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Autore: Angelo Mezzettieri
Il dittatore di carta
Raccolta Racconti
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Il dittatore di carta
Evelina.

Un accorto osservatore, soltanto scorgendola di sfuggita, poteva percepire un'idea pressoché fedele di Evelina e del suo Io interiore. Era di una bellezza diafana: gli occhi sfavillanti come acquamarina, una chioma rossa di rubino; e negli affilati tratti del viso portava tenui efelidi della simpatia. Le spalle esili facevano pendant col rigonfiamento anteriore dei minuti seni; dalla punta dei piedi a quella del naso una felice simmetria offriva armoniosa piacevolezza ogni qualvolta la si guardasse.
Secondo Evelina le persone erano fatte di vetro. Più precisamente, all'interno di ognuno, il sangue dei globuli bianchi, rossi e piastrine, con il suo apparato di vene e arterie collegato alla pompa-motore chiamata cuore, era tutto una bugia. Dentro, seguendo il suo personalissimo parere, l'anatomia umana custodiva il fragile tempio dell'anima, composto di vetro e cristalli, niente più.
Ecco cosa percepiva l'accorto osservatore chiamato in causa poc'anzi, quando osservava Evelina.
La sua sensibilità non era proprio un segreto. Appena ventitreenne aveva coraggiosamente optato per il volontariato in Kenya. Aiutare i meno abbienti le dava un senso di completezza, nonché un notevole sprint per proseguire nei misteri del mondo; fiato di vita nei polmoni di un naufrago.
Purtroppo, il caso seppe essere molto avaro con Evelina. Come per ripicca, vedendola ostinata a dare in dono tutta se stessa, la medesima previdenza che le aveva offerto tempi buoni e occasioni polpose, volle che il demone della fibromialgia s'insinuasse nel suo tessuto muscolare già in giovanissima età, appena ventiquattrenne. Così, il mondo circostante abitato da corridori arrivisti, opportunisti bendati di apparenze e anime sorde, non le lasciava adito di progressione, etichettandola come una povera lunatica in cerca di compatimento.
Il peggio che poteva capitare al suo minuscolo ego le piombò addosso di colpo. Inesorabile come la presa di un rapace: la morte, in questo caso del suo gatto Renoir, la spinse in uno stato mentale instabile, distorto, come una sorta di depressione consenziente, a cui ci si sottomette per credere di stare meglio. Renoir era l'unico suo amico, undici anni che condividevano lo stesso appartamento, il solo psicologo capace di comprenderla. Nessuno sapeva darle conforto quanto quel vecchio gatto persiano. Lo trovò ridotto a una fetta di pancarré, spiaccicato sul selciato con i segni dei pneumatici sul dorso.
Quando un colpo troppo duro incrina il cristallo dell'anima, bisogna essere machiavellicamente obiettivi e razionali per non infrangersi del tutto, e lasciare che il tempo agisca da collante dentro le spaccature, l'arte del kintsugi che fugge dalla metafora per compiersi nella realtà. Evelina lo sapeva, doveva trovare il ramo buono su cui aggrapparsi per non cadere.
Il baratro sarebbe stato fondo. Molto fondo.
Qualsiasi pretesto per distrarsi poteva aiutare, seppur fittizio, come un complimento sontuoso, un commento digitale, magari anche un semplice “mi piaci” propinato a titolo gratuito. Decise di postare sul proprio profilo social, una sua foto, in Africa, con in braccio un bimbo keniota dal sorriso privo di incisivi. Ai tempi in cui avevano scattato la foto, la fibromialgia era ai primi esordi. Evelina teneva un'espressione incerta, quasi obbligata, l'aspetto fortemente smagrito, e la camicia di lino con i pantaloncini madidi di sudore presentavano aloni sparsi qua e là. Quel giorno imperavano quarantacinque gradi al villaggio, un caldo che spaccava le pietre.
Nonostante tutto, per la bella rossa la foto era un caro ricordo, il piccolo Baba aveva appena ricevuto i soldi della retta scolastica. Immortalare il momento era un vincolo doveroso, bisognava suggellare il lieto evento, e successe pressappoco come quando si lancia una bottiglia di Champagne su d'un transatlantico per inaugurarlo, ma quella non si rompe.
La foto approdò nel mondo virtuale. Un nano secondo per finire alla mercé di tutti. Miracoli tecnologici. Venne intercettata da un gruppo costituito da perdigiorno, analfabeti funzionali, uomini e donne di età diverse con in comune la straziante condizione d'esser annoiati. La apparecchiarono sulla loro pagina, e presero a opinare. Incominciò un primo utente, un giovane con i brufoli e la peluria puerile sopra le labbra, commentò:
“A questa hanno spruzzato merda in faccia, cagata dalle mosche lol” alludendo alle lentiggini. Seguì il commento di un altro utente, un uomo di circa quarant'anni, pochi capelli solo ai lati, occhialini, leggermente sovrappeso, tra le foto personali una teglia di lasagne con didascalia “le ha fatte mia mami”, scriveva:
“Vanno in afrika coi nostri soldi per cercare il negro e farsi trombare, poi si lamentano se le violentano”, un altro rispose: “se questa zoccola me la scopo si spezza, altro che negri”.
Una donna attempata con il Cristo crocifisso alle spalle, diceva:
“Anoressica, si vede che sta male, vanno a prendersi le malattie e ce le portano qua”.
Ancora a seguire un altro utente: “Con i stracci ke ai adosso non cè riskio ke ti sequestrano, anke se sembri un bel po buttana se muori non frega niente a ness1”.
Sembravano i bambini soldato dei ribelli. Le loro micidiali parole come i mitra in braccio a degli imberbi sprovveduti.
Le persone sono fatte di vetro.
Dal momento che Evelina non proseguì oltre, la sfilza di commenti d'odio, quarantasette per l'esattezza, verrà interamente risparmiata al lettore che si intrattiene con questo breve scritto. È sufficiente partecipare lo stimato suddetto che, una volta toccato il fondo, la perseveranza con cui proseguirono a grattare fino a strapparsi le unghie sorprese persino il diavolo, che da dietro la spalla di Evelina leggeva eccitato, e ogni tanto segnava appunti.
Le persone sono fatte di vetro.
Evelina aprì l'armadietto sopra al lavandino del bagno, provava ribrezzo nel vedersi allo specchio, il proprio riflesso che la spiava la faceva sentire miserabile.
La scatola di Valium è lì, dove l'avevi lasciata.
Una pillola, grosso sorso d'acqua e giù, seconda pillola, stesso rito, terza, quarta e via di un blister; secondo blister: all'undicesima ebbe un rigetto. Un timido conato le diede il campanello d'allarme, poteva rimanerci sul serio con tutto quel diazepam. Ma la tenacia dell'essere umano quando veramente si fissa su qualcosa è una forza sorprendentemente formidabile. Quando si parla di buona volontà alla stregua di petrolio e energia solare. Evelina si adagiò in vasca e prese a tracciarsi i polsi con una lametta. Quando il freddo cominciò ad accarezzarle i sensi, udì in lontananza il suono delle campane. Constatò che il suo ultimo giorno di vita l'aveva presa in giro; prima provandole che le persone fossero fatte di vetro, poi sbugiardandosi dalla pozza vermiglia di sangue in cui riversava.

