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Autore: Alessia Barcellona
Vite Stroncate
Thriller Paranormale
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Vite Stroncate
Scorsi i vari programmi soffermandomi alla fine su di un film d'azione che sembrava esser appena cominciato ma non feci in tempo a guardarne metà che subito mi riaddormentai. Delle immagini confuse cominciarono a scorrere davanti ai miei occhi, improvvisamente tutto divenne buio e silenzioso. Pochi istanti dopo udii una voce seguita da un soffio di vento che mi spinse in avanti verso un varco di luce che si era aperto nel muro, avanzai a passo lento e al di là di esso vidi Sarah che si dondolava allegramente su di un altalena. Mi avvicinai a lei ma, non appena si accorse della mia presenza, cominciò a scappare. Senza nemmeno pensarci, la rincorsi. Il suo sguardo era terrorizzato e le sue sottili gambe tremavano dal freddo.
-Fermati Sarah!
Cercai di raggiungerla ma la sua corsa divenne sempre più veloce. Superò la strada e si inoltrò nel bosco, nonostante non riuscissi a vederla, potevo intuire la direzione in cui era diretta grazie alle foglie secche che scricchiolavano al suo passaggio. Finalmente riuscii a raggiungerla quando, a causa del terreno fangoso, scivolò bruscamente.
-Mi lasci andare, gli dirò tutto. Non potrà più farmi del male
-Sarah, calmati sono io, Marìe
Sembrava non sentirmi nemmeno.
-Nooo! La prego mi lasci andare.
Non riuscii a capire perché si comportasse in quel modo, fin quando non mi resi conto che stavo impugnando un ascia.
-Non voglio farti del male
Neanche il suo straziante urlo riuscì a fermarmi, sollevai l'arma e, presa da un incontrollabile impulso, la colpii violentemente, più e più volte. Il suo sangue schizzò sui miei vestiti, sulle mie braccia, sul mio viso. Senza più forze, mi lasciai scivolare sul terreno bagnato. Sarah era lì, davanti a me, esanime. Un improvviso rumore alle mie spalle mi fece voltare di scatto, in piedi, dietro di me, c'era il signor Thomas. Lasciai cadere l'ascia.
Io non volevo
Le parole mi uscirono in un sussurro poi...di nuovo il buio. Mi svegliai pochi istanti dopo ritrovandomi distesa sull'erba, mi alzai e ancora un po' stordita, tornai verso casa. La terra fredda ghiacciò i miei piedi facendomi rabbrividire, impiegai un po' di tempo prima di arrivare, la nonna era già in cucina.
-Marìe, ma da dove vieni?
-Buongiorno, come mai già sveglia?
-Non cambiare discorso!
-Sono uscita per prendere una boccata d'aria
-A quest'ora? Rischi di ammalarti così, devi far attenzione
-Tranquilla, ho gli anticorpi forti
-Lo spero per te.
Come aveva predetto lei, nel pomeriggio mi venne la febbre. Passai il resto della giornata sdraiata sul divano cercando di riposare mentre la nonna si prendeva cura di me preparandomi tisane e pastina in brodo. Il giorno dopo mi ritrovai distesa sul mio letto non ricordando nemmeno come fossi arrivata fin lì, mi sentii così male che non riuscii neanche ad alzarmi. Rimasi in camera mia fino a sera.
-Ciao principessa, come stai?
-Ciao nonno. Molto meglio, grazie
-La nonna è in cucina, ti sta preparando una buona tazza di camomilla.
Mi recai dalla nonna scendendo le scale a fatica. Non appena mi vide, si precipitò a chiedermi come mi sentissi. Sorseggiai la camomilla e, dopo aver terminato di berla, li ringraziai e salii nuovamente in camera. Una volta lì mi ricordai del cerca persone così lo presi. Sullo schermo apparvero sei messaggi, provenienti tutti dallo stesso mittente, Demon.
-Ritarderò un po'. Ci vediamo verso le 17.30.
-Sono qui, ti aspetto.
-Che fine hai fatto?
-È tardi, devo proprio andare.
-Forse non hai voglia di vedermi?
-Il tuo silenzio mi spaventa, spero di non aver fatto qualcosa di sbagliato.
Finito di leggere, mi affrettai nel digitare un messaggio.
-Scusami davvero, non volevo ignorarti ma sono stata poco bene e non avevo nemmeno la forza di tenere gli occhi aperti.
La sua risposta fu immediata.
-Avresti anche potuto avvertirmi invece di farmi preoccupare in questo modo. Stavo quasi per andare dai tuoi nonni per chiedere tue informazioni.
-Davvero eri preoccupato per me?
-Certo, ci tengo a te.
Feci un sorriso, poi mi voltai dall'altro lato del letto e mi addormentai, mi sentivo ancora molto debole.
