Rod Sambor e il tredicesimo Cesare.
La terra sotto le piccole unghie rotte iniziava a mescolarsi con il sangue. Graffio dopo graffio era riuscito ad allargare la buca. Willy si voltò per guardare un'ultima volta la sua casa. Le lacrime gli attraversarono le guance e si unirono alla bava che gli pendeva dalla bocca storta. Era inginocchiato e sudava. Non gli importava di sporcarsi la sua maglietta preferita, quella con la scritta NASA. Un cilindro metallico era accanto alla buca: dal suo interno spuntavano una trentina di giornali arrotolati. Le riviste scientifiche erano le sue preferite. Ansimava e scavava. Le urla lontane intorno a lui non lo smuovevano dal suo obbiettivo: doveva mettere al sicuro la conoscenza. Il cilindro rotolò di qualche centimetro; il metallo lucido rifletteva il cielo. Pezzi di Luna incandescente attraversavano il firmamento. Le urla del padre che lo cercava nella casa dietro di lui lo fecero desistere. Si fermò. - Willy! Willy! Dove sei? - La porta di casa si aprì. - Che fai qui fuori? - Willy prese il cilindro, lo appoggiò con delicatezza nella buca e lo ricoprì con la terra smossa. Il padre lo avvolse con le braccia e lo mise in piedi. - Dobbiamo andare! - Willy si liberò dalla presa e fece un salto all'indietro; irrigidì le braccia verso il basso e si mise a pestare i piedi. - Non voglio andare via, non voglio! Ho tutti i miei libri qui. Non voglio! - Il padre lo scosse con forza. - Vuoi morire? Qui a Roma? Non vuoi andare dalla mamma? Non vuoi tornare a casa? - - Sì. - - Hai portato le tue valige in macchina? - - No. - - E che cosa hai fatto fino ad ora? - Il ragazzo chinò il capo e con l'indice puntò la buca. - Willy, ti ho detto che non c'è tempo di nascondere tutti i tuoi libri, dobbiamo andare. L'Inghilterra è lontana da qui, se mai ci arriveremo ne compreremo di nuovi. - - Ma delle cose che mi hai insegnato non ricordo niente. Cosa sono io senza i miei libri? - Un boato fece tremare l'aria. Il padre afferrò il ragazzo per la mano e lo trascinò verso l'auto. - No, papà! Se andiamo via fammi almeno riprendere i miei giornali. - - Willy, sono al sicuro lì. Quando ritorneremo li riavrai. - La macchina partì sgommando nel vialetto. La porta principale della casa era rimasta aperta. Il cilindro era lì, davanti alla villetta: sottoterra, ben nascosto. E lì rimase per lungo tempo. Mille anni dopo...
Rod era seduto a terra davanti alla sua casa cubica. Scosse la testa e si massaggiò la chiappa sinistra. - Ma dico, con tutte le tasse che paghiamo, non passano neanche più il sale? - Si rialzò, allargò le braccia e trovò un precario equilibrio sopra la fine lastra di ghiaccio che si era formata nel pomeriggio. Si avvicinò al gabbiotto postale vicino all'entrata dell'abitazione. Oltre la grata di ferro del vano vide un cilindro metallico incastrato nel tubo della posta pneumatica. Sul recipiente c'era il simbolo della città di Aeris e la scritta All'attenzione del capofamiglia Rod Sambor. Rod sollevò un sopracciglio. - Se uno dei tre ha fatto di nuovo qualche casino a scuola questa volta me lo mangio. - Aprì il gabbiotto e sfilò il cilindro. Appoggiò la schiena alla parete metallica della casa e srotolò il foglio ferromagnetico.
Gentile Sig. Rod Sambor, sono Elisabeth Grimm, lunatrice della scuola primaria dell'istituto scolastico di Aeris. Con grande rammarico la legge scolastica mi impone di inviarle un avviso per ammonire il comportamento di suo figlio Ivan. D'ora in poi non comunicheremo più di persona perché ormai è evidente che il metodo usato da Voi per far capire al bambino il giusto comportamento da tenere a scuola risulta inefficace. Le ricordo che dopo tre richiami scritti la probabilità che suo figlio venga catalogato come inetto si alza del 50%. Buon lavoro e buona giornata.
