Penitenziario centrale della Virginia, Stati Uniti. Adam Nelson sorride mentre attraversa il lungo corridoio della prigione immerso nella penombra. Le lampadine, in fondo al corridoio, emettono un ronzio intermittente, creando un'alternanza di luci e ombre. Rinchiuso tra quelle mura fredde, Adam si sente come un'anima persa davanti alle porte dell'inferno, in attesa che esse si aprano di fronte a lui per finire poi inghiottito dalle fiamme del peccato e della dannazione. Esattamente tra due mesi sarebbe finito all'inferno, seduto su una sedia elettrica in attesa che qualcuno, rispondendo a un ordine, attivasse un interruttore per arrostire il suo cervello. Adam sa di avere un'altra occasione, e la sua vita non può ancora concludersi, perlomeno qui dentro. No! Non sarebbe morto così. Ora deve fuggire e mettere in pratica il suo piano da lungo tempo progettato e poi, se proprio le cose fossero degenerate, avrebbe lottato fino alla fine. Ma questo non bastava. Lui aveva dei conti in sospeso da saldare con l'agente Chris Johnson. È consapevole di averlo continuamente provocato, e dentro di sé ammette di aver fatto un grosso errore sottovalutandolo, strappandogli tutto ciò che aveva di più caro al mondo: sua figlia. È stato molto pericoloso, ma ne era valsa la pena. L'agente Johnson, con quell'aria da duro e quella spietatezza che lo aveva a lungo affascinato, era diventato la sua ossessione. Ma aveva capito che in fondo loro due non erano poi tanto diversi. Anche se Chris non l'aveva mai ammesso di fronte a lui, Adam è convinto che tra loro c'è un forte legame che li unisce. Toccando le corde giuste, Adam avrebbe fatto emergere il suo lato oscuro che a tutti i costi Chris cercava di nascondere dietro alla sua arroganza da sbirro. I suoi passi riecheggiano nella semioscurità. Adam indossa un'uniforme grigia e un cappellino nero calato sulla testa. Lungo il suo percorso sbuca un'ombra: una guardia che, fischiettando, si dirige nella sua direzione. - Buonasera - lo saluta passandogli accanto. Adam in risposta alza la mano sinistra. Accanto a lui c'è una porta. Con una leggera spallata spinge la maniglia per poi attraversare un altro corridoio dove, in lontananza, scorge due guardie chiacchierare allegramente tra loro. Mantieni la calma, dice Adam a sé stesso, mentre con passi lenti attraversa il corridoio. Ma la fortuna questa sera è dalla sua parte: le due guardie abbandonano il corridoio per dirigersi verso il gabbiotto accanto. Adam, arrivato davanti all'ascensore, preme un tasto e attende. Le porte si aprono e, una volta all'interno, preme il tasto per raggiungere il parcheggio sotterraneo. Tra poco sarò un uomo libero! Quando era in cella, non era stato particolarmente difficile attirare l'attenzione delle guardie e ucciderle. Aveva finto dei malori allo stomaco, così, dopo qualche secondo, due guardie erano entrate nella sua cella per ammanettarlo e condurlo in infermeria. Solo che loro non avevano notato che tra le mani Adam impugnava un corto filo metallico appuntito alle estremità, che aveva ricavato dalle molle del suo letto. Con un rapido movimento del braccio, aveva tagliato la gola a una guardia neutralizzando, subito dopo, l'altra sbattendogli ripetutamente la testa sul muro. Una volta concluso, aveva preso la sua divisa e l'aveva indossata. L'ascensore improvvisamente si ferma. Le porte si aprono e una giovane guardia con la testa rasata entra nell'ascensore. Adam, con la coda dell'occhio, vede una pistola sporgere dalla fondina aggangiata ai pantaloni della guardia. La tentazione di estrargliela e ucciderlo lì è forte. Adam allunga lentamente il braccio, ma poi la guardia si gira verso di lui, sbuffando. - Dopo una giornata in questo girone dell'inferno non vedi l'ora di tornare a casa dalla tua famiglia. Quei pazzi rinchiusi qui dentro, cerrcano di succhiarti ogni giorno tutto quello che hai di buono. Non è così? - chiede la guardia osservandolo. Adam evita il contatto visivo fingendo di essere sovrapensiero e, fissando il pavimento, risponde: - Sì, hai ragione. Questo posto è davvero un inferno, e anche io ogni giorno non vedo l'ora di uscire da qui. - La guardia ora lo osserva con attenzione e sul suo viso si dipinge un'esclamazione di sorpresa. Dannazione, mi ha riconosciuto! pensa Adam con rabbia. La guardia dirige rapidamente la sua mano verso la fondina ma Adam, con un rapido movimento del polso, gli affonda la punta del filo metallico nella gola facendogli fuoriuscire un geyser di sangue. La guardia va a sbattere sulla parete dell'ascensore, e mentre crolla a terra fissa il suo assassino con gli occhi sgranati dal terrore, annegando nel proprio sangue. Adam abbassa lo sguardo e