Anche aprire gli occhi era stata una fatica. Il dolore alla testa era atroce e pulsante. La ragazza aveva cercato di portare le mani sul viso e si era accorta di poterle muovere a stento, quasi al rallentatore. In bocca aveva uno strano disgustoso sapore, dolciastro e al tempo stesso agro. Non riusciva a capire, dove si trovasse e che cosa fosse successo. Un momento prima si trovava, sonnolenta e quasi assopita, sul morbido sedile di un'auto, e ora? A stento riusciva a ricordare che quel corpo sofferente e immobile era proprio il suo: il corpo di Alfonsina Privitera. Con lentezza, come frammenti di uno stato onirico, altri elementi le tornarono in mente: si era già ripresa una prima volta da una greve sonnolenza quando aveva udito il fragore di un pesante portone che si chiudeva e gli scatti metallici di tre mandate, poi era nuovamente sprofondata in un sopore quasi ipnotico. Facendo forza su se stessa si levò a sedere. Strizzò gli occhi e respirò più volte a fondo, Riprese energia, si alzò e si guardò intorno. Era in una vasta stanza dalle pareti umide e scrostate, illuminata da un fioco e polveroso paralume poggiato su di una vecchia sedia con il sedile di paglia intrecciata. Sapeva di essere sola, nessun rumore proveniva dagli ambienti intorno. Ma che cosa era successo? Ripensò alle premurose raccomandazioni del nonno e le tornarono in mente le sue parole: Tu sei preziosa, picciridda mia, io ho molti nemici che mi vorrebbero morto e che stanno quieti perché mi temono. Sanno che tu sei la luce degli occhi miei e potrebbero servirsi di te per fare del male a me. Tu devi essere più forte di loro e stare sempre in guardia. Ti ho fatto addestrare per anni per essere pronta a difenderti e combattere. Per essere più forte e pericolosa di loro. Non fidarti mai di chi non conosci, e se devi colpire, colpisci duro e senza pietà perché nessuno di loro avrà pietà di te. La verità le piombò addosso come una scossa elettrica: era stata rapita, e che fine avevano fatto i suoi amici e protettori Duka e Masha? rapiti anch'essi o forse uccisi? Doveva farsi forza ed essere pronta. Incurante della nausea e del dolore alla testa che comunque stava scemando, iniziò a camminare, a sciogliere i muscoli e a riprendere il controllo del suo corpo ben allenato. Provò ad aprire la porta e, come immaginava, la trovò chiusa a chiave. Su di un ripiano c'era dell'acqua e del cibo, Guardò l'acqua, era limpida e l'assaggiò, non aveva alcun sapore strano e quasi di sicuro non era drogata, Bevve a lungo e placò l'arsura che sentiva in gola, poi iniziò alcune mosse e alcuni esercizi ginnici. Aveva un piano e doveva essere pronta. Passarono alcune ore e, più che sentire, percepì qualcosa, simile a un respiro, oltre la porta. Seguirono, quasi impercettibili, gli scatti della serratura. Alfonsina si precipitò, senza far rumore, sul letto e finse di dormire. Marchesini socchiuse l'uscio e sbirciò l'interno, la stanza era fiocamente illuminata da un paralume posto su di una sedia e, al centro della stanza, una fanciulla giaceva su di un letto. Il maestro si bloccò, inorridito e sconvolto, si trattava forse di un cadavere? Poi scorse il colorito rosato delle gote e il lieve movimento del seno conseguente al respiro. Si rinfrancò, se la porta era chiusa a chiave dall'esterno doveva trattarsi di un'altra prigioniera come lui. Entrò, precipitoso, per accertarsi che la ragazza stesse bene e si accostò al letto. Lo scatto della giovinetta fu così veloce e fulmineo che il maestro non si rese conto di che cosa stesse avvenendo. In un attimo si trovò scaraventato per aria e ricadde pesantemente per terra con un braccio imprigionato dietro la schiena e l'altro bloccato da un ginocchio della ragazza, mentre i suoi occhi, inorriditi e spalancati, contemplavano una mano, messa a taglio, che si stava sollevando minacciosa per colpirgli e spezzargli la cartilagine del collo, uccidendolo. Una espressione di profondo stupore si stampò sul volto di Alfonsina mentre la bocca si dischiudeva per la sorpresa e gli occhi le si sbarravano. - Il... il maestro? - mormorò attonita, trattenendo il fendente che stava per completare, e riconoscendo l'uomo