Lunatrice Elisabeth Grimm
I lampioni intorno alla casa si accesero. Uno dei quattro, quello posizionato nell'angolo più lontano del vialetto, iniziò a lampeggiare e ronzare. Rod piegò il foglio in due e lo infilò nella pettorina bianca, inserì la chiave nella toppa della porta, aprì ed entrò. Si sfilò il giubbotto bagnato dai fiocchi di neve e lo fece sgocciolare nell'atrio. - Ciao a tutti. - Il piccolo Ivan era seduto al centro del salotto con in mano dei mattoncini magnetici. Si voltò verso la cucina. - Mamma, è arrivato papà! - Ritornò con lo sguardo alla struttura costruita sul pavimento e la fissò. Si alzò e si avvicinò al vecchio Karol seduto sul divano. - Ecco fatto, nonno! Così può andare? - Karol si chinò in avanti e raccolse i capelli bianchi in una coda bassa. Un sorriso gli illuminò il viso. - Davvero un ottimo lavoro, Ivan. Allora c'è ancora qualcuno in questa casa che ascolta con attenzione i miei racconti... - Rivolse un occhiolino d'intesa al nipote, alzò verso il soffitto il suo naso grinzoso e aprendo per bene le narici annusò l'odore che iniziava a diffondersi in tutto il pian terreno. - Senti un po' che profumo. Che cosa si mangia di buono oggi, Aleksandra? Sbaglio o è pesce di Costa Balaena? - Aleksandra si affacciò dalla cucina. - Spaghetti di grano con patate, alghe e tranci di pesce di Costa Balaena. Karol, ma tu sai perché il pesce è venduto senza la testa? I pesci hanno la testa, giusto? Mi pare di ricordare che ci hanno detto così a scuola. Ti giuro che non ne ho mai vista una. - Si asciugò il viso con uno strofinaccio, mentre dietro di lei una nuvola di vapore si faceva largo nella cucina. - Sì, cara, i pesci hanno la testa. Però tra i banchi del mercato mi sono fatto la stessa domanda più volte e quando l'ho chiesto al commerciante mi ha risposto che il pesce arriva già pulito così, direttamente da Costa Balaena. - Rod si avvicinò al divano e con una mano toccò la spalla del padre. Karol si voltò e sorrise. - Potevi salutare quando sei entrato. - - Papà, io ho salutato. - - Scusami tanto, allora. È da un po' che l'orecchio sinistro mi gioca brutti scherzi. Comunque potevi dartela una scrollata prima di entrare. - Karol indicò la tuta da lavoro di Rod coperta da uno strato di polvere rossa. - Hai ragione, papà... è che ho così tanta sete che non sono riuscito ad aspettare. - Rod cercò la moglie con lo sguardo. - Aleksandra, portami un bicchiere d'acqua, per cortesia. Ho ancora in bocca quella maledetta terra. - - Arrivo, arrivo! Hai visto il lampione fuori? È di nuovo da sistemare. - Rod sbuffò; riaprì la porta e sbatté gli scarponi da miniera sul tappeto grigliato. Brividi di freddo scossero il suo corpo. Rientrò in casa. Aleksandra gli porse un bicchiere d'acqua: lo sguardo le cadde sul largo bracciale in rame che copriva l'avambraccio del marito. - Anche oggi un po' di straordinario? Vedo che ci sono due ricariche extra. - - Sì, io e i due ragazzi nuovi ci abbiamo dato dentro. Uno di loro è il figlio del nostro capo unità e vuole farsi notare. - Rod andò verso la grossa batteria di famiglia posizionata in mezzo alla sala e con un dito sfiorò il suo brachium vitae: dalla parte frontale del bracciale fuoriuscirono con uno scatto due punte metalliche. Collegò le estremità dei cavi nei pertugi della batteria e il bracciale emise un bip. - E anche oggi una carica l'abbiamo data. - Fece rientrare le punte e con una forte pacca al condensatore accese lo schermo elettronico che era posizionato nella parte superiore della batteria. Sullo sfondo apparve il disegno di un martello pneumatico poggiato su una sfera. Ivan si avvicinò al display e guardò il simbolo. Indicò il bracciale. - Papà, anche io avrò un brachium così, con il martello e la palla? - Rod si inginocchiò. - Solo se diventerai un extractor romae come me e se farai il bravo a scuola, ma è presto per parlarne. Riprenderemo il discorso quando avrai sedici anni. - - Anche io da grande aiuterò la famiglia con la mia energia. Vieni, papà, vediamo se riesci a indovinare cosa ho costruito. - Aleksandra andò in cucina e raccolse con un nastro i lunghi capelli rossi. - Tra poco arriveranno i miei genitori. - - Cavoli, me ne ero proprio scordato, - disse Rod mentre si sedeva sul divano gonfiabile accanto al padre. Incuriosito, guardò la struttura di mattoncini magnetici sul tappeto di fianco a Ivan. - Fammici pensare un attimo, mmh... potrebbe somigliare a molte cose... - Rod aggrottò la fronte e si massaggiò il mento rasato. - È l'antica Torre Eiffel? Anzi no, no, lo so! È la piramide che si trova alla città nera, giusto? - - Ma no, papà: è una trivella! - Ivan guardò il nonno, abbassò la testa e abbozzò un sorriso. Rod serrò le labbra. - Dai, Ivan, ora disfa tutto e porta i giochi in camera tua che fra poco si cena. - Il bambino smontò la costruzione, posò i pezzi in una cesta di plastica e andò al piano di sopra. Rod colpì con la mano aperta il bracciolo del divano. - Karol, quante volte ti ho detto di non raccontare più questo tipo di storie a tuo nipote? Già che ci sei allora digli anche del fuoco, della benzina e delle bombe nucleari. - - Non esagerare, è un bambino curioso e qualcuno gli deve pur spiegare... - sussurrò l'anziano. - Non me ne frega niente, papà! Lo vuoi capire che così lo metti in difficolta? Lo sai meglio di me come vengono visti a scuola quelli che straparlano di queste cose. - Rod tirò fuori dalla pettorina la lettera scolastica e la sventolò davanti a Karol. - Ieri tuo nipote è stato ripreso. Questa è la prima lettera di richiamo scritto. Devi piantarla di raccontargli stranezze! -
Luca Pesce
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|