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Autore: Effe Pi
Combattere per la libertà
Romance Gay Storico
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Combattere per la libertà
Una storia ai tempi dell'Impero romano.

Marcus si presentò alle guardie che sostavano ai lati della porta di accesso allo spazio riservato ai gladiatori. Queste si batterono il pugno destro sul petto in segno di saluto e lo fecero passare, transitò lungo il corridoio ricurvo illuminato solo da qualche fiaccola e giunse alla cella dove aveva lasciato Nicarco poche ore prima ma non c'era. Brutus parlò prima che il patrizio gli chiedesse del suo schiavo.
"Ave dominus Marcus, Nicarco è stato portato via per scegliere un'armatura adatta per i numera, quella di Edilus non era della misura giusta. Gli hanno assegnato come avversario Gallius."
Marcus vide la caviglia di Edilus e non perse tempo a fare domande. Durante il secondo incontro era inciampato ma all'uscita dell'arena camminava speditamente mentre adesso la caviglia era rotta. Anni nell'esercito gli permettevano di riconoscerne una rotta a posta e quella lo era; ma perché e chi lo aveva fatto? La risposta era fin troppo semplice, Marcellus lo aveva ordinato per far scendere in arena Nicarco al posto di Edilus e quindi liberarsi di lui. Non aveva ancora chiaro il motivo per cui lo volesse morto, forse solo perché aveva capito quanto fosse importante per lui, ma al momento non aveva alcuna rilevanza, l'importante era salvare Nicarco. Marcus sospirò e continuò a camminare velocemente lungo il corridoio diretto alla stanza dove venivano tenute le armature dei morti in duello che non venivano chieste indietro dai lanisti. Quando giunse alla porta aveva la vista annebbiata per le lacrime che si stavano formando, scosse la testa ed aprì la porta ma nella stanza non c'era nessuno se non uno schiavo che stava riordinando ma che seppe indirizzarlo nel luogo dove si trovava Nicarco.
Lo trovò in uno slargo del corridoio appoggiato al muro e vestito di tutto punto per il combattimento salvo che per l'elmo che teneva sotto il braccio. Non avevano ritenuto necessario chiuderlo in una cella e stava aspettando che venissero a dargli l'ordine di entrare in arena.
Marcus si nascose dietro una colonna posta all'incrocio di due corridoi, per fortuna non era ancora stato visto. Doveva agire in fretta perché non mancava molto al termine dello spettacolo dei capuani.
Fece alcuni passi indietro nel corridoio da cui era venuto e vide che dietro di lui stavano sopraggiungendo tre attendenti intenti a parlare tra loro.
"Venite, presto," disse andandogli incontro, "un gladiatore sta tentando di scappare, aiutatemi a fermarlo."
Uno dei tre sfoderò il pugnale.
"No, senza armi. Altrimenti me lo ripagate," ordinò perentorio il patrizio.
Marcus in tre balzi fu alla colonna, girò a sinistra e piombò sull'ignaro Nicarco, gli afferrò un polso e glielo portò dietro la schiena facendolo roteare per poi spingerlo contro la parete. Lo schiavo emise un suono di stupore quando la sua faccia si trovò schiacciata contro il muro ma non oppose resistenza perché mai avrebbe alzato una mano contro il suo dominus.
Nicarco era confuso, non capiva cosa avesse fatto di sbagliato; Marcus continuava a ripetere che aveva tentato di scappare e che doveva essere chiuso in una cella fino a quando sarebbero finiti i giochi e sarebbe tornato a prenderlo. Non poteva certo credere quelle cose, quindi, stava per forza mentendo ma non aveva idea del perché lo facesse. Tentò di incontrare gli occhi di Marcus ma il suo sguardo era sfuggente, gli dichiarò la propria innocenza ma lo zittì, gli chiese perdono senza sapere come lo avesse offeso ma continuava a ignorare qualsiasi cosa dicesse. Il motivo di quella sceneggiata lo comprese troppo tardi, quando Marcus ordinò agli attendenti di togliergli l'armatura perché doveva indossarla un componente della sua squadra che lo avrebbe sostituito nel combattimento che stava per iniziare. A quel punto Nicarco sembrò impazzire, scaraventò un attendente per terra e dette una testata in pieno volto a un secondo spaccandogli il naso ma Marcus gli fu addosso e gli ordinò di obbedirgli. Lo schiavo si inginocchiò ai piedi del patrizio abbracciando le muscolose gambe. "Ti prego mio dominus fammi combattere che voglio renderti orgoglioso di me." Marcus gli accarezzò delicatamente il volto con la mano ma disse con fermezza: "obbedisci". Lo schiavo non aveva alternative e si tolse l'armatura da solo. Marcus la raccolse, lo fece chiudere in una cella minuscola e se ne andò. Nicarco rimase con solo il subligaculum indosso accasciato sul duro pavimento in pietra e vide Marcus allontanarsi con la paura di non rivederlo mai più che gli attanagliava il cuore. Si rivolse a tutti gli dei dell'Olimpo pregandoli che vegliassero su di lui e poi aspettò l'attesa più lunga della sua vita.