Di sera, non appena mi svegliai, la nonna mi chiese se avessi fame così mi lasciai preparare un bel piatto di minestra calda. Fu talmente rigenerante che mi sentii subito meglio così, nonostante l'ora tarda, scrissi un messaggio a Demon chiedendogli se fosse stato possibile vederci ma la sua risposta non fu quella che mi aspettavo.
-Mi spiace ma ho la moto dal meccanico, se tutto va bene, dovrebbe riconsegnarmela domani. Una volta riavuta, sarò tutto tuo.
-Che peccato, vorrà dire che mi toccherà aspettare. Buona notte, spero di riuscire a vederti almeno nei miei sogni.
Nonostante mi fossi premurata nel cercare di incontrarlo, feci un sospiro quasi di sollievo. Non avevo un bell'aspetto e sentivo ancora dei piccoli dolori fastidiosi percorrermi la schiena, decisi che quella sera avrei concluso quell'estenuante giornata andando a letto presto, così da riuscire a rimettermi in sesto completamente.
Il giorno seguente guarii del tutto ma, nonostante questo, la nonna mi vietò categoricamente di uscire di casa per paura che potessi nuovamente ammalarmi. Avvisai Demon che, anche per quel giorno, sarebbe stato impossibile per noi vederci ed anche lui ne fu dispiaciuto.
Nel pomeriggio, essendo costretta a rimanere in casa, mentre la nonna si dedicava al cucito ed il nonno era a lavoro, mi sdraiai sul letto e cercai di terminare la lettura di quel famoso libro che avevo iniziato settimane prima ma i miei pensieri continuavano a vagare altrove. Mi venne in mente Sarah, tutto quel che era accaduto fin ora, gli strani avvenimenti susseguitisi, rivissi quei momenti, quelle terrificanti sensazioni di morte e la paura che mi avevano accompagnato in quegli interminabili giorni a casa dei nonni. Appoggiai il libro sul mio petto e volsi lo sguardo al soffitto, mi guardai intorno chiedendomi cosa c'entrasse quella casa con me o con Sarah. Stavo per ricominciare a leggere quando improvvisamente mi accorsi di un qualcosa che prima non avevo mai notato. Sul lato destro del soffitto, in fondo alla stanza, era presente una ampia fessura, mi alzai dal letto ed, incuriosita, mi avvicinai ad essa. Salii sulla sedia per poi arrampicarmi sulla scrivania, una volta che fui ben vicina, ne allargai i dintorni strappando la carta da parati con le dita, fu allora che riuscii ad intravedere la forma rettangolare di una botola, cercai di forzarla ma un piccolo lucchetto ne bloccava l'apertura, mi recai di sotto alla ricerca di un qualcosa che potesse aiutarmi ad aprirlo ma non trovai nulla così andai nel capanno degli attrezzi e, fra i vari utensili del nonno, trovai una piccozza piuttosto vecchiotta. Con molta discrezione salii nuovamente in camera e, dopo essermi assicurata che nessuno mi avesse visto, chiusi la porta e mi arrampicai su cercando, con colpi decisi, di ottenerne l'apertura. Dopo vari tentativi finalmente il lucchetto cedette così, lasciata cadere la piccozza sul pavimento, posizionai la sedia sulla scrivania, ci salii sopra e con grande sforzo, riuscii ad aprirla. Mi aggrappai ai bordi della botola e facendo forza sulle braccia, mi ritrovai in soffitta.
La stanza era molto buia e in essa si propagava un odore nauseante, tastai il muro con le mani cercando l'interruttore della luce, facendomi spazio fra i vari oggetti che incrociai al mio passaggio. Fui sul punto di cadere quando, fortunatamente, riuscii a riprendere l'equilibrio sorreggendomi ad un qualcosa che era attaccato al muro, trovai l'interruttore non poco distante. Davanti ai miei occhi si presentò una stanza le cui pareti sfoggiavano un rosa tenue, infondo ad essa vi era un letto ad una piazza sulla cui spalliera in legno erano incise delle iniziali: S. A.
Cercai di trovare un nome a quell'incisione ma l'unica soluzione che mi venne in mente fu quella di sostituire alla ”S" il nome Sarah. Forse la “A" doveva essere l'iniziale del cognome da nubile della madre? Ma che connessione poteva esserci fra lei e quella misteriosa stanza? I miei dubbi furono subito, in parte, colmati quando vidi sulla scrivania una serie di foto in cui era presente una ragazza dai lunghi capelli scuri, girai le varie foto sulle quali c'era scritto un solo nome: Susan!
