Ho sposato un cretino e le mie amiche sono stronze
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Il grande giorno.
È caldo. Strano, di solito in chiesa trovi quella frescura così riposante. Forse perché, nonostante siano già le sei e mezza, dalle vetrate istoriate piovono tuttora i liquidi raggi di sole regalati da uno splendido giugno. Il parroco mi guarda da sopra gli occhiali dalla montatura di corno, con aria speranzosa e ammiccante. Mi conosce da quando, bambina, correvo nel sagrato insieme alle altre cresimande, fregandocene della perpetua che ci gridava di fermarci. Intanto, le mamme facevano crocchio con la scusa di salutarsi affettuosamente sfregandosi le guance, altrimenti, rischiavano di sbavarsi il rossetto. In realtà, si ritrovavano e squadravano per la silenziosa e implicita gara di cappellini, manco fosse l'inaugurazione della stagione delle corse dei cavalli ad Ascot. Inutile, fra eccessi modaioli che sfioravano il ridicolo con fiocchi, piume e pennacchi svolazzanti di vari colori, vinceva sempre la mia, di mamma, riscuotendo sorridenti consensi a denti stretti, che mal celavano l'invidia per tanto buongusto. Vedevo le signore sospirare, dalle loro espressioni era evidente che si chiedevano come facesse, lei, a essere vestita elegante e in modo adeguato alla situazione. Concludevano dandosi la medesima risposta ogni volta, che era un'addetta ai lavori e quindi avvantaggiata, in maniera da poter digerire l'affronto di essere state sconfitte ancora una volta, sebbene da mesi si fossero preparate all'evento. Noi bimbe invece no, mica davamo peso ai vestiti che ci facevano assomigliare a spose in miniatura ed erano solo d'intralcio per correre e giocare. Incuranti di rovinarci le scarpine all'ultimo grido comprate per l'occasione e costate un occhio della testa, continuavamo a giocare ridendo. Ma il prete scoppierà pure, con tutte quelle palandrane addosso! In effetti, ha la chierica un po' lucida, segno di un'incombente sudorazione. Io, sto bene. Il mio abito è stato scelto guardando anche alla praticità, e sulle spalle nude ho giusto una corta stola di seta rosa cipria. Almeno, adesso le crosticine sono guarite e posso mostrare le braccia. Era da marzo che era cominciato quel prurito. Prima sui piedi, poi via via su tutto il corpo erano comparsi minuscoli puntini rossi che mi davano il tormento di giorno e di notte, impedendomi di riposare. Come una bambina piccola, ingenuamente avevo cominciato a grattarli, coprendomi di chiazze imbarazzanti. Al lavoro mi sforzavo di reprimere la tentazione di farlo davanti alle persone, e di rado con esito positivo, anzi. Ricevevo così consigli e pareri di ogni genere, dai rimedi della nonna, tipo cospargermi di miele e rivestirmi di pellicola da cucina modello mummia, ai catastrofici effetti che sintomi simili avevano dato all'amica di una cliente. Io ascoltavo sorridente, fingendo apprezzamento per cotanto interesse e altruismo, mentre facevo gesti scaramantici sotto la scrivania, stando ben attenta a nascondermi. A nulla erano valse le visite dal dottore, gli antistaminici servivano solo a rimbambirmi e le pomate varie ad appiccicarmi i vestiti. Quando facevo la doccia, l'acqua tiepida diventava una pioggia di microscopici aghi, una vera goduria. Un amico medico che la sapeva lunga, almeno su questo, finalmente ci prese, prescrivendomi una pillolina magica che mi diede immediato sollievo, e piano piano i puntini sparirono. Solo una volta smesso di prenderlo, ho potuto scoprire che era un blando ansiolitico. Mi accorgo che mia madre, sotto la tesa rigida del suo cappello color salmone, pesta portando il peso da un piede all'altro, finché, mettendosi la mano davanti alla bocca, esplode in un secco colpo di tosse. Sobbalzo, un gesto simile è strano, per lei. Alla sua destra, papà è disteso e perfino stupito, forse sta pensando alla bottiglia di vino pregiato che aveva messo da parte per la circostanza, sperando che, aprendola dopo tanti anni, non si accorga che sia diventato aceto, buono, anzi, ottimo, ma pur sempre aceto. Alfredo, il testimone di Paolo al suo fianco, si guarda intorno con molta discrezione facendo onore al proprio aristocratico profilo. Trovo che faccia davvero un gran figurone in giacca scura e fazzoletto sapientemente annodato al collo. Soltanto dal suo gran buon gusto si può dedurre che sia gay, anche se sospetto si sia passato giusto un velo di fondotinta, sai, per le foto. È arrivato apposta per la cerimonia da Parigi, dove da un paio d'anni ha aperto una galleria d'arte di grande successo insieme al suo amato lui. Nel primo banco mia cognata e mia suocera, talmente tirata a balestra che secondo me indossa un bustino