Brunico, 9 dicembre 2012
Sollevò la sciarpa fino a coprirsi metà viso e infilò le mani nelle tasche del giubbotto. Soffiava un vento gelido, quella domenica sera, e le strade erano ricoperte da venti centimetri di neve. La telefonata di poco prima aveva ritardato la sua uscita, ma per nulla al mondo avrebbe rinunciato alle sue abitudini salutiste. E la passeggiata serale era una di queste. A quarantotto anni non dimostrava affatto la sua età, ma sapeva che per mantenersi in forma servono rigore e disciplina. Prese la via del bosco. Amava passeggiare in solitudine e il respiro silenzioso degli alberi lo aiutava a pensare. Un'ora, un'ora e mezza al massimo, e per le undici sarebbe stato di nuovo a casa. L'indomani lo aspettava una giornata di lavoro impegnativa. Un tonfo sordo lo fece sussultare. Si girò di colpo, sfilando dalla tasca la torcia elettrica e puntando il fascio di luce di fronte a sé. Scorse una nuvola bianca di pulviscolo cadere da un abete. Che sciocco, era solo un blocco di neve scivolato da un ramo. Rimise la torcia in tasca e riprese il sentiero. Doveva essere stata la telefonata di sua sorella a metterlo in agitazione. Il marito di Christine era partito per un viaggio in Slovenia ed era rimasto coinvolto in un incidente ferroviario. Il telegiornale aveva parlato di tre morti e numerosi feriti, ma il nome di Marc non figurava. Neanche tra i superstiti. Christine si era messa in contatto con la polizia locale, senza ottenere altro che una blanda rassicurazione: le ricerche sarebbero proseguite per tutta la notte e l'avrebbero avvisata quanto prima. Poi lo aveva chiamato. Ma lui cosa poteva dirle se non di avere pazienza e rimanere fiduciosa? Christine, però, non aveva smesso di piangere un attimo, capace soltanto di raffigurarsi il peggio. E lui si era sentito impotente. Paul Brugger non sopportava gli allarmismi, era un uomo pratico. Preferiva passare all'azione sulla base di certezze piuttosto che farsi prendere dal panico prima del tempo. Un fruscio richiamò di nuovo la sua attenzione, ma questa volta non si lasciò influenzare dal suo stato d'animo e proseguì affondando gli scarponi nella neve con passo sicuro. Riusciva a muoversi agevolmente grazie al biancore diffuso della luce lunare, ma nei tratti in cui i rami si infittivano, tirava fuori la torcia per illuminare il sentiero. La stava giusto facendo ondeggiare a destra e a sinistra, quando gli parve di scorgere un'ombra aggirarsi tra gli alberi. Possibile che ci fosse un altro amante delle camminate solitarie? Strano. Di solito non gli accadeva di incontrare nessuno di notte nel bosco, specialmente con quel freddo. Fece spallucce e andò oltre. Accantonò definitivamente il pensiero di Christine e tornò a concentrarsi sull'organizzazione della settimana che lo attendeva. Sulla strada del ritorno, ancora soprapensiero, avvertì uno scricchiolio di rami rotti alle sue spalle e si voltò in direzione del rumore. Un uomo alto, con un lungo soprabito nero, si trovava a meno di due passi da lui. La sorpresa fu istantanea. Come aveva fatto a non accorgersi della sua presenza? Senza una ragione precisa sentì crescere l'apprensione, strinse i pugni e si girò per riprendere il sentiero, ma l'altro era già di fronte a lui. Paul Brugger si inchiodò sul posto. - Si è perso? Ha bisogno di qualcosa? - . L'uomo non rispose e con un gesto lento sollevò il copricapo a falde larghe che gli celava il viso. Paul trasalì. Gli occhi neri dello sconosciuto sembravano emanare bagliori rossastri, mentre si posavano su di lui. - Ma cosa... - mormorò, mentre i battiti del cuore acceleravano. - Ssssh... - fece l'altro, portandosi l'indice alle labbra. Paul non riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi dell'uomo e, quasi in trance, lo osservò disegnare nell'aria, per tre volte consecutive, una stella a cinque punte ribaltata, poi avvertì il proprio corpo irrigidirsi. Avrebbe voluto scansare lo sconosciuto e fuggire, ma le gambe non rispondevano. Nonostante fosse accaldato per la lunga camminata, brividi di freddo lo percorsero da capo a piedi. Cercò di parlare, ma la voce gli si spense in gola nel momento esatto in cui una strana cantilena usciva dalla bocca dell'altro. Il corpo di Paul, completamente fuori controllo, prese a ondeggiare al ritmo di quella litania fatta di parole mai ascoltate prima. Voleva urlare, muoversi, piangere, ma restava paralizzato lì, immobile di fronte a quella figura inquietante. Un'ondata di affanno si riversò nei suoi polmoni, che presero a contrarsi spasmodicamente, mentre