a messa nella chiesa del Santo Sepolcro. C'erano pochi crociati presenti, perché il fervore religioso della settimana precedente era già un ricordo del passato. Vagò per l'edificio con le sue numerose nicchie mentre i sacerdoti recitavano l'ufficio, e alla fine scoprì una piccola cappella dedicata alla Santa Croce. Entrò in silenzio, non volendo interrompere le preghiere dei due preti inginocchiati.
Ewart guardò l'altare e vide che era decorato con una grossa croce d'oro. Nel mezzo di questo splendido oggetto c'era una rientranza, completa di una minuscola finestra di vetro e di un minuscolo cardine. Uno dei sacerdoti, che sembrava più incline a parlare che a completare le sue devozioni, riferì a Ewart che un pezzo della Vera Croce era stato racchiuso al suo interno, finché Bashaar non l'aveva strappato via urlando la sua terribile maledizione. Ora era vuoto e la Confraternita della Croce era priva della sua più sacra reliquia. Un uomo coraggioso, sussurrò il monaco, si era offerto di portarla a Roma, dove si sperava che la maledizione sarebbe stata revocata. Una storia che già conosceva.
Quando la messa terminò, Ewart uscì in una città che si stava svegliando. Un galletto cantava al nuovo giorno e il cielo cominciava a schiarirsi. Entro un'ora, il sole sarebbe sorto e Gerusalemme sarebbe stata avvolta dalla sua torrida calura estiva. I carri cominciavano a rombare lungo le strette strade, portando provviste ai mercati, e i pochi cittadini sopravvissuti, risparmiati perché cristiani o perché erano riusciti a nascondersi fino alla fine del massacro omicida, si affrettavano nervosamente per i loro affari. I cavalieri spavaldi si aggiravano qua e là, vincitori nella città sconfitta, mentre un gruppo di fanti barcollava ubriaco verso la Cittadella: la loro notte di bevute e prostitute era finita.
Poiché i cancelli erano ancora chiusi e chiunque avesse voluto lasciare la città quel giorno non sarebbe stato autorizzato a farlo, Ewart decise di andare da Fitzroy. Voleva chiedergli perché era disposto a portare con sé una reliquia così pericolosa nel lungo viaggio verso Roma, e aveva deciso di dirgli che avrebbe potuto scegliere qualcuno migliore di Melvyn come compagno in quel percorso. Si diresse verso la piccola locanda vicino alla chiesa di San Giacomo dove alloggiava Fitzroy. Un grasso benedettino, che oziava pigramente su una panchina fuori, gli disse che Fitzroy non era ancora partito, ma che intendeva farlo entro un'ora.
Ewart salì i gradini irregolari di legno fino al piano superiore e bussò alla porta di Fitzroy. Non ci fu risposta, quindi bussò di nuovo, questa volta più forte. Quando un terzo martellamento rimase senza risposta, estrasse un pugnale dalla cintura, afferrò il chiavistello e aprì la porta.
Fitzroy era dentro, completamente vestito, sul letto. Inizialmente, Ewart pensò che fosse morto, perché giaceva immobile e la sua faccia aveva uno strano colore grigiastro. Poi, però, percepì una leggera salita e discesa nel petto del monaco. Guardò rapidamente intorno nella stanza, per assicurarsi che Melvyn non stesse indugiando nell'ombra con un'arma pronta a colpire, ma era vuota. Due pacchi erano già pronti su una panca, sui quali il suo mantello da viaggio era ben ripiegato. Fitzroy, a quanto pareva, era sul punto di andarsene.
Ewart si avvicinò al letto e prese in mano il polso del monaco, per sentire la vita battergli sotto la punta delle dita. Era più forte di quanto avesse previsto, così lo afferrò per le spalle e lo scosse con fermezza. Il benedettino aprì gli occhi vitrei, poi si leccò le labbra ed esternò un debole sorriso.
- Ewart! Pensavo che non avrei mai più visto un volto vivo - .
- Cosa vuoi dire? - , chiese Ewart, attonito. - Non c'è niente di strano in te: nessuna ferita, nessuna malattia. Eri in forma ieri, e non conosco nessuna malattia che possa uccidere un uomo con una tale rapidità - .
Non era vero.
Aveva riscontrato diverse brutte malattie che potevano ridurre in poche ore uomini sani in cadaveri, ma la maggior parte erano contratte in aria umida e malsana o erano causate dal consumo di acqua avvelenata. Fitzroy era un viaggiatore esperto e sapeva come evitare tali rischi.
- La reliquia - , disse Fitzroy a bassa voce, - l'avevo in una borsa appesa al collo la scorsa notte, ma quando mi sono svegliato stamattina, qualcuno l'aveva presa. E ora morirò - .
- Non accadrà - , disse Ewart con fermezza. - Gli uomini sani non muoiono così facilmente - .
- La maledizione - , sussurrò Fitzroy. - La maledizione di Bashaar. Chiunque avesse toccato la reliquia e rinunciato ad essa sarebbe morto - .
