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Autore: Ivana Tomasetti
Storie di confine
Romanzo Storico
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Storie di confine
Le altre vittime di Caporetto.

Il giallo abbagliava gli occhi e saltellava sopra i capelli, lanciava razzi attraverso gli alberi, discendeva sulle foglie, lavava il verde del muschio che tenace lambiva le radici e sollevava il freddo che presto si sarebbe chiamato inverno. Avrebbe addentato il frizzante dell'aria e dato respiro all'azzurro dentro una bella giornata. Avevano munto le capre, lasciando la nonna a bollire il latte e a farne formaggio spezzando la cagliata, mentre loro sarebbero andati a farle pascolare per le ultime volte tra i vapori dell'aria che fermavano i pensieri. Scarponi e maglie coprivano la pelle che restava rintanata nel caldo. Il sole poteva anche essere il sangue che spronava a vivere. Lei doveva farsi forza, pensare a chi c'era e a chi sarebbe dovuto tornare, anche se non se n'era mai andato dai suoi pensieri.
Avevano visto la casa sparire dietro le spalle raccogliendo ricordi ancora vividi. Lui aveva negli occhi il sacco e il berretto, la borraccia che dondolava sul fianco, la moglie gli aveva riempito lo zaino di polenta e di formaggio. Lungo il sentiero il verde si confondeva, lo aveva accompagnato verso il piano, dove gli uomini si sarebbero raccolti e trasformati in soldati, prima di partire. Erano giovani, vigorosi e sorridenti, inconsapevoli del tempo e della guerra.
- Torneremo presto! -
Erano passati anni. Dal fronte poche lettere, poi più nulla, sapere era pretendere troppo. Teneva un'immaginetta della Madonna sopra il letto, a lei parlava ogni sera, chissà se l'ascoltava, non aveva altri appigli. La vecchia madre portava negli occhi la saggezza, ma non conosceva la guerra, se non per sentito dire. Qualcuno era andato in Libia, una terra lontana, ora si trattava della loro patria, l'Italia.
- Cercate di badare alle capre, di coltivare la terra, io ritornerò! -
Ricordava parole senza senso, senza speranza mentre il tempo si dilatava come un elastico. Gli sarebbe scoppiato nelle mani? Di notte e di giorno i cannoneggiamenti invadevano la montagna, scendevano dalle colline, riempivano la pianura sottostante mentre loro cercavano di vivere come se fosse tutto normale. C'era un bambino da proteggere che non osava fare domande, raggruppava nei suoi piedi la gioia di vivere, inconsapevole del pericolo che ogni tanto emergeva dal tuono. Allora capitava che lasciasse il letto e corresse da lei. La nonna non approvava. I bambini vanno fatti crescere indipendenti. La vita si spezzava sotto il passo di scarponi sconosciuti, che valeva ora pensare al domani? Nulla, forse avrebbero potuto viverlo, forse no, la sofferenza era una nuvola di fumo che legava i polmoni. L'elenco dei caduti veniva affisso ogni settimana alla porta della chiesa. Ci si arrivava in subbuglio, se si era fortunati ci si salvava dalla disperazione.
Si fermarono su uno spiazzo dove le capre trovarono ancora erba fresca di rugiada e si sedettero, lei e il figlio. Spuntoni di roccia ricordavano che la montagna era sotto i loro piedi, che si sarebbero dovuti fare molti passi prima di arrivare in alto, soffocando il respiro tra i cespugli e sotto i pesi da portare. Lo scampanellio degli animali era costante e leggero, il cannone lontano, la valle sottostante immersa nell'autunno.
D'improvviso udirono comandi secchi, grida che arrivavano dal sentiero, che salivano a distinguere parole che abbaiavano in un'altra lingua. Non poteva essere, si stava sbagliando, non c'era da temere. Chi poteva azzardarsi fin lassù? Era solo il sussurrio del vento.
Invece si accorse che doveva far presto. Cercò di abbassare lo sguardo per non far correre lo spavento al suo bambino. Il fucile era in casa, erano civili, una madre, un figlio, le capre... Non c'era da aspettare, lo tirò per mano, lasciando le capre al loro destino, ci avrebbe pensato poi. Comprese.
Lo avevano detto. Soldati vaganti razzolavano le strade, requisivano cibo, distruggevano ciò che non potevano trasportare. L'animo dei vinti doveva essere umiliato e distrutto, ma mai Maria avrebbe pensato che si potessero spingere in alto, verso il suo sentiero. Il cascinale si vedeva dalla valle, ma non potevano supporre di trovare qualcosa, poteva essere disabitato, troppo lontano. Non si fermò a palpeggiare i suoi pensieri, agì.
