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Autore: Maria Cristina Bellini
Gatti, storie proprio così
Racconti Brevi
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Gatti, storie proprio così
Oscar.
Lo sapevo. L'ho sempre saputo. Fin dalla mia prima vita da gatto Mau, accanto alla regina Nefertari. Niente esplorazioni dei giardini, delle piramidi, niente rincorse a topi, uccellini e farfalle, niente giochi. Io ero antenna fra l'Universo e gli esseri umani. Mio era il compito di fare da tramite recapitando i messaggi del grande disegno. La bellissima regina, dotata e sensibile, dalle mani morbide, mi chiedeva di saltarle in grembo sulle fruscianti vesti di seta dorata ogni volta in cui aveva una decisione da prendere e un destino da indirizzare, perché lei era l'Egitto. Accarezzandomi mentre facevo le fusa, la sua mente entrava in quello stato che la portava nel mezzo del nulla, tornando poi alla realtà con un indizio, una soluzione volta al benessere collettivo. E quando avevo un messaggio da recapitarle, anche nel cuore della notte stellata, mi affrettavo a raggiungerla attraversando sicuro i corridoi dalle alte volte dell'immenso palazzo reale, ombra fra le ombre. Le nerborute guardie a torso nudo erano abituate a vedermi passare e nessuno poteva fermarmi. Agli altri della mia stessa razza lasciavo l'incombenza di liberare dai roditori gli enormi silos di grano che si stagliavano nel sole in mezzo alla sabbia, di riprodursi e accudire la prole, così da assicurare il futuro e la diffusione della specie.
Pur se ero gentile con tutti, il mio amore e interesse erano solo verso Nefertari. Saltavo sulle lenzuola profumate di kyphi, la miscela dalla formula segreta creata per la regina, un trionfo d'incenso, mirra e cannella di cui si cospargeva i capelli per favorire il sonno e i bei sogni. Acciambellandomi appoggiato a lei univo la mia mente alla sua e quando il sole filtrava dalle sontuose tende nella camera, rimbalzando sui mobili di squisita fattura, si svegliava credendo di aver veduto in sogno la strada da intraprendere. La mia vita era felice e privilegiata. Accudito, da oracolo qual ero, seppure gli umani fossero inconsapevoli del mio ruolo, avevano d'istinto grande riguardo nei miei confronti. Venivo trattato al pari di una divinità, avevo addirittura un assaggiatore personale, come i sovrani, allo scopo di scongiurare il pericolo di essere avvelenato da chi tramava contro la dinastia e voleva impossessarsi del potere.
Nell'immensa sala, dalla mia cesta, degna di un re, vicina al trono, vidi Mosè, vestito da principe egiziano e con la testa rasata, da cui scendeva una piccola treccia scura, stringere il braccio di Ramses in segno di amicizia. Sapevo quali percorsi aveva in serbo l'Universo, sapevo che l'avrei rivisto con le vesti variopinte del popolo ebraico e nemico del re egizio, se avesse accettato il suo destino e quello della propria gente.
Lasciai quell'esistenza serenamente prima di assistere allo strazio della regina che poneva piangente il corpo del figlio, ucciso nella notte dall'Angelo della Morte insieme agli altri primogeniti egiziani, sulle ginocchia dell'immensa statua di Anubi dalla testa di cane, implorandolo di ridargli la vita. Le piaghe d'Egitto avevano risvegliato nel re solo ira e sete di vendetta, Nefertari non poteva più influenzarlo, perciò il mio compito lì era finito. Il mio corpo fu imbalsamato e le viscere riposte nei vasi canopi dentro la tomba faraonica che un giorno avrebbe accolto Nefertari e Ramses.