sotto di lei. Si scostò, sconvolta e perplessa, restando seduta per terra, con le gambe incrociate, ma pronta a scattare all'attacco se fosse stato necessario. Anche Marchesini si levò a sedere di fronte a lei. Si massaggiò il braccio dolorante e la contemplò, attonito. Il volto della ragazza non gli era sconosciuto ma non riusciva a inquadrarla. Di sicuro non era una sua allieva dei tempi passati anche se, con ogni probabilità, doveva averla già incontrata da qualche parte. - Sì, - mormorò con voce roca - sono proprio io: Claudio Marchesini, e ho insegnato a Valdrusina per molti anni. Ma tu chi sei? Come fai a conoscermi? Il tuo viso non mi è nuovo, ma non riesco a identificarti. Che cosa ci fai qui e... sai dove ci troviamo? Io credo di essere stato rapito, ma non so come abbiano fatto. Probabilmente sono stato narcotizzato. - - Maestro, mi spiace di averla aggredita, credevo che lei fosse uno dei miei rapitori. Sono Alfonsina Privitera, sono anch'io di Valdrusina e molte mie amiche hanno studiato con lei. Tutti la conoscono in paese. Dove siamo adesso non ne ho idea. So che stavo tornando a casa dopo essere stata in Sicilia, da mio nonno. Dormivo, ero in macchina con degli amici, e mi sono risvegliata qui. Di sicuro hanno drogato e rapito anche me. - Si alzarono entrambi, scattante lei, più lentamente e ancora dolorante lui. Si guardarono negli occhi e si sorrisero, lei tese la mano. Il maestro la strinse, e poi abbracciò la ragazza con paterno affetto. Erano nella stessa barca! Alfonsina abbandonò con sollievo, per la prima volta, la sua stanza-prigione. Esaminarono con attenzione il robusto portone d'ingresso, non c'era, purtroppo, alcuna possibilità di poter evadere da quella parte e neppure dalle finestre, tutte pesantemente sbarrate. - Ho visitato molte stanze di questo fabbricato, - disse, affranto, Marchesini - non ho trovato altre uscite e neppure qualche oggetto che ci possa essere utile per difenderci, a parte questo mio coltellino che è ben poca cosa. Pensavo che, se qualcuno entrasse, potrei tentare di stordirlo e impadronirmi della sua chiave, ma se dovessero essere in molti non potremmo far nulla. - - Maestro... - - Chiamami Claudio. - - Claudio, molte stanze o tutte le stanze? Quante ne hai viste? Forse qualcosa troveremo... non so, magari delle lime per segare le sbarre delle finestre, o forse delle armi. Se questa è una abitazione dei rumeni non è possibile che non ci sia nulla di utile. - - Credi che si tratti dei rumeni? perché proprio loro? - - Maes... Claudio, i nemici di mio padre e di mio nonno sono i rumeni. Ne sono sicura, sono stati loro. - - Alfonsina, qualcosa avevo immaginato, ma tu sai di sicuro molte cose che ignoro, ma avremo modo, se vuoi, di parlarne. Intanto perché non mangiamo qualcosa? Ho visto che da te c'è del cibo e in giro non ho trovato nulla. Cerchiamo di restare in forza, ti va? - - Sì. Buona idea! -
****************
Il maestro e Alfonsina avevano divorato un poco di pane e del formaggio, le sole cose che avevano trovato. Ora era il momento di agire e cercare una via di fuga. Uscirono, richiudendo con cura la porta, e si avventurarono per un lungo corridoio. In un angolo gli occhietti maligni di un grosso ratto li scrutarono attenti, poi la bestiola emise uno stridente squittio, si precipitò verso il fondo e scomparve. La ragazza sobbalzò, disgustata, e il maestro le sorrise, rassicurandola e convincendola a proseguire. Stavano per esplorare altre stanze chiuse, quando, da lontano, giunse, ovattato, il suono di un motore. Qualcuno stava arrivando. Marchesini strinse un braccio della ragazza per metterla in guardia. Il rombo del motore si fece più forte, un automezzo era entrato nel cortile. Seguì uno stridore di freni e il fruscio di pneumatici che si arrestavano sul terreno sassoso, poi più nulla. Ansiosi, restarono in ascolto. L'improvviso silenzio fu rotto dal rumore di una portiera sbattuta con violenza. Dopo diverse mandate, il portone d'ingresso si aprì per poi rinchiudersi fragorosamente. Con cautela si rintanarono in uno sgabuzzino e restarono in attesa. Dimitru si guardò intorno soddisfatto sfregandosi le mani. Conosceva bene