Salde, le mani spinsero verso il ritorno, correndo, correndo, mettendo l'anima dentro il fiato, raccogliendo i passi piccoli del bimbo a fare più pesanti i suoi, mentre udiva le voci che risuonavano alte tra i tronchi, le capre belare intorno ai campanelli impazziti; uno scoppio e si figurò quello che poteva essere successo. Le risate diffondevano l'aria dei padroni, di chi voleva e poteva. Parlavano tra loro e i passi di Maria sembravano già lontani, in vista della casa, si sarebbero chiusi dentro la sua protezione. Ma dietro, le divise. I fucili spianati, gli sguardi violenti.
- Alt! Alt o spariamo! -
L'accento tedesco. Luciano si mise a piangere, soffiando l'aria che doveva restare nei polmoni. La corsa, lo spavento gli avevano fatto comprendere che non era un gioco. Il rumore delle parole entrava nelle orecchie a far muti i pensieri. Maria si voltò, pronta a difendere. Spinse Luciano dietro la gonna, il bastone perso tra i cespugli, ma tanto che ne avrebbe fatto? Si fermò come era stato comandato. Sentì il mento che tremava, parole che non conosceva. Si avvicinavano. Non erano uomini, soldati. Guardarono le sue vesti, guardarono il bambino. Con il calcio del fucile cercarono di scostarlo da lei, mentre si tenevano fissi e forti dentro una stretta che non poteva essere spezzata, bianche le nocche, il braccio teso.
- Non abbiamo niente, solo le capre! Questo è mio figlio ha solo cinque anni! Abbiate pietà. -
La loro puzza diceva che non avrebbero ascoltato, non avrebbero capito, volevano far male. Strattonarono il figlio. Urla disperate invasero le foglie, fecero stormire gli alberi, arrivarono al casolare in fondo al sentiero.
Una figura nera aprì la porta, una gonna che avrebbe spazzato in terra, correva verso di loro ignara e improvvida. Un cane abbaiava davanti a lei. Mostrava denti bianchi e aguzzi verso gli estranei, conosceva l'aria dei fucili, l'odore delle divise. Questo non se lo aspettavano. Fu un attimo di sospensione, il bersaglio era in movimento. Ma un cane non andava a zig zag. Un colpo e stramazzò sulle foglie, sulla terra umida, di lacrime, di sangue. La fortuna non era dalla loro parte. I soldati presero a sghignazzare! Un tiro al bersaglio.
- Zwei! Zwei! Wer beginnt? - 1 1 Due! Due! Chi comincia?
Segnavano l'anziana che voleva far qualcosa, che non restava inerte davanti alla figlia, al nipote.
- Uccidete me, se volete, lasciate mia figlia, mio nipote, non hanno fatto nulla, venite, vi diamo da mangiare! -
Fece segno, ma nessuno comprese, o volle comprendere, la paura inchiodò il corpo di Maria trattenuta fuori dal figlio, gli strilli, le grida, le parole, aiuto a Dio che non udiva, i fucili spianati, erano tre. Uno a puntare il bambino e la nonna, gli altri due intorno a Maria. Non fece a tempo a chiedersi perché il gruppo si fosse incamminato su per il sentiero. Due donne sole con tanta roba da mangiare? Era tardi. I minuti le sbarrarono la vista, fece per voltarsi, strattonarsi, sfuggire alle mani ingorde. L'abito si spaccò tra le risate. Sentì la violenza sopra di lei giù, giù la costringevano a terra, uno sopra le spalle, l'altro in ginocchio a tener ferme le gambe. I fucili sul terreno a tiro di vista. L'uomo che agiva strappò la biancheria e la fece volare sopra i cespugli, gli occhi voraci, il sorriso beffardo. Aprì i pantaloni, mostrando la sua arma di violenza, gridando, cantando canzoni da taverna, il vino ancora dentro le vene.
Maria sentì il dolore arrivare come una fitta, diramarsi in ogni angolo di ribrezzo, salire alla gola, chiudersi improvviso nel buio senza echi; i soldati trovarono spasso nel constatare che la donna era svenuta, la sua resistenza era finita, forse non era così divertente, ormai era fatta. Gli altri non le si accostarono. Il terrore negli occhi fissi di un figlio, lo sfregio di una madre, li fermarono.
La nonna non poté assistere impunemente a ciò che la figlia aveva subito per il gioco del nemico.
- Cani, maiali! Lasciate stare mia figlia! -
Il tono diventò fuori controllo. Allora parole italiane ballonzolarono sulle labbra dello stupratore.