Il mio aspetto è cambiato nelle reincarnazioni e sono stato il primo di molte razze che si sarebbero diffuse in seguito. Da gatto Certosino ho suggerito l'idea degli specchi ustori ad Archimede durante l'assedio di Siracusa e mi stava accarezzando la testa dalla vasca quando esclamò: - Eureka! - poiché aveva trovato il proprio Principio. Sono stato l'Angora rosso di Confucio, “il messaggero che nulla ha inventato”, nell'era delle primavere e degli autunni, tempo di anarchia e d'instabilità politica. Sapevo che le guerre tra i signori dei vari stati feudali si sarebbe trascinata nell'epoca successiva, il periodo dei regni combattenti, e che la preveggenza del filosofo si sarebbe avverata dopo un paio di secoli anche se diversa da come lui l'avrebbe voluta. Il Guerriero Senza Nome, con la complicità di Cielo, Neve Che Vola e Spada Spezzata, si sarebbe avvicinato alla distanza di dieci passi dal tiranno e gli avrebbe risparmiata la vita, perché aveva capito che questi avrebbe unito la Cina sotto un unico cielo, ridando poi pace e prosperità al popolo.
Il momento che preferivo insieme a Confucio era quello in cui si dedicava alla lettura e consultazione dell'I Ching, il millenario testo sapienziale. Sentivo la presenza dei Santi Saggi e la loro gioia per il suo contributo all'interpretazione. Conclusi pure quell'esperienza, grato d'averla vissuta, e rimasi a lungo nel limbo. Seguirono tempi bui per la mia razza e seppure la mia vita sia sempre stata protetta, il mio compito è facilitare la prosperità e progredire con energia nel bene. Infatti, se facciamo al male il favore di combatterlo colpo su colpo alla fine perdiamo, perché in tal modo anche noi rimaniamo coinvolti nell'odio. Perciò restai spettatore del succedersi degli eventi umani e delle epoche, in attesa di tornare in questo piano di esistenza.
Nella mia forma di Main Coon, insieme ai suoi gioielli più preziosi per finanziare l'impresa, Isabella di Spagna mi donò a Cristoforo Colombo. Con lui divisi l'alloggio nell'ammiraglia, la Santa Maria, durante il viaggio verso il Nuovo Mondo, mentre gli altri gatti si occupavano di liberare la cambusa dai topi. Io rassicuravo Colombo che il suo progetto di arrivare alle Indie era giusto quando durante giorni e giorni si vedeva nient'altro che l'oceano e l'equipaggio insisteva nell'invertire la rotta minacciando di ammutinarsi. Gli ero in braccio mentre vide una luce in lontananza, una piccola candela che si levava e si agitava, la notte precedente l'avvistamento della costa. Sbarcai al suo fianco nascondendo la mia vista ai nativi, che non erano ancora pronti a ricevere l'informazione della mia presenza.
Sono stato il gatto di Manx dell'astrologo di Bess, Elisabetta Prima, la regina che immaginava di guardare gli ospiti attraverso una lastra di vetro. Erano tempi di congiure, di alleanze prima firmate e convalidate dalla ceralacca con il sigillo reale e poi disattese a causa di motivi religiosi di assoluta convenienza o al fine di creare alleanze decisamente più proficue, come durante il regno del padre Enrico VIII. Tempi di matrimoni combinati on modo da assicurarsi il favore dei potenti e garantirsi la sicurezza mettendo in pratica il motto latino “se non puoi vincerli, alleati”. Ma nonostante i giochi, gli scambi di terre e possedimenti, l'avidità umana ignora limiti di linea di sangue, alleanze o coerenza.
Quando la Spagna dichiarò guerra all'Inghilterra, ovviamente a causa di motivi puramente legati alla religione come fosse una nuova crociata contro gli infedeli, Bess era molto preoccupata riguardo il destino del proprio popolo. Chiese consiglio all'astrologo che mentre mi accarezzava le disse di incendiare le navi sul Tamigi così da sbaragliare l'Invincibile Armada spagnola, giacché quella notte il vento avrebbe mutato direzione portando la vittoria all'esercito inglese. William Shakespeare, Francis Bacon e gli altri poeti alla sua corte mi hanno coccolato e tenuto in grembo dando poi vita ai loro capolavori e teorie filosofiche.