il cuore batteva, batteva sempre più forte, quasi a voler sfondare la cassa toracica. L'uomo vestito di nero lo fissò, come se percepisse l'urgano interiore che lo stava distruggendo, e passò una mano a pochi centimetri dal suo petto, senza toccarlo. Era un gesto pacato, quasi gentile. - Mi servi integro - furono le parole che a Paul parve di udire. L'uragano si placò. Il dolore scomparve e lui riprese a respirare normalmente. Forse, se fosse riuscito a parlare, lo avrebbe persino ringraziato, ma l'altro sollevò la mano destra e schioccò le dita. - Adesso, dormi! - sussurrò. Senza alcuna possibilità di contrastare il potere che quell'individuo esercitava su di lui, Paul sprofondò in qualcosa che poteva assomigliare a un sonno ipnotico, anche se lui non sapeva bene che cosa fosse, e socchiuse gli occhi. Lo sconosciuto riprese a recitare altre parole incomprensibili con tono musicale, mentre conduceva Paul Brugger verso un grande pino, sotto al quale lo fece sedere. Approdato in una terra aliena, Paul si sentiva ostaggio di un sonno che non era sonno. Non era vigile, ma neanche del tutto incosciente. Memore dell'incontro, ma privo di emozioni. Vuoto e buio erano i suoi unici compagni in quel momento. Lo sconosciuto annuì, mentre le sue labbra assumevano la piega di un ghigno, poi, con movimenti lenti, si infilò un paio di guanti in pelle, estrasse dalle tasche del soprabito alcuni strumenti e li posò sulla neve accanto all'albero. Accese un cero nero e tornò a dedicarsi all'uomo che se ne stava seduto come un fantoccio, gli aprì il giubbotto, sfilò la sciarpa, quindi sbottonò il cardigan e la camicia fino a scoprire il petto. Con una pinza prese un oggetto di metallo e lo tenne sulla fiamma viva della candela. Dopo alcuni minuti, premette con forza il ferro rovente sul torace di Paul. - Io ti invoco Creatura delle Tenebre. La Parola che stringe e comanda è la mia Parola! Iä! Nngi banna barra Iä! Iarrugi shgarra gnarab! - . Il corpo di Paul fu scosso da tremiti convulsi, le braccia si contrassero, le mani si chiusero a pugno stringendo la neve, le gambe si agitarono in contrazioni involontarie e il busto si inarcò come percorso da una violenta scarica di elettricità. Aprì gli occhi, sbarrati, atterriti. Dalla bocca uscì un suono rauco, uno strozzato grido di aiuto, accompagnato da un rivolo di saliva che gli scivolava lungo il mento.
Milano, 13 dicembre 2012
Fausto fumava in silenzio, ignaro di ciò che il destino aveva in serbo per lui. Davanti alla vetrina del Babel Pub, giocava a inseguire con lo sguardo i contorni indistinti del ponte che univa le due sponde del Naviglio. Quella notte il freddo era pungente e la nebbia avvolgeva la città quasi a volerla isolare dal resto del mondo. Si sentiva felice. Molte volte avrebbe ripensato a quel momento, smanioso di ritrovare inalterata quella felicità e cancellare gli avvenimenti che di lì a pochi giorni avrebbero impresso ferite profonde nella sua anima. Ma nessun uomo può tornare indietro per mutare il corso degli eventi e ognuno deve imparare a convivere con le proprie cicatrici. Si passò la mano tra i folti capelli neri e respirò a fondo l'aria satura di umidità. Gli piaceva quell'odore, che penetrava nelle narici sottile e prepotente al tempo stesso. Gli piaceva la nebbia. In quell'ammasso di microscopiche gocce d'acqua, percepiva qualcosa che trascendeva il mero fenomeno atmosferico. Il velo che offusca la visibilità, per lui, celava l'insidioso potere di ottenebrare la mente, di far perdere la bussola. Bastava un niente per essere adescati dalla sua natura effimera, e una volta passati oltre il velo c'era il rischio di non tornare più indietro. In quell'istante, la nebbia si diradò e Fausto, accarezzandosi il pizzetto, mise a fuoco i contorni della ringhiera di ferro che accompagnava l'arco del ponte. Poi, di nuovo bianco. Prima il mondo, e subito dopo il nulla. Ne era stregato. La nebbia era l'indefinito oltre il quale spingersi per scoprire. Giocare con essa era come giocare con l'illusione dell'infinito. In quello strano sentimento si nascondeva una parte inalienabile della sua natura, la stessa che lo aveva spinto a studiare filosofia e che anni addietro lo aveva condotto sui sentieri dell'esoterismo, facendolo entrare in un gruppo di studiosi di ermetismo e alchimia. Ma quella non era una notte da dedicare ai grandi misteri esistenziali. Era felice, e gli bastava. Sorrise tra sé, spense la sigaretta nel posacenere di marmo bianco, che montava di guardia a lato dell'ingresso, e rientrò.
