Era una fredda giornata quel due febbraio del 1945. Il vento sibilava, cercando di intrufolarsi dalle fessure della finestra, ma non sarebbe riuscito a farsi notare nemmeno irrompendo e facendo sussultare i vetri, perché il pianto di una neonata era più forte e impetuoso. Così, in una semplice casa sulla collina di Capodimonte, venne alla luce una graziosa bambina. Il suo pianto ruggente faceva già pregustare il suo caratterino deciso e testardo, ma per i genitori erano le note più belle che si potessero udire. La mamma Carolina ed il papà Ciro, dopo tante avventure tra alti e bassi, e tanti sacrifici per poter costruire il loro giaciglio, finalmente potevano considerarsi a tutti gli effetti: famiglia! Si sa, la famiglia è completa quando viene coronata dai propri figli. Francesca quindi era una bambina fortunata: era amata e coccolata anche dagli zii e parenti che per fortuna erano anche vicini di casa. Ciro era al primo piano; al piano terra c'era suo fratello Paolo con la moglie Carmela; al secondo piano Anna e Tommaso; più su ancora c'era Marco con la moglie ed anche Gianni, sempre con la rispettiva consorte. Erano tutti fratelli, e secondo il volere e piacere dei loro genitori, abitavano tutti insieme. Prima avevo accennato a fortuna di avere parenti vicino, ed in un certo senso è anche vero: ci si può aiutare a vicenda, insomma avere chi ci conosce vicino è sempre positivo. Ci sono anche i però! Infatti spesso possono subentrare incomprensioni. Tra cognate, non sempre scorreva buon sangue: era spesso un battibeccare per ogni cosa, chiacchiere, gelosie e screzi di ogni genere. Però quella bambina portò un po' di tregua ed armonia. A parte i pianti di quando aveva fame, o per un po' di male al pancino, come succede a tutti i neonati, con le urla che si sentivano in tutti e cinque gli appartamenti, e di questo la mamma era anche abbastanza soddisfatta perché almeno aveva un modo anche involontario per vendicarsi delle cognate pettegole, per il resto la piccola era un frugoletto tutto sorrisi e dolcezza. Non disturbava nemmeno di notte, insolito per neonati che fanno fare ore piccole ai genitori. Francesca cresceva sana e vispa, circondata da tutti: era lei, l'unico punto di congiunzione con i parenti che, nei suoi riguardi erano tutti concordi ed orgogliosi. Come può un piccolo scricciolo, riuscire a tenere salda una famiglia? Questo è uno dei tanti misteri: forse proprio per la sua delicatezza e innocenza. Dopo circa un anno e mezzo, una nuova presenza in famiglia ridiede ancora ai neo genitori la gioia: la nascita di Immacolata, la secondogenita. A quei tempi quando si era in attesa di un figlio non si riusciva a scoprirne il sesso fino alla nascita. Quindi l'ansia della sorpresa era ancora più bella. Ciro avrebbe voluto il maschietto, come la maggior parte dei papà, però avrebbe dovuto pazientare ancora qualche annetto. La nuova nata, era piccola e dolce, almeno inizialmente. Infatti dovette far ricredere ai genitori, abituati a Francesca sempre buona e mite, alla piccolina, che era tutto pepe e urla. L'unica che la faceva smettere di piangere e farla poi sorridere, era la sua sorella maggiore Francesca. Erano piccole, però c'era già intesa tra di loro; e nemmeno una piccola ombra di gelosia sfiorava i pensieri di Francesca, che all'arrivo della sorellina era stata messa in secondo piano, anzi, era felice di vedere parenti e amici congratularsi con i suoi genitori per la nuova arrivata. Era piccola, però sembrava una bambola di porcellana tanto era graziosa. “Carolina, hai due figlie stupende!” Erano le frasi che tutti gli rivolgevano e la facevano inorgoglire sempre più. Un giorno, la