Ne presi una abbastanza curiosa in cui c'era questa ragazza e al suo fianco i nonni che la cingevano in un abbraccio, man mano andai avanti notai delle altre foto appese al muro in cui la presenza dei nonni era abbastanza frequente. Mi distanziai dalla scrivania dirigendomi in prossimità di un baule posto al lato opposto della stanza. Fui sul punto d'aprirlo quando avvertii, improvvisamente, dei passi veloci dietro di me, mi voltai impaurita ma non vidi nulla, a quel punto il mio respiro divenne ansimante, dentro di me la paura prese il sopravvento, mi guardai intorno ancora una volta e, dopo essermi accertata di esser sola, ritornai ad aprire il baule. Dentro di esso trovai svariati oggetti tra cui un bellissimo vestito celeste, la ragazza doveva avere sui 16 anni considerando che la sua ultima pagella risaliva al secondo superiore e, dati i risultati scolastici, presupposi che doveva essere anche molto brava a scuola. Presi il vestito tra le mani e, guardandomi in uno specchio lì di fianco, lo adagiai su di me ma fu a quel punto che la luce della stanza si spense. Mi diressi nuovamente all'interruttore e, dopo averlo trovato, provai ad accenderla ma senza alcun risultato, con le gambe tremanti, mi avvicinai alla scrivania per accendere la lampada che si trova sopra di essa poi tornai al baule per riporre il vestito al suo interno ma non appena richiusi i gancetti rabbrividii nel sentire qualcosa sfiorarmi la schiena. Il mio corpo sembrò come pietrificarsi ed i miei occhi si riempirono di lacrime, non trovai il coraggio per voltarmi ma, a fil di voce, riuscii a pronunciare una sola frase
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Il silenzio fu spezzato da uno strano scricchiolio che sembrava provenire dal tetto, terrorizzata presi coraggio e mi voltai lentamente, la scena che mi si palesò davanti fu raccapricciante. In alto, all'estremità di una delle travi in legno era legata una corda e a questa era attaccato il corpo senza vita di Susan. I suoi occhi aperti, penetranti, urlanti di dolore, provocarono in me un vertiginoso senso di svenimento. Mi aggrappai alla scrivania urtando la lampada che cadde sul pavimento. Il corpo esanime di Susan continuava a ciondolare da una parte all'altra, il rumore che esso provocava mi fece barcollare ancor di più. Cercai di sorreggermi appoggiandomi al muro e chiusi gli occhi con la speranza che, una volta riaperti, tutto fosse tornato come prima. Ad un tratto il rumore cessò e l'aria tornò silenziosa, aprii gli occhi lentamente e, con mio grande sollievo, mi resi conto che era tornato tutto alla normalità. La luce era accesa e la lampada si trovava al suo posto, sulla scrivania. Percorsi la stanza di corsa e senza guardarmi alle spalle mi affrettai a scendere richiudendo la botola dietro di me, mi recai in corridoio e tra le lacrime composi il numero di telefono di casa mia, pronta a scongiurare la mamma affinché mi portasse via da tutto quell' orrore, convinta a raccontarle ogni cosa e a pregarla di credermi. Il ricevitore inoltrò la chiamata.
Uno squillo... un altro. A breve la mamma avrebbe risposto.
Un terzo... un quarto squillo. Davanti ai miei occhi apparve Sarah in lacrime.
-Ti prego, aiutami!
Asciugai i miei occhi e, cercando di non pensare a lei, persistetti nel chiamare.
Quinto... sesto squillo. Finalmente la mamma rispose.
-Pronto... pronto, chi parla?
Per un attimo rimasi in silenzio poi riagganciai la cornetta.
Non potevo abbandonare tutto, ormai c'ero dentro e non me la sentivo di mollare. Dovevo esser forte. Volevo assolutamente scoprire cosa si celasse dietro a tutte quelle misteriose morti.
Riattaccai il lucchetto della botola, ormai consumato, come meglio potetti poi mi diressi al piano di sotto e raggiunsi la nonna in cucina. Pensierosa, l'aiutai ad apparecchiare la tavola, il nonno rincasò poco dopo così, dopo aver servito la cena nei piatti, ci sedemmo a tavola pronti a consumare il buon cibo che la nonna aveva preparato con tanta dedizione. Quella sera l'atmosfera era abbastanza silenziosa quando, ad un certo punto, fui io a romperne la quiete.
-Chi è Susan?
I visi dei nonni divennero ad un tratto pallidi.
-Non saprei. Dovremmo conoscerla?
-Ho trovato delle foto in cui tu e il nonno eravate abbracciati a lei
Il nonno sembrò sopraffatto dalla mia affermazione.
-Impossibile, non ci sono più sue foto in giro
-Voi mi state nascondendo qualcosa!
A quel punto abbassò lo sguardo, la nonna invece cominciò a parlare.
-Hai ragione, c'è qualcosa che non ti abbiamo mai detto
Le lacrime cominciarono a scendere sui loro volti.

Alessia Barcellona

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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