Ispirandosi a me, Egdar Allan Poe scrisse “Il gatto nero”, romanzo che lo rese famoso, inventando così il racconto poliziesco e il giallo psicologico che tanto successo e diffusione hanno tuttora nel mondo in forma di racconti e film. Perché l'essere umano non vive di solo progresso e scoperte, la ricchezza è anche divertimento intelligente e il divino si manifesta nascondendosi nelle forme artistiche senza escluderne alcuna. Sono stato un Blu di Russia alla corte di Alessandro Secondo che comprese la necessità di concedere l'indipendenza ai contadini. Quante serate trascorse insieme nel suo immenso studio alla luce delle candele e della fiamma dell'enorme camino dove i grandi ciocchi ardevano costantemente schioccando e sprigionando il loro profumo di resina. L'aspettavo accoccolato su uno dei sontuosi cuscini di damasco ricamato, una volta entrato lui si dirigeva spedito alla grande scrivania di pregiatissimo legno scuro e si adagiava sulla poltrona degna di uno Zar pari suo. Io mi stiracchiavo con grazia come solo noi gatti sappiamo fare, poi saltavo sulla poltrona di morbido velluto rosso accanto alla sua e cominciavo a fare le fusa. Alessandro era contento della mia presenza, quando mi faceva le coccole sentivo il polsino inamidato della camicia e il pesante tessuto della giacca militare. Si batté e ottenne una legge sull'emancipazione della servitù, era il momento visto che i tempi stavano cambiando. Il popolo si preparava alla rivoluzione che avrebbe dato nuova forma, non soltanto geografica, al mondo.
Einstein amava accarezzare il mio lungo pelo di Persiano tartaruga e diceva che non sapeva spiegarne il meccanismo, ma era sicuro che quell'attività gli rendesse il pensiero più fluido e semplice. Onde evitare di disturbarmi mentre dormivo appoggiato alla mano sinistra, si mise a scrivere usando la destra, pur essendo mancino, la propria teoria della relatività, cambiando per sempre l'idea dell'universo.
Trovo molto curioso il fatto che Erwin Schrödinger abbia pensato a un gatto, pochi anni dopo, quale protagonista del proprio paradosso. Davvero bizzarro, che le menti impegnate su uno stesso argomento o progetto s'influenzino a vicenda. E io ho soltanto recapitato messaggi alle teste illuminate che potevano migliorare il mondo. Ma la scelta è stata la loro, di mettere in pratica o meno i suggerimenti che ricevevano, ignari di come succedesse.
Ciascuna mia esistenza è stata privilegiata, ne sono assolutamente consapevole. Ho avuto cibo di ottima qualità in abbondanza, giacigli morbidi e sontuosi e tanto, tanto affetto e coccole. Sono stato amato e ho contraccambiato tutte le persone con cui ho condiviso le mie esistenze. Ho lasciato ogni vita serenamente, senza traumi né rimpianti. Sapevo che di lì a poco avrei vissuto un'altra avventura accanto a una mente straordinaria. Ora, prima di ricongiungermi definitivamente insieme al Creatore, m'era stato affidato il compito più importante di tutti.
- Sapessi cosa ho trovato! - - la voce di Valeria era eccitata e stupita al telefono - - Appena puoi passa di qua, vieni a vedere! - . Vittoria rispose che nel pomeriggio sarebbe andata da lei nella clinica per disabili mentali alla periferia della città, dove l'amica svolgeva la sua attività di infermiera. Amava il suo lavoro, era contenta di accudire quelle persone spesso abbandonate da famigliari e amici, perché diventate incapaci di dialogare. Molti pazienti nemmeno si accorgevano delle visite e, piano piano, rimanevano soli nei letti che diventavano sempre più grandi per loro. Parlava ai degenti quando se ne occupava, sperava di portare conforto raccontando com'erano il tempo e la temperatura e a volte canticchiava. Troppe anime vagavano ancora in quella clinica, anime senza una guida che ignoravano il modo di lasciare quel posto e cosa dovessero fare. Quei poveri esseri in pena ogni tanto apparivano, fluttuanti e confusi, spaventando i malcapitati mortali testimoni di quei fenomeni. Talvolta facevano cadere strumenti ed esplodere luci terrorizzando il personale che faticava a trovare una spiegazione logica e rassicurante a quelle manifestazioni. Valeria mi trovò fuori dalla porta secondaria della clinica, in una tiepida mattina di primavera. S'innamorò del mio lungo e morbido pelo bianco e grigio. Anche se vedeva che ero un cucciolo, colse la profondità dei miei occhi. Le sembrò che conoscessero tutto il mondo, e così era.
