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Autore: Lorenzo Zucchi
Giochi senza bandiere
Narrativa di viaggio
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Giochi senza bandiere
La rosa, il mirto e la palma. Limassol, Pafos – 2021.

Il Signor Nessuno sta cercando un gomitolo di storie da poter dipanare a suo piacimento. La taverna gli piace, l'atmosfera è quella tipica delle isole greche: il soffitto di travi decorate a vite, le tovaglie a scacchi e la brace di fianco all'ingresso dove cuoce la carne. Il traffico dei bus sulla strada è incessante, e con le famigliole locali mescolate ai turisti, Pafos sembra una città vera; in quale altra località avrebbe potuto trovare gente del posto fianco a fianco ai villeggianti? Non gli era mai successo, sinora. ‘Forse non va bene', pensa, ‘non è questa la location ideale per ambientare il mio romanzo, ‘L'estate dei nostri sogni': un dramma adolescenziale di amori non corrisposti e altri che finiscono, un grande classico della letteratura rosa.' Approfittando delle tariffe veramente low cost della solita compagnia irlandese, è atterrato nel pomeriggio e subito ha provato simpatia per i taxi a furgoncino, per le piste ciclabili e per il lungomare dove una nuova generazione di alberghi sulla costa ha ormai soppiantato quelli che sorgevano sulla vecchia strada arretrata, tutti chiusi o poco popolati. Come quello dove sta lui, una stanza su due piani con vista sulla piscina azzurrissima di ogni sogno balneare che si rispetti. Si guarda intorno, ma non trova personaggi che possano fargli scattare la scintilla della storia da raccontare. Gli inglesi danno sempre poca attenzione a chi li osserva, vero, ma qui ci sono solo coppie e famiglie di tutte le età, nessuna compagnia di sbarbatelli alle prime armi della vita. Prova tra i corridoi di un supermercato enorme che offre persino frutta tropicale, patatine di tutti i gusti e vini sudafricani in abbondanza, senza incontrare altro che personaggi fuori dal suo target. Nel risalire verso l'hotel attraversa una via dove la maggior parte dei locali è chiusa, quelli tipici da destinazione usa e getta del turismo, proprio ciò che pensava di trovare qui, come in una Magaluf qualsiasi, per dire, o magari in una Agia Napa, per restare a Cipro, anzi ‘in Cipro', che così gli aveva scritto la compagnia telefonica italiana appena atterrato. Entra in un minimarket, di quelli che sono diffusissimi anche a Roma, ma che qui hanno tutta un'altra verve ben più struggente rispetto a una città che vive tutto l'anno. Prende una piccola bottiglietta di zivania, una confezione di baklavadakia e chiede alla notte di anticipargli qualcosa del suo prossimo testo. Nulla da fare: sogna i talebani, che hanno occupato la sua città e che lo obbligano a muoversi nella clandestinità della notte, tra le strade spettrali dove è stata cancellata anche la memoria del sesso femminile. La cameriera del bar dove beve il primo caffè della giornata si è rifatta il seno e lui si perde a osservare come il datore di lavoro la guardi con desiderio. Sì, questa potrebbe essere una storia accessoria da installare nel libro; il problema è che non trova i suoi protagonisti, nemmeno sotto agli ombrelloni di un beach club frequentato da una madre e una figlia, da una coppia sui sessanta e da una piccola famiglia di tre persone. Un uomo fuma una sigaretta di fianco alla doccia dove i bagnanti vengono a pulirsi i piedi, tre camerieri portano le ordinazioni in spiaggia, uno cipriota, uno russo, uno indiano. Ha notato anche la ragazza thailandese nel negozietto dove ha comprato il magnete per la sua collezione da frigorifero, vari africani in giro per la strada, la commessa dell'Asia centrale nella boutique di sandali in cuoio prodotti sull'isola. In una società così, che sembra dunque decisamente accogliente e inclusiva, nonostante le note divisioni con la comunità turca dell'altra metà dell'isola, non avrebbe mai pensato di mettere in campo dei pallidi adolescenti della generazione Z. Il mare ha la bandiera blu, ma l'acqua non è chiara come in altre località del Mediterraneo. Cerca distrazioni monumentali scattando senza entusiasmo una serie di foto panoramiche alla chiesa bizantina circondata dalle rovine di un tempio romano. Vuole rendere memorabile la sua sera e attraversa un bosco di ulivi e di fichi d'india, dove sono stati piantati anche dei pomodori; la