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Autore: Giovanna Barbieri
Il palio insanguinato
Storico
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Il palio insanguinato
Siena, 1483 - Lunedì 9 luglio.

Locanda malfamata nei pressi di porta Vallepiatta.

Pioveva a dirotto quella sera, alcune ore dopo i Vespri, come se il Signore avesse deciso di punire gli uomini con un altro Diluvio Universale. Edmundo barcollava nei pressi di porta Vallepiatta, a due passi da piazzetta della Selva, diretto alla locanda dove alloggiava, per il momento, con Goffredo e Fiamma.
Si trovava in una zona molto popolare di Siena, brulicante di cortigiane da candela, taverne dove ubriacarsi e stamberghe a buon mercato. Lui e gli amici erano giunti in città da poco tempo, non conoscevano ancora nessuno e non avevano ancora trovato un lavoro. La bettola di piazzetta della Selva era quindi l'unica che potessero permettersi.
All'improvviso Edmundo si sentì sopraffare dalla nausea e con una mano si appoggiò al muro di una casa per vomitare. Le ginocchia gli cedettero e cadde bocconi sui ciottoli. Non si era mai sentito così male prima d'ora, anche se si era ubriacato molte volte in vita sua, e si domandò che cosa l'oste avesse versato nel vino.
Stava ancora avendo gli ultimi spasmi, prima d'asciugarsi la bocca, quando un rumore lo costrinse ad alzare lo sguardo. Una giovane donna, avvolta in un mantello nero, lo stava fissando spaventata. Stringeva a sé una lanterna che le illuminava il viso, anche se in modo fioco. Il cuore iniziò a martellargli furioso nel petto, come una spada colpita dall'armaiolo.
- Ginevra! La mia Ginevra! Vieni da me, fatti accarezzare ancora una volta - gracidò puntellandosi al muro per rialzarsi e allungando una mano verso di lei.
La fanciulla spalancò gli occhi, terrorizzata, e fuggì verso il Duomo, come se fosse inseguita dai mastini infernali. Edmundo avanzò incerto verso di lei, ma era ancora debole a causa del rigurgito e la vista non si era ancora schiarita.
- Ti supplico, non fuggire da me. Non sono tuo nemico e ti ho amato tanto. Ero così felice di diventare padre - le urlò contro sperando che rallentasse e si girasse a fronteggiarlo. - Ti prego, fermati! Non voglio farti del male. Voglio solo parlarti - gracchiò rauco.
Tuttavia la giovane correva veloce, i suoi piedi sembravano non toccare il suolo, e s'infilò svelta in un vicolo scomparendo poi come la bruma all'alba.
Edmundo cadde in ginocchio, lasciando che la pioggia lo inzuppasse e iniziò a mormorare sconsolato prima di lasciarsi soverchiare da un altro spasmo di nausea e rigettare ancora. - Ginevra, amore mio, perché non hai voluto discorrere con me? Non eravamo felici, insieme? E dov'è nostra figlia? -
La moglie gli mancava ancora moltissimo. Agognava le sue risate cristalline e l'amore che gli aveva dimostrato, avvolgendolo come un manto. Iniziò a singhiozzare, infelice e solo come non era mai stato. Avrebbe trascorso lì tutta la notte se Goffredo, alla fine, non fosse venuto a cercarlo, preoccupato che si fosse messo nei guai.
- Vieni, Edmundo, torniamo al caldo. Qui prima di mattina saresti sgozzato come un capretto da ladri e tagliagole. - Lo aiutò a sollevarsi, con il braccio libero, e lo guidò sulla via servendosi del lume.
- Ho visto mia moglie, Goffredo. Era lei, la mia Ginevra. Non me la sono immaginata e non era uno spirito - borbottò mentre con Goffredo si dirigeva alla locanda. - Ma non capisco perché non abbia voluto parlarmi, perché mi serbi rancore - piagnucolò ancora ubriaco. - Non puoi neppure immaginare quanto l'abbia amata. Mi sono maritato tardi, avevo già superato i quarant'anni, ma lei ha accettato lo stesso di sposarmi, a dispetto del volere dei genitori. Quando sono fuggito da Costantinopoli, non avevo nulla, non una sola moneta. È stato difficile iniziare un'attività in proprio e aprire la spezieria a Roma, sebbene mi fossi rifugiato nella Città Eterna già dal 1460. Lei era l'ultimogenita di una ricca famiglia di mercanti e i genitori non furono lieti del nostro matrimonio, temendo che con me non riuscisse a sopravvivere. Tuttavia ci amavamo e anche l'attività aveva cominciato a prosperare. Io preparavo i rimedi e lei li vendeva dietro al bancone. Poi è rimasta incinta ed ero così felice di diventare padre - gli confidò mentre traballavano verso la piazzetta della Selva.
- Ti capita ancora di sognarla? Io ho tuttora incubi. Nel 1474 facevo parte di un contingente milanese di soldati di ventura e ho visto uccidere donne e bambini durante la conquista di Volterra - gli confessò Goffredo, anche se un po' riluttante. - Ho anche partecipato ad altre battaglie e scorrerie con l'esercito di Federico da Montefeltro, contro Montone e Montepulciano, prima che mi fosse offerto il lavoro di Bargello. -
Forse l'ex Bargello temeva d'essere giudicato male da lui per le barbare uccisioni durante il suo periodo d'assoldamento. Tuttavia Edmundo lo conosceva abbastanza bene e sapeva che Goffredo non si era macchiato d'atti infami, come l'assassinio di donne e bambini innocenti. Anche se di certo l'amico non era un santo. La stazza del giovane uomo, il suo incedere sicuro per le strade, cingendo in vita le spade, ogni tanto intimoriva anche lui.
- Ho faticato molto a dimenticarla e a non scorgerla ovunque per le vie. Otto anni or sono ho lasciato Roma perché non sopportavo più che ogni angolo della città mi ricordasse lei - biascicò mentre Goffredo lo guidava oltre l'uscio della stamberga e lo aiutava a salire i gradini verso le camere da letto.
Fiamma non si svegliò quando infine lui e Goffredo misero piede nella stanza. La fanciulla era stanca a causa della gravidanza. Così Goffredo lo fece sdraiare sul suo giaciglio e gli tolse solo le scarpe. Ubriaco come in rari periodi della sua vita, lui si girò prono e iniziò subito a sognare.