- Guarda Vittoria, guarda! È un amore di gattino, vero? - . Nella guardiola delle infermiere, dall'odore tipico dei medicinali che il profumatore lasciava trapelare, l'infermiera mi teneva amorevolmente in grembo: - Appena l'ho trovato mi sei subito venuta in mente tu, eppure so che avrei dovuto chiamare Paola. Volevo proprio che tu lo vedessi. È talmente dolce e affettuoso, ha continuato a fare le fusa da quando l'ho preso. Gli ho dato un po' del mio pranzo e ha mangiato come un lupetto! Che nome diamo a questo tesoro? - . L'amica era entrata andando dritta verso la sedia in angolo, posò la borsa, poi si girò e notai che fu presa da uno strano senso di torpore appena pose lo sguardo su di me. - Oscar! - - esclamò di getto.
Presi un respiro profondo, chiusi gli occhi e chinai la testa. Mia regina, sono felice di rivedervi. Riconoscerei i vostri occhi fra mille e più di mille. Pur se ora indossate abiti sportivi ben diversi da quelli regali, la vostra figura è la stessa. Questa volta devo svolgere il mio compito proprio qui nella clinica anziché stare accanto a voi, sebbene lo farei di nuovo molto volentieri. E riaprii gli occhi.
Quelle parole risuonarono nella sua mente in un lampo, non ne fu cosciente e vidi che la voce dell'infermiera la scosse, riportandola alla realtà: - Sì, Oscar è un bel nome. Tu che ne dici, piccolino? - . A conferma della mia approvazione le leccai la mano, apprezzò il mio gesto e proseguì: - Dovremo trovarti una bella casa, con persone che ti vogliono bene - , sospirò. - Mi piaci talmente! - . - Tienilo qui... - - disse l'amica in tono basso e profondo, usato quando proclamava ordini - - ...può restare con te e i tuoi colleghi, so che amano i gatti. Sono sicura che questo è il posto migliore, quello in cui deve stare. Filippo verrà presto a visitarlo e vaccinarlo e fino a quel momento tienilo dentro la guardiola per sicurezza, anche se mi sembra sano - .
Grazie, mia regina. Vorrei salutarvi. Vittoria si chinò e io l'abbracciai. Le sue mani erano così morbide come mi ricordavo e percepivo il suo grande amore. Ora li portava corti, eppure i capelli corvini avevano lo stesso profumo d'incenso del kyphi e per un attimo mi ritrovai insieme a lei nell'immenso palazzo reale. Il viso le si trasfigurò e i lineamenti divennero quelli della regina che avevo tanto amato. Sapevo che era inconsapevole di tale parte di se stessa, sapevo altresì di dovergliela tenere nascosta. L'Universo aveva incrociato ancora i nostri destini per un momento affinché io potessi assolvere il mio ultimo compito. - Oh, cara, che faccia che hai! Sembra che tu abbia incontrato un fantasma! Vieni, ti ci vuole un caffè. Ho preparato un cuccio per Oscar, mettiamolo a nanna - - disse Valeria prendendomi dalle braccia dell'amica. In precedenza aveva sparso sul tavolo le siringhe tolte da una scatola di cartone dove aveva messo qualche coperta diventata inadatta ai degenti. Anche se non era la cesta regale cui ero abituato, era comunque comoda e adatta all'occasione. Adagiandomi con delicatezza mi promise che presto avrebbe provveduto a fornirmi una sistemazione dotata di ogni comfort. Mi accovacciai, feci un bel respiro, sentii le due amiche uscire dalla guardiola chiacchierando, salutai la mia regina e ringraziai d'averla potuta incontrare un'ultima volta. Poi chiusi gli occhi e mi gustai il meritato riposo nell'attesa che la mia avventura cominciasse.