- Cretinate - , affermò Ewart, cercando di mettere il monaco in posizione seduta. Fitzroy era come un peso morto, e reclinò indietro di nuovo. - Bashaar può aver fatto una simile affermazione, ma gli uomini razionali di Dio non possono riporre fede in questo genere di cose. Gli infedeli ci hanno maledetto per tutto il tragitto da Costantinopoli a Gerusalemme, e noi non ci siamo accorti di loro. Perché questo Bashaar dovrebbe essere diverso? -
- A causa della Vera Croce - , il prelato ne era certo. - Ho sentito la mia forza diminuire non appena la borsa è stata portata via. Non ero in grado di impedirgli di andare - .
- Se credi a tutte queste sciocchezze, allora perché hai accettato di portarla a Roma? - , fu la pronta domanda di Ewart, ormai esasperato dalla situazione.
- Perché era il mio sacro dovere - , sussurrò Fitzroy. - Appartiene a Roma, dove può essere collocata in un luogo in cui non può essere utilizzata per scopi malefici. Sapevo che sarei morto se avessi intrapreso la missione. Jonah è stato onesto con me in questo senso - .
- Suppongo che Melvyn ti abbia derubato - , ipotizzò Ewart, disgustato. Non si fidava di lui. Avrebbe voluto rimanere con Fitzroy la notte precedente, e poi inventare una scusa per impedire a Melvyn di viaggiare con il monaco. Ma non credeva che avrebbe rubato la reliquia così presto.
- Non è stato Melvyn - , rispose il prelato. - Era amico di Jonah e di Ambrose. Ho riconosciuto la sua faccia al chiaro di luna. Suppongo che la Confraternita abbia cambiato idea e abbia deciso di tenere la reliquia qui invece di inviarla a Roma. Non posso biasimarli - .
- Ho avuto l'impressione che considerassero la reliquia pericolosa, e che preferissero tenerla fuori dalla loro città - . Ewart ricordò il monaco loquace con cui aveva chiacchierato quella stessa mattina. Di certo non era sembrato dispiaciuto di vedere la maledetta reliquia scomparsa.
- Jonah, sì, ma forse non tutti i suoi confratelli erano d'accordo. In ogni caso, il mio ruolo ora è finito. Avrei dovuto portare a termine la missione, ma ora sono condannato - .
- No - , lo rincuorò Ewart. - Se ti lasci sopraffare dalla paura, allora potresti morire per davvero. Non c'è motivo per cui non dovresti rivedere Roma - .
- Vorrei vedere il Tevere - , sussurrò Fitzroy con occhi desiderosi. - Non c'è fiume al mondo bello come il Tevere - .
Ewart gli fece scivolare un braccio sotto le spalle e lo tirò in piedi. - Allora vieni fuori con me. Guarda il sole e il cielo e ti sentirai meglio. Il tuo momento di morire non è ancora giunto - .
Cominciò a trascinarlo attraverso la stanza, barcollando sotto il suo enorme peso. Lottò giù per le scale e lo trascinò all'aria aperta. Fitzroy sollevò la testa e alzò gli occhi al cielo che si tingeva di azzurro, e un sorriso gli sfiorò le labbra. Staccò il braccio dalle spalle di Ewart e si appoggiò al muro.
- Potresti avere ragione - , disse speranzoso. Ewart notò che il colore stava tornando sulle sue guance. - Mi sento meglio qui fuori - .
- Fai un bel respiro profondo - , suggerì Ewart. - E siediti sulla panchina accanto al tuo confratello - .
Il grasso monaco si spostò in modo che Fitzroy potesse riposarsi, borbottando su coloro che la mattina prima dei lunghi viaggi avevano bevuto più di quanto fosse opportuno. Il prelato non lo corresse, ma si sedette con gli occhi chiusi, assaporando il sole nascente sul suo viso e la forza che tornava alle sue membra.
Ewart divenne presto irrequieto e vagò per la breve distanza fino alla fine del viottolo, dove osservò la luce del sole obliqua in pozzi polverosi lungo la strada principale. Le campane suonavano in tutta la città e le strade si stavano affollando. Improvvisamente, un carro tuonò dietro l'angolo, rovesciando frutta lungo la sua scia. Nessuno lo guidava e una piccola folla di persone gli correva dietro, gridando a quelli che stavano davanti di fermarlo. Ma c'era poco che Ewart potesse fare per fermare un cavallo in fuga, ed era impreparato a rischiare la vita o il braccio saltando per afferrare le redini, quando c'era il pericolo di essere schiacciato sotto gli zoccoli o le ruote. Si appiattì contro un muro e il carro lo superò sferragliando. Poi, proprio mentre raggiungeva la panchina dove sedevano Fitzroy e il grasso monaco, un'asse si spezzò.
Il carro si ribaltò, poi cadde da un lato con uno stridio lacerante del legno. Il cavallo inciampò per l'impatto e cadde in ginocchio, nitrendo per il dolore e il terrore. Pezzi di frutta rimbalzarono dappertutto, spingendo le persone a correre con l'obiettivo di raccoglierne il maggior numero possibile prima che il proprietario arrivasse a reclamarli.
