La fine è solo l'inizio. È passato molto tempo, ma rammento tutto come se fossero trascorsi pochi istanti. Ricordo le voci, la gente di fretta, forse troppo di fretta per accorgersi di me e di tutti quelli che, con me, soffrivano in quella buia e gelida mattina. Ricordo i colori della paura e i brividi di freddo. Ricordo gli sguardi avidi intorno a noi, e il rossore sui nostri timidi volti. La piazza di qualche ignota cittadina brulicava di persone e bancarelle; urla e schiamazzi invadevano la penetrante brezza invernale e, proprio al centro di quel trambusto, un commerciante di schiavi mostrava la sua merce: giovani fanciulli, ossuti e malridotti. Guardavo attonito i miei compagni dagli occhi bassi, conscio dell'ignobile verdetto del fato: i loro destini erano ormai segnati, così come il mio. Non eravamo merce pregiata e le nostre brevi vite si sarebbero estinte tra affanni e tormenti. Se fossimo sopravvissuti meno del pattuito, l'ennesimo cliente insoddisfatto avrebbe preteso l'equo rimborso. Mi feci coraggio, aggrappandomi all'unico pensiero in grado di dissipare la paura: il ricordo della mia dolce madre, perita pochi mesi prima. Una misera consolazione mi scaldava il cuore: Madre mia, aspettatemi, presto sarò con voi... fra poco potrò riabbracciarvi. Nel richiamarne la memoria alla mente, una lacrima mi attraversò la guancia, tagliente e affilata come la lama che l'aveva trafitta a morte. Da quando mi aveva lasciato, erano iniziate le avversità, e ora mi trovavo chissà dove, in balìa di esseri meschini e senza scrupolo. Ogni possibilità di salvezza era perduta; eppure, talvolta la fine può rivelarsi un nuovo inizio. Così fu per me. Mentre moltitudini di individui grassi e ricchi si sfidavano in offerte sempre più cospicue, e il commerciante faticava a contare il denaro guadagnato, un sonoro nitrito si levò dalla folla, separandola in due metà distinte. Un cavallo bianco si erse maestoso, la folta criniera ondeggiante al vento e gli zoccoli scintillanti quanto monili iridescenti. Un uomo dall'aspetto superbo, saldo sulla sella dell'animale, lo conduceva alla perfezione. Non avevo mai assistito a una simile unione d'eleganza e fierezza, ammirarli era uno spettacolo incommensurabile! Il cavaliere si accostò al commerciante: - Vecchio, quante monete per quel ragazzo? - domandò con fare sbrigativo. Sebbene non avessi compreso chi fosse il destinatario del suo interesse, trattenni il respiro, desiderando con tutto il cuore di essere scelto. - Quel ragazzo? - chiese incredulo il mercante. - È talmente piccolo e gracile, non ne preferite uno più robusto? - . - No - rispose il cavaliere, sicuro e spazientito. - Vi sono le fiamme di un re nei suoi occhi. - Quelle parole furono una rivelazione. Il commerciante mi affiancò, spingendomi verso il mio nuovo signore. - Qual è il tuo nome? - mi interrogò quest'ultimo, avvicinandosi dall'alto del suo destriero. Il mercante, indispettito dal mio prolungato silenzio, alzò la mano per colpirmi: - Parla piccolo ingrato, altrimenti... - . Rimase alquanto interdetto nel ritrovarsi, appena prima che il gesto andasse a compimento, la spada del cavaliere puntata alla gola. La gente aveva smesso di gridare e, impietrita e silente, fissava il guerriero dall'arma tesa a mezz'aria. Tutto appariva immobile, quasi il tempo stesso si fosse fermato, anch'egli bramoso d'assistere allo svolgimento di quell'insolita vicenda. Fu il cavaliere a interrompere la stasi, con voce altisonante: - Fornitemi un solo buon motivo per risparmiarvi, miserabile schiavista - . Il commerciante non rispose, troppo impegnato a gemere e tremare per proferir parola. L'imponente guerriero si allontanò da lui, venne verso di me, agitò la spada e colpì. Chiusi gli occhi, terrorizzato, e udii un sibilo agghiacciante, seguito da un fragoroso tintinnio. Quando rialzai lo sguardo, la vista delle mie catene in pezzi mi riempì d'entusiasmo. - Vieni ragazzo mio, non temere, sei al sicuro adesso. - Dopo un attimo di esitazione, mi aggrappai al braccio che il cavaliere mi tendeva, montando alle sue spalle. Questi gettò ai piedi del vecchio alcune monete: - Dovreste