Fuori dalla vista di Nicarco, Marcus si liberò dei tre inservienti assicurando loro che potevano tornare tranquillamente ai loro impegni e che ci avrebbe pensato lui stesso ad avvertire chi di dovere della sostituzione del gladiatore.
Quando fu solo si nascose dietro una tenda scura e spessa che divideva il corridoio da una profonda nicchia in cui venivano tenuti i teli utilizzati per trasportare i cadaveri. Lì si cambiò e per ultimo indossò l'elmo da hoplamachus che nascondeva il suo volto. Solo la zona degli occhi era visibile ma coperta da una grata così che solo una persona estremamente vicina avrebbe potuto distinguere i suoi lineamenti.
Tornò nel punto dove aveva visto sostare Nicarco appena in tempo. Due guardie stavano sopraggiungendo dalla direzione opposta a quella da cui era arrivato e appena lo videro lo chiamarono da lontano e gli ordinarono di correre verso l'ingresso all'arena. Si trovò davanti una grossa inferriata che si stava sollevando, una voce annunciò il nome di Nicarco e lui uscì. Lo accolse un boato e un brivido gli corse lungo la schiena.
Davanti al palco dell'imperatore lo aspettava già il suo opponente. Con passo sicuro lo raggiunse e iniziò lo scontro. Gallius da vicino sembrava anche più grosso che dalla tribuna, i muscoli del suo corpo erano il doppio dei suoi ed erano percorsi da spesse vene bluastre in rilievo ma era l'ossatura la caratteristica più impressionante, era alto sette pedes di, sotto l'elmo il collo era taurino, talmente largo che gli sarebbero servite quattro mani per strozzarlo, le spalle erano talmente ampie che avrebbe potuto sollevare un carro afferrandolo per le ruote e le mani e i piedi erano anch'essi fuori misura, poteva tenere tre mele in una sola mano. A renderlo più spaventoso era il colore rossastro della sua pelle e i grugniti che emetteva con lo specifico scopo di impressionare l'avversario.
In quel momento riconsiderò il suo giudizio sul gladiatore che aveva di fronte. Era un uomo che poteva uccidere anche a mani nude con un solo colpo e teneva in pugno un gladio affilatissimo. In guerra non aveva mai affrontato un opponente così pericoloso ma non aveva dubbi che la vittoria gli avrebbe arriso anche stavolta. Scelse di adottare una tecnica di attacco, colpi veloci ed estremamente tecnici seguiti da immediate ritirate, cercando di non dargli il tempo di affondare i colpi, perché ogni volta che era costretto a parare un suo affondo il braccio dello scudo gli tremava, tale era la sua potenza.
Il pubblico era in visibilio per lo spettacolo, urlava e batteva le mani a più non posso per quello che era il duello più avvincente visto negli ultimi dieci anni. Il tifo maggiore era quello per Gallius ma con il passare del tempo aumentavano le grida a sostegno di Nicarco. Il pubblico non si era accorto che chi stava combattendo non era il gladiatore della squadra di Marcellus, d'altronde la lontananza e l'armatura non permettevano di distinguere i combattenti. Giusto un centinaio di persone avevano avuto dei dubbi soprattutto per il colore della pelle che sembrava più chiaro rispetto agli incontri precedenti ma attribuirono la loro impressione al variare della luce del sole che stava calando. A essere certi che sotto quell'elmo ci fosse Marcus erano solo Marcellus e Gaius. Il primo era in piena agitazione incerto sul da farsi, avrebbe potuto denunciare l'impostore o affidarsi alla sorte augurandosi che il cugino uscisse cadavere dall'arena. Scelse la seconda opzione e rimase in silenzio a fissare il duello. Intanto Gaius non lo perdeva d'occhio.
