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Autore: L. L. Words
Direzione la speranza
Romance Gay Contemporaneo
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Direzione la speranza
Quando la fiamma si spegnerà, la disperazione ti porterà nei boschi sotto la pioggia battente, alla ricerca di legna bagnata con la speranza che una scintilla possa di nuovo accendere quel fuoco spento.
Potrai solo aspettare che il tempo faccia stagionare quella legna raccolta nella disperazione e sia pronta ad ardere per un nuovo amore inaspettato.
E che il vento si porti via le ceneri rimaste di un'illusione ormai svanita.
- Elia Novecento -

– Nel blu dipinto di blu

Non ti lascio... né ora né mai
Tyler
L'odore del disinfettante del “Green”, ormai così familiare, mi aveva pervaso le narici: seduto su una poltroncina verde, con la testa tra le mani, stavo rivivendo con gli occhi della mente e del cuore l'incidente di A.C. Potevo ancora sentire sulla pelle tutto lo spavento che avevo provato quando l'avevo visto galleggiare privo di sensi nella piscina di casa mia: solo per miracolo non era morto. Mentre aspettavo di ricevere qualche notizia sulle sue condizioni con Stone vicino, potevo percepire chiaramente sul petto il peso che quell'avvenimento aveva creato: mi sembrava di essere finito sul set di un film horror, ma purtroppo era tutto vero. Dopo essere riuscito a tirarlo fuori dall'acqua, gli avevo praticato un disperato massaggio cardiaco per farlo ritornare da me; solo nell'attimo in cui aveva ripreso a respirare autonomamente, avevo notato il mio cellulare sul bordo: chiamare Dan mi era venuto naturale. Avevo ricordi abbastanza confusi di quello che era successo dopo: la mia telefonata sconnessa e agitata; le dita malferme mentre coprivo A.C. con un asciugamano per tenerlo al caldo; le braccia strette intorno al suo corpo scosso da forti tremiti; le mille e incomprensibili parole dette per tranquillizzarlo mentre aspettavo l'ambulanza...
Erano passate più di due ore dal nostro arrivo al Pronto Soccorso. Quanto ci voleva per fare quei controlli? Stavo quasi per dare di matto, ma un rumore di passi e porte aperte attirò la mia attenzione: Dan era fermo sulla soglia e mi guardava. Di fronte alla sua espressione grave scattai in piedi. «Come sta A.C.? Si è ripreso? Dimmi qualcosa!»
Un cenno affermativo anticipò un gentile: «Calmati, ti prego, ti dirò tutto... Vieni, sediamoci.»
Il tono pacato e serio che aveva usato mi fece scorrere sottopelle una strana e spiacevole sensazione: non era da lui evitare le domande dirette, tanto meno sfuggire il mio sguardo come in quel momento.
«Oddio... è così grave?»
«Agitarti in questo modo è l'ultima cosa che ti serve adesso.» La sua risolutezza, invece che calmarmi, mi agitò ulteriormente.
«Vuoi che non lo sappia, Dan?!» gridai, sentendo il panico avanzare. «Sono spaventato, cazzo! Non puoi capire cosa ho provato quando l'ho visto in piscina: non respirava, e solo per un pelo non l'ho perso! Voglio sapere tutti i suoi parametri vitali e anche i livelli di ossigenazione nel sangue; e li voglio sapere ora!»
Una lieve pressione sulla spalla placò per un attimo il mio sfogo. «Ty, respira. A.C. sta bene.»
Bastarono quelle tre parole per far sì che scoppiassi in un pianto liberatorio contro il suo petto.
«Solo grazie a te è ancora tra noi.» Ormai singhiozzavo, del tutto fuori controllo.
«Non avrei potuto fare nulla senza l'aiuto del mio team e Bob! Gli sarò sempre riconoscente per averlo tranquillizzato: lo sai qual è stata la prima cosa che ha fatto, appena ha iniziato a riprendersi?» mi chiese Dan. Ancora troppo sconvolto per poter parlare, mi limitai a scuotere la testa. «A parte lanciare sguardi di fuoco a ogni infermiere che gli si avvicinava, ci ha accusato di trattenerlo qui contro la sua volontà. Capito il nostro Alexander?»
