Luca tornò da Sonia che aspettava seduta in macchina. Oltre il parabrezza ne scorse l'espressione furibonda. Si giudicava un duro, uno che agiva e menava le mani pronto a proteggere la persona che tutelava ma l'idea di affrontarla gli dava ansia. Si fece coraggio a quel giro gli toccava. Raggiunse Sonia nell'abitacolo dell'auto. Con i suoi occhi che lo trapassavano, ci mise dieci secondi a vuotare il sacco; tanto, l'aveva capito, non ci voleva chissà che intuito. La riportò a casa, nella zona più elegante della capitale. – Che faccio? – le chiese alla fine spegnendo il motore. La fissò aspettandosi una reazione. Anziché stare meglio, avvertì un nodo alla gola. Evitò ogni movimento temendo di scatenare una tempesta di cui avrebbe pagato le conseguenze. Sonia sospirò, un soffio basso e prolungato. Cercò di intuirne i pensieri dai cambiamenti sul suo viso; le sue sopracciglia inarcate non gli fecero supporre niente di buono. La contemplò. Ne conosceva il carattere duro ma non riusciva a non sentirsi attratto da lei. Non sapeva definire ciò che provava benché l'avvertisse da tempo. Era confuso, non gli era mai successo. Mentre giurava a se stesso di non rivelare neanche sotto tortura quell'infatuazione Sonia si girò piano verso di lui con un'aria che in altre circostanze gli avrebbe spaccato il cuore. La vide avvicinarsi, le labbra atteggiate a una smorfia di cruccio, la sua mano che gli si posava sulla spalla. Resistette all'impulso pazzesco di baciarla lì, nell'auto, in quella specie di bolla dove solo loro esistevano incuranti del mondo. Sebbene l'avesse vista nuda, non significava che fra loro fosse cambiato qualcosa. Conosceva le regole. Lei era quella che dava gli ordini e lui doveva eseguirli. Gli occhi di Sonia indugiarono nei suoi, come se volesse confidargli un segreto: – Ho bisogno di te, Luca. Un turbine sconvolgente, trasgressivo e inconfessabile si concretizzò nella sua mente quando mise a fuoco il vestito di nuovo sbottonato. – Aiutami a uscire da 'sto casino – mormorò Sonia. Il suo sorriso aveva una piega strana. La fissò, tentando d'interpretare ciò che intendeva dire. Gli occhi di lei interruppero il contatto. Frugando nella borsetta prese il rossetto, poi calò l'aletta parasole dalla sua parte. Strinse le labbra e aiutandosi con lo specchietto si concentrò a stendere il colore. Appena ebbe finito brillavano d'un rosso intenso, acceso e provocante. Seguitò a osservarla; pur sapendo di essere spiata non si scompose, un piccolo indizio di voluta intimità. Luca desiderava sottrarsi al gioco di seduzione, intuendo dove volesse andare a parare. Le avrebbe voluto giurare che non occorreva, che avrebbe fatto di tutto per proteggerla, ma così era molto meglio. Sonia fissò la sua immagine riflessa, ravvivando i capelli. Sul suo viso spuntò un'aria soddisfatta; erano quasi coetanei eppure dopo gli ultimi ritocchi lei sembrava più giovane. Un sorriso malizioso fece capolino sulle sue belle labbra, il tipo di sorriso a cui un fesso come lui non sapeva resistere. – Luca, in quell'appartamento io non ci sono mai stata è chiaro? Questa è la versione ufficiale, qualsiasi cosa accada. Lui annuì, Sonia appariva molto determinata. – Saprò essertene grata – aggiunse scuotendo lievemente il mento, facendo dondolare i pendenti di perla. – Più di quel che tu