Marcus era madido di sudore, dentro all'elmo un ciuffo di capelli fradicio gli riduceva il campo visivo e gli schinieri gli escoriavano i ginocchi ogni volta che toccava terra per darsi una spinta atta a roteare lateralmente o a fare una capriola, erano gli inconvenienti di un'armatura di qualità scadente, ma, a parte ciò, le sue condizioni erano buone; Gallius invece, pur non avendo subito anch'egli nessuna ferita, se la stava cavando peggio. Marcus se ne rendeva conto dal color porpora della sua pelle e da come era divenuto impaziente di porre fine all'incontro. Continuava o grugnire e fingeva spavalderia incitando il pubblico ad applaudirlo ma era stanco e Marcus sapeva che quello era il momento più pericoloso per lui: il colosso stava per sferrare un attacco micidiale, avrebbe giocato il tutto per tutto perché era consapevole che se l'incontro si fosse protratto avrebbe perso dato che il Romano era molto più resistente.
Marcus vide Gallius raccogliere tutte le sue energie per colpire e la botta fu micidiale, così forte da spostare lo scudo del patrizio e creare lo spazio necessario alla lama del gladio per raggiungere la spalla.
Marcus cadde all'indietro gettando lo scudo lateralmente e rimase supino sulla sabbia dell'arena con il sangue che gli aveva colorato di rosso il braccio fino al gomito. Gallius per lo slancio era sopra di lui e si accorse troppo tardi che era caduto in un tranello; col braccio buono, quello che impugnava il gladio, Marcus lo trafisse nella coscia fino all'osso per poi roteare sulla sua destra e ritrovarsi in piedi a guardare Gallius prendere il suo posto sul terreno ma con la faccia rivolta verso il basso.
Il boato del pubblico fu assordante, tutti erano in piedi e stavano gridando, tanto che chiunque in quell'anfiteatro avrebbe un giorno raccontato che nessuno era rimasto in silenzio o seduto quando Gallius era finito a terra. Marcus sorrise sotto l'elmo, tutto era andato come aveva previsto, il suo avversario era fuori combattimento e la ferita alla spalla gli faceva male ma non era grave. Gallius aveva provato a rialzarsi ma si era fermato col solo ginocchio della gamba illesa poggiato sul terreno perché l'arto sinistro non poteva sopportare nessuno sforzo, era disteso all'indietro e sanguinava copiosamente. Sotto di esso si era formata una pozzanghera rossa che si ingrandiva sempre di più e Marcus ebbe l'istinto di soccorrere il ferito ma si trattenne, tra poco gli inservienti sarebbero intervenuti e i medici avrebbero fatto il loro dovere. Gallius aveva la testa china in avanti e respirava pesantemente per il dolore e la rabbia, dall'elmo gli gocciolava saliva mista a sudore e le enormi mani che sostenevano il peso del suo corpo si erano serrate in pugni. Emise un grido di rabbia e poi si arrese, alzò il braccio per chiedere salva la vita. L'imperatore si alzò e il pubblico fece silenzio. Marcus tirò un sospiro di sollievo, era finita, tra poco sarebbe rientrato nei sotterranei, si sarebbe fatto fasciare la spalla senza togliersi l'elmo e poi, insieme a Nicarco, sarebbe uscito coprendo la fasciatura con un panno e mettendone una fasulla all'amico. A pensarci bene non era poi così semplice ma una volta nei sotterranei non sarebbe stato un gran danno se lo avessero scoperto, si sarebbe dovuto occupare solo di pochi testimoni facilmente corruttibili. L' importante era uscire con l'elmo saldamente in testa da quell'arena. Ma uno strano brusio si diffuse tra gli spalti, alzò lo sguardo e vide quello che non si sarebbe mai aspettato. Traiano stava lì, a sette perticae di fronte a lui, in toga viola e con la sua tipica postura austera, con il braccio destro teso e il pollice fuori dal pugno.
A Marcus gli si gelò il sangue, Traiano era famoso per non condannare mai a morte i gladiatori, eppure gli occhi non lo stavano ingannando. Deglutì il groppo che gli si era formato in gola. Doveva uccidere, lo aveva fatto migliaia di volte ma mai così, per gioco. Nella sua mente Marcus rivide la sua vita, le battaglie, le scelte fatte e l'onore che lo aveva sempre contraddistinto e si tolse l'elmo. La maggioranza degli spettatori all'inizio non notò niente di strano perché, anche se le lusiones venivano combattute senza elmo, in pochi ricordavano i lineamenti di Nicarco, ma sul palco imperiale fu subito un gran fermento. I patrizi iniziarono a bisbigliare e a darsi di gomito increduli di cosa stesse accadendo. L'imperatore stesso riconobbe subito il suo centurione e la sorpresa di vederlo nella polvere combattere da gladiatore si sommò a quella di non essere ubbidito.