La ballata del soldo
I soldi. Dio, carta e filigrana. Non c'è trinità che tenga, acqua per dissetarsi o valori morali nelle fondamenta dell'umanità, quando si tratta di denaro.
Barbie Cat aveva i capelli fatti di raggi di sole e le labbra morbide di mollica, il visotto pieno come pane appena sfornato. Bella e umana, umanamente bella se vogliamo, e quella razza lì - maledizione al creato - predilige l'errore; lo stendardo sbiadito che unisce i popoli razionali: essere inclini a sbagliare. In gioventù, l'errore suo era stato quello di prestarsi al mondo della pornografia. Le lusinghe dei produttori l'avevano adescata, facendole girare svariate scene per poco più di sei mesi di attività. I video avevano spopolato come orde di topi che avvolgono il globo, relegandola in una notorietà viscida, da squillo milionaria. Ma Barbie nella sua breve carriera aveva guadagnato appena cinquemila dollari.
Quando prese coscienza della vita grama e viziosa che l'industria del porno le parava innanzi, seppe tirarsi in piedi, mostrando coraggio leonino e temperamento pugilistico. Decise di lasciare. Lei voltò pagina, mentre i siti di streaming ancora perseveravano a proporre i suoi video, incassando fior fior di quattrini sulla sua pelle. Quindi Barbie tornò a essere Barbara Cattle, improvvisandosi youtuber, ma per il mondo rimaneva ancora e pur sempre “quel puttanone di Barbie Cat” (con buona pace del lettore). Nonostante i reiterati tentativi di eliminare i video dalla rete, in quel sistema nessuna legge tutelava le persone come Barbara, e i suoi film continuavano a far arricchire signori senza scrupoli.
Eppure, dopo dieci anni qualcosa si mosse. Nel 2030 una petizione aveva raccolto quaranta milioni di firme a favore dell'ex pornostar. Barbie era in dolce attesa e ai più non sembrava il caso di far nascere il bambino vittima di questa tanto infame condizione; una madre alla berlina. Un pezzo di carne di mercato come genitrice.
Le firme dovevano cancellare “definitivamente" i suoi film dalle piattaforme pornografiche. Sì. Tuttavia, come detto prima, quando ci sono di mezzo i soldi il resto è relativo, non conta più; tanto meno dare dignità a un figlio, peraltro ancora feto.
La soluzione più efficacie la ritraeva mentre si accingeva a mettere le buste della spesa dentro al cofano, nella croce del mirino di un fucile di precisione. Il buon senso non compensa la fetta di mondo che ingrassa i maiali dell'industria. Barbie avrebbe continuato a “prenderlo” anche da defunta, negli occhi libidinosi di uomini indolenti.
Il sicario le centrò prima il pancione, dal foro fuoriuscirono cascate di sogni, speranze e buoni propositi, poco dopo pose fine alle sue sofferenze con due colpi alla testa.
Prese per mano il suo bambino e andò via. Da quel giorno il fantasma di Barbie osserva il mondo con pietà.

Angelo Mezzettieri

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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