Le note di Hotel California aleggiavano ancora nell'aria, mentre Luca stringeva la mano ai clienti del pub che si complimentavano con lui prima di avviarsi all'uscita. L'orologio segnava le due e nel locale erano rimasti soltanto quattro ragazzi davanti ai loro bicchieri di whisky quasi vuoti. Luca era sicuro che non avrebbero tardato ad andarsene e gettò uno sguardo d'intesa a Fausto, che ricambiò con un lieve cenno del capo. Dopo poco, nella penombra della sala, i quattro ragazzi si alzarono, infilarono i giubbotti e si diressero alla cassa. Soltanto allora, Fausto raggiunse l'amico. - Bella serata, - disse - eri in gran forma - . - Già, - replicò Luca, accarezzando la chitarra prima di riporla nella custodia - la bambina si è comportata bene. Come sempre, d'altronde. So che non mi tradirà mai. È una compagna fantastica, si accontenta del ruolo di spalla, anche se è lei la vera protagonista - . Il musicista augurò la buona notte al suo fedele strumento e abbassò il coperchio. - Anche tu hai cantato un paio di pezzi niente male, Fausto, - disse poi, alzando lo sguardo - dovresti farlo più spesso - . - Sei tu il professionista, per me è soltanto un gioco, lo sai - . - Che c'entra? Cantanti, musicisti... si inizia sempre per gioco. Poi la musa ti strega e non puoi più farne a meno - . - Be', allora diciamo che la musa non deve apprezzare granché la mia voce, perché ti garantisco che non ha mai tentato di sedurmi - . Luca sollevò le spalle: - Liberissimo di continuare a seppellire morti, se preferisci - e la sua voce era velata di sarcasmo. - Sarà meglio darsi una mossa, fra poche ore dobbiamo partire - tagliò corto Fausto. - Avremo tempo per riposare quando saremo a Brunico, ora lasciami scaricare l'adrenalina con un bicchierino - . Pose un braccio sopra le spalle dell'amico e lo condusse al bancone del bar. - Jacky, due cognac - ordinò. Giacomo, che tutti si ostinavano a chiamare Jacky, era il proprietario del Babel, un rinomato locale sul Naviglio Grande milanese, che nell'arco di un ventennio aveva fatto da trampolino di lancio a molti artisti. Aveva il viso triangolare, il naso affilato e gli occhi furbi, a colpo d'occhio ricordava una volpe, e il suo indiscutibile fiuto negli affari ne ricalcava il carattere. Il barista guardò Luca con sguardo sornione. - Sei andato alla grande, Luca. I clienti erano entusiasti - disse, appoggiando sul bancone tre bicchieri a stelo corto e dalla coppa molto ampia, poi si girò e scelse una bottiglia dal ripiano alle sue spalle. - Questa sera voglio rovinarmi, Grande Réserve, il cognac migliore, invecchiato in botti di rovere. Sentite che profumo - . E versò due dita di liquore nei bicchieri. - Non penserai di liquidarmi con un cognac invecchiato, vero? È dalla volta scorsa che dobbiamo ridiscutere il compenso - . - Sono tempi duri, mio caro. Ma tu dovresti goderti di più la vita. Hai visto la biondina con il maglione azzurro come ti fissava? Mi ha chiesto se vieni qui spesso, ero tentato di darle il tuo numero - . - Lascia perdere, Jacky, non voglio casini - . - Smettila di fare il prezioso, col tuo lavoro potresti averne una nuova ogni settimana - . - Non me ne frega un accidenti. Dopo Susanna, è meglio che mi prenda una pausa di riflessione. Altro che cambiarne una alla settimana! - . - Dai, Jacky, non stuzzicarlo. Luca è l'ultimo dei romantici. Non puoi chiedergli di tradire la sua indole - intervenne Fausto. Conosceva bene l'amico ed era al corrente dei retroscena della sua storia d'amore andata a rotoli. Dopo cinque anni di convivenza apparentemente idilliaca, Susanna aveva iniziato a dare segni di insofferenza. Si lamentava di non poter costruire una famiglia con un uomo che coltivava ancora sogni da adolescente e conservava un lavoro tanto instabile. Luca aveva pensato a una crisi passeggera e non le aveva dato troppo peso, finché un pomeriggio dell'estate appena passata Susanna aveva posto un aut-aut: o lei o la musica. Mossa avventata. Oppure accuratamente studiata, pensava Fausto, perché a Luca si poteva chiedere di tutto, tranne di rinunciare al suo sogno. E infatti il musicista le aveva risposto di andare all'inferno. Susanna aveva preso la palla al balzo e, senza farselo ripetere due volte, si era trasferita non si sa bene dove. Fausto aveva ancora nitida