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Autore: Paola Tassinari
La baldracca di Venezia
Romanzo
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La baldracca di Venezia
Il piccione di Teodora.

Se ne stava davanti, a bocca aperta, al mosaico rettangolare che raffigurava la sua omonima, quella figura maestosa, ieratica e torbida che aveva il suo stesso nome: Teodora.
Ironia della sorte, aveva un nome così pomposo, mentre lei era così anonima, invisibile nella massa e pure in un piccolo gruppo. A volte pensava di tingersi i capelli di blu o di verde, di mettersi un grande cappello in stile dame inglesi alle corse dei cavalli di Ascot, per uscire dal mucchio, ma poi perché uscirne?
Anzi, era ora che la massa smettesse di sbavare dietro ai famosi, ai noti, ai belli, agli urlatori e via dicendo ed usasse un po'di sale in zucca, che è molto più rassicurante essere anonimi, sperduti in mezzo alla folla... inoltre senza gli ‘sbavatori' i famosi non ci sarebbero.
Teodora scuote la testa e pensa che l'hanno abbindolata sin da bambina, da allora è sempre stata molto attenta, ma non conta, si dice una cosa e si fa il contrario, ci si illude per poi ammazzare il sogno... erano gli anni finali del ‘60, gli anni dei Beatles e del “peace and love”, la micia aveva partorito tanti micetti che erano bellissimi anche se avevano ancora gli occhi chiusi, ma il babbo disse che occorreva annegarli subito, lei non poteva tenerli, Teodora piangeva sommessamente e chiedeva:
- Perché, perché devono morire? -
Il babbo le rispose che occorreva affogarli intanto che erano piccoli, altrimenti avrebbero sofferto e che lui era buono perché evitava loro il dolore e non era come certuni che li sbattevano sul muro o in terra... da allora aveva capito che era inutile piangere, nella società per ogni empietà c'erano sempre delle scuse, che lei non era in grado di contrastare, anzi alla fine insinuavano in lei il dubbio di essere dalla parte sbagliata.
Teodora quindi accettò la risposta, un tempo non si disubbidiva mai ai propri genitori, ma considerava il fatto di uccidere i mici una crudeltà ingiusta, veramente molto ingiusta e per fortuna che ai nostri giorni una tale barbarie viene punita anche penalmente... perché allora non si fa sempre? Invece di farlo ora perché i mici sono utili al mercato come consumatori?
Nel 1968 i Beatles, dal “peace and love” semplice e chiaro, entrarono nel dubbio esoterico, ormai pronti a sciogliere il gruppo uscirono con un album che conteneva una musica del tutto differente a quella fino ad allora prodotta, una musica d'avanguardia, una non musica, dissonante, piena di grida e altri rumori e una frase ripetuta... number nine, number nine.
Un dipinto sonoro sgradevole, dove i figli dei fiori appassiscono, si intitolava: Revolution 9, doveva rappresentare il suono di una rivoluzione, 9 era stato aggiunto perché il numero 9 era “magico” per Lennon.
Revolution 9 è un caos organizzato pieno di rumori indefiniti, è arte concettuale, musa ispiratrice fu Yoko Ono moglie di Lennon. La canzone gioca un ruolo importante nella leggenda della morte precoce e poi nascosta di Paul Mc Cartney. Paul sarebbe morto nel 1966 e sarebbe stato sostituito con un aspirante cantante suo sosia. Il motivo: secondo alcuni, in Revolution 9 la frase “number nine”, ascoltata al contrario suonerebbe: “Eccitami uomo morto”.
Ma Revolution 9 è anche nota per essere stata usata nel processo contro il criminale satanico Charles Manson, si disse infatti che Manson credeva che il titolo fosse un gioco di parole e si riferisse al racconto biblico dell'Apocalisse, identificando i Beatles con i quattro angeli dell'Apocalisse, ritenendo che essi spingessero lui ed altri seguaci a dar vita ad un nuovo ordine mondiale.
Questo inciso sui Beatles, è simile ai mici ammazzati, nel senso che si ascolta musica che piace, che fa sognare e poi ti dicono che lo zucchero, la dolcezza, fa schifo, non è intellettuale, così per essere moderni e impegnati si ascolta una musica dissonante che fa accapponare la pelle, come ora accade a Teodora davanti ai mosaici di San Vitale... lei si trovò davanti al suo piccione.