- Madonna Ginevra, spingi con più forza a ogni contrazione! Il neonato non si è girato di testa e non riesco ad afferrargli nemmeno un piedino - la spronò la vecchia levatrice che lui aveva chiamato quando Ginevra si era coricata per partorire, molte ore prima.
- Sappiamo entrambe che non posso farcela. Non ho più vigore nelle membra. Non ce la faccio. Sto morendo, madonna Bianca, ma ti prego, salva almeno il piccolo quando me ne sarò andata - mormorò la sposa.
- No, no, non è possibile! Ti supplico, Ginevra, continua a spingere! Non lasciarmi - piagnucolò lui afferrandole la mano destra e baciandole il dorso.
- Messer Edmundo, esci per favore. Tua moglie deve concentrasi e raccogliere le forze - lo sgridò la levatrice poiché lui non si era ancora allontanato dalla sua camera, dove la moglie stava gemendo nei dolori del parto.
La camicia pro nocte bianca era intrisa di liquido rosso e denso. Ne aveva visto scorrere tanto solo durante la caduta di Costantinopoli e si sentì soffocare dalla pena, quando si rese infine conto che la giovane moglie aveva ragione. La perdita di sangue era troppo ingente e lei non poteva sopravvivere.
- Ti amo, marito caro, ricordalo, e pensa al nostro bambino - sussurrò Ginevra girando il capo e fissandolo con i suoi splendidi occhi verdi.
Edmundo s'inginocchiò accanto a lei, coricata nel grande letto a baldacchino, e le accarezzò il viso pallido, trattenendo a stento le lacrime.
- Non dolerti, marito mio, ci incontreremo ancora nel Regno dei Cieli - bisbigliò Ginevra piegando le labbra in un debole sorriso.
- Perché? Perché, mio Dio? Lasciatemi almeno lei - pregò mentre Ginevra impallidiva sempre più.
Infine le sue dita affusolate smisero di stringerlo e ricaddero inerti sulle lenzuola. Sopraffatto dallo strazio, Edmundo piegò il capo sulle coltri, gemette forte e sfogò la sua disperazione per lunghi minuti. Infine, ancora piangendo, la baciò sulla bocca, chiudendole poi le palpebre.
- Madonna Bianca, pensa al bambino. Devi farlo uscire dal ventre della madre - comandò Edmundo con voce ancora roca di pianto.
- Non servirebbe, messer Edmundo, non si sente alcun movimento nell'addome di madonna Ginevra. Il neonato è morto con la madre, mi dispiace moltissimo - asserì la vecchia levatrice.
- Se non vuoi operarla, lo farò io. Vado a prendere una lama - disse asciugandosi le lacrime con la manica del farsetto che stava indossando e dirigendosi in cucina.
Afferrò il coltello più affilato, poi si precipitò dalla sposa appena deceduta. Le mani gli tremavano come a un vecchietto, quando incise il ventre di Ginevra ed estrasse il loro bambino. Era una femmina, una dolce figlia che poteva somigliare alla madre, se fosse vissuta. Ma purtroppo non respirava: era cianotica, immobile. Strinse a sé la neonata con delicatezza e pianse ancora per la famiglia perduta.
La levatrice lo lasciò senza proferir verbo, neppure pronunciando le condoglianze di rito, forse timorosa che lui l'accusasse d'incompetenza, d'operare il Male, d'aver ceduto l'anima della figlia innocente al Maligno.
Tuttavia lui non era un uomo vendicativo e non era molto superstizioso. Così non denunciò madonna Bianca alla Santa Inquisizione. Cadde invece in una fase di mestizia così profonda che lasciò agli amici il compito di seppellire la moglie e la figlia.
Non partecipò neppure al rito funebre, ma nessuno se ne stupì. Tutti sapevano quanto amasse Ginevra e quanto fosse orgoglioso di diventare padre, dopo le traversie subite a Costantinopoli. Non riaprì la spezieria per lunghe settimane e si recò a pregare sulla tomba della sposa e della figlioletta solo un mese più tardi.
- Ogni anfratto di Roma mi ricorda la felicità che ho sperimentato con te. Non posso più restare qui, mi trasferirò in un'altra città e ricomincerò da capo - sostenne mentre pregava nel cimitero.

Giovanna Barbieri

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