pompa di benzina della Petrolina lo fa sospirare mentre i cartelloni del gigante immobiliare della città tappezzano le pareti del prossimo grande investimento in vetro e mattoni. Ha scelto una taverna dal pergolato all'aperto, tradizionale, come gli ripete con un caldo benvenuto il simpatico cameriere, dove si dice semplicemente basta quando non ce la si fa più a ingurgitare mezze di ogni tipo, mentre una caraffa di un litro di vino induce il suo pensiero a superare le barriere della mente e per una mezz'ora buona le due coppie di turisti dell'est, di lingua slava non meglio identificata, sono comparse nella sua trama che immancabilmente non nasce, nemmeno quando un Cyprus coffee cerca di risvegliarlo dal torpore dell'alcool. Perlomeno hanno smesso di chiamarlo ‘Greek', pensa. In vent'anni le cose sono cambiate e cambierebbero molto più in fretta, se dipendesse solo dalle persone e non dai governi. Temi che ha già affrontato e che adesso devono restare per forza di cosa off-limits. I protagonisti del suo romanzo li immaginava britannici, essenzialmente per essere in grado di cogliere spezzoni dei loro dialoghi da riportare poi integralmente. Alle rovine di Nea Paphos, invece, la maggior parte dei visitatori è di lingua francese; anche quelle tre ragazze molto appassionate ai mosaici della Villa di Dioniso. Ma non è ancora questo, il libro che avrà solo personaggi femminili, riflette amaramente. Si arrampica per godere della vista dal faro, ammira lo stato di conservazione delle colonne laddove una ragazza italiana si sta lamentando con il fidanzato del suo set di foto, che oggi lei ha messo il vestito rosso e non potrà essere così appariscente tutti i giorni. Proseguendo lungo la splendida passeggiata pedonale a palme verso il porto di Pafos, prova un'altra spiaggia più intima e dal mare più celeste. Paga cinque euro al simpatico anziano bagnino dai lunghi capelli bianchi che lavora incessantemente per ripulire dalle alghe e bagnare la sabbia, assopendosi per mezz'ora alla luce del suo disagio compositivo. Un padre gioca con la figlia a pescare i sassi più belli, una ragazza con le scarpe da ginnastica in mano arriva a occupare l'ultimo ombrellone libero, all'orizzonte la linea del mare è solcata continuamente dalle barche a motore del parasail, paracaduti con lo smilie giallo e la lingua rossa che penzola. Fa caldo, troppo caldo, per essere settembre, in quest'isola paradisiaca che denota a prima vista il suo fenomenale mix di Europa e Medio Oriente. Non potranno certamente essere i due anziani sempre immobili alla penombra del loro balconcino, che bevono acqua minerale e fumano sigarette, coloro che daranno la scossa al suo tomo. Invece il simpatico cameriere, inglese come tutto il board che ha rilevato l'hotel dove alloggia, dopo un anno di chiusura legato alla pandemia, potrebbe avere un suo ruolo, quando con calma tira fuori da un cassetto l'alambicco del caffè alla maniera locale, che ha imparato presto a fare per la clientela che lo richiede. D'improvviso ecco il caldo suadente della sera, il vociare dalla cadenza mista mescolato a musica e risate, lo scintillio dei sorrisi che si riflette nei bicchieri colmi di liquidi profumati; forse sono ricordi di un altro viaggio, suggestioni cinematografiche che si sovrappongono davanti a un tramonto incredibilmente rosso, giallo e arancione. La palla che scende all'orizzonte gli vale un richiamo a tornare ancora in quel bar da parte dell'ennesimo dipendente che sa come interagire con il turista. Per il sabato sera ha immaginato una scena immancabile: lo spettacolo folkloristico con contorno di mezze di pesce alla più antica taverna della città, che risale addirittura al 1971, dove il gruppo di ballerini che si esibisce in danze greche si alterna con la danzatrice del ventre in uno spettacolo indubbiamente molto politically correct, sullo sfondo di chiese bizantine e ristoranti indiani, in quella che, ormai ne è certo, potrebbe sicuramente definire nel suo libro come ‘la città dei gatti'. La cosa più interessante gli sembra il gruppo di bambine che si isolano dalle loro tavolate per scrutare gli schermi dei rispettivi tablet e telefoni; si alza per sentirle parlare, ma sono immancabilmente cipriote, del resto erano in troppe per poter essere in vacanza tutte assieme. Va a fare colazione in una catena locale che serve vari tipi di breakfast tutto il