Marcus lasciò cadere il gladio, si batté il petto con il pugno della mano destra e poi alzò il braccio verso l'imperatore in segno di lealtà.
"Ave Cesare, il mio nome è Marcus Cornelius Aurelianus, fedele a Roma e all'impero, con la mia faccia chiedo la grazia per me ed il mio avversario che ha combattuto non conoscendo la mia identità. Pietà per il gladiatore di un duello iniquo in cui non aveva possibilità di vittoria perché Marte, il Dio che benedice i soldati romani, gli era avverso. Per me non ho scusanti se non quella di essere stato imbrogliato da mio cugino, ho combattuto per salvare la vita a un mio gladiatore che era stato assegnato con l'inganno a questo combattimento. Si tratta quindi solo di una insignificante disputa familiare. Chiedo umilmente perdono e consegno a te Cesare la mia vita, che tu possa utilizzarla per la grandezza di Roma." L'anfiteatro era rimasto in silenzio per riuscire a sentire queste frasi pronunciate con voce stentorea dal finto gladiatore e quando ebbe terminato di parlare il silenzio si protrasse, settantamila persone trattennero il respiro nell'attesa che l'imperatore decidesse le sorti dei duellanti.
Traiano era incerto, conosceva bene Il valore e l'onestà dell'uomo che aveva di fronte a sé ma d'altro canto aveva commesso un reato occultando la propria identità. Si concesse alcuni istanti per valutare le conseguenze della sua scelta e come sarebbe stata interpretata dai senatori e dal popolo, poi fissò Marcus negli occhi e ritrasse il pollice dentro il pugno.
"Sparite dalla mia vista prima che cambi idea. Che i giochi riprendano. E tu, Marcus, ti voglio al mio cospetto per ulteriori spiegazioni tra due giorni."
Gallius fu trasportato via e Marcus se ne andò a passo svelto dopo aver ringraziato solennemente l'imperatore. I giochi ripresero, il duello appena concluso era stato il primo dei sedici combattimenti con armi affilate da disputarsi quel giorno ma l'attenzione sul palco d'onore a quel punto non era più per i giochi.
Gaius si era avvicinato all'imperatore e gli aveva sussurrato all'orecchio qualcosa mentre Marcellus era rimasto seduto al suo posto con tutti gli occhi dei presenti puntati su di lui. In quel momento si pentì di aver accettato l'invito a sedere nei posti riservati ai cittadini più illustri di Roma ma la vanagloria non gli aveva permesso di rifiutare. Tiberius fece un leggero segno di assenso con il capo e Gaius andò verso Marcellus con la mano destra serrata sull'impugnatura del gladio legato in vita mentre le persone intorno si scansavano.
"Come rispondi alle accuse di tuo cugino? Stavi tramando forse per liberarti di uno schiavo a lui fedele?" domandò Gaius a Marcellus.
"Cosa stai farneticando? Ignoro chi e perché abbia assegnato Nicarco a questo scontro ma comunque era la sostituzione più logica in caso di infortunio. Non sono responsabile se mio cugino agisce in modo sconsiderato a causa delle sue particolari simpatie," sputò Marcellus con disprezzo.
"Bugiardo. Sono a conoscenza delle tue malefatte e faccio istanza affinché tu venga condotto davanti a un magistrato." Gaius fece un cenno a due soldati che stanziavano al bordo del palco di farsi avanti.
"E quale sarebbe il reato? I miei gladiatori sono mia proprietà quindi posso disporne a mio piacimento. E ho piena autorità anche su Nicarco quando indossa i colori della mia squadra," gridò Marcellus. Era furioso, gesticolava con le braccia e aveva gli occhi iniettati di sangue per la rabbia.
"Non perderei certo il mio tempo per il maltrattamento di uno schiavo. Io ti accuso di aver commissionato l'assassinio di Aris, armatore greco giunto un mese fa al porto per consegnare una nave a Marcus." Gaius fece una breve pausa lasciando spazio alle esclamazioni di sorpresa dei patrizi che li circondavano. "Scortatelo fuori di qui!" ordino infine ai due soldati che, affiancato il lanista, lo afferrarono per le braccia.
"Giù le mani, sono un libero cittadino romano," tuonò Marcellus mentre tentava di divincolarsi.
"Spero non per molto, presentati all'ora sesta del giorno di Mercurio al foro di Cesare per rispondere alle mie accuse davanti al magistrato."
I soldati a un cenno di Gaius lasciarono la presa e Marcellus si ricompose aggiustandosi la toga, poi dichiarò: "Sono solo ignobili calunnie". Voltò le spalle e se ne andò.
Tiberius aveva lo sguardo rivolto al duello che in quel momento si stava svolgendo in arena ma quando Marcellus fu troppo lontano per sentirlo disse a Gaius: "Spero che tra tre giorni avrai le prove di quello che sostieni altrimenti dovrai subire le conseguenze che comporta una falsa accusa".
"Cesare Augusto, ho certezza di quello che sostengo," dichiarò Gaius.
"Non dubito, ma, come ti ho detto prima, per un'accusa così grave vanno fornite solide prove in breve tempo, hai a disposizione solo le giornate di domani, dopo domani e le prime ore del giorno di Mercurio per presentarle, spero ti bastino perché mi dispiacerebbe perdere il mio miglior legatus."
Intanto in arena era appena terminato il terzo scontro con la vittoria del secondo componente della squadra di Marcellus. Una grande giornata per la squadra del toro ma Marcellus avrebbe avuto poca voglia di festeggiare quella sera.
Al rientro nei sotterranei Marcus si era liberato delle persone che gli erano corse incontro per aiutarlo, aveva strappato un panno intriso di acqua a uno schiavo e se lo era passato da solo sulla ferita, andava cauterizzata, ma prima doveva vedere Nicarco.
Corse dove lo aveva lasciato e naturalmente lo trovò lì, chiuso nella cella. La aprì e lo abbraccio con la sola mano destra ma Nicarco non ebbe nessuna reazione, era come assente. Marcus si aspettava di essere accolto con gioia per il suo ritorno e ci rimase molto male.
"Non sei felice della mia vittoria?" chiese afflitto.
"Hai rischiato la vita, sei ferito, hai sfidato l'imperatore e hai rovinato i rapporti con il tuo unico parente. Ed è colpa mia, ti ho portato solo sventure e problemi da quando sono al tuo servizio, sarebbe meglio che tu ti liberassi di me," rispose a voce bassa lo schiavo.
"Ma cosa dici?"
"Se tu fossi morto come avrei mai potuto perdonarmi? Perché non mi hai permesso di compiere il mio dovere. Ero in grado di battere Gallius."
"Non pensi che questo valga anche per me? So quanto vali ma se fossi uscito cadavere da quell'arena sarei stato io il responsabile. Tu non hai nessuna colpa del fatto che Marcellus sia un lurido bastardo. Da quando sei al mio fianco la mia vita è migliore, non avere dubbi su questo." Gli scostò dal volto un ciuffo ribelle. "Io... ti amo." Gli enormi occhi color smeraldo dell'amico si riempirono di meraviglia e vide gli angoli della bocca contrarsi in un lieve sorriso. Lo baciò. Fu tenerezza, il suo intero corpo vibrò in un tremito di benessere ed ebbe la sensazione che la sua anima si elevasse sopra le loro teste. Solo una piccola parte del suo cervello era ancora vigile e si rese conto che a quel punto non poteva più tornare indietro ma non gli importava perché quel momento era il più bello della sua intera esistenza. Se era solo ammirazione quella che Nicarco provava per lui, l'avrebbe accettato, gli sarebbe bastato averlo accanto.
Nicarco non riusciva a crederci, il suo padrone gli aveva confessato il suo amore e lo stava baciando. Come poteva un umile schiavo meritarsi tale grazia? Aveva sperato che Marcus gli domandasse servigi sessuali ma non si sarebbe mai aspettato le parole "ti amo" e di essere baciato con una dolcezza che sapeva di devozione. Il patrizio aveva la mano destra tra i suoi capelli ma non li stava tirando, al contrario faceva scorrere una ciocca ripetutamente tra l'indice e il pollice e contemporaneamente gli massaggiava la nuca. La bocca era gentile sulle sue labbra, si muoveva esercitando brevi pressioni e leccando con la punta della lingua i margini.
Non sapeva come rispondere, lui conosceva solo la violenza del sesso. Il suo lanista non lo aveva mai utilizzato o fatto utilizzare da altri uomini ma aveva visto la scena centinaia di volte e non assomigliava per niente a quello che stava accadendo. L'unica cosa che sapeva è che voleva partecipare e dare a Marcus tutto l'amore di cui era capace. Gli mise le mani sui bicipiti perché voleva stringerlo a sé e la sua mano destra si bagnò di un liquido viscido, si ritirò immediatamente interrompendo il bacio.

Effe Pi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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