Da dove viene il piccione?
Jonathan Noel è il personaggio di un romanzo di Patrick Suskind, lo scrittore tedesco che ha scritto anche “Il profumo”, l'inquietante bestseller del diavolo/arcano che gode nell'oltraggiare l'amore. Jonathan dopo due drammatiche esperienze, la deportazione dei suoi genitori in un campo di concentramento e il suo matrimonio fallito, cerca solamente una vita senza imprevisti, si trasferisce a Parigi e trova lavoro come guardia in una banca, vive in solitudine con la certezza che potrà solamente capitargli un giorno la sua morte e null'altro.
Arrivato ai cinquant'anni o poco più è contento della sua vita monotona, (proprio come Teodora) senza intoppi, con la solita routine che egli persegue con ostinazione convinto che agli esseri umani non si possa dare fiducia e che si possa vivere in pace solo tenendoli alla larga.
Ma un venerdì mattina d'agosto (proprio come Teodora) uscendo di casa si imbatte in un piccione che gli sbarra l'uscita dal pianerottolo.
Jonathan perde la testa, il piccolo imprevisto incrina di botto la sua esistenza, inizia a comportarsi in modo strano, arriva a prepararsi la valigia perché sa che con la presenza del piccione lui non potrà più vivere lì.
Riesce ad uscire di casa ed iniziano una serie di piccole sfortunate coincidenze che spaventano ancora di più Jonathan, le sue sicurezze sono svanite come neve al sole, si rifugia in un albergo con la sua valigia e dopo tormentati pensieri decide di suicidarsi l'indomani, uccidersi è la sua unica salvezza.
La notte Jonathan sogna di essere tornato bambino, al risveglio si alza, capisce che non può vivere in solitudine perché l'altro pure esiste e torna a casa, accetta il piccione.
Arriva a casa e il piccione se ne è andato.
Il piccione è stato malefico o salvifico per Jonathan?
E come sarà il piccione di Teodora?

La voce dell'imperatrice

Teodora era entrata a San Vitale perché aveva caldo, di solito lei d'agosto andava al mare e sicuramente non girava per la città, ma quel giorno doveva sbrigare una commissione in un ufficio della burocrazia: l'Inps, non poteva rimandare, era venerdì ed era l'ultimo giorno utile.
Come insegna Kafka, quando si entra nel girone della burocrazia non sai mai come va a finire.
Infatti lei si era trovata con un'ora di attesa ed aveva pensato di farsi un giro per via Cavour, andando a vedere le svendite dei negozi, ma era troppo caldo ed era entrata, essendo ravennate non pagava neanche il biglietto d'ingresso, a San Vitale, per un po' di refrigerio e di ombra.
Il sole accecante l'aveva spossata.
Fu forse per questo che davanti al mosaico del corteo di Teodora accadde il caso del piccione.
Si era immersa con gli occhi nei mosaici e con la fantasia aveva immaginato di salire sul tappeto volante e di planare verso Bagdad, i mosaici e i tappeti interagiscono fra loro e un mosaico in fin dei conti può essere come un tappeto volante o più semplicemente un arazzo.
Teodora per un attimo si sentì a Bagdad, la città delle favole e delle Mille e una notte e le venne in mente un racconto che aveva letto pochi giorni prima o forse era un romanzo, non ricordava.
“Un ricco mercante doveva ospitare lo scià nel suo giardino di ciliegie, quindi il mercante volle fargli una sorpresa (agli orientali piacciono molto le belle sorprese, ed anche a Teodora) stese i suoi tappeti più belli sotto agli alberi di ciliegie, li riempì di morbidi e sfarzosi cuscini, poi chiamò i suoi pasticceri i quali coprirono le ciliegie di zucchero, di miele e di spezie. Quando lo scià con le sue concubine coperte da veli leggeri e colorati arrivarono furono estasiati alla vista dei rami pesanti di frutti decorati e con le mani sui fianchi, sia lo scià che le concubine, si misero a mangiare le ciliegie prendendole con la bocca saltellando allegramente, facendo poi a gara, a chi sputava il nocciolo più lontano.”
Le ciliegie furono importate dai Romani dalla città di Cerasunte, sul Mar Nero, da cui prendono il nome, ma si favoleggia che le più dolci e succose si trovassero in Persia, Teodora le ama tantissimo e in primavera si incanta davanti ai ciliegi come se fossero un'opera d'arte.