serenità familiare fu sconvolta. Francesca, che aveva appena compiuto due anni, da un paio di giorni non smetteva mai di tossire. Era una tosse secca e, nonostante la mamma le desse sciroppo di mele cotte e la teneva al caldo, non passava. A questo si aggiunse febbre alta, e la bambina si lamentava mettendosi le mani al petto. Non solo, incominciava anche ad avere difficoltà respiratorie. Il papà intuì subito che non era una semplice influenza, e corse a chiamare il dottore. “Signora, da quanto la bambina sta così?” Le chiese mentre la visitava. “Da un paio di giorni. Pensavamo avesse preso freddo, poi quando abbiamo visto che non riusciva a respirare ci siamo allarmati!” “In effetti, la bambina ha la pleurite!” “Cosa?” Disse la mamma sbiancando in volto. “Non è possibile!” Aggiunse il padre incredulo. “Un infezione virale, non è colpa di nessuno, purtroppo succede” Carolina cominciò a piangere e singhiozzare, abbracciando la piccola sdraiata sul letto tremante di febbre e quasi esamine. “Le prescrivo queste punture e speriamo almeno che cali la febbre. Mi chiami se la bambina non reagisce alla cura”. “Certo dottore, grazie!” Rispose Ciro, accompagnandolo alla porta. Prima di andare via il dottore si voltò e gli sussurrò: “Non ho voluto parlare davanti a vostra moglie, però la situazione è abbastanza grave. Passo domani mattina per vedere se c'è un miglioramento!”. Pallido in viso, Ciro ritornò e si fermò fuori l'uscio della camera dove Carolina stringeva le manine della sua piccola, attorniata dai parenti che erano giunti non appena avevano saputo che era arrivato il dottore. Nessuno può consolare una mamma che vede la sua piccola soffrire, e sentirsi inerme, mentre un'ombra oscura voleva portarsela via. Ciro quindi restò fermo lì; non aveva il coraggio di entrare, non poteva dire nulla, e forse non ce n'era bisogno: sua moglie guardandolo capì tutto. La notte fu interminabile, la piccola Immacolata per fortuna era da una zia, così da permettere a Carolina di non staccarsi da Francesca e forse sentendosi in colpa perché ultimamente era presa dalla più piccola e non aveva dato tanta attenzione alla primogenita. “Ma cosa dici!” Ribadì Ciro quando glielo aveva detto “Non te ne devi fare una colpa! Ora vedrai che con le punture andrà meglio!” Disse cercando di essere il più convincente possibile, dato che era il primo a credere che la piccola non ce l'avrebbe fatta. Titina (Immacolata), sorella di Carolina, restò insieme con lei, per darle il cambio vicino alla bambina e farla riposare. Ormai la piccola non mangiava nulla da un po' e soprattutto non voleva più bere. Brutto presagio: sembrava davvero che non volesse reagire. “Vai un po' a riposarti, sto io vicino a Franchetella!” Le disse la sorella. Dopo un po' di insistenza, Carolina si lasciò convincere ed andò in cucina. Vicino al quadro del santo a cui spesso amava rivolgersi, incominciò a supplicarlo: “San Ciro, penzace tu!” Contemporaneamente, si sentì bussare la porta. Subito Carolina aprì, ma non c'era nessuno, entrò solo una folata di vento. Nella camera, Francesca nello stesso momento aprì gli occhi e disse alla zia “Voglio bere!” Non poteva crederci, la piccola aveva chiesto l'acqua. Riprese “Zia, io vole mettere pappottino e cappette!” In effetti nell'angolo della camera c'era un cappottino rosso nuovo ed un paio di scarpe che giorni prima la mamma le aveva comprato. Immacolata scoppiò in lacrime pensando che quella era la miglioria della morte. Rientrata Carolina pianse anche lei, ma per la gioia: forse San Ciro l'aveva ascoltata! Ma era troppo presto per cantar vittoria.
Rita Caiazza
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