modellante da togliere il fiato, hanno le lacrime sul bordo delle ciglia. I fazzoletti così finemente ricamati che tengono in mano sono, ovviamente, per bellezza, e mica devono sporcarsi a causa del trucco. Allora ogni tanto, a turno, mandano giù la commozione con un leggero singhiozzo. Vedo il flash della macchina fotografica e sembra un folletto, il fotografo magro e allampanato, con il borsone a tracolla, che corre da una parte all'altra della chiesa a rubare e immortalare visi per tramandare quella cerimonia ai posteri vogliosi di particolari. Mia sorella, alla mia sinistra, ha lo sguardo vagamente assente e mica a causa della differenza di fuso orario. Si vede bene che ha mantenuto il buon gusto nel vestire dal suo abito azzurro molto elegante nella sua semplicità, che mette in risalto la delicata abbronzatura, e dal perfetto chignon di capelli castani. È lei la damigella d'onore, e di sicuro avrebbe evitato di cincischiare e sciupare con le mani sudaticce la borsetta in raso della sposa contenente i generi di prima necessità. E neppure avrebbe permesso che il suo cellulare squillasse sul più bello, costringendola a chiedere scusa imbarazzata, magari arrossendo. Insomma, il suo aplomb è una vera garanzia, come sempre è all'altezza dell'occasione e sono felice della sua presenza, dopo mesi di lontananza. L'amica di famiglia, che coglie ogni occasione per far capire quanto non gliene freghi di meno degli altri ma che per nulla al mondo si sarebbe persa la scena, è lì in prima fila e sulle ginocchia ha la rivista comprata nell'edicola all'angolo della strada. Voleva essere certa di passarsi il tempo e senz'altro considerava che la chiesa sarebbe stata sfornita di letture di suo gradimento. Pur se da qualche tempo ci frequentiamo poco, mica si poteva fare a meno d'invitarla. In queste situazioni devi andare un tanto al chilo, chi c'è c'è, non è il caso di fare permali. È vestita casual, vale a dire, ha indossato la prima cosa che ha trovato a portata di mano al buio in camera sua, che è giusto quello che la circostanza meritava, perché darsi da fare. Anche la sua espressione dimostra la solita scarsa considerazione nei confronti di tutto ciò che riguardi gli altri, anziché lei. E poi, che sarà mai, un matrimonio! Lei c'è pur già passata, mica è una novità. Peccato sia da sola in quest'occasione, come in tante altre ultimamente, perché suo marito aveva un impegno, ovviamente improrogabile. Il sacerdote sospira, porta lo sguardo al cielo e con un fil di voce sussurra: - A questo punto la sposa dovrebbe dire sì - . E sicuro, sono tutti lì apposta! Hanno rinunciato a un pomeriggio al mare spaparanzate sul lettino, così da ritrovarsi viola a fine giornata e farsi dire quanto sono abbronzate, o a rischiare l'infarto giocando a racchettoni sulla sabbia rovente solo per quello, dovranno pur avere una ricompensa. La scena sembra un fermo-immagine, persino il fotografo si è bloccato con la macchina a mezz'aria, e tutti trattengono il respiro. Riesco a notare il pulviscolo dorato della luce che entra dalle vetrate. Tende l'orecchio, il prete, ha le labbra socchiuse, sospeso, in attesa. Paolo sorride, gli sta davvero bene quel completo blu. Resisto alla tentazione di sistemargli la cravatta, forse non è il gesto adatto al momento. Certo che il bouquet avrebbe potuto sceglierlo meglio, dato che le rose, anziché del mio colore preferito, sono di una tonalità che secondo me è troppo scura. E la fiorista gliel'ha incerottato usando un nastro adesivo verde appiccicoso che mi fa sudare le mani. Almeno, voglio dire, credo sia questo il motivo, e mi fa venire voglia di aprirlo con le unghie. Nemmeno quella è la cosa da fare, no, mi sa proprio di no, mi si rovinerebbe la manicure. E allora, che sì sia! Lo dico con una voce che neppure mi sembra la mia, e sento un sospiro serpeggiare fra gli invitati mentre vengo abbagliata dai flash a ripetizione, al pari di colpi sparati tutti in una volta. Il parroco porta le spalle all'indietro in un gesto di sollievo. Pure questa è fatta, ormai è finita, gli resta da dire al marito che può baciare la sposa, e poi invitare gentilmente e decisamente tutti a uscire, che si sta facendo tardi. Ci baciamo, neppure deve alzare il velo rosa pallido e corto, puntato sulla doppia treccia di capelli rossi a metà del capo. Ho messo il rossetto indelebile di un bel color lacca, visto che sono già abbronzata e me lo posso permettere senza sembrare uscita dal museo delle cere. Bello è bello, il rossetto, solo che mi ha letteralmente ingessate le labbra, faccio fatica a muoverle e ora capisco come mai abbia tardato a dire “sì”. Non sento niente, pazienza, ci rifaremo, ci siamo sposati anche per quello. Mio