Gli psicologi dicono che tutto ciò che accade nella nostra infanzia determinerà poi le nostre scelte ed il nostro carattere, Teodora si ricordava quando sentì di esistere, quando sentì per la prima volta di essere una persona e questa autocoscienza era legate alle ciliegie.
Teodora fissava la Teodora imperatrice, che aveva lunghe collane di perle attorno al volto grosse come zrise, sì la nonna le chiamava così in dialetto romagnolo le ciliegie... e da Bagdad Teodora volò a quel mattino in cui si vide per la prima volta:
“Si svegliò e si vide.
Esisteva.
Scese dal letto appoggiando un piede a terra, sentì duro e freddo, ebbe un brivido di piacere.
Le piacque.
Passo dopo passo si trovò a non poter andare più avanti, ma vide la luce, andò con la mano là e con sorpresa la luce aumentò, poteva andare avanti.
Arrivò ad una lunga scalinata, gradino dopo gradino scendeva, inizialmente con la schiena attaccata al muro, poi sempre più spedita; si ritrovò con lo stesso spiraglio di luce, ora sapeva che andando là con la mano, là verso la luce e spingendo sarebbe andata avanti.
Questa volta fu più difficile ma insistendo la porta si aprì.
Quanta gente, tante persone come lei, ebbe paura.
Una voce gaia disse: - La piccola si è svegliata, fate posto a tavola, questa mattina mangia con noi. -
La piccola Teodora capiva le parole, ma non riusciva a rispondere, voleva ma non riusciva.
La misero a tavola, lei si sentiva piccola, gli altri erano come lei, ma erano grandi, ed altri ancora più grandi.
La stessa voce di prima venne accanto a lei, le piacque tanto, la amò per prima, le mise nel piatto qualcosa che a lei parve buono, buonissimo.
La voce era della nonna: - Mangiala è zuppa di cipolle, c'è anche il pomodoro. -
Dopo la colazione lei rimase sola, tutti andarono via in fretta.
La nonna la prese per mano: - Vieni con me, ti porto fuori. -
Fuori... fuori c'era la luce, tutta luce, era gialla e blu... - Là il cielo e lì la terra - , disse la nonna, sotto ai piedi c'era qualcosa, Teodora si chinò e prese con la mano una cosa calda e strana, sarebbe rimasta volentieri lì a frugare con tutte e due le mani nella terra.
La nonna parlò ancora: - Tornate indietro, prendete con voi la piccola, anche a lei piaceranno le ciliegie. -
Quello che era il nonno, tornò indietro, la prese per mano, la accompagnò ad un carro, spiegò che serviva per la raccolta delle ciliegie.
Attaccato al carro c'era qualcosa che Teodora decise che le piaceva molto, era come lei, ma allo stesso tempo era diverso, grande, bello, bello, il nonno disse che era un somaro e meraviglia delle meraviglie il nonno la prese sotto le ascelle e la issò sulla bestia.
Altri volevano salire ma il nonno si adirò: - Teodora non può camminare a lungo, è piccola, voialtri avete le gambe buone, camminate. -
Fu così bello e le sorprese non erano finite.
Arrivarono in un posto tutto blu e verde, il cielo e l'erba, le piacque tanto, tantissimo l'erba.
Le diedero in mano delle cose rosse, un nuovo colore da scoprire, un colore importante, Teodora era estasiata.
- Ma che fai stupidina, mangiale, mangiale - , ma Teodora non voleva mangiarle, le piaceva troppo guardarle.
Qualcuno le aprì la bocca, le mise dentro la cosa rossa, lei schiacciò i denti, buono, ma che miracolo è questo... erano le ciliegie.
Quel giorno Teodora decise che le piaceva essersi vista per la prima volta, le piaceva quello che era e dove era.
Le piaceva esistere.
Teodora aveva circa due anni, le ciliegie si raccolgono di maggio e per lei maggio è ancora il mese del vino e delle rose e delle zrise.”