immagini. Stregato dalla curva del suo collo, Luca assentì di nuovo, in modo più energico. Quando lo fissava, ogni pensiero, ogni dubbio era spazzato via, ma in fondo alla sua mente una voce gli intimò di rimanere in guardia. Si passò una mano sul viso, poi allontanò lo sguardo, per capire cosa fare. Fuori, oltre i finestrini che cominciavano ad appannarsi, i palazzi e l'andirivieni delle auto erano identici a prima. In realtà era lui a sentirsi cambiato. La mano di Sonia cercò la sua e la strinse. La sentì calda e leggermente umida di sudore, la stretta decisa. Si raddrizzò nel sedile cercando di darsi un contegno. Riguardo alla morte del gigolò era pulito: la colpa era di Sonia ma aiutarla portava a dei rischi. Un'incriminazione per concorso in un omicidio. Valeva la pena passare il resto della vita in cella per i begli occhi di una donna? Per l'ennesima volta si chiese dove finivano i suoi doveri e dove iniziava l'attrazione fatale per lei. – Allora siamo d'accordo – disse Sonia stabilendo al suo silenzio un valore di conferma. – Non c'è altro. Luca stimò che l'avrebbe usato finché le fosse servito. Sonia sorrise, un sorriso radioso e incoraggiante del tutto fuori luogo. I suoi occhi riflettevano la certezza di chi sapeva che in una maniera o nell'altra l'avrebbe fatta franca. A Luca bruciò ammetterlo: era il vecchio gioco del servo e del padrone, non poteva farci niente. Chiuse gli occhi, nella sua testa partì un film. Lui che si rifiutava davanti ai membri della banda. Sonia non sorrideva e si incazzava di brutto, gli sputava addosso e gli diceva che non aveva le palle per stare con loro. I ragazzi estraevano le pistole e gliele puntavano contro. Aspettava lo sparo e quello arrivava secco come una martellata, facendo saettare indietro testa, il corpo che si abbatteva. Riaprì gli occhi, il film si dissolse. – Puoi contare su di me – le disse in tono gelido. Le labbra di Sonia si incresparono in una smorfia mentre studiava la sua reazione con uno strano luccichio negli occhi. Sapeva che non avrebbe potuto rispondere altrimenti ma l'atto di sottomissione dovette comunque farle piacere. – C'è un particolare, Sonia. Il tizio con lo zainetto... – Embè? Sonia non focalizzava le priorità, erano ancora gli effetti della cocaina. – È meglio se lo troviamo – le disse. – Perché? Gli hai fatto abbastanza paura, no? – Da come si è comportato non lo sottovaluterei. Magari, c'è dentro fino al collo. – Se si rifà vivo lo scopriremo. Che male può farci? Luca scosse la testa: – In teoria nulla, o forse tutto. Se sa degli incontri e canta alla polizia impiegheranno un attimo a collegare i fatti. Sonia scosse la testa: – No, non risaliranno a me. Ma hai ragione, fa' dare una pulita ai ragazzi e trova quel tizio prima che ci crei problemi. L'ultima frase restò come appesa nell'aria. Luca si irrigidì. Per Sonia i problemi si risolvevano in un senso solo: quello orizzontale. La scrutò. Irreprensibile e virtuosa pareva una signora di buona famiglia; tuttavia dietro la pelle liscia e le sopracciglia curate si celava una donna capace di uccidere anche un uomo più robusto di lei. Luca sbuffò dal naso per placare la tensione. Gli incontri galanti della sua datrice di lavoro non gli avevano mai creato fastidi, ma adesso avrebbe voluto trovarsi a mille chilometri di distanza.