- Tra poco tocca a te! -
- Vergognatevi! Blasfemi! -
Fece due passi di slancio, la canna del fucile troppo vicina, puntò il suo petto, fredda e intollerante. La paura divenne il rimbombo di uno sparo. La donna si accasciò presso il cane senza un lamento e non si rialzò più.
Le grida di Luciano salirono altissime, il fremito gli avvolse i piedi, a battere e a saltare, ma la presa ferma non lo mollò; la morte non disturbò il soldato, che godeva della sua forza, trasformata in divertimento, guardando con superiorità i compagni che non ne avevano preso parte. Si aggiustava i pantaloni e lo sguardo altrove, sulla casa e le sue vittime.
Maria socchiuse appena gli occhi. Voltando la testa vide suo figlio, vivo, vide sua madre, inerte e il fiato le rimase dentro i polmoni, mentre il cuore batteva fuori controllo. Aprì la bocca, la presa alle gambe era cessata, i soldati parlavano nella loro lingua piena di asperità. Non era lei, era un'altra, quel corpo non le apparteneva, non riusciva a muoverlo, pieno di sperma, di dolore, di sangue, di violenza, di umiliazione. Cominciò a tremare sentendo la terra del sentiero aggrapparsi alla pelle, alle ferite che portava nella carne. Gli occhi di un bambino non avrebbero sopportato, se fosse rimasta viva, almeno... Rimase ferma chiuse gli occhi a rendere lo svenimento più lungo.
Gli assassini, dopo l'ultimo sparo, usavano parole forti e arrabbiate: uno rimproverò l'altro, ora sembravano litigare, uno alzava la voce. Lei percepì la fretta, gli scoppi potevano essere stati uditi, diffusi nella valle, rimbalzati fino al villaggio. Avevano perso tempo a divertirsi. Senza altre parole raggrupparono zaini, lasciarono lo scempio di anime e di corpi che avevano provocato.
Le lacrime di Luciano furono tra le sue braccia contro il suo petto e lei cercò di mettersi seduta, ricomponendo i vestiti macchiati di sangue e stettero così senza muoversi a digerire la paura e il dolore, finché furono sicuri che nessuno poteva passare ancora di lì, a pretendere. Li aveva visti salire verso il monte, avrebbero potuto tornare indietro o scollinare oltre il passo a trovare l'altra vallata. Era forse una pattuglia in perlustrazione. Doveva stringere il suo piccino, così, sporca com'era. Bagnarono insieme le guance, appannando di sofferenza la vista. La nonna, il cane, lei stessa, come avrebbe potuto dimenticare, riprendere il cammino? Meglio forse aveva fatto sua madre, scampando a una violenza che non risparmiava la vecchiaia. Soldati torturatori, donne prede di guerra. Gli occhi di suo figlio avevano visto tutto questo. Avrebbe dovuto fare anche lei come sua madre? Meglio che fossero morti tutti. Adocchiava la strada e pensava a come riprendere le forze, alzarsi, camminare. Intanto il pensiero lavorava. Non si doveva sapere, lei non aveva visto alcun uomo, nessuno aveva sentito, nessuno era passato di lì, solo suo figlio, però... si sa che gli occhi dell'innocenza non mentono, ma poteva essere stato un incubo, non doveva, non si poteva... infangare il suo onore, una madre di famiglia, timorata di Dio. Cancellare, cancellare il ricordo, lavare il disonore che aveva macchiato col suo sangue, quello che aveva lasciato sul muschio del bosco, non era successo! Non aveva fatto in tempo a vederne le facce, era diventata parte di una bravata da raccontare per risate sprezzanti, loro, che avevano vinto, che invadevano la terra italiana senza voce, indegna di rispetto.
La vittima che il giudizio avrebbe condannato era meglio tacesse, perché l'affronto venisse dimenticato. Cancellare, cancellare. Solo i colori dei castagni avevano visto, il vento avrebbe disperso il suo dolore, la sua rabbia, i fiori avrebbero provato a rinascere sopra le macchie nascoste tra gli ultimi ricci. Sua madre poteva essere morta per qualsiasi ragione, lo avrebbe confessato solo al prete. Ma non ora, l'avrebbe rivestita dell'abito che aveva nell'armadio, aggiustati le foglie e i rami profumati di vita intorno al suo ultimo letto. Girò intorno lo sguardo a trovare brandelli di stoffa, la biancheria che le avevano strappato, baciare il suo bambino... Doveva pensare in fretta.

Ivana Tomasetti

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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