Le infermiere, entusiaste della mia presenza, mi spupazzavano e coccolavano durante i loro turni e tutti erano affettuosi. Non avevo fretta di uscire a vedere come fosse la clinica, ero già stato informato. Il veterinario fu molto gentile, avevo visto un bel futuro di prosperità fra lui e Vittoria sempre che entrambi lo avessero accettato. So cos'è il Karma, la mia regina lo aveva pagato ormai e poteva vivere di nuovo felice. Pregai in cuor mio che così sarebbe stato, in fondo ho bene un canale preferenziale con l'Universo! Il patto con la Grande Mietitrice è chiaro, una persona da accompagnare alla volta perché ognuno ha i propri tempi. Quando sento il richiamo esco dalla guardiola e mi dirigo spedito e sicuro dalla persona che mi è stata indicata. All'inizio qualcuno aveva cercato di trattenermi con giochi e carezze, oppure voleva impedirmi di entrare nella stanza in cui ero stato chiamato. Ora, dopo tanti episodi, mi lasciano passare lungo i corridoi e le scale anche aprendomi qualche porta, se necessario. Entro nella camera, salto sul letto del degente, mi accoccolo appoggiandomi al suo fianco, chiudo gli occhi sospirando ed entro nel mezzo del nulla. Le menti dei ricoverati sono in una barca sospesa sull'acqua fra due sponde in mezzo alla nebbia senza poter chiedere il conforto di un ministro religioso o dei loro cari, nel trapasso. Ognuno si accorge del mio arrivo dall'increspatura sull'acqua e dalla luce diventata più intensa.
- Che succede? - - chiede.
- Sono qui ad aiutarti a slegare la corda che ti lega ancora alla riva e lasciare questo piano di esistenza per andare dentro la Luce. Stai tranquillo, è tutto a posto - .
- Allora è il momento! - .
- Sì. Le tue faccende sono sistemate da tempo, ormai. Grazie alla tua permanenza in queste condizioni ti sarà facile passare oltre - .
- È un sollievo, finalmente la mia vita prende una direzione precisa - .
- Ora puoi lasciare i quattro elementi della vita, cominciando dalla Terra, poi il Fuoco, e in seguito l'Acqua - .
- I miei cari! Vorrei tanto vederli un'ultima volta - .
- Puoi farlo ora, la corda è slegata. Rimarrai ancora sospeso fra le due sponde e potrai raggiungerli ovunque siano. Ti vedranno solo i bambini come un'apparizione fugace e tutti percepiranno la tua carezza al pari di un soffio - .
- E sapranno che sono io? - .
- Sì, penseranno a te in quell'istante. Qualcuno ne sarà consapevole mentre per
altri sarà un lampo nella loro mente - .
Anch'io percepivo l'amore che la persona provava nel rivedere i propri affetti in quell'attimo di eternità.
- Sono pronto, vedo una Luce più forte di mille soli, è meravigliosa! Provo una grande gioia! - .
- È là che devi andare, proprio dentro la Luce, dove ti aspettano per accoglierti coloro che ti hanno preceduto. Puoi lasciare anche l'ultimo elemento, l'Aria. Sei in Pace, ora - . Dopo che hanno serenamente esalato l'ultimo respiro, resto mezz'ora accoccolato sul letto a occhi chiusi. Dopodiché mi stiracchio, scendo, attraverso i corridoi e torno nella guardiola a rifocillarmi.