fa una smorfia. Il brusco movimento gli ha provocato un lieve fastidio alla vecchia ferita che si era procurato in passato mentre giocava con la sua ultima vittima. Lentamente si inginocchia e sfila la pistola dalla fondina agganciata al pantalone della guardia. Le porte dell'ascensore si aprono. Albert Howard, seduto alla sua scrivania nel gabbiotto di sorveglianza, dà un altro sorso al suo caffè. Sul suo viso si dipinge una smorfia. Perché fa così schifo questo caffè?! pensa irritato. Poi prende le sue cose e si dirige verso la porta. In fondo al corridoio vede dirigersi verso di lui il collega pronto a sostituirlo. - Ti ho lasciato delle cialde sulla scrivania, se ti piace bere questa merda - dice Albert con una smorfia di disgusto sul viso. - Con tutte le tasse che paghiamo noi cittadini, potrebbero procurarci almeno un caffè decente. Ah, hai visto per caso George? Ho provato a chiamarlo ma non risponde. - - Ora vado a dare un'occhiata nell'ala ovest. Molto probabilmente è lì a provarci con quella nuova. - - Come biasimarlo? Quella è una figa stratosferica. - - Eh, se non fossi sposato e fossi un po' più giovane, c'avrei provato anch'io... - dice Albert toccando la fede al dito. - Sì, certo, come no. Dai, smamma! - dice il collega sorridendo e dandogli una pacca sulla spalla. Albert, ogni volta che smonta dal suo turno, per abitudine, si fa un giro per le celle per assicurarsi che sia tutto in ordine. Albert, fischiettando, attraversa il corridoio. Il ronzio delle luci persiste ancora, nonostante pochi giorni fa un tecnico le aveva sostituite. Ladri maledetti! Vogliono solo fregare soldi allo Stato, pensa Albert con rabbia. Dalle celle, su entrambi i lati del corridoio, i prigionieri lo insultano osservandolo con odio. In questa ala del carcere sono detenuti i criminali più pericolosi della contea. Tra lui e serial killer, pedofili e terroristi li separa solo una cella di metallo, pensa Albert con un brivido mentre attraversa il corridoio. In lontananza, per un istante, la lieve luce illumina qualcosa di strano vicino a una cella. Albert pensa di esserselo solamente immaginato, grazie agli effetti della stanchezza provocata dai lunghi turni. Ma avvicinandosi si rende conto che qualcosa di insolito esiste davvero: un liquido scarlatto fuoriesce dalle sbarre, macchiando il pavimento. All'interno della cella ci sono due guardie. Sono entrambe distese a terra in un lago di sangue. Oddio! Albert prende la trasmittente e urla: - Codice 53! Serve immediatamente aiuto! - Poesie di sangue Filadelfia, Pennsylvania Chris Johnson, seduto sul letto, osserva l'oggetto di morte nero, freddo e metallico che ha tra le mani. Copiose lacrime attraversano il suo viso. Fa un respiro profondo, chiude gli occhi e si punta la pistola alla tempia. È da giorni che ci prova. Basta solo una leggera pressione e tutto sarà finito. Fallo! Ora! Il dito sul grilletto esita, accarezzandolo, senza compiere l'ultimo e fatale movimento. Chris stringe gli occhi, urla e allontana la pistola da sé, lanciandola lontano da qualche parte. Poi il suo sguardo si dirige verso la sveglia. Le cinque del mattino. Suona il telefono. Ma chi diavolo chiama a quest'ora? Deve essere successo qualcosa. Chris non si muove dal letto, perso nei suoi pensieri. Il cellulare smette di suonare. Con un sospiro scende dal letto e raggiunge la sedia dove sopra sono posti i suoi vestiti, e dalla tasca dei jeans prende un Iphone. Una notifica lo avvisa che la batteria è quasi scarica. Imprecando fa il giro nella stanza alla ricerca del caricabatteria, e dopo aver girato per tutta la camera da letto, lo trova vicino alla scrivania e lo collega all'alimentatore. Poi dal comodino prende il telecomando e accende la tv. Chris rimane paralizzato alla vista delle immagini sullo schermo. Una telecamera riprende dall'alto il carcere di massima sicurezza della Virginia. In basso appare una scritta: ADAM NELSON, SPIETATO ASSASSINO, EVASO DAL CARCERE DI MASSIMA SICUREZZA. - ...abbiamo appena ricevuto la conferma della morte di tre guardie durante l'evasione di uno dei più pericolosi e spietati serial killer... - dice il giornalista alla tv. Chris, ipnotizzato davanti alla tv, cambia canale ritrovando le stesse immagini ovunque. - ...Nelson fu condannato nel 2006 per l'omicidio di sei donne... - Il cellulare riprende a suonare. - Pronto? - - Chris, sono Leonard Jackson, il direttore dell'FBI. - - Come posso esserle utile, direttore? - - Hai visto il notiziario? Adam stanotte è evaso di prigione. Devi venire qui in Virginia. Abbiamo bisogno del tuo aiuto. - Chris fa un sospiro: - Direttore, come ben sa, ora non sono più un agente... - - Lo so benissimo e conosco il tuo