Ewart corse verso la panchina, poi si fermò inorridito.
Una parte del carro si era tranciata in un feroce spuntone, conficcandosi nel corpo di Fitzroy che si stava crogiolando al sole. Accanto a lui, il suo grasso confratello sedeva scioccato, con la bocca spalancata e il viso carnoso coperto da un velo di sudore. Ewart si accorse che era illeso, quindi rivolse la sua attenzione al prelato.
Il benedettino era morto. Era seduto come Ewart lo aveva lasciato, con un sorriso contento sul viso e gli occhi chiusi. Il cavaliere indietreggiò, i suoi pensieri vacillarono. Era stata solo una terribile coincidenza? O la maledizione di Bashaar funzionava davvero? Si passò una mano tremante sul viso, incerto su cosa credere.
Fitzroy era morto. Jonah era morto. Ma la reliquia era scomparsa, di nuovo affidata alla Confraternita, ed Ewart sperava che l'avrebbero tenuta al sicuro, così non avrebbe mai più infierito contro uomini buoni.
In una casa, in quello che era stato il quartiere ebraico della città, Ambrose prese una piccola borsa di pelle che portava al collo e la porse a Melvyn, che l'afferrò con un sorriso beffardo e ne allentò i lacci in modo da poter guardare dentro. La scosse delicatamente e un frammento di legno della lunghezza del suo indice cadde nel palmo della sua mano.
- Farò in modo che questo arrivi a Roma - , dichiarò convinto, riponendolo nella borsa e inserendo tutto nella sua bisaccia. - Fitzroy era avido e corrotto, e l'avrebbe venduto al primo commerciante di reliquie senza scrupoli che gli avesse offerto un bel po' di soldi, ma io non sono soggetto a tali debolezze - .
- Attenzione a non diventarlo - , lo avvertì Ambrose, cadendo in ginocchio mentre un curioso letargo lo assaliva. La reliquia stava per reclamare la sua terza vittima e sapeva che se Melvyn non fosse riuscito a portarla a Roma per assicurarsi che riposasse nelle cripte più profonde del Vaticano con le ossa dei santi, ne sarebbero seguite altre. La maledizione di Bashaar doveva essere presa sul serio e Jonah aveva fatto bene a organizzarne l'allontanamento dalla città. Aveva soltanto scelto l'uomo sbagliato, ed era una fortuna che Melvyn fosse a disposizione per consigliare e aiutare. - Vattene, ora - .
- Sono già andato - , disse Melvyn, prendendo il suo zaino da viaggio e dirigendosi verso la porta. - Finisci il vino che ti ho portato prima di andare a raccontare ai tuoi fratelli del nostro successo. Ti fortificherà, sei pallido - .
L'altro monaco non se lo fece ripetere due volte. Quando ebbe finito di bere, Melvyn era già scivolato fuori dalla porta e l'aveva chiusa dietro di sé. Ambrose fu piuttosto sorpreso nel sentire il suono di una chiave nella serratura. Si alzò in piedi e barcollò verso di essa, tirando con le poche forze rimaste finché si rese conto che non si sarebbe aperta. Si chiese perché Melvyn avesse fatto un'azione del genere, quando gli aveva appena ordinato di raccontare ai suoi fratelli il suo nobile gesto. Si sentì assalire dalle vertigini e dalla nausea. Raggiunse a fatica il tavolo, dove il calice di vino di Melvyn era intatto.
Inorridì.
Aveva appena compreso cosa aveva fatto il suo confratello.
Melvyn lo aveva avvelenato e lo aveva rinchiuso in quella remota catapecchia in modo che nessuno del suo Ordine sapesse cos'era successo. Ma perché? Ambrose aveva dato a Melvyn la reliquia in buona fede e volentieri. Perché ucciderlo? Si accasciò a terra mentre le sue gambe diventavano gommose e incapaci di reggere il peso. Anche la risposta a questa domanda era chiara: non era Fitzroy, le cui motivazioni e il cui carattere erano discutibili, ma Melvyn, quello che intendeva usare la reliquia per i propri fini di lucro.
Le ombre gli offuscavano sempre più la vista, e non riusciva più a sentire le gambe. Sarebbe morto comunque, se Melvyn non lo avesse ucciso? Aveva toccato la reliquia, per assicurarsi che fosse quella giusta quando l'aveva rubata al prelato e si era rassegnato al suo destino. Ma sarebbe successo davvero? La maledizione di Bashaar non poteva avere nulla a che fare con la decisione di Melvyn di commettere un omicidio. O poteva? Mentre chiudeva gli occhi per l'ultima volta, si chiese quante altre persone sarebbero morte prima che la reliquia raggiungesse Roma.
Sorrise.
Anche Melvyn sarebbe stato uno di loro, perché ci aveva messo sopra le sue dita profane.
Poi, l'oscurità lo reclamò.

Marcella Nardi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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