quel covo, e si era fatto spiegare da Madalin quale fosse la stanza in cui era stata segregata Alfonsina e quale quella che imprigionava Masha. Un tempo, in un'altra occasione, aveva avuto modo di adocchiare, da lontano, la ragazza albanese, e fin da allora, osservandone le armoniose lunghe gambe snelle parzialmente coperte dalla minigonna, e il seno prosperoso, si era sentito salire il sangue alla testa e il membro gonfiarsi nei pantaloni. Mai avrebbe sperato che si potesse verificare una così favorevole circostanza, e, quando Theodor aveva chiesto un volontario per la sorveglianza del covo, non aveva esitato un attimo per farsi avanti e cogliere al balzo l'opportunità. Raddrizzò le spalle e roteò il capo facendo scrocchiare le vertebre per rilassarsi. Prevedeva un lungo e delizioso periodo di godimento estremo, e voleva prolungarlo quanto più possibile. Con passo lento e calmo imboccò il corridoio alla sua destra e si fermò davanti alla seconda porta. Contemplò soddisfatto la rugginosa chiave che sporgeva dalla serratura e la girò lentamente. Uno, due, tre scatti, poi afferrò la maniglia e la porta si aprì. Masha, messa in allarme dal rumore, era schizzata con gli occhi sbarrati nell'angolo opposto, addossandosi alla parete. Indossava dei jeans, e per ripararsi dal freddo, si era avvolta in una coperta. Nel movimento la coperta si era scostata e il seno, palpitante per la paura, gonfiava il tessuto della camicetta. - Questa sarà una giornata in cui godrò molto, molto a lungo con te, - grugnì Dimitru, ridacchiando sarcastico mentre un filo di bava gli colava dall'angolo della bocca. - Ti farò soffrire, ti farò piangere e supplicare, ti farò vedere quanto piacere saprò trarre da ogni più intima parte del tuo corpo, e quanto inimmaginabile dolore sarai capace di provare. - Masha non capiva una sola parola di rumeno, ma ascoltando la voce roca dell'uomo, contemplando il suo volto arrossato, l'orrenda smorfia ghignante che gli si era stampata sul viso, e il gesto con cui questi, lentamente, sbottonava la patta dei pantaloni, comprese. Terrorizzata considerò che nessuno avrebbe mai potuto aiutarla, era del tutto sola e prigioniera, alla mercé di un sadico violentatore. Da quando si era unita alla Vëllazëri albanese aveva appreso alcune tecniche di combattimento, tuttavia si rendeva conto di non avere alcuna possibilità di contrastare la possanza di quel muscoloso avversario al quale, a stento, arrivava all'altezza delle spalle. I suoi occhi saettarono intorno nella vana ricerca di un qualsiasi oggetto con cui difendersi. Nulla. Non c'era assolutamente nulla. Si mise in posizione di difesa come le avevano insegnato nella Fratellanza. Pronta a scattare. Dimitru esplose in una agghiacciante sonora risata. - Brava. sei molto brava, mi piace. Difenditi, e cerca di difenderti bene perché così mi farai divertire ancora di più. - Si avvicinò. La ragazza fece scattare fulmineamente un ginocchio per colpirgli i genitali. L'uomo se lo attendeva e scartò di lato, evitandolo, poi l'afferrò schiacciandola prima contro il muro e subito dopo rovesciandola per terra. Con la mano sinistra le afferrò entrambi i polsi e con la destra le stracciò in un sol colpo la camicetta afferrandole i seni e strizzandoli violentemente. Masha con un colpo di reni riuscì a sollevare la testa e ad addentargli una mano, mordendola furiosamente. Con un gemito di dolore e di rabbia, Dimitru liberò la mano sanguinante e schiaffeggiò violentemente la ragazza. Poi la colpì con un pugno sulla fronte facendole sbattere il capo per terra e stordendola. Sollevatosi sulle ginocchia la girò a pancia sotto e le strappò di dosso i jeans e le mutandine. - Ora inizia la parte migliore. - mugolò, folle di eccitazione e con lo sguardo allucinato del maniaco, assestandole un tremendo pizzicotto sulle natiche. Quindi abbrancò il proprio membro infoiato e si preparò a penetrarla. Sofferente e angosciata, Masha emise uno straziante urlo di agonia che echeggiò e rimbalzò, lugubre e cupo, lungo le vuote mura dei corridoi. - Mio Dio! ma questa sembra la voce della mia amica! - singhiozzò Alfonsina, atterrita, portandosi le mani alla bocca. Marchesini