burrascoso passato con l'FBI, ma tu hai catturato Adam Nelson e lo conosci meglio di tutti noi. In questo momento stanno collaborando i nostri migliori uomini. Collabora con loro. Il tuo aiuto è indispensabile, Chris. Quel figlio di puttana non può stare in giro nemmeno per un minuto. Dobbiamo assolutamente trovarlo! - - Va bene... - dice Chris cupo, chiudendo la conversazione. Si dirige in bagno e apre il getto dell'acqua calda. Appoggia entrambe le mani alla parete e chiude gli occhi. Le sue lacrime si perdono, mischiandosi in quell'immensa quantità di acqua che scorre ora nel suo corpo. I fantasmi del suo passato ora emergono intorno a lui. Adam Nelson gli ha strappato ciò che aveva di più caro al mondo: Nicole, la sua bambina. Nicole aveva frequentato il college dove Adam insegnava letteratura. Il giorno del suo arresto, Chris, in un impeto di rabbia, l'aveva riempito di pugni fino a quando si era sentito tirare lontano da lui. Adam, disteso a terra, lo aveva osservato con un sorriso e aveva detto una frase. Ora non sono più solo. Quella frase aveva fatto rabbrividire Chris, alimentando i suoi quotidiani incubi. Se quel giorno il suo amico Michael non l'avesse fermato, Chris lo avrebbe ucciso. “Chris, tu non sei come lui. Non lasciarti trascinare!” aveva detto Michael Pearson allontanandolo da lui. Dopo la morte di sua figlia Nicole, Chris non è più lo stesso. Qualcosa dentro di lui si era spezzata, lasciandosi condurre dalla rabbia e dall'odio. Aver sbattuto dentro Adam avrebbe dovuto suscitare in Chris una specie di calma e rassegnazione, e voltare finalmente pagina. Invece, tutto era finito nell'oblio più nero, e Chris aveva cercato di tenere a bada i suoi sensi di colpa, annegandoli nell'alcol. Ora l'FBI lo vuole di nuovo tra le sue fila. Chris aveva chiuso con questa vita. Ma per colpa di un crudele scherzo del destino, la vecchia ferita che lo aveva quasi distrutto si è riaperta di nuovo. Chris spegne il getto dell'acqua e inizia a vestirsi. Richmond, Virginia Erika Brown osserva nervosamente la chiave che ha in mano. Dannazione, ho sbagliato di nuovo chiave! pensa frustrata. Da poco aveva cambiato la serratura della porta. Una maledetta sera i ladri si erano introdotti a casa sua rubandole tutto l'oro di sua nonna, che custodiva gelosamente all'interno di una vecchia scatoletta. Erika, per non perdere la chiave durante l'ora di jogging che fa ogni mattina, aveva preso la pessima abitudine di nasconderla sotto lo zerbino davanti alla porta d'ingresso. Quella zona, le avevano assicurato quelli dell'agenzia immobiliare, non era frequentata dai ladri. Ma si era subito ricreduta a sue spese. Stamattina, andando di fretta, al posto di prendere la chiave di casa, aveva preso la chiave dell'auto. Ma come ho fatto ad essere così sbadata?! pensa, osservando la chiave sbagliata tra le mani. Ora deve chiamare sua sorella che abita a un isolato da qui, facendosi portare la sua copia. Mentre digita il numero di sua sorella, sente in lontananza il suono delle sirene. Una volante della polizia parcheggia davanti al vialetto di casa sua e due uomini scendono dall'auto per dirigersi verso di lei. - Erika Brown? - chiede l'agente dalla carnagione scura mostrandole il distintivo. Dietro di lui, il suo partner, dalla carnagione bianca, si guarda intorno come a mascherare l'imbarazzo che prova dinanzi a lei. Erika, tutte le volte che va a correre, indossa una tuta aderente che mette in risalto le curve modellate da ore di palestra e jogging, che sfoggia fiera. Erika è consapevole di creare quell'effetto sugli uomini. La sua dialettica e, soprattutto, la sua bellezza, le aveva permesso di fare carriera velocemente come insegnante. Ma la sua vita sentimentale, invece, continua ad essere un vero disastro. Ogni volta che conosceva un uomo non arrivava mai oltre il primo appuntamento e, nel migliore dei casi, esso terminava solo con del buon sesso, una sigaretta e un arrivederci. Se poi le cose andavano oltre, prevaleva un suo grande difetto: la logorrea, che suscitava al partner un forte desiderio a fuggire. L'agente di colore la osserva con sguardo duro e severo, indifferente al suo fascino. Avvicinando il distintivo verso di lei, si presenta con tono forte e autoritario. - Agente Novak, polizia di Richmond. - Erika osserva preoccupata quei due agenti piombati improvvisamente sul viale di casa sua. - Che succede? - chiede preoccupata. - Siamo venuti qui per conto dell'ufficio dello sceriffo. - - Ok, ma cosa è successo? - - Signorina Brown, Adam Nelson stanotte è evaso di prigione. - Erika, bianca in volto, si appoggia alla porta. Un brivido le scuote tutto il corpo. No, non può essere vero... Dei ricordi all'