Arriva nella collana Fuorionda una storia meravigliosa, “Nitocris”, pensata e scritta da Antonio Cuccurullo, bra-vo narratore, preciso, capace e caparbio. Mi sorprende la sua lucidità del dettaglio, mi colpisce la metodologia cor-retta dell'esposizione, mi esalta il volume della storia, che non stanca ma, pagina dopo pagina, incuriosisce e cattu-ra, affinché si desideri non finisca mai. L'Autore utilizza la tecnica che io chiamo “dell'uomo”, ovvero una manie-ra che giunge dritta al cuore e prende, fomenta la voglia di divorare le pagine, le intriga, le rende sempre nuove. Non c'è pesantezza, nessun calo d'attenzione come ac-cade spesso nei romanzi di questo genere, eppure il tessu-to degli accadimenti è incentrato in documentazioni sto-riche, probabilmente vicine alla verità, ispirate a qualcosa di simile accaduto e sperimentato o dall'Autore stesso o da qualcuno che lo abbia messo a parte del racconto. Ne esce un sano e ottimo libro che dà vita a Paolo, un ar-cheologo che decide di uscire dai confini nazionali per prendere parte a una missione in Africa, sulle tracce di una regina cancellata dagli storici, Nitocris, appunto, morta più di 4000 anni fa. Paolo è il protagonista che conduce tutte le vicende, ma non vuole sgomitare, anzi, fa luce sugli altri personaggi rendendoli fondamentali, ognuno col proprio carattere, le debolezze, i punti di forza, gli umori, ecc. La trama è in-centrata sulla vita quotidiana delle ricerche, dell'organizzazione, degli incidenti di percorso, della convivialità dopo il lavoro e della fatica che ne conse-guono. Restare lontani da casa per mesi, costringe i membri della spedizione a fare amicizia e qui scattano i valori che l'Autore ha deciso di far risaltare, e lo fa in modo dolce, molto umano, rendendo la storia ancora più bella: in un mondo come il nostro, in cui l'egoismo la fa da padrone e tutto gira unicamente attorno al potere, egli riesce a ritagliare uno spazio in cui si lavora, si discute, ci si confronta e ci si unisce sempre di più. Sembra una sto-ria moderna dentro a un'altra lontana, tale l'effetto, che induce il lettore a farne un confronto. Come si lavora og-gi, in tutti i settori, nella nostra Europa, o in America, in tutti quei Paesi industrializzati e monopolizzati dall'imperativo “tutto e subito”? Ci si conosce a malape-na, si parla poco, in famiglia esistono i pc e i televisori su cui posare gli occhi, in poche parole si è sempre più soli. Così quelle terre con tradizioni differenti, poco moder-nizzate, ancora attaccate alla forza dell'unione fra le gen-ti, permettono alla trama di avvincere, perché ogni com-ponente ha qualcosa da raccontare, senza perdere mai di vista il motivo del viaggio che è inerente all'arricchimento culturale delle università di tutto il mondo, alla conoscenza del passato, importantissima per l'essere umano. È Paolo alla guida, ma determinanti sono anche gli altri, le due donne giovani presenti, gli altri uo-mini occidentali e quelli del posto, nonché l'arrivo di Ha-zika, una donna dalla pelle scura, bellissima e ingenua, costretta a rubare il cibo all'albergo dove alloggiano i ri-cercatori per nutrire la madre e il fratello. Nella trama si interseca la storia di questa giovane, che seppur semplice e molto ancorata alla sua religione, non è affatto stupida, ha avuto modo di studiare, ma la vita l'ha messa nelle condizioni di fuggire e ritrovarsi in povertà. Un romanzo idealista, di sicuro, ma dentro le righe na-sconde un invito: siamo tutti esseri umani e facciamo parte dello stesso pianeta, anche se viviamo in dimensio-ni lontanissime, ci facciamo la guerra, conosciamo l'odio, il razzismo, le lotte per la politica e per il potere. Credo che Cuccurullo voglia insegnarci proprio questo e riesce perfettamente nel suo intento. Le vicissitudini che tro-viamo nel libro lo dimostrano, oggi dovremmo ricomin-ciare a considerare le persone singolarmente, capirle, ac-cettarle e amarle per quello che sono. Abbiamo la possi-bilità di comunicare, di conoscere nuove lingue, nuove tradizioni, culture e religioni, abitudini svariate, anche alimentari, suoni, culti e via dicendo. Insomma, questo mondo è grande e piccolo al tempo stesso, donandoci a vicenda la storia, quel che è passato prima di noi, i motivi per esempio delle credenze orientali, islamiche, ecc., for-se potremmo comprendere e aiutare chi vive diversamen-te da noi a farci comprendere, spazzando via le ingiusti-zie che vedono, ad esempio, le donne sottomesse, ancora punibili per adulterio o destinate spose dalle famiglie. La figura di Hazika tra le donne italiane della spedizione sa-rà fondamentale, così come l'apertura mentale di Paolo, con tutti i suoi studi a Pisa, il suo pensiero pulito, gene-roso e determinato. Vedremo questa umanità fondersi in maniera tenerissima e apprezzeremo i ritrovamenti di tombe preziose, che tra i loro anfratti contengono tanta storia da tramandare agli istituti mondiali di studio, per i giovani di oggi e di domani. Silvia Denti Preparativi per la partenza Percorrevo a grandi passi le sale vuote della facoltà di Archeologia di Pisa, mancavano