giorno, concedendosi un filo di ammirazione per questa attività portata avanti con grande professionalità, intuendo ancora una volta la multietnicità del cospicuo gruppo di cameriere. Mentre cammina lungo le piastrelle ben sistemate che scavalcano le suggestioni quasi egiziane di Pioneer Beach, nella contemplazione ormai rassegnata delle coppie di mezza età e oltre che affollano le sdraio sull'erba, vede da lontano una chiesetta dello stereotipo greco, bianca e con la cupola azzurra, che qui gli sembra quasi fuori posto. Immagina di giocare a tennis sul campo blu e verde del circolo locale, che pure sembra chiuso, proprio come il piccolo luna park adiacente, forse solo e unicamente per il poco movimento della giornata di festa. Ha raggiunto Geroskipou, un comune distinto da Pafos, dove ammira il placido scorrere delle ore al bar ombreggiato da viti e palme di Rikkos beach, dal 1975 un ritrovo per le famiglie della zona che si conoscono tutte di vista. Potranno mai gli eroi della sua ‘Estate' finire in un posto così? Un gruppo di giovani inglesi in realtà c'è, ma hanno tutti il braccialetto di un resort all-inclusive, magari uno di quelli da quattromila euro a settimana; bevono birra e sidro anche mentre stanno in acqua, per non perdere tempo. Memorizza la scena, la riproporrà. Non mangia il pane di ceci, tipico della Pasqua, ma la solita splendida village salad, con verza, cetrioli, pomodori, olive e halloumi, quel formaggio che a Londra mettono in ogni ricetta e di cui non è riuscito a innamorarsi a sufficienza per poter soppiantare nel suo cuore la feta. Dedica appena una mezz'ora al gran premio di Formula 1, in quel catino arancione, mentre una coppia di turisti turchi obesi, spedite le mogli in stanza, approfitta dell'offerta dell'ice bucket per spararsi tre birre a testa. Passa alla reception, chiede un taxi che gli venga addebitato sul conto della stanza e si fa portare dall'altra parte della città per visitare le Tombe dei Re. Resta sorpreso dall'assoluta dignità dell'immagine complessiva del nucleo urbano: strade alberate da poco, una chiesa bizantina di recente costruzione, ristoranti turistici e hotel di poche pretese. Una necropoli al tramonto è uno scenario spettacolare, nonostante qualche nuvola che vela il rosso di grigio; qui dovrebbe assolutamente ambientare una scena madre del suo libro, se il suo libro esistesse. Vuole camminare, sfidare sé stesso a fare più passi ancora, in questa località incredibile, andare in zone dove non ci siano turisti ma solo taverne di pesce, donne che spazzano il cortile di casa, muretti che proteggono i filari di vite e fermate del bus piene di gente dalla pelle di ogni gradazione. Il vecchio nucleo turco di Pafos sulla collina è una destinazione nella destinazione: un ascensore, una chiesa in mattoni, un rifugio per autoctoni che qualche curioso di altra provenienza assapora con piacere, nonostante i semafori pedonali facciano desiderare un po' troppo il verde. Passa la monumentalità semplice delle colonne ioniche, circumnaviga un parcheggio e finisce in un locale che fa da hamburgeria contemporanea, dove all'aperto si festeggia un compleanno con tanto di torta e candeline, dove tre giovani locali consumano i pochi piatti della loro magrezza, dove tre nerd parlano in inglese di videogiochi, dove un cameriere rovescia in testa a una ragazzina una porzione di patatine fritte. Forse vorrebbe essere solo un poeta, anche estemporaneo, pensa amaramente, mentre dal finestrino di un taxi nella notte fissa una targa con la scritta CY, che ama e che sa che gli sfuggirà molto in fretta. Oggi troverà sicuramente il suo target; si fa forza, in quei venti minuti di camminata al sole già caldo delle dieci del mattino. Entra addirittura per primo nel parco acquatico, pronto a carpire l'anima dei suoi visitatori. Comincia persino ad apprezzarne le attrazioni; tra gli scivoli con gommone, le onde ricreate e le arrampicate al vulcano, vede un anziano grasso, con la pelle completamente ustionata. Ci sono famiglie turche, famiglie arabe, ragazzi in gruppo e ragazzi in coppia. Nessuna ispirazione, nemmeno con le birre che si spara in successione, sperando nell'illuminazione. Anzi, prima si sfracella un gomito scendendo da un'attrazione etichettata come ‘severe', con una discesa pressocché verticale. Poi perde il suo nuovo smartwatch, precipitando nel vuoto della piscina dal tubo anch'esso considerato ‘difficile'. Col suo peso non indifferente, cresciuto negli ultimi giorni dedicati alla carne della cucina autoctona, avrebbe dovuto limitarsi. Tornato in hotel, fa un tuffo in piscina per assodarsi il ventre con il getto dell'idromassaggio; alla radio passano la solita canzone che ripete ossessivamente ‘It's Friday then...' e la solita pubblicità ‘Free pass, back to school!'