riconsiderare la vostra esistenza, se non trovate buoni motivi per perpetrarla - . Detto ciò, spronò il cavallo e ci allontanammo insieme. Mi voltai indietro, osservando quel malefico vessatore diventare sempre più piccolo; man mano che la sua figura si dissolveva, anche il timore che nutrivo nei suoi confronti si affievoliva, finché non scomparve del tutto. Cavalcammo senza sosta, nessuno fiatò e io, aggrappato alla sella del destriero, meditai sul mio mutato avvenire, rabbrividendo di freddo e incertezza. Già da tempo avevamo lasciato la cittadina, immensi alberi ci sfrecciavano attorno, per ore non vedemmo altro. Quando il cielo cominciò a oscurarsi, arrivammo in un piccolo villaggio, rallentammo l'andatura e ci fermammo infine presso una modesta locanda. Il cavaliere smontò dal vigoroso stallone, facendomi cenno di scendere e aspettare: era la prima volta che mi prestava attenzione da quando eravamo partiti. Obbedii all'ordine ricevuto, guardandolo allontanarsi, senza dire o fare nulla. Un brivido di freddo mi scosse. Le mie vesti erano leggere e stracciate, del tutto inadatte alla rigida temperatura invernale, e i miei piedi scalzi sull'irto suolo ghiacciato. Provai con timore ad accarezzare l'animale che aveva contribuito a trarmi in salvo, ma questi si scostò con disprezzo dalla mia mano, nitrendomi contro. Il mio padrone ricomparve di lì a poco: - Ho prenotato una stanza per la notte, tu alloggerai nella stalla - . Continuai a mantenere il silenzio. Nonostante la sua presenza mi conferisse una sensazione di protezione che non provavo più da molto, avevo ormai imparato a non riporre troppa fiducia negli uomini, capaci solo di inganni e tradimenti. Il guerriero mi condusse alle stalle, dove privò il cavallo di briglia e sella, assicurandolo in uno scomparto ricolmo di fieno fresco. - Tornerò tra non molto - affermò pacato. Attesi ancora, provando una profonda invidia nei confronti del cavallo che divorava vorace il proprio pasto, mentre il mio ventre si contorceva per i morsi della fame. Distolsi lo sguardo, accoccolandomi vicino all'ingresso. Le luci appannate della locanda apparivano calde e confortevoli; quanto avrei voluto trovarmi al sicuro, accanto al tepore di un bel focolare... Ma io, dopotutto, ero un misero schiavo, non meritavo niente di simile. Nessuno, non sei più nessuno, pensai con tristezza crescente. Era quella la dura verità che dovevo impormi di accettare. Ma come potevo tollerare che le mie condizioni fossero tanto mutate, per giunta, così all'improvviso? Il ritorno del cavaliere mi riscosse dai miei pensieri. Si avvicinò con andatura spedita, posando una coperta sul destriero. Venne poi verso di me, porgendomi dei vestiti, delle scarpe e una ciotola di cibo fumante: - Ecco prendi, devi essere affamato - . Approfittando di quel momento di calma, lo scrutai con attenzione: era giovane, intorno ai vent'anni, ma a prima vista poteva sembrare più vecchio. Forte e di bell'aspetto, capelli neri e occhi chiari, di un verde scintillante; gli abiti bianchi e la grossa spada nel fodero sul fianco sinistro. Continuai a studiarlo senza rispondere, per nulla intenzionato ad accettare la sua carità. Per quanta fame e freddo avessi, mi ero imposto di resistere. Quel cavaliere non poteva immaginare quanto fossero nobili i miei natali, perciò avrei dovuto essere io stesso a mostrarglielo, dando prova della mia tempra e superiorità. Mi soppesò dall'alto in basso. - Se ora non hai fame, lo lascio qui per dopo, anche se non credo tu abbia mangiato molto con quel mercante, e il tuo aspetto sembra confermarlo... Comunque, io sono ser Nemo e da oggi è a me che dovrai obbedire. - Attese di conoscere il mio nome, ma a causa della mia ostinazione a non collaborare, riprese: - Forse domattina sarai più socievole, partiremo al sorgere del sole, voglio trovarti già pronto. Be', buonanotte, chiunque tu sia - . Uscì senza voltarsi e io rimasi lì, solo e incredulo: disponevo dell'intera notte, e non c'erano più ceppi attorno ai miei polsi! Ero libero, senza sorveglianza alcuna, circondato da innumerevoli cavalli; avrei potuto sceglierne uno qualunque e