Il volto ingannevole del male
|
L'ombra del male.
In quel maggio colorito di sole vi era una grande agitazione in città, si approssimava l'evento del secolo: l'incoronazione di Napoleone Bonaparte nel Duomo di Milano. C'era un vecchio palazzo, in una strada secondaria nel centro, quasi appartato e nascosto a occhi indiscreti. L'appartamento del primo piano, chiamato “La Casa”, era abitato da donne di malaffare che lì esercitavano il loro mestiere. Si vedevano scendere e salire, per quelle scale, persone di ogni tipo: uomini ricchi, nobili, prelati, chiunque volesse passare un'ora in lieta compagnia imboccava quel portone. Vanna era una donna di mezza età e faceva la portinaia in quel palazzo da anni. Non si era mai sposata, il suo unico amore l'aveva lasciata e si era arruolato in marina e lei delusa e amareggiata non avendo molti mezzi aveva trovato in quel lavoro lo scopo per poter sopravvivere. Era affezionata alle ragazze della “Casa”, in special modo a quelle più giovani, tra cui Lorenza che le ricordava la figlia che aveva desiderato quando giovane e ingenua aveva creduto nell'amore. Non condivideva quel modo spiccio di guadagnarsi denaro, sapeva però che molte di quelle ragazze vi erano state costrette da situazioni familiari complicate. Una volta aveva osato fare un commento, ma da quando la maitresse le aveva detto in maniera esplicita di farsi gli affari suoi, si limitava a fare il suo lavoro e a dare poca confidenza alle inquiline del primo piano. Con Lorenza, però, era diverso. Era una ragazza dolce, capace di fare moine, ma anche molto intuitiva e intelligente, aveva l'energia dei vent'anni e col suo sorriso sapeva portare un poco di gioia a chi la guardava e l'ascoltava. A Vanna piaceva trascorre qualche momento in sua compagnia, preparando qualche dolcetto e l'immancabile caffè quotidiano. Discorrevano di ogni cosa con molta familiarità e ogni volta che la ragazza passava davanti alla portineria si fermava con lei qualche minuto, anche solo per salutarla. Quel giorno, Lorenza passò a testa bassa. Indossava un cappellino nuovo e gli stivaletti col tacco preferiti, profumava di lavanda, ma non aveva un aspetto tranquillo. Non si fermò a chiacchierare con Vanna, come faceva di solito, ma si avviò per le scale seguita dal ticchettio degli stivaletti che risuonavano sul marmo dei gradini. La portinaia accortasi del suo passaggio precipitoso, si affacciò sulle scale borbottando: «Ma dove vai così di corsa? Faccio il caffè?» «Non ora, dopo. Scendo e mi fermo.» Lorenza salì al piano superiore e si fece portare dell'acqua calda dalla domestica che accudiva “la Casa” per potersi lavare. La ragazzetta la guardò un po' stupita, in genere gliela portava dopo i suoi incontri coi clienti, per le abituali abluzioni che la donna faceva con l'allume e solfato di zinco, nel suo catino di ceramica, ma adesso era appena rientrata da una passeggiata, che bisogno c'era? «Fa caldo, Andreina, sono arrivata fino al parco, ma l'afa mi ha sfiancata. Ho bisogno di rinfrancarmi con un bagno.» Rimasta sola, sfilò le vesti e immerse il corpo candido nella tinozza. Strofinò con cura le membra, l'acqua si arrossò leggermente, lei chiuse gli occhi. La scena avvenuta solo poco tempo prima le ritornò in mente, facendola rabbrividire. Si agitò; un rivolo d'acqua traboccò, riversandosi sul pavimento. *** Quella mattina era andata ai giardini pubblici. Era un piacere passeggiare per quei vialetti riparandosi dal sole col suo ombrellino. A tratti sostava un poco per osservare le persone, che giungevano dalla parte opposta, agitando leggermente un ventaglio di madreperla con disegni floreali che Vanna le aveva regalato per il suo compleanno. C'erano numerosi ufficiali della guardia francese, giunti negli ultimi giorni a Milano per l'incoronazione dell'imperatore. Alcuni erano in compagnia delle loro mogli, altri da soli si guardavano in giro per scegliere qualche dama cortese a cui porgere i propri omaggi. Poi lo notò. Biondo, con leggeri baffetti chiari, occhi nocciola e sorriso ammaliante. La guardava in maniera insistente, sicuro di sé, come se lei già gli appartenesse. La sua voce aveva un tono musicale, quasi studiato. «Madame, un fiore come voi. Tutta sola?» «Per ammirare meglio i giardini, monsieur.» Abbassato il ventaglio gli aveva sorriso. Lui aveva ripreso: «Je suis enchantè. Mi avete stregato, vi seguirò in capo al mondo.» Chiacchierando insieme a lui Lorenza si era incamminata verso l'uscita del parco, ma quando aveva imboccato la strada per andare alla “Casa” lui l'aveva afferrata per un braccio, poco gentilmente. «Dall'altra parte madame. Non volete che vi mostri il grande Palazzo in cui noi, guardie, abbiamo l'onore d'alloggiare?» Lorenza a malincuore l'aveva seguito, sapeva che gli ufficiali pagavano bene e facevano anche deliziosi regali, come