. Ha prenotato un ristorante greco, stavolta, sul mare, uno di quelli con le sedie azzurre, che servono ouzo anche come bevanda principale, dove la pita è assolutamente divina e la clientela mediamente altolocata nel riverbero delle luci delle candele. Lui quali figurine di personaggi amati metterebbe nelle nicchie del salotto di casa sua? Otto rincoglioniti stanno seguendo un modesto spettacolo di cabaret, nel rumore delle onde che si infrangono sugli scogli. Decide di tentare l'ultima carta, quella dell'autonoleggio: dall'hotel gli organizzano il tutto in un attimo e lui si adatta facilmente alla circolazione sulla sinistra grazie al cambio automatico. Non è più stupito dalla qualità delle infrastrutture, dal livello medio del tenore di vita e dagli investimenti che sono stati fatti, anche se ha dei dubbi che la cosa sia nota fuori dall'isola; che bello però, che l'Europa abbia preso Cipro! La visuale delle rocce marittime, dove l'autostrada si inerpica e precipita, è deturpata da qualche cartellone pubblicitario di troppo che reclama beveroni al caffè prodotti a Taiwan e a Singapore. Limassol gli sembra davvero una metropoli: svariati grattacieli e torri in costruzione nella zona del lungomare di spiaggia larga; una marina in stile outlet ormai completata per i cospicui investimenti fatti in rubli in appartamenti e imbarcazioni; un centro storico ancora sciupato, dal sapore molto arabo, dove comunque tra i greti dei torrenti e le vecchie moschee l'industria della lavorazione della carruba ha dato vita a un museo e a un ristorante di grido. Si concede la sua colazione cipriota, con le fette di lounza, divorandola in un secondo per poter ordinare ancora una tazzina con i fondi. Uscendo dalla città attraversa parte di quel territorio della base militare a sovranità britannica, mentre alla radio danno già le previsioni del tempo per il Nord Irlanda e lui si ferma a fare una foto ricordo al castello di Kolossi, situato proprio sulla linea di confine. Sa già che non troverà i suoi ragazzetti alla spiaggia di Afrodite, quella Petra tou Romiou dove il mare dà l'illusione di essere libero dalle alghe e le onde possono sembrare meno innocue di quello che sono in realtà. Perde minuti ad ascoltare un gruppo di turisti, solo per concludere che alla fine, forse sì, vengono dalla Repubblica Ceca. Rimette al massimo l'aria condizionata della sua Nissan Note con la targa rossa e battezza una destinazione ignota, una che ha scoperto per caso solo il giorno prima, grazie a un post su Instagram di un sito che promuove le bellezze di Cipro. Si ferma a rifornire alla pompa della ragazza africana, segue il navigatore e sale e scende per stradine ripide, nelle ripetute indicazioni degli Adonis Baths, in quello che viene continuamente ribadito come un percorso adatto a tutti i tipi di auto ma che in realtà è uno sterrato con pendenze di una certa difficoltà, almeno per lui. Un ristorante, un hotel, un parcheggio. Il biglietto di ingresso all'attrazione è salato, e poi per cosa, per quelle statue super kitsch delle divinità greche, alcune in marmo e altre placcate in oro? Poi li vede. C'è pieno. Ci sono solo loro, praticamente, i ragazzi che vorrebbe trasportare su carta. Si tuffano dal tronco o dalla liana, urlano e ridono. Si fanno selfie, si fanno fare video mentre cadono nelle profondità del laghetto creato dalle cascate rocciose. Francesi, svedesi, inglesi, russi, romeni, polacchi, tedeschi, spagnoli, italiani. Tutti uguali e tutti con un solo desiderio: la condivisione del loro momento di felicità sui social. ‘Forse non sono pronto ad affrontare questo mondo', riflette, con un pizzico di delusione. Non si possono descrivere sentimenti che non hai mai provato, mentre la barista filippina che chiude lo sportello del bar ti priva anche della birra meditativa nel grazioso terrazzino tra le frasche. L'estate prossima andrà in un resort Ibiza-style e troverà là la sua ispirazione. E' finita. La chiude così: vuole vivere le