Per quanto cercasse di consolarmi, desideravo solo vedere A.C. «Può... può tornare a casa con me?»
Un silenzio pieno di tensione si mise tra noi, poi un deciso, «No, Ty», infranse le mie speranze.
Quel rifiuto mi arrivò come un pugno dritto nello stomaco: sapevo che la decisione di Dan era giusta, e anche di sembrare più un laureando che un medico specializzato, ma il sentimento aveva preso il posto della ragione.
«Perché vuoi trattenerlo? Cosa mi nascondi?» domandai agitato.
«Nulla. Guarda tu stesso, se non mi credi.» Con un movimento veloce mi passò la cartella medica di A.C. «Adesso sei sconvolto, ma so per certo che, se fossi al mio posto, faresti lo stesso: anche se è fuori pericolo, ha ingerito molta acqua e, per diversi secondi, il suo cuore ha smesso di battere. Sai quanto me che potrebbero sorgere complicazioni, e voglio essere certo di evitarle; inoltre penso sia giusto avvisare i suoi genitori, ma ci penso io a questo, ok? Tu cerca di rilassarti un po', non hai una bella cera.»
«È colpa mia» dissi in un sussurro che il mio amico sentì ugualmente.
«Tua? Che stai dicendo?»
Spinto dalla disperazione lasciai cadere i fogli per terra. «A.C. era sotto la mia responsabilità e non mi perdonerò mai per quello che gli è successo! Mai!» gridai in preda allo sconforto.
«Ty, aspetta, fammi parlare...»
«No, Dan! Toccava a me sorvegliarlo e invece l'ho quasi fatto morire! Non posso far finta di nulla... Non lo capisci?!»
L'ultima parola venne interrotta da un singhiozzo scomposto ma Dan replicò: «Quello che capisco è che sei un essere umano: nessuno può pensare di controllare il destino; nemmeno tu. Resta qui, torno tra poco» disse fissandomi coi suoi occhi azzurri e stanchi.
Mi aveva compreso meglio di me stesso. Sfinito da quello sfogo lo guardai attraverso le lacrime, annuendo. Poi, all'improvviso, l'adrenalina che mi aveva tenuto in piedi fin lì scelse di abbandonarmi. Un giramento di testa mi fece portare una mano alla fronte.
«Ehi, stai bene?» Il suo tono allarmato venne inghiottito dal fischio che iniziai a sentire nelle orecchie: sarei di certo caduto per terra, se le mani del mio amico non mi avessero afferrato al volo facendomi sedere. «Tyler!»
«Io...» All'improvviso tanti piccoli puntini neri mi oscurarono la vista, ma Dan mi spinse in avanti per farmi poggiare i gomiti sulle ginocchia.
«Ok, adesso respira... Bravo, così...» Persi il conto di quanto tempo restai in quella posizione ma, piano piano, la realtà riacquistò i suoi colori.
«Meglio?» Annuii. «Tranquillo, era prevedibile che avessi un crollo; ma ora non ti muovere.» Con efficienza, il mio migliore amico si alzò per prendere un bicchiere d'acqua dal dispenser, quindi lo allungò nella mia direzione. «Bevi, avanti.»
Sotto il suo sguardo solerte, ubbidii addentando anche una barretta energizzante che era sbucata dalle sue tasche. Grazie a quelle attenzioni - e anche a qualche Amarelli scartata e masticata al volo - riprendermi e tornare a essere quello di sempre fu più facile del previsto: «Grazie, Dan.»
Una pacca sulla spalla allentò la tensione che avevo dentro e, per la prima volta, mi concessi di rilassarmi. «Era il minimo, a cosa servono gli amici sennò? Alexander è stato fortunato ad averti come medico, non dubitare mai del tuo dono.» Quel commento mi spinse ad osservarlo con rinnovata attenzione: i capelli biondi erano scompigliati, come se vi avesse passato le dita molte volte, e un leggero filo di barba chiara gli accarezzava il volto, solitamente rasato alla perfezione. Furono, però, le profonde occhiaie a farmi capire quanto fosse stanco. Un improvviso senso di colpa mi colpì a tradimento: ero cosciente d'aver perso il controllo – forse per la prima volta nella mia carriera – così come di provare davvero qualcosa d'importante per A.C....