sobbalzò, impietrito, allontanò con una spinta la ragazza che gli si era aggrappata addosso, e sfrecciò per il corridoio nella direzione di quell'urlo che lo aveva sconvolto. Inorridito, osservò quel massiccio terrificante bruto che incombeva su di un denudato esanime corpo femminile. Con un ruggito di furore, e senza neppure riprendere fiato, gli si scagliò contro con impeto, scaraventandolo contro un muro, pancia all'aria. Dimitru, ben aduso ai combattimenti, balzò in piedi frastornato e confuso. Chi cazzo è questo imbecille e da dove diavolo è saltato fuori? Peggio per lui. Un altro idiota da togliere da mezzo. Con un violento pugno nello stomaco costrinse Marchesini a piegarsi in due, poi con un montante sul mento lo scaraventò contro una parete. Sbattendo la testa, il maestro cadde in terra svenuto. Sogghignando, il rumeno lo sovrastò ed estratto un affilato coltello da caccia alzò il braccio pronto a finirlo. Un improvviso violento calcio lo colpì al polso facendogli schizzare via il coltello dalla mano. Il rumeno sussultò, dolorante e stupefatto. Merda! Da dove salta fuori tutta questa gente? Pensò. Poi balzò indietro, con le gambe un poco divaricate, per rendersi conto di chi fosse il nuovo aggressore. Di fronte a lui, con le braccia piegate in posizione di attacco c'era una ragazza giovanissima, ma robusta, e alta quanto lui. Sogghignò, sarcastico. Questa stupida potrebbe essere quella troietta della nipote del siciliano. Ha del fegato questa puttanella! Meglio così, vuol dire che oggi invece di divertirmi con una sola ne avrò due. Molto bene, ridicola piccola stronza! Ora vediamo che cazzo sai fare. Si precipitò in avanti, con le braccia tese, per respingere lontano la ragazza e recuperare il coltello. Questa fece un fulmineo passo di fianco scansando l'uomo che si era precipitato in avanti, poi, agganciandolo con la mano sinistra sotto il mento e colpendogli di taglio la radice del naso con la mano destra, lo scaraventò a terra, sulla schiena. Sanguinante e stordito, Dimitru riuscì faticosamente a mettersi a sedere, trafiggendo la ragazza con uno sguardo di odio selvaggio. - Ora ti farò pentire di essere nata - sputacchiò a stento nella sua lingua, poi, con gli occhi iniettati di sangue, sibilò nel suo stentato italiano - Io adesso te penetrare e possedere come tu neanche immaginare e poi tagliare tuo naso e tua lingua! tu ora finita! - - Provaci, e sei morto! - lo sfidò, altera, Alfonsina, e gli sputò in faccia. Inferocito, il rumeno estrasse una pistola e la puntò contro la ragazza, questa, con una mossa rapidissima, afferrò con la mano destra la canna della pistola, con la sinistra strinse l'arma dietro il carrello, facendo leva, deviandola verso l'esterno, e strappandola all'aggressore che stese nuovamente in terra con un potente calcio nei genitali. Il fragore del portone d'ingresso che si richiudeva, e il rumore di veloci passi che attraversavano il corridoio distrassero entrambi. Dimitru, agonizzante per il dolore, ma con la forza derivante dalla disperazione, dalle scariche di adrenalina che lo attraversavano, e dall'esperienza acquisita nei suoi numerosi precedenti conflitti, agganciò con un piede le caviglie della ragazza facendola cadere. Percepì a tentoni, sotto una mano, la lama del coltello che era caduto e lo afferrò. - Ora vediamo chi sarà a morire! - ansimò, velenoso, scagliandosi sulla ragazza, schiacciandola sotto di sé e stringendole la gola con la mano sinistra. Alfonsina, sconvolta, maledisse quel momento di distrazione che tante volte i suoi istruttori le avevano insegnato a dominare. La pistola, nella caduta, le era sfuggita di mano e solo qualche secondo prima avrebbe potuto usarla per eliminare l'avversario, ma aveva esitato. Ora percepì lo scintillio del pugnale che si levava mortifero sopra la sua gola. Chiuse gli occhi e serrò i denti, atterrita, ma infuriata con se stessa, in attesa del colpo mortale. Per un attimo ripensò agli occhi affettuosi del padre, all'abbraccio caldo del nonno e al suo disperato impegno per insegnarle a difendersi. Sembrava che tutto fosse stato inutile.
Sergio Bertoni
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