Teodora, scosse la testa, accaldata e obnubilata dall'afa che non le permetteva neanche di respirare bene, l'aver pensato alle ciliegie le aveva fatto venire una gran sete o comunque desiderare qualcosa di fresco e succoso per rinfrescare la gola, si avvicinò ai mosaici che raffiguravano il corteo di Teodora, ammirò le vesti delle donne, poi si soffermò sugli enormi occhi dell'imperatrice, pensò a come l'imperatrice doveva soffrire per portare sulla testa il peso notevole della sua meravigliosa corona, ma chissà che fatica tenerla in testa per lungo tempo e mentre pensava ciò sentì una voce nitida e vibrante: - È Venezia la baldracca. -
Teodora restò a bocca aperta, si girò, ma già lo sapeva, dentro San Vitale per un caso (il solito caso) non c'era nessuno e allora risentì di nuovo la voce: - È Venezia la baldracca - e stavolta non ci furono dubbi, la voce proveniva dal mosaico di Teodora.
Più che spaventata Teodora si sentiva mancare la terra sotto i piedi, si sentiva su un tappeto volante, si sentiva in una favola a... Bagdad, a forza di fantasticare ora sentiva anche le voci.
Scoppiò a ridere, pensò di essersi immaginata tutto, rimuginava tra sé, sì la stanchezza, la spossatezza può farlo, scrollò le spalle dicendosi... Non pensiamoci più e uscì di fretta perché era ora di andare all'Inps.
Aveva detto che non voleva pensarci più, ma mentre si incamminava all'ufficio dove doveva sbrigare la commissione, volle per gioco fare finta che la voce che aveva sentito fosse realmente uscita dalla bocca di Teodora l'imperatrice.
Forse nell'aria gira l'elettricità dei neuroni di persone che in qualche modo avevano comunicato all'elettricità dei suoi neuroni generando uno scambio di pensieri, forse lei aveva avuto una comunicazione col pensiero... il pensiero di chi?
Se questo sconosciuto ha comunicato il suo pensiero davanti a Teodora, a Ravenna e con le parole “è Venezia la baldracca”, Teodora pensò, sempre per gioco che doveva iniziare ragionando su questi elementi.
Teodora arrivò all'Inps smettendo di arroventare le rotelline del suo cervello che mancava poco che saltassero per aria.
Sbrigata la commissione, Teodora si avviò a casa, lei aveva una famiglia “classica” affettuosa e presente ma che non aveva mai sospettato cosa bollisse nella sua pentola, col tempo si erano abituati, la consideravano solo un po'saccente, un po' strana e diciamola tutta... un po'cogliona.
Gli amici dicevano che era tanto cara, peccato si fosse rovinata la testa coi libri.
Nessuno si accorse del terremoto psicologico che era in corso in Teodora.

È Venezia la baldracca!

Teodora si mise in contatto con un caro amico esperto di cibernetica e di esoterismo nonché ideatore di carte geografiche che individuavano nella topografia avvenimenti accaduti e futuri, lui, aveva risolto problemi matematici insoluti anche se non era riconosciuto dalla scienza ufficiale, ma si sa che l'ufficialità è come l'elefante... lento e pesante.
L'amico l'ascoltò attentamente, lungi dal deriderla, le disse che avrebbe preparato due carte topografiche: una di Ravenna e una di Venezia, intanto la esortava nella sua ricerca, rincuorandola, lei avrebbe trovato la soluzione in quanto dove non arrivavano le sue conoscenze tecniche ci sarebbe arrivata col suo “tutto”.
Intanto che aspettava le carte topografiche ed i risultati, si mise alacremente a fare ricerche su Teodora l'imperatrice, perché già un'idea le era venuta in mente.
Teodora, nome che in greco, significa “dono di Dio”, fu una sovrana affascinante, intelligente ed astuta, odiata ed amata, il suo cronista Procopio spinto da livore verso di lei più di ogni altro la denigrò. La società del tempo non digeriva le donne protagoniste e Procopio forse più di tutti. L'unica raffigurazione dell'imperatrice è quella del mosaico di san Vitale, qui è ritratta bellissima con gli occhi neri e profondi, le labbra vermiglie ed un copricapo adorno di pietre preziose e di tante perle madreperlacee, il suo volto è una perla tra le perle.
Era la figlia di un guardiano di orsi, attrice in una compagnia di mimi e forse anche prostituta ma ascese al trono di Costantinopoli e lo occupò con fermezza e dignità.