solo dieci minuti al col-loquio ufficiale per un progetto di scavo con Giovanni Maria Tornesi, il Rettore dell'università di cui ero ricerca-tore; coadiuvato dal professore Ahmed Abdallah, giunto da Torino per portare avanti il progetto, e tutto il gruppo pisano di ricerca. Benché fossi un egittologo di fama mondiale, avevo costruito il mio curriculum sui libri e sui reperti provenienti dagli scavi effettuati da altri studiosi. L'esperienza sul campo l'avevo maturata partecipando a molte campagne di scavi in Italia, prima da assistente e poi da capospedizione. Anche in questo caso specifico, non ero intenzionato a viaggiare, infatti, il progetto che mi aveva fagocitato era partito dai miei collaboratori, progressivamente mi ero trovato sempre più avviluppato, fino ad arrivare al punto di non sapere più come mi ci fossi trovato dentro. Nonostante non fossi per nulla en-tusiasta di andare a scavare all'estero, ero lo stesso impa-ziente di partire, ero giunto alla conclusione che final-mente avrei potuto misurare sul campo le mie capacità. Il tempo trascorreva inesorabilmente, riflettei che nell'intero periodo che avevamo trascorso lavorando alla stesura della prima bozza tutti i membri del gruppo erano sempre stati più precisi di un cronometro svizzero, ma di loro non si vedeva nemmeno l'ombra. Nonostante dodici anni impiegati tra studio e spedizioni, soffrivo di ansia da prestazione, dopo aver fatto di tutto per restare al sicuro tra i confini del mio paese, mi ero ritrovato in un ruolo tutto nuovo, quello di responsabile degli scavi in Egitto. Per farmi coraggio mi ripetevo che, se non si posseggono le capacità, non si arriva prima dei quarant'anni al top della carriera; Marcello Tagliaferri, il docente ora in pen-sione, a cui avevo fatto da assistente per undici anni e che aveva caldeggiato la mia nomina, soleva dirmi: “Tu hai nella testa la sabbia del deserto, il fatto che ti chiami Paolo Guarino e vieni da Napoli non è vincolante, c'è solo bisogno che tu smetta di fare l'eterno indeciso e te ne convinca”. Un modo tutto suo per dirmi che la dovevo finire di nascondermi dietro l'enorme mole di carte, che avevano prodotto gli studi degli altri, e metterci la faccia. Quando giunsi in vi-sta della segreteria non c'era nessuno, bestemmiai perché ormai mancavano solo pochi minuti all'appuntamento, fortunatamente, il Rettore non era ancora arrivato, la ve-trata era ancora chiusa. Mi sedetti sulla prima poltrona che trovai. Dovetti sforzarmi di mettere in atto tutte le tecniche che conoscevo per mantenermi calmo. Nono-stante avessi in mano la cartella con la bozza che dovevo presentare, non l'aprii, ripassai a mente tutti gli eventi che mi avevano costretto a fare il grande passo, quello di organizzare una spedizione in Egitto. Ritornai con la memoria a sei mesi prima, tutto era nato per caso. Sasha Gregorieff, un mio allievo con poca voglia di impegnarsi a un nuovo lavoro, si era messo a rovistare tra le tesi di laurea pre-sentate dal 1958 al 1988, sperava di trovare qualcosa caduto nel dimenticatoio, già bell'è pronto da presentare come un suo lavoro, non solo l'aveva confidato a me che avrei dovuto essere il suo rela-tore, ma lo sapevano tutti i suoi compagni di corso. In quelle con-temporaneità che solo il caso può combinare, aveva trovato una documentazione molto interessante risalente ai primi anni del mil-lenovecento settanta, il fatto che aveva attirato la sua attenzione era singolare, lo studente che l'aveva depositata, probabilmente, non si era nemmeno laureato nella nostra università. Sasha aveva trovato la tesi perfetta, siccome non era stata dibattuta, chiunque poteva tranquillamente appropriarsene e discuterla in sede di esame. La cosa che lo convinse fu che lo studente aveva consegnato la tesi in modo anonimo, di certo il docente di riferimento, confi-dando nell'attendibilità del suo allievo, non se n'era accorto e l'aveva messa agli atti. Quando la segreteria era stata informa-tizzata, si cercò di rimediare, ma il docente, citato come relatore, era morto qualche anno prima e non era stato possibile risalire all'autore del lavoro, il tecnico incaricato, invece di toglierlo dalle tesi di laurea, gli attribuì un codice alfanumerico e l'archiviò lo stesso. Sasha s'impossessò del documento cartaceo e con esso sparì l'unica testimonianza per risalire al laureando. Questa scomparsa attirò l'interesse del mio assistente, Giacomo Vastano, che dopo aver visionato la copia digitale la trovò interessante, e la portò all'attenzione del gruppo di lavoro che presiedevo. Di solito una simile scoperta non avrebbe smosso nessun culo dalle poltrone, ma a causa della pandemia era tutto bloccato, per questo motivo nei due mesi successivi al ritrovamento, tutto il mio staff, ma soprat-tutto i neolaureati che ambivano a un dottorato stanchi di stare con le mani in mano, si misero a lavorare sulla copia digitale. Lo studio si trascinava tra alti e bassi, anche perché di materiale sull'argomento ne avevano trovato pochissimo.
Antonio Cuccurullo
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