Qualcosa che non ero ancora pronto ad affrontare.
«Scusa se ho dato di matto prima, Dan, sei davvero un amico, ma ora posso... posso vederlo?»
«Certo che sì! Sai che anche lui mi ha chiesto di te?»
Appena la mia mente assorbì quell'informazione, un intenso calore si espanse nel mio petto e ogni altro pensiero scomparve come per magia: «Dici sul serio?»
«Ty, mi conosci e sai che non mento... Mai» specificò serio. «Te la senti di camminare, piuttosto?»
«Assolutamente sì.»
Un'espressione sollevata aveva rischiarato il suo volto, senza però nascondere i segni della stanchezza: «Perfetto, andiamo allora.»
Con Stone che mi zampettava di fianco, lo seguii oltre la porta per prendere l'ascensore e tornare nella vecchia stanza di A.C. Da quando era venuto a stare a casa mia, sembrava essere passata un'eternità, non avevo ricordi di me e Stone senza di lui: se chiudevo gli occhi potevo sentirlo brontolare al mattino appena sveglio, così come ridere delle mie battute, oppure urlare contrariato per cercare di riprendersi un calzino rubato dal ladruncolo del mio cane. Casa Jones non sarebbe stata la stessa senza la sua presenza; che lo volesse o meno ormai era entrato a far parte della mia vita e speravo, con tutto il cuore, che ci restasse il più a lungo possibile.
Alexander C. King non era solo un caso per me, e non lo sarebbe mai stato. Scegliendo di ignorare il battito accelerato, nato dal bisogno di vederlo e accertarmi personalmente che stesse bene, mi fermai alle spalle di Dan.
«A.C. è dall'altra parte della porta; vi lascio soli ma, se hai bisogno, non esitare a chiamarmi.»
Felice di averlo al mio fianco in quel frangente così delicato, lo guardai con gratitudine: «Grazie, Daniel.»
Senza aspettare oltre, affrontai le mie paure e abbassai la maniglia. Finalmente incontrai il volto di A.C.: vederlo con gli occhi chiusi e con addosso il pigiama del “Green” fu uno spiacevole déjà-vu, ma niente avrebbe potuto offuscare la mia gioia nel saperlo sano e salvo.
Il suo «Ciao, Dottore», seppur roco e basso, mi arrivò forte e chiaro.
«Come sai che sono io?»
«Liquirizia?!»
L'ovvietà della risposta, nonostante la serietà dell'incontro, mi strappò un'espressione colpevole.
«Colpito e affondato! Ciao, A.C.»
A quelle parole il ragazzo sdraiato di fronte a me socchiuse le palpebre, permettendo ai nostri occhi di ritrovarsi ancora una volta: sollevati e lucidi i miei, stanchi e cerchiati di scuro i suoi. «Stai bene?» Il fatto di potergli parlare, per me era davvero un miracolo.
«Sì... io... mi hai salvato.»
Spinto dalla necessità di toccarlo, feci due passi nella sua direzione, sedendomi sul bordo del letto. Stone, come a voler palesare la sua felicità, gli salì sulle gambe.
«Se proprio vogliamo essere sinceri, chi ti ha salvato è stato lui.» L'indice si mosse verso Stone che pareva intento a seguire la nostra conversazione, come se davvero capisse tutto e aspettasse solo la prossima battuta. «Appena ha intuito la gravità della situazione, è corso da me per avvisarmi. Guardalo: non vuole starti lontano nemmeno adesso.»
Immediatamente il piccolo peloso si fece strada tra le coperte fino a mettergli una zampina sul petto, leccargli una guancia e fare i soliti due giri prima di accoccolarsi nel suo grembo. Un'occhiata carica di gratitudine passò da me al piccolo cane, mentre le dita tatuate di A.C. grattavano le sue orecchie marroncine. «Grazie, piccolino.» Quel sussurro gli valse l'ennesima leccata sulla mano, ma lui non si spostò; ormai aveva smesso di arrabbiarsi per le dimostrazioni d'affetto di Stone: forse aveva finalmente capito che non sarebbe servito a nulla.