marito mi prende a braccetto, e per fortuna. Infatti, la mia amica, che ama definirsi stilista, mi ha consigliato di comprare i sandali in raso bronzo con il plateau di un mezzo numero in più, perché mi si sarebbero gonfiati i piedi, diceva lei. E invece no, mi si sono soltanto indolenziti, e mi toccherà metterci una soletta così da poterli portare ancora, dato che intendo assolutamente farlo, anziché relegarle in un armadio. Ma adesso no, niente soletta, adesso mi sorregge lui, il primo vantaggio tangibile del matrimonio. Gli invitati si avvicinano per abbracciarci e congratularsi, i miei genitori aspettano, il prete davanti all'altare allarga le braccia. Pare voglia radunare un gregge da far convogliare all'uscita: - Ite, missa est! - , andatevene che i giochi qui son fatti. Continua nella sua opera di convincimento, spingendo le persone e precedendole all'uscita. Sul sagrato, con la coda dell'occhio, lo vedo chiudere in tutta fretta la porta della chiesa dietro all'ultimo invitato. Vuole a tutti i costi evitare che entrino chicchi di riso, altrimenti, poi, dopo gli tocca pulire. Il fotografo continua a scattare e dopo l'entrata in chiesa al braccio di mio padre posso ben farmi ammirare finita la pioggia di riso. Ho scelto il vestito insieme a mamma, in fin dei conti mi ha fatto lei, quindi pure le belle gambe che mostro. Il tripudio di rose in tulle leggermente più chiare dell'abito l'ho voluto io, adoro questi fiori che si rincorrono sulla gonna corta davanti e lunga dietro culminante in uno strascico di raso di seta rosa antico. Mia madre è stata d'accordo con me su ogni scelta e ne ha supervisionato la fattura, anche rompendo le scatole alla sartoria. Mi sono ben guardata dal fermarla, che si cuccasse qualcun altro la sua pignoleria millimetrica, che stavolta mi faceva comodo. Fra i tanti modelli lei mi aveva consigliato il corpetto liscio con scollo a cuore, e io ne ero stata ben felice, impegnata com'ero a grattarmi. La prima volta in cui l'avevo indossato per la prova era stata davvero emozionante, e mi ero sentita una vera sposa. Continuavo a rimirarmi allo specchio, era ancora più bello di quanto mi fossi mai immaginata. Quando l'assistente della sartoria mi appuntò il velo piansi come una bambina. Vista la foto del vestito mia sorella mi ha dato la cinturina per “qualcosa di prestato”, e non mi sono affatto stupita che ci stesse proprio a pennello, ovviamente. Peccato solo che mi stia un po' largo, perché fra il dormire poco e il nervoso che mi davano i puntini rossi ho perso un paio di chili che non erano certo di troppo. Mamma, sospirando, mi aveva detto: - Mangia di più, altrimenti a quel pover' uomo sembrerà di sdraiarsi su un letto di chiodi! - . Niente da fare, all'ultima prova avevamo comunque deciso di lasciare il vestito com'era, già lo stress si tagliava con il coltello, e poi, avevo considerato che sarei stata più comoda alla cena. Sento l'urlo d'invito a metterci in posa per una foto di gruppo e le amiche corrono al mio fianco, Alfredo mi cinge la vita, mia madre e mia sorella si avvicinano camminando come modelle in passerella, sugli stilosi tacchi dodici. Mia suocera, finalmente, ha mollato gli ormeggi, se ne sta in un angolo e ci accorgiamo che piange, dato che il marito le ha passato un pacchetto di fazzolettini di carta e dobbiamo aspettarla. Così, dimostrando di aver ignorato il mio consiglio di mettersi un mascara impermeabile alle lacrime, sfoggiando due righe nere sotto gli occhi, che tenta invano di pulire, arriva al mio fianco. Accarezza mio marito sulla guancia, - Il mio Paolo - - sussurra. Non sa quanto si sbagli e che è l'ultima volta in cui può dirlo impunemente davanti a me. Comunque, oggi è festa e non si picchia nessuno. Devo allontanarla per sistemarmi, e meno male che dice sempre che le piaccio, sennò chissà. I flash si sprecano e al grido di - Bacio, bacio - , accontentiamo gli invitati in mezzo agli applausi. Beh, questo è venuto meglio, si vede che finalmente il rossetto sta cedendo. Ne facciamo una solo donne, metto in salvo lo strascico dalla tipa che tiene ben stretta la rivista, bado di abbracciare le ragazze che conosco da una vita e che devono per il momento smettere di fare i video col cellulare. Fra baci, abbracci e sorrisi, si è fatta ora del lancio del bouquet, e mi giro. Avverto un gran fermento dietro di me, faranno mica a botte? Sono stupita perché, ormai, di sgaffe ne rimangono ben poche, seppure decisamente agguerrite, e Alfredo lo so che morde il freno, vorrebbe schierarsi pure lui, ma si trattiene. Non sono ancora tanto maturi, i tempi, perlomeno qui da noi.
Maria Cristina Bellini
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