il cappellino che indossava in quel momento e che le stava magnificamente... *** L'acqua nella tinozza si era raffreddata, ma lei sentiva qualcosa dentro che le bruciava come fuoco vivo. Non bastava lavarsi. La ferita che aveva non sarebbe andata via così facilmente. Si asciugò e rivestì in fretta, scese le scale e bussò alla portineria. «Allora, questo caffè?» «Siediti mia cara, sarà pronto tra poco.» Lorenza sedette sulla seggiola di paglia, di fronte alla portinaia, e attesero insieme il borbottio della caffettiera chiacchierando. «C'è aria di festa in città, non si è mai vista tanta gente» osservò la portinaia. «Già! Napoleone si è portato dietro molti dei suoi...» «In Francia hanno costumi molto più liberi dei nostri, magari qualche bel tenente s'innamora e ti porta con sé.» «Sì, magari, ma forse io non ci andrei. Mi piace troppo Milano» disse Lorenza per allontanare l'argomento. Quando la donna le porse la tazzina aggiunse: «Vanna, devo assentarmi. Se qualcuno mi cerca torno tra poco.» «Nuove spese?» «No, una faccenda personale» rispose seria, lasciando la portinaia dubbiosa. Si avviò lungo la strada principale e si diresse verso l'imponente chiesa che si stagliava con le guglie verso il cielo: il duomo di Milano. *** Si approssimava l'ora della funzione religiosa, padre Noberto era nel suo studio, seduto allo scrittoio a meditare. La mano appoggiata alla guancia fissava il crocifisso di legno affisso sulla parete di fronte. Quel capo chino in segno di resa era il suo cruccio. Anche nella sua scelta di fede, dettata da ferma convinzione, egli non aveva mai chinato la testa in segno di obbedienza, almeno non in un umile atto, come aveva fatto il Cristo che egli ammirava, ma non comprendeva. La tonaca odorava di bucato, le scarpe lucide gli ricordavano la vita confortevole riservata ai canonici che avevano il privilegio di dimorare presso il mastodontico Duomo di Milano. Aveva il suo ufficio nei pressi dell'entrata principale, faceva parte dei principali membri che organizzavano le funzioni religiose e ne era orgoglioso. Sul pavimento di marmo passi piccoli ma decisi ticchettavano verso gli scanni. Norberto seguì quel rumore; qualcuno era entrato in chiesa. Uno strano profumo aggredì le sue narici catturandolo. La donna vestita di broccato azzurro, con in testa un elegante cappello, s'inginocchiò in atto di penitenza e proruppe in singhiozzi. Norberto si avvicinò e le poggiò a conforto una mano sulla spalla. Prima che lui potesse dire alcunché, la giovane si voltò e lo fissò con spavento. Un attimo e poi scappò via, lasciando dietro sé solo una scia di profumo di violetta. Durante la messa che seguì, il prete osservò i fedeli che assistevano alla funzione: c'erano nobili, gente comune e qualche ufficiale francese, con la consorte, venuti in città per assistere all'imminente incoronazione dell'imperatore che si sarebbe tenuta a fine mese. Cercò tra la folla la donna sconosciuta, ma lei non c'era. *** Dopo qualche giorno, Norberto risentì di nuovo dei passi sul marmo del pavimento della chiesa. Stava per uscire dal suo studio, quando la donna misteriosa della volta precedente si delineò davanti a lui. Riccioli castani le incorniciavano il viso, una veletta lasciava intravedere gli occhi persi nel vuoto. Il prete confuso sentiva il sudore imperlargli la fronte lucida e il collo grassoccio. «Vorrei confessarmi, padre.» «Vieni pure, figliola» disse, indicando il confessionale. «No, se permettete, preferirei un luogo più intimo.» Norberto ingoiò a vuoto; fece cenno di seguirlo e la fece accomodare su una sedia, rivestita di velluto, del suo ufficio, di fronte alla sua. Lei sollevò la veletta. Li separava la scrivania di noce, cosparsa di appunti e annotazioni, che il prete si affrettò a riordinare, prima di chiedere: «Dimmi pure figliola, libera la tua anima.» «Padre, ho ucciso un uomo.» Adesso il prete sentiva il sudore anche sulla cute glabra del capo e dietro la schiena, non si aspettava certo una simile confessione. «Ti ha forse aggredita, o mancato di rispetto?» A queste parole lei scoppiò in una risata. «Rispetto, dite? E come poteva? Io sono una prostituta ed ero consenziente.» Norberto sentiva la vista offuscarsi, troppe emozioni, quella non era una donna, era il male in persona che veniva a tentarlo. «Se sei venuta a confessarti vuol dire, però, che sei pentita. Perché se non ti penti, io non posso darti l'assoluzione.» «Non sono pentita, però da quel momento non trovo più pace, ed è quella che vorrei ritrovare. Rivedo sempre tutto quel sangue che fuoriusciva e mi si appiccicava addosso. Sono passati giorni e lo avverto ancora sulla pelle; sta diventando un tormento.» Norberto ne sapeva qualcosa di tormenti e provò pietà per la donna. «Perché l'hai ucciso?»
Liliana Tuozzo
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|