Tutto succede per una ragione
|
Non mi muoverò da qui, per nessuna ragione, anche se mi duole la schiena e vorrei cambiare posizione. Ora è l'alba, il sole sta facendo capolino dalle tapparelle Sono distesa accanto a mia nonna, la testa appoggiata sul suo petto e il braccio destro a cingerle il corpo. Credo di sentirmi fortunata, perché ieri sera avevo pensato di tornare a casa. In verità è stata lei a dirmi di farlo, mi sarei riposata con più comodità, e stavo quasi per assecondarla, poi ho riflettuto: nonna Rosa, due mesi fa, è stata colpita da un'influenza, pochi giorni dopo, ha avuto una ricaduta ancora più grave. A quel punto, insieme a mio zio, l'unico figlio che le è rimasto, ma che vive su a Bologna già da tredici anni, abbiamo deciso di farla ricoverare in ospedale per sottoporla alle cure dei medici. Ed è da due settimane che siamo qui. Ha avuto momenti di alti e bassi. Ma io non l'ho lasciata un solo istante. Nonna è tutto ciò che mi resta. Mi ha cresciuto lei, dopo che i miei genitori furono coinvolti in un conflitto a fuoco avvenuto in un ristorante del centro di Napoli. Due persone innocenti che hanno avuto la sventura di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per mio padre la corsa in ospedale fu inutile, mia madre ha tentato di lottare per tre giorni, però, purtroppo, le gravi ferite interne hanno avuto il sopravvento e mi è stata trappata via anche lei Io avevo solo dieci anni e, nonostante nonna soffrisse per la perdita della figlia, non ha esitato a prendersi cura di me, mascherando il suo dolore dietro sorrisi e attenzioni rivolte alla sua unica nipote. Ha fatto un ottimo lavoro, ha compensato la mancanza che io sentivo di mia madre e mio padre. Grazie a lei ho potuto studiare, coltivare le mie amicizie, accrescere negli stessi valori che aveva insegnato a sua figlia Daniela. Mi ha fatto sentire amata e io avevo già un legame profondo con lei, ma di sicuro il mio affetto per nonna è aumentato a dismisura. È una persona davvero fondamentale nella mia vita, la più importante. Non osavo immaginare cosa sarebbe stato di me se non avessi avuto lei accanto.
Sembrava andasse per il verso giusto, ce la cavavamo, tutto sommato. Ci davamo conforto e sostegno. Lei ha asciugato le mie lacrime d'amore, ha ascoltato i miei problemi, i miei sogni. È stata la spalla forte alla quale mi sono aggrappata nel momento in cui temevo di fallire all'ultimo anno dell'Accademia di Arte e Moda. Era stato un anno di grande stress, paura, dubbi. E anche per merito suo, della sua gentilezza e della bontà, mi sono laureata in Fashion Design. Mi ha insegnato tantissimo, tra tutto a cucinare. Quello era il mio momento preferito e se un giorno sarò in grado di conquistare un uomo per la gola, saprò a chi essere riconoscente. Circa due anni fa fummo travolte da una terribile notizia quando le fu diagnosticato l'Alzheimer. Non era ancora a uno stadio avanzato, ma fu ugualmente un duro colpo. All'inizio avevamo sottovalutato il caso. Scherzava se dimenticava le chiavi di casa, se sbagliava gli ingredienti della ricetta, se le domandavo cosa avesse fatto in quella giornata, se io l'avevo trascorsa fuori, e lei mi rispondeva con avvenimenti che erano accaduti nei giorni prima. Sminuiva la faccenda esclamando che stava cominciando a invecchiare. Certe volte rammentava episodi successi in passato e io mi sentivo male, avevo il terrore che la sua memoria potesse cancellarmi. Ho dovuto farmi forza e non mostrarmi mai debole, e credevo che il tempo sarebbe stato dalla nostra parte. Invece si è ammalata e la paura è tornata più prepotente. Con quest'ultima influenza ha avuto delle complicazioni respiratorie ed è difficile e fa male vederla così fragile, vulnerabile -lei che è sempre stata una donna forte- e che lentamente si allontana da me. Non ero e non sono pronta a cavarmela da sola. Ho bisogno di lei. In questo periodo di degenza, qui in ospedale, ho avuto modo di conoscere altre donne, tutte simpatiche, una in particolare che si trova nella stanza adiacente. Si chiama Carmen, abbiamo parlato spesso, mi ha raccontato della sua nipotina, di suo figlio che è un medico, anche se io non l'ho mai incontrato. È stata carinissima, mi ha dato conforto e spronato a non crollare durante le crisi di nonna. Mi ha lasciato persino un suo recapito. - Anche solo per scambiare due chiacchiere, mi farebbe piacere sentirti - mi ha detto con sorriso, l'altro giorno. Ci siamo tenute compagnia.