«Dovevi vederlo... Abbaiava come un disperato, tentando di farmi capire che avevi bisogno di me: l'istinto mi diceva di seguirlo, ma poi ha prevalso la paura di peggiorare le cose.»
Uno sguardo consapevole mi trafisse, poi un altro segreto venne rivelato: «Stavo tornando indietro, sai?»
«Indietro?»
Annuì. «Sì, per scusarmi. Non voglio giustificarmi ma, dopo la nostra discussione, mi sono reso conto che... beh... sì, insomma...»
«Di cosa, A.C.? Di cosa ti sei reso conto?»
Con un altro sospiro, fui costretto ad ammettere: «... Di aver esagerato, ecco: non che abbia cambiato idea sul fatto che i tuoi metodi siano alquanto discutibili, ma non sono così idiota da non riconoscere un errore se lo faccio.»
«Io...»
Una mano alzata a mezz'aria mi interruppe. «Ormai dovresti aver capito che, se qualcuno decide per me, reagisco sempre male; è un dato di fatto, così come lo è che la tua musica è orrenda e la mia è bella.»
Le sue scuse mi sorpresero: sapevo quanto fosse orgoglioso e anche quanto gli costasse scusarsi, quindi scelsi di abbozzare con dolcezza, giusto per non creare altri inutili motivi di contrasto: «Ne sei certo?»
«Assolutamente!»
Gli innumerevoli battibecchi nei quali mi aveva coinvolto fin dall'inizio, mi sfilarono davanti agli occhi: mi sembrò incredibile tornare a discutere con lui delle solite cose quando, fino a pochi minuti prima, avevo temuto per la sua vita.
«Ty, sfido chiunque a sopportare quelle vecchie canzoni che tu insisti a voler chiamare “vintage”!»
«Non sviare il discorso; quello che mi preme sapere è perché, se stavi venendo da me, sei finito in piscina: che è successo? Dimmelo, ti prego, ho bisogno di saperlo.»
Un silenzio pieno di tensione calò tra di noi: «È sempre colpa della stessa voce - quella che trae piacere dalla mia sofferenza -, solo che stavolta ha centrato alla perfezione il mio tallone d'Achille.»
Vederlo così, sconfitto e amareggiato in quel letto d'ospedale, mi strinse il cuore. «Dio, A.C.... Ho creduto davvero di perderti questa volta, sono così contento che tu stia bene! Quello che ti è accaduto... non... non mi è mai successo con nessun altro paziente» gli dissi turbato. Travolto dall'agitazione, mi alzai in piedi e, sotto gli sguardi attenti di A.C. e Stone, iniziai a camminare per la stanza; infine mi fermai di nuovo in fondo al letto. «Capirò se... se vorrai...» Provai a finire quella frase con tutto me stesso, ma l'emozione si prese tutte le parole che avrei voluto dire, lasciandomi indifeso e vulnerabile. Raddrizzando le spalle, lo guardai scegliendo la strada della sincerità: «Vedi, Alexander, sono sempre stato fermamente convinto che venire a stare da me ti avrebbe fatto bene, ma poi non ho saputo aiutarti quando ne avevi più bisogno; forse sarebbe meglio se tu...»
«Se io cosa?»
La confusione che trapelò da quella domanda mi spinse a continuare: «Ti capirò se vorrai tornare al “Green” o in qualsiasi altra struttura. Sappi che non mi opporrò in nessun modo se sceglierai di voler terminare la mia terapia e andartene da casa.»
Perché dirlo mi sembrò cento volte peggio che averlo pensato? Perché era come se fossi sul punto di perdere qualcosa di prezioso?
Tutto dentro di me si stava ribellando.
«Andarmene da casa tua?»
«Esatto. Se vorrai tornare qui, io... ti capirò» risposi a fatica, con uno strano nodo in gola e il cuore pesante come piombo.
Dopo un silenzio denso di emozioni, il ragazzo di fronte a me strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche: «Se vuoi sbarazzarti di me, non devi fare altro che dirlo!»