Dopo gli entusiasmi giovanili, si avvicinò al mondo religioso e teologico dei monofisiti ed iniziò a disquisire sui temi culturali dell'epoca, soprattutto sull'incarnazione del verbo e se la natura di Dio fosse soltanto divina o anche umana, conquistandosi così un'aura di santità.
Celebrata come “pia” cominciò a viaggiare coi prelati del sinodo di Alessandria, paludata in vesti e copricapo neri.
Tornata a Costantinopoli conobbe Giustiniano, allora console, che aveva vent'anni di più, il quale si innamorò perdutamente di lei.
Teodora influenzò fortemente Giustiniano, riuscendo a far emanare delle leggi che favorivano le donne, quali l'eliminazione delle prostitute dalle strade e il diritto per le donne di entrare nell'asse ereditario.
L'episodio che consegnò alla Storia la grandezza di Teodora fu la rivolta di Nika.
Ai tempi la popolazione di Costantinopoli era divisa in due ambiti sportivi: i Verdi e gli Azzurri, la rivalità fra le due fazioni si estendeva anche in ambito religioso e politico, un po' come ai giorni nostri fra le tifoserie calcistiche, i sostenitori della squadra della Lazio smaccatamente più a destra e quelli della Roma più a sinistra.
I Verdi si schierarono coi Monofisiti e con gli Aristocratici, gli Azzurri con la Corona che li aveva fino ad allora protetti per conseguire il potere tramite i loro disordini, poi, venuto il tempo ottimale, Giustiniano e Teodora si erano decisi a porre fine alle loro attività criminali.
I Verdi e gli Azzurri accantonarono ogni rivalità, si unirono e misero a ferro e a fuoco la città con l'intento di deporre Giustiniano.
Quando al terzo giorno la folla attaccò il palazzo imperiale Giustiniano cercò la via di fuga, fu Teodora a fermarlo con queste parole: - Anche se con la fuga mi dovessi salvare, non vorrò vivere senza essere salutata da imperatrice, tanto vale morire qui; se vuoi hai il denaro e la nave è pronta, vai pure; sapevo già che la mia porpora sarebbe stato il mio sudario, quindi non fuggirò con te, io resto! -
Allora Giustiniano prima comprò col suo tesoro i capi della rivolta, poi pianificò il massacro, all'alba del settimo giorno c'erano cinquantamila cadaveri sul terreno, l'ordine era stato ristabilito.
Procopio, nella “Storia segreta”, un libello contro Teodora e Giustiniano, sostiene di averlo scritto per riferire fatti su cui dovette tacere per paura di essere assassinato. Si venne a conoscenza di tale scritto solo due secoli dopo la sua redazione avvenuta più o meno nel 550; descrive l'imperatrice come salace, spiritosa ed impudica, ignara di quel che fosse il pudore. Artisticamente incapace, né a suonare né a ballare, aveva solo la sua bellezza, non si tirava mai indietro, si spogliava, mostrava il davanti e il didietro, e riusciva a scherzare sopra ai pugni e agli schiaffi che riceveva. Coi suoi amanti la descrive maliziosa e finta tonta, in cerca di nuovi modi di accoppiamento, mai sazia si sarebbe accoppiata contemporaneamente con decine di giovanotti che era solita invitare, e quando questi erano stremati invitava nel letto i loro servitori che potevano essere anche una trentina.
Questo è ciò che Teodora, che d'ora in avanti chiameremo Tea, per non confonderla con l'imperatrice, aveva selezionato.
Passò poi alla parola baldracca.
Questo termine viene da oriente, esattamente dallo storpiamento del nome della città di Bagdad, considerata ai tempi come la capitale del vizio e della corruzione. Da Bagdad derivano i vocaboli baldacco e baldacchino, il luogo privilegiato in cui il vizio viene consumato.
Nella mente di Tea si era materializzato un pensiero: non era l'oriente, rappresentato in occidente dall'immagine di Teodora, la baldracca bensì Venezia e la testimonianza di ciò si trovava a Ravenna, nella chiesa di San Giovanni Evangelista.
Qui ci sono i mosaici monocromi che raffigurano la Quarta Crociata.

La Quarta Crociata e l'oro di Costantinopoli

La Quarta Crociata, Venezia dovrebbe arrossire ancora oggi.
Quei quattro splendidi cavalli dorati che troneggiano sulla basilica di San Marco (oggi sono copie, gli originali sono dentro alla cattedrale) grondano sangue.