ultime ore di vacanza senza pensieri, osservando solo quello che vede, a partire dagli incredibili insediamenti collinari della periferia di Pafos, una serie di villette con piscina che fanno capire perché le proiezioni future del PIL pro capite di questo stato da un milione di abitanti siano superiori alla Slovenia e ormai prossime a quello dell'Italia. Si fa di nuovo tutta la passeggiata dall'hotel al porto, come la prima sera, anche se sa bene che non può riportare il tempo indietro; lo dicevano persino nelle canzoni, quando lui era poco più di un ragazzino. Al castello illuminato, altre due ragazze, forse una coppia, tentano a turno di fotografarsi con l'ultimo bagliore dell'ora rosa sullo sfondo del mare. Una madre e una figlia litigano, al tavolo a fianco del suo, sulla terrazza di un ristorante defilato, mentre un camioncino porta via una lavatrice. Un SUV arriva, due ‘veri uomini' scendono e aprono la porta di un ex negozio trasformato in appartamento, lasciano la porta aperta alla serata imminente e si accomodano senza fretta nella sala scommesse dove si gioca a carte in maniera ufficiale, senza dover ricorrere ai casinò che abbondano nella parte turca dell'isola. Sceglie l'afelia, una casseruola di maiale cotta nel vino, che trova divina. Fissa a lungo i colori che cambiano sulla fontana della piazza in lontananza, freddi come la sua paura di andare via da qui. Alla fine, sembra proprio un bel posto dove vivere! Ha ancora un giorno e sceglie di immolarlo alla distanza, alla scoperta dei ricordi del suo primo viaggio, vent'anni prima. Non trova Nicosia granché cambiata: ci sono i soliti palazzoni a vetri delle aziende nazionali, i viali alberati e le mura veneziane dove il sole batte senza sosta. In Ledra Street c'è McDonald's, c'è Starbucks, c'è Flying Tiger Copenhagen. Là, dove c'era un filo spinato, adesso staziona un gabbiotto che chiede ai turisti di farsi un tampone per poter provare il brivido di visitare un territorio occupato, uno stato non riconosciuto. In farmacia lo fanno a otto euro, nei mall addirittura gratis, per non parlare dei centri medici 24h dove c'è la possibilità di richiederli non stop. È vaccinato ma non si fida; potesse esplorare il quartiere balneare abbandonato di Famagosta probabilmente rischierebbe, ma qui la divisione di una città gli fa solo rabbia. Meglio cercare quei pochi angoli restaurati dove il centro sta riprendendo il suo appeal, in attesa del momento in cui la folla si mescolerà da una parte e dall'altra della linea tratteggiata. Tra altri vent'anni, forse. Nel tornare sceglie di esplorare quello che non si sarebbe mai aspettato da quest'isola: le montagne, così alte da avere persino una stazione sciistica all'appropinquarsi dei duemila metri. Esce dalla capitale attraverso pochi chilometri di un'autostrada accessoria, ferma la macchina alla solita pompa di benzina in località Astromeritis; si meraviglia più della vivacità di questa zona bucolica che del capanno della terra di nessuno tra i due confini, là sulla collina, mentre la vista già spazia sulla costa del nord dell'isola. Battezza tre soste, per il complesso monumentale dei monasteri dei monti Troodos: l'offerta all'uomo che sposta il pick-up a Kakopetria, la mascherina del divieto di fotografie agli splendidi affreschi di Agios Nikolaos e il percorso battuto da una coppia di turisti iberici nell'incantevole località declinante di Pedoulas. Ci sono troppe strade parallele e le indicazioni non sono sempre univoche, è impossibile trovare quella più rapida; si rassegnerà a ripetere un pezzo di autostrada attraversando la valle vinicola di un'altra grande risorsa di quest'isola tutto sommato straordinaria. Per la sera ha prenotato un ristorante che cucina mezze, tanto per cambiare. Si accomoda sulla terrazza pronto a sbranare ogni portata, ma il suo sguardo si perde a inseguire il profilo delle case vicine, a immaginare di poter essere dall'altra parte di ogni finestra. Ci starebbe bene? Apre la porta della sua stanza con la seconda chiave magnetica, spegne l'aria condizionata ed esce sul balcone per fumare l'unico sigaro di tutta la sua vacanza. Alza gli occhi, verso la piscina dei suoi giorni spensierati. Un enorme cigno gonfiabile galleggia sulle acque immobili della notte.

Lorenzo Zucchi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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