***
Lorenzo girò la testa guardando da sopra lo zaino, stupito di essere ancora vivo. Con la Ducati si era scagliato nel traffico del centro come un pazzo per smarcare eventuali inseguitori. Cazzo, se l'era vista brutta! Strinse i denti ricordando la chiamata che l'aveva tradito mentre la notte scivolava sul casco come un sospiro di morte. L'istinto gli suggeriva di nascondersi ma non era escluso che potessero risalire a dove abitava, e non parevano tipi disposti a trattare. Con quella gente l'unica soluzione era sparire o ci avrebbero pensato loro. Protetto da una strana magia, affrontò una serie di curve. Indifferente al rombo della marmitta, si piegò sul cruscotto e accelerò sui Fori Imperiali puntando la mole del Colosseo. I lampioni illuminavano la strada mentre la luna spariva a tratti oltre il manto di nuvole. Se la polizia l'avesse fermato non sarebbero bastate le sue scuse. Passò Colle Oppio e imboccò la Labicana, diretto a casa. Poteva contare sul riparo della notte ma era convinto che gli sarebbero stati addosso. Non doveva cadere in trappola. Toccò i freni, scalò e piegò in una laterale; gli specchietti sembravano vuoti, nessuna auto sospetta. Chiuse gli occhi per la stanchezza; nonostante si sentisse a pezzi gli occorrevano tutte le energie. Aveva assistito a uno spietato omicidio, compiuto da Sonia Printo, una tra le donne più in vista della capitale. Correndo, nella fuga, si era ricordato dove aveva visto la signora. Le sue foto erano rimbalzate sui media in seguito a un'inchiesta giudiziaria dove le numerose imputazioni a suo carico erano cadute una dopo l'altra, per mancanza di prove. E non era la prima volta. Si diceva che controllasse un impero economico fondato su numerose società operanti nella ristorazione, nei locali da ballo, nell'edilizia. Un'articolata holding finanziaria gestita da soci e prestanome, un capitale smisurato che si vociferava fosse frutto di estorsioni e traffici di droga. Ma la fama della sua famiglia era prima di tutto legata alla violenza di strada, e al piombo che sanciva il potere del più forte. Possibile che il gigolò non sapesse chi portava a letto? Giravano brutte storie riguardo a gente sparita perché si era interessata alla sua vita privata; se avesse sospettato delle fotografie per lui sarebbe stata la fine. Si orientò tra i sensi unici che s'aprivano sulla Merulana. Doveva riflettere e trovare una soluzione. La polizia avrebbe sì indagato, ma senza le prove il caso sarebbe stato archiviato e si sarebbe sommato agli altri delitti irrisolti che avvenivano ogni anno a Roma. In più, il clan poteva avere agganci anche nella madama. Lorenzo si sentì spacciato. Deglutì a vuoto, sentendo la gola secca e i nervi a fior di pelle; tentò di calmarsi ma non ci riuscì. Solo il fatto che non l'avessero preso gli dava un minimo di speranza. Diminuì i giri del motore, entrò nel parcheggio di fronte al blocco di case dove abitava e parcheggiò. Gettò un'occhiata in giro; non potevano già essere lì. Per arrivare prima avrebbero dovuto volare. Frugò in tasca in cerca delle chiavi, si avviò al portone di casa e l'aprì, ma quando spinse l'interruttore centrale delle scale non successe nulla. Si bloccò: a volte succedeva. Per prudenza rinunciò all'ascensore. Salì a piedi al terzo piano senza quasi vedere dove appoggiava i piedi. Confidando nella memoria dopo le prime rampe si sveltì, ma d'un tratto scivolò e batté uno stinco. Si accucciò con un mugugno, afferrandosi la gamba. Il dolore gli tolse il respiro. Quando si riebbe si rese conto di aver perso lo zaino. Nel cadere era volato via; lo cercò nell'odore della polvere finché due gradini più su sfiorò una cinghia. Lo tirò a sé, dentro c'era la reflex. Rammentò la camera da letto, le effusioni e la donna che impugnava la lampada e la calava sull'amante, uccidendolo. Si sentì in colpa per non essere riuscito a intervenire. Si rialzò ancora dolorante. Se non voleva dissipare il suo vantaggio non poteva fermarsi; riprese a salire. Le gambe gli tremavano, la fatica iniziava a pesare. Sul pianerottolo di casa pregò il cielo di poter vedere una nuova alba. Infilò la chiave e la girò, poi spinse piano la porta per entrare.
Francesco Grimandi
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