Papa Innocenzo III convocò la Crociata nel 1196. Enrico Dandolo, doge di Venezia, convinse i crociati, offrendo monete d'argento, a muovere verso Costantinopoli anziché verso l'Egitto.
Le conquiste e il bottino sarebbero stati divisi equamente.
La crociata sfuggì al controllo del papa e finì in mano a politici e faccendieri.
L'imperatore Isacco, deposto da suo fratello Alessio, si accordò coi veneziani per riprendere il trono, avrebbe pagato ben 200.000 monete d'argento, assegnato 500 cavalieri di guardia alla Terra Santa ed offerto la sottomissione della Chiesa d'Oriente, ma quando venne il momento di pagare non aveva il denaro necessario.
I crociati si imbestialirono e si schierarono di fronte a Costantinopoli, dentro le mura cristiani orientali, fuori le mura cristiani occidentali, ed era la Settimana Santa dell'anno 1204! Non che poi sia scusabile una guerra fra religioni diverse, era solo per ribadire che le guerre accadono per motivi di... denaro travestiti in ideali.
Costantinopoli era allora la città più grande e ricca del mondo, possedeva le reliquie più sante e preziose, pure il legno della Vera Croce trovato da Sant'Elena.
I crociati ricevettero l'assoluzione (sic)e poi attaccarono.
Costantinopoli cadde dopo tre giorni e fu un'orgia di sangue e di dolore, nessuno fu risparmiato, né vescovi, né monache, né donne, né bambini.
Il fuoco divampò, allo scempio si aggiunse la profanazione e la derisione, avvennero crimini senza paragoni nella storia, forse dovuti all'invidia che questa meravigliosa città evocava.
Razziarono tutto, vasi sacri, mosaici, gioielli, le tombe degli imperatori furono scoperchiate, dalle tombe dei santi prelevate ossa, crani e vesti.
Vi fu un vergognoso commercio di reliquie.
Ciò che non riuscivano a portare via veniva spaccato o bruciato.
L'oro e l'argento di Santa Sofia finì in Vaticano.
Le ricchezze erano così numerose che il saccheggio durò sessanta giorni.
Varie città italiane e francesi acquisirono un tesoro, ma fu Venezia la vera baldracca.
I veneziani si appropriarono della Pala d'Oro (che potete vedere anche oggi nella basilica di San Marco, pagando), i quattro magnifici cavalli di bronzo placcati d'oro, risalenti al tempo di Costantino, depredati all'ippodromo (li potete vedere anche oggi sempre pagando) e tanti altri pezzi pregiati. Il tesoro di san Marco si arricchì di 32 calici bizantini, reliquie, reliquiari, vangeli, gioielli, paramenti, manoscritti e vasi sacri e pure del Salterio (libro di salmi) di Basilio, con la raffigurazione dell'imperatore in vesti militari, mentre riceve la corona da Cristo e con la proskýnesis dai suoi sudditi, cioè il prostrarsi al monarca considerato di origine divina.
A Venezia arrivarono navi ricolme di bottino, l'aura di città orientale forse le deriva dai manufatti del saccheggio di Costantinopoli.
Costantinopoli dopo la razzia iniziò a declinare sino alla sua caduta nel 1453 da parte degli arabi, il ricordo della Quarta Crociata era ancora vivido, qualcuno disse: - Meglio l'Islam che i nostri fratelli occidentali. -
Lo Scisma fra la Chiesa Occidentale e quella Orientale iniziò nel XI secolo, ma la famigerata Crociata acuì lo strappo e da allora nonostante i buoni propositi e i convegni che si svolgono anche a Ravenna per tentare una riappacificazione, i risultati sono negativi.
Tea era soddisfatta, aveva decifrato la voce, aveva inteso ciò che Teodora l'imperatrice le aveva suggerito.
Tutto quadrava, gli storici si ravvedessero, la baldracca non era Teodora, ma Venezia che con la Quarta Crociata si era impossessata delle ricchezze di Costantinopoli e a San Giovanni Evangelista a Ravenna vi erano i mosaici che lo dimostravano.
Per qualche mese Tea si acquietò, certa di aver risolto l'enigma e che il suo compito fosse quello di lavorare a favore della riabilitazione di Teodora.
Quando arrivarono due notizie.

Paola Tassinari

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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