fuggire. Il cuore ricominciò a martellarmi il petto. Calmati. Tu non sei né un vigliacco, né tantomeno un ladro, non è in questo modo che ti hanno educato. Trassi un lungo respiro, cercando di riflettere. Il cavaliere aveva pagato per me e mi aveva acquistato regolarmente, secondo la legge appartenevo a lui. Se fossi scappato, non solo avrei commesso un reato punibile con la morte, ma sarebbe stato come derubare quel buon guerriero dei soldi spesi per comprarmi. Avevo i polsi liberi, ma delle nuove catene mi ghermivano: prima ero prigioniero del commerciante, mentre adesso di quel misterioso cavaliere, oppure soltanto della mia coscienza. In ogni caso, ero troppo debole per tentare la fuga e, non ultimo, non avrei nemmeno saputo dove andare. Il mio padrone doveva averlo compreso ancor prima di me. Sospirai, rimettendomi a sedere in un angolo. Ero stanco, ma non volevo dormire. Temevo ciò che poteva capitarmi durante il sonno e ancora di più gli incubi che erano soliti tormentarmi. Inoltre, avevo troppa fame per riuscire a riposare, ma troppo orgoglio per estinguerla. Feci appello a tutta la mia determinazione, ma la deliziosa scodella di cibo ebbe la meglio. Fu un piacere inatteso, quasi non ricordavo quanto fosse gradevole il sapore di una minestra calda e abbondante. All'improvviso, il bianco cavallo cominciò a nitrire con sbuffi cadenzati, sollevando il labbro superiore e mostrando la dentatura, come per burlarsi di me. Mi riempii di collera e terminai con rapidità l'intera razione, che non mi saziò ma alleviò, almeno in parte, le terribili fitte allo stomaco che da giorni mi affliggevano. Decisi anche che, se non volevo morire, anziché di fame, a causa del freddo, era saggio indossare gli abiti nuovi, così mi cambiai in fretta. Erano indumenti semplici, già sgualciti, ma comunque migliori di quelli che possedevo. Mi massaggiai i piedi nudi e screpolati, e fu un sollievo calzare le scarpe, per quanto vecchie e rovinate. Tornai quindi a rannicchiarmi tra la paglia e il fieno, meno tremante e affamato, ma ancora avvilito. Eccomi qui. Da oggi sarà questa la mia nuova vita: un umile schiavo costretto all'obbedienza. Deprimermi mi mise sete. Un piccolo pozzo torreggiava nel cortile sul retro. Uscii e bevvi dal secchio un generoso sorso d'acqua, utilizzando la restante per darmi una bella ripulita. Poi mi ricordai del cavallo, forse anche lui era assetato. Rientrai col secchio pieno, prestando grande cautela nell'offrirlo al magnifico animale. Lui mi fissò con circospezione, si avvicinò adagio e finì col bere. Dopo qualche istante cominciò a darmi dei leggeri colpetti col muso, quasi volesse ringraziarmi. Alzai timidamente una mano, accostandola al soffice crine. Sotto la luce curiosa che filtrava dagli aghi del tetto di paglia, il manto albino assumeva intense sfumature dorate; ne ignoravo il motivo, ma stare con lui mi faceva sentire protetto quanto in compagnia del cavaliere. Gli sistemai meglio la coperta, anche in questo caso, provando una certa invidia: il freddo era pungente e i nuovi abiti non mi scaldavano a sufficienza. Con mio grande stupore, il destriero si chinò al mio fianco. Le ampie froge emettevano sbuffi di vapore tiepido e il suo respiro scacciava il gelo come una dolce folata, infondendo calma e serenità. Mi rilassai sul suo petto e continuai ad accarezzarlo fino ad addormentarmi. Le urla, il fuoco, l'odore di morte che invade ogni cosa, che opprime ogni respiro. Gente che scappa in ogni dove, la confusione, il frastuono. Il sangue è ovunque, i corpi esanimi si accumulano a terra, sempre più numerosi. - Cederik! - Sono impotente. Fisso mio padre, il suo cadavere immobile. Vorrei urlare, vorrei scappare, ma niente, non riesco a muovermi. - Cederik! - Qualcosa mi afferra, mi trascina lontano. Eccola, la riconosco: è mia madre. Mi sta portando via. Una stanza piccola, spoglia; spranga la porta, mi spinge alla finestra. - Devi scappare, devi scappare! - Mi bacia, torna alla porta che si spalanca, viene trafitta, la guardo cadere: è morta. Mi getto nel vuoto, cado anch'io.
Barbara Repetto
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