Ieri sera, dopo essersi arresa alla mia permanenza per la notte, nonna mi ha chiesto di leggerle un libro e io l'ho accontentata. L'ho fatto anche quando stavamo casa. Ha sempre sostenuto che io avessi una bella voce, dolce, angelica (addirittura), e allora perché proibirle un desiderio simile, se per prima a me fa piacere? Mi sono seduta sulla sedia, poi ho cambiato idea e mi sono adagiata sul letto accanto a lei, volevo annusare il suo profumo, quel profumo che ho sempre amato. Non so per quanto tempo io abbia letto. In camera siamo solo noi due, quindi non temevo di disturbare nessuno. Ho letto pagine e pagine, seppur la voce stesse calando. A un certo punto si è affievolita. Senza che me ne accorgessi pienamente, le mie parole erano accompagnate da calde lacrime che poi scendevano sempre di più a fiotti. Sapevo cosa stava per accadere. di questa stanza. Sento già rumori provenire dai corridoi, segno che la giornata sta per iniziare. Io non ho chiuso occhio e bocca per tutta la notte. Il libro era persino finito ma l'ho ricominciato perché lei lo adora e mi ci sono appassionata anch'io.
Con la coda dell'occhio scorgo la sagoma di qualcuno che entra in camera e mi saluta. È l'infermiera Stefania. Non dovrei essere qui, lo so, ma alla fine ho convinto tutto il reparto. Sapevano che io avevo solo lei e qualche volta hanno sorvolato sulle norme dell'ospedale. - È ora di tirarsi su - mi dice con voce allegra. Va ad alzare la tapparella e si avvicina, il sorriso che aveva in principio, si spegne man mano che raggiunge il letto e vede che le mie palpebre sono aperte. - Erica - mi richiama. Credo di essere entrata in quello stato che chiamano trance. L'infermiera visita la nonna, il polso, il battito, la reattività e vedo la sua bocca schiusa. - Tesoro, mi dispiace - mi accarezza il braccio e io continuo a sussurrare parole di questa bellissima storia. - Vado a chiamare il dottore - . Sollevo lo sguardo sul volto di nonna; è serena, in pace, dovrei esserlo anch'io, ma non ce la faccio, non ancora, almeno. - Signorina, deve spostarsi - . La figura di un uomo in camice si prospetta accanto a me scuotendomi piano, io scanso la mano. - Non posso. Sto leggendo - - Signorina Borrelli, sono desolato ma deve lasciarci fare il nostro lavoro - ritenta. - Erica, vieni con me, tua nonna non può stare più qui - Stefania torna da me per aiutarmi a scendere, ma io abbraccio ancora più forte nonna e affondo la fronte nel suo petto, anche se non c'è più battito e il suo corpo ha perso calore. L'ho sentita espirare per l'ultima volta, non so che ore fossero, non ho badato, gli occhi erano già chiusi, e ho continuato a leggere per entrambe. Se avessi chiamato prima i medici me l'avrebbero portata via troppo presto. Pure adesso mi pare ancora presto. Non sono serviti a nulla i discorsi che mi hanno rivolto affinché mi preparassi a questo triste e ingiusto epilogo. Io ho finto di prestare ascolto. Non volevo accettarlo. - Vorrei, ma non ci riesco - . Se mi stacco la perderò. - Erica, lascia che il dottore faccia il suo dovere. Ti accompagno io fuori, su, vieni con me - . Scuoto la testa. Poi mi rendo conto che così facendo io possa sembrare una bambina capricciosa. Per cui, malvolentieri, mi scosto sollevandomi su un gomito e torno a guardarla, mi chino a baciarle la fronte. - Ti voglio un mondo di bene, nonna - , le sussurro. - Mi mancherai tantissimo - altre lacrime cadono dai miei occhi e si posano sul suo viso segnato da rughe che hanno lasciato tracce di tutta una vita. Accarezzo la fronte, bacio una guancia trattenendomi a lungo, consapevole che non potrò più farlo tra poco. Non riesco a fermare un singhiozzo e me ne frego. Una mano si posa sulla mia spalla e so che il tempo è scaduto. Scendo dal letto con lo sguardo puntato ancora su di lei, mi lascio condurre fuori come un automa e mi fanno sedere su una sedia, mi piego in avanti e, coprendomi il viso, piango. Stefania mi parla, usa parole di conforto, che entrano da un orecchio ed escono da un altro. Fino a che non sento un'altra voce e a quel punto mi volto. - Carmen! - - Oh, cara! Ho saputo di tua nonna, mi dispiace tanto - mi lascio abbracciare da questa donna
Monica Cerullo
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|