Una dottoressa della clinica aveva forse inconsciamente intuito, dal mio sguardo, che avevo un compito speciale e avrebbe voluto fare amicizia. Rifiutai, non posso avere amici, non so chi dovrò accompagnare.


Gustavo
Un soleggiato pomeriggio di aprile, uscito a fare la solita passeggiata, nella piccola aiuola davanti al condominio Augusto vide un gattino tigrato rosso tutto rannicchiato nell'erba, si avvicinò incuriosito e il cucciolo gli andò incontro miagolando a squarciagola. Di lì passavano parecchie persone, sembrava che solo lui si fosse accorto di quella presenza, perciò decise di portarlo di sopra, sfamarlo e contattare il gattile. Lo prese in braccio ed entrò nell'ascensore, accarezzandolo per calmarlo.
Una volta in casa aprì una scatola di tonno e lo versò in un piattino a terra, poi prese una tazza, la riempì d'acqua e la pose lì vicino. Il piccolo si avventò letteralmente sul cibo, sembrava mangiare senza respirare. Alzò la testa soltanto quando non ci rimase più niente, lo guardò con riconoscenza e bevve. Ci voleva una cuccia e soprattutto una lettiera, trovò nel ripostiglio una bacinella azzurra che riempì di vecchi giornali strappati in piccoli pezzi, gliela fece vedere e la sistemò nel bagno. Da una bella cassapanca di legno scuro nell'ingresso recuperò un maglione che odorava di naftalina, di cui poteva tranquillamente fare a meno, e lo mise in una cesta di vimini. Sua moglie non si sarebbe certo offesa, se l'avesse usata per una così buona causa. Si era seduto sulla sedia a dondolo, cimelio di famiglia appartenuta al suo bisnonno.
Il micio lo raggiunse, gli saltò sulle ginocchia e si addormentò di botto pancia all'aria. Rimase fermo temendo di svegliare quella creaturina che gli faceva una tenerezza infinita. Da temp, ormai, non entravano cuccioli, era una vera ventata di giovinezza.
Sospirò, aveva tre figli, Carolina, Ludovica e Ferdinando. Le due femmine erano sposate, mentre il maschio, un single incallito che usava e buttava via le donne come giocattoli, l'aveva dovuto sollecitare parecchio ad andare a stare per conto suo, visto che era quasi quarantenne.
Certo, gli dispiaceva rimanere solo. Purtroppo era vedovo, la moglie gli aveva fatto quel terribile torto di andarsene prima lei. Comunque, era del parere che, per crescere, i figli devono uscire di casa e assumersi le proprie responsabilità. Con il più piccolo era stata dura, chissà da dove gli erano venuti quei vizi, desiderava restare adolescente a tutti i costi, scansando ogni responsabilità e le voleva sempre tutte vinte. Il padre era riuscito a trovargli un lavoro che naturalmente disprezzava e avrebbe preferito continuare a farsi mantenere e divertirsi. Siccome gli erano stati tagliati i viveri, aveva fatto di necessità virtù. La maggiore era dispotica, sposata a un uomo che comandava a bacchetta. Contenti loro, nulla da dire. Ludovica era la figlia con cui si trovava meglio. Era cresciuta fra l'incudine e il martello dei fratelli, perché anche se ce l'avevano messa tutta per evitare distinzioni, ci avevano pensato invece le nonne che stravedevano per Carolina, la prima nipote, e per il maschio della famiglia, così che questi due se ne approfittavano nei suoi confronti, con la loro protezione. Da quando era andato in pensione, anche se un libero professionista in pratica non ci va mai quando ama la propria attività, comunque si passava il tempo. Era un tipo pratico, amava passeggiare, leggere, tenersi al corrente delle novità nel suo settore e fornire consulenze ad amici e colleghi. La solitudine ogni tanto gli pesava, Ferdinando si faceva vedere per battere cassa, senza rassegnarsi a capire che non ce n'era più e, seppure le figlie andassero spesso a trovarlo, poi tornavano a casa loro, perciò considerava ciascuna visita un regalo.

Maria Cristina Bellini

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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