nella mente l'immagine dell'amico che, la sera stessa del litigio, dopo aver quasi vuotato una bottiglia di whisky, gli confessava i suoi sospetti: c'era sicuramente un altro e Susanna aveva inscenato quella farsa per uscire dalla sua vita a testa alta. Non era tanto per il tradimento, certe cose capitano, ma non riusciva a farsi una ragione che, dopo cinque anni, lei lo considerasse un tale scemo da scaricare con un giochetto simile. C'era poco da dire, era andata così e amen. L'unica cosa che valeva la pena, ormai, era rimettere insieme quel che restava e guardare oltre. Era chiaro come il sole che non avrebbe più rivangato l'accaduto. E Fausto aveva quasi sempre rispettato la sua decisione. Il musicista stava facendo ondeggiare il cognac, fissando il bicchiere con uno sguardo a metà tra il vacuo e il pensieroso, poi si voltò in direzione del suo difensore: - Fai bene a darmi supporto, tu, che in quanto a paranoie sentimentali potresti persino farmi da maestro - . - Cosa c'entro io, adesso? - . - Non fare il finto tonto, caro il mio filosofo. Hai capito benissimo. A proposito, come sta? - - Chi? - dribblò l'altro, cercando goffamente di sviare il discorso. - Viviana, la tua bella strega, chi altri... - . - Ecco, vedi che succede a fidarsi di uno che si dichiara dalla tua parte. Devo aver bevuto troppo quella sera, e mi sono lasciato andare a confidenze che sarebbe stato meglio tenere per me - . - Non chiuderti a riccio come al solito, so bene che non era la voce dell'alcool a parlare. Ho visto come la guardi. E non ci sarebbe niente di male se... - . - ... se non si trattasse della mia migliore amica - completò Fausto. - Non volevo dire questo - . - E cosa volevi dire, allora? - . - Che non ci sarebbe niente di male in quello che provi, se soltanto la smettessi di barricarti dietro un muro di dubbi e timori - . - Può darsi, ma non ho voglia di parlarne, almeno finché non riterrò che sia giunto il momento. E questo non lo è di certo! - . Jacky aveva ascoltato in silenzio lo scambio di battute tra i due, l'aria era troppo elettrica per i suoi gusti, a volersi intromettere c'era il rischio di prendere la scossa. Senza farsi notare, fece scivolare sul bancone la busta con i soldi per Luca, poi guardò la sala, si gettò uno strofinaccio sulla spalla e sgattaiolò fuori dal bar per ripulire gli ultimi tavoli. Aveva congedato la cameriera all'una ed era rimasto solo per la chiusura. Meglio darsi da fare. - Come preferisci - disse Luca a bassa voce, con un'alzata di spalle. Fausto non sopportava di sentir tirare in ballo quel discorso, era una zona d'ombra nella sua vita, o meglio nella sua testa. Sì, soprattutto nella testa, dove c'erano un mucchio di tesi e di controtesi, tante a favore e altrettante contrarie, e il gioco terminava sempre in stallo. Aveva un bel dire Luca, ma chi doveva fare i conti con se stesso era lui, e a lui i conti non tornavano. Molto semplice. E comunque, erano soltanto fatti suoi. Preferiva lasciar perdere? Sì, decisamente. Luca svuotò il bicchiere e lo depose sul bancone: - Sarà meglio andare - . Afferrò la busta, la stropicciò nella mano senza neanche guardare il contenuto e la mise nella tasca dei jeans, poi prese lo strumento e cercò l'oste nel buio della sala. - 'Notte Jacky! - disse, girando sui tacchi e alzando una mano in segno di saluto. Poi s'incamminò fuori dal locale, lungo il Naviglio, fumando una sigaretta. Fausto, le mani in tasca e il bavero alzato, lo seguiva in silenzio a un passo di distanza, immerso in strani pensieri. C'era qualcosa nell'aria che non andava, aveva tentato in ogni modo di non prendere sul serio le provocazioni di Luca, ma lui non aveva perso occasione per pungolarlo. Non era da loro un comportamento del genere. Di solito, c'era più complicità e meno competizione. Era infastidito. Una lattina vuota di birra gli si parò d'innanzi sul marciapiede, quasi si fosse messa di proposito sul suo cammino. La calciò stizzito e la lattina volò a colpire il parafango di un furgone parcheggiato poco più avanti. Lo strepito prodotto dall'impatto delle due lamiere fece scattare Luca come una molla. - Ma che cazzo hai, stanotte? - sibilò il musicista. Ecco, appunto. Fausto scrollò le spalle.
Samantha Fumagalli
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