«No, A.C.! Voglio solo che tu sia libero di decidere, ecco tutto.» Ma se era davvero così, allora perché mi sentivo come se gli stessi facendo un torto più che un favore?
«Credi che sia un idiota, per caso? Oppure pensi di potermi rispedire al mittente per toglierti dalle palle il tuo “problema”? Non sono un pacco postale, cazzo!»
Quell'accusa mi colse totalmente alla sprovvista: «Cosa?!»
«Non aspettavi altro che dire: “Alexander, sarebbe meglio che tu tornassi qui in clinica!”, vero?!»
Il suo tono così ferito, unito allo sguardo lucido, fu come una gelida secchiata d'acqua in faccia.
«Smettila di dire cazzate! Sono quasi impazzito là fuori mentre aspettavo di avere tue notizie! Davvero pensi che voglia liberarmi di te? Davvero credi che non m'importi nulla delle tue condizioni?»
Un'occhiata delusa mi trapassò da parte a parte, togliendomi il respiro: «Sì, lo credo.»
La rabbia provocata dalle sue assurde accuse scacciò via ogni traccia di preoccupazione: «Beh, ti sbagli! Non ti ho fatto firmare il consenso per portarti da me e tirarmi indietro al primo problema!»
Un cuscino volò nella mia direzione, colpendomi in pieno: «Ma davvero?!»
Un senso di sconfitta si abbatté su di me, privandomi della mia solita spensieratezza. «Come fai a non capire che lo faccio per te? Che tutto quello che voglio è vederti tornare a camminare? Il tuo benessere è la mia priorità.»
Davanti alla mia resa, finalmente A.C. sembrò calmarsi e ammise: «Sapevo che stavo sbagliando, ma volevo dimostrarti che potevo fare qualcosa da solo.»
«Hai rischiato molto... Ne sei consapevole?»
«Adesso sì, ma prima...» Una lunga pausa che mi guardai bene dall'infrangere, riempì l'aria. «... Sentivo quelle velenose voci in testa che mi dicevano che non valevo abbastanza, che dovevo dimostrarti qualcosa.»
Un brivido freddo mi scese lungo la schiena, accarezzandomi le scapole per infiltrarsi sottopelle. Se solo avessi potuto, pur di non vederlo in quello stato, mi sarei fatto carico di tutte le sue sofferenze, una a una.
«Mentre le ascoltavo mi sembrava che tutto avesse un senso, forse perché l'unica cosa che volevo era la tua attenzione.»
Toccato dalle sue parole, lo guardai con ammirazione: oltre la collera possedeva anche la dolcezza, la malinconia e la fragilità, caratteristiche che solo le anime pure potevano avere; avrei fatto di tutto affinché anche lui ne prendesse coscienza.
«A.C., guardami... per favore.» Come a volermi dare man forte, Stone gli leccò la guancia abbaiando gioioso.
Finalmente il ragazzo che mi aveva sconvolto l'anima abbassò la guardia: «So che può sembrare folle e che ne abbiamo già parlato, ma adesso comincio sul serio ad avere paura, Ty.»
Quella confessione mi fece avvicinare e poi sedermi. «Non voglio giudicarti, solo capire» lo rassicurai, coprendogli le mani chiuse intorno alle lenzuola stropicciate, l'ennesima Amarelli in bocca. «Ma non posso farlo, se non mi racconti tutto.»
Dopo aver preso un profondo respiro, voltò il palmo all'insù per ricambiare la stretta: quel contatto creò altra elettricità nell'aria, ma nulla mi sembrò più giusto. «Sento delle voci, continuamente, ma negli ultimi tempi mi sembrava che fossero diventate un sussurro, non so... Riuscivo quasi a vivere normalmente, a ignorarle... Ma quello che è successo in acqua non riesco a spiegarmelo: quando ero sul fondo, prima di perdere del tutto i sensi, ho intravisto qualcuno sul bordo che rideva. Io morivo e quell'essere rideva.» Del tutto impreparato a quella confessione, socchiusi le labbra per parlare, ma uno scontroso: «Non guardarmi come se fossi pazzo! Quello che ho visto è vero!» ci allontanò di nuovo.
«Non lo faccio» mi difesi con calma, cosciente di camminare sulle sabbie mobili delle sue paure. «Cerco di dare un senso a quello che mi hai appena detto, ma se continui ad attaccarmi non ci riesco! È vero: ci sono stati alti e bassi durante il tuo recupero, ma anche dei significativi miglioramenti a livello psicologico; ero con te quando hai sconfitto i tuoi demoni, cazzo... Com'è possibile che ci sia stata una ricaduta del genere?»
Prima che A.C. potesse chiarire le mille domande che mi avevano invaso la mente, un enigmatico «Tempo al tempo.» emerse tra di noi senza chiedermi il permesso: odiavo gli attimi in cui la voce nella mia testa prendeva il sopravvento sui miei ragionamenti, perché mi impediva di pensare lucidamente; ma nulla mi avrebbe distratto, non quella volta.
«Lascia perdere! Non ha senso parlarne ora.»
«No, non lascio perdere» mi impuntai, stringendo la mascella. «Non stavolta! Sei quasi morto lì dentro!» Anticipando una delle sue solite risposte al vetriolo, le mie braccia, come dotate di vita propria, lo avvolsero in una rassicurante stretta che coinvolse anche Stone. «Ti prego, fidati di me» gli sussurrai all'orecchio, mentre gli accarezzavo la schiena. «Voglio aiutarti sul serio, ma per farlo devo sapere contro cosa mi sto mettendo.»
L'abbaiare festoso del piccolo cagnolino ci strappò un sussulto ma, non appena provai a staccarmi, il ragazzo tra le mie braccia si oppose, stringendomi la felpa.
«Ogni volta che litighiamo le voci diventano più forti, come se non aspettassero altro... Tutto questo è molto più grande di me e non credo di riuscire a farcela ancora per molto; che senso ha lottare, se al primo problema faccio cento passi indietro? A che serve tutta la tua terapia, se basta un sussurro del cazzo per farmi tornare al punto di partenza?!»
«E invece ce la farai perché io non ti lascio: né ora, né mai.»
Un sospettoso tirar su con il naso mi fece capire come A.C. stesse lentamente, ma inesorabilmente, crollando: dopo un'esperienza del genere era del tutto normale farlo, ma finalmente aveva socchiuso la porta della sua anima e mi stava dando il permesso di guardarci attraverso.
«Più le combatti e peggio sarà» gli rivelai, continuando a sfiorargli la schiena nel tentativo di calmarlo. Poi un'idea mi sorrise: «Perché, invece, non provi a rispondere? In fin dei conti non hai nulla da perdere.»
«Rispondere?» mi chiese confuso, mettendomi le mani sul petto per guardarmi stranito.
«Esatto: non ti sei stancato di essere un burattino? Non vuoi riprenderti la tua vita e decidere tu cosa farne? So che potrà sembrarti strano detto da me ma, se vuoi tornare a vivere, devi fare una scelta: controllare le voci o esserne controllato.»
«E sentiamo, Dottore... Che dovrei dire secondo te? Se vogliono sedersi e bere un thè con me? Oppure offrir loro dei biscotti? Non è un gioco» sottolineò teso.
«No, A.C., non lo è, non lo è mai stato. Quello che ti sto dicendo è che puoi provare a lottare, invece di farti spaventare e dargliela vinta ogni volta. Andiamo, hai un carattere che metterebbe in difficoltà anche il Diavolo in persona! E poi non sei solo.»
«Invece lo sono, dentro la mia testa, perché succede sempre ogni volta che tu non ci sei, e questa cosa mi spaventa.»
La consapevolezza di trovarmi davanti a qualcosa di molto forte e imprevedibile mi scosse l'anima, ma ci sarebbe voluto ben altro per farmi desistere.
«Non mi sono mai sentito in questo modo, Ty, nemmeno quando ho scoperto di essere paralizzato: per tanto tempo sono stato pieno di rabbia e rancore verso la vita e i miei genitori, ma non ho mai percepito nessuna paura strisciarmi così sottopelle.»
Nell'ascoltarlo la mia mente iniziò febbrilmente a elaborare dati per trovare una soluzione. «Quello che capisco è che riusciremo a venirne fuori, insieme, in un modo o nell'altro» gli dissi sciogliendo il nostro abbraccio e permettendogli di ritrovare una parvenza di sicurezza.
«Felice che tu ci creda per entrambi perché, ora come ora, vorrei solo svegliarmi da questo maledetto incubo» sussurrò provato. Poi portò gli occhi nei miei e le parole corsero come un fiume in piena, come se le avesse trattenute troppo a lungo: «Perché lo fai? Perché lotti contro i mostri che ho in testa anche se non sai nemmeno cosa sono? Dopotutto, fino a qualche mese fa ero un perfetto sconosciuto per te.»
«Ogni volta che accetto un nuovo caso, mi preparo sul mio paziente, fino a conoscere ogni cosa di lui, fino a farlo diventare parte delle mie giornate; è quello che so fare meglio» gli risposi di getto, passandomi le dita tra le ciocche bionde: aiutare gli altri era sempre stata una vocazione che avevo seguito senza mai oppormi, ma con Alexander avevo superato i miei confini.
«Perché metti la vita di qualcun altro sempre al di sopra della tua? Adesso sono io, con tutto il mio bagaglio di pazzia e voci, ma poi? Chi ci sarà dopo? Un ragazzo cieco? Un soldato reduce da una missione disastrosa? Oppure...»
«A.C....»
«No, cazzo, fammi finire! Non c'è stato un solo, maledetto giorno in cui tu non ci sia stato per me, e non dirmi che è lavoro!»
A quell'ennesima sfuriata sospirai frustrato: «Ma lo è! Puoi farmi capire esattamente quando siamo passati dal parlare tranquillamente a... questo?» chiesi, indicandoci con due dita. «Cerco di starti dietro, davvero, ma a volte non ci riesco. Per cosa sei arrabbiato esattamente stavolta? Voglio la verità, però.»
La mia domanda diretta lo fece sgonfiare come un palloncino: «Credo d'aver paura di essere solo un incarico per te e fa male.»
Quello sfogo mi prese in contropiede, ma accentuò anche i sentimenti che provavo per lui: sentimenti che, prima o poi, avrebbero preteso di far sentire la loro voce. «Non è così, chiaro? Sei molto, molto di più.»
Le mie parole gli provocarono un lampo di sorpresa nello sguardo che poi, lentamente, divenne coraggio: «Ti ho visto in piscina... mentre cercavi di rianimarmi.»
Una pausa imbarazzata mi regalò il tempo di metabolizzare: «Non è possibile... Eri incosciente!» L'occhiata intensa che mi rivolse mandò in frantumi le mie certezze.
«Mi sono ritrovato alle tue spalle; stavo in piedi sulle mie gambe, sai? Dio... È stata una sensazione così straordinaria che il mio unico pensiero era quello di condividerla con te, ma tu eri inginocchiato sul pavimento e sembravi impegnato a fare altro. Io... all'inizio non riuscivo a comprendere come mai tu fossi così disperato, poi ho capito.»
La solita voce nella mia testa tornò a destabilizzarmi: «Tieniti forte, perché scoprirai che esistono cose che nemmeno immagini...»
Il mio mondo tremò.
«Cosa, A.C.? Cosa hai capito?»
Ancora una piccola pausa, mentre i nostri respiri si facevano sempre più veloci, poi un flebile: «Che ero io la persona che stavi soccorrendo. Io quello quasi morto.»
Aveva davvero avuto esperienza di pre-morte?
«Non... non è possibile...»
«Ho anche sentito che dicevi di amarmi, ma di certo devo essermi sbagliato. Non è vero, Tyler?»
Socchiusi le labbra, pronto per rispondergli e ammettere che invece era tutto vero, ma la porta si aprì di scatto: «Stia lontano da nostro figlio!»
Con lo sguardo minaccioso e la mascella serrata, Jason King avanzò nella mia direzione, puntandomi contro il dito; la sua somiglianza con Ares, il Dio della guerra, era impressionante.
Dietro di lui spiccava Merry King che mi guardava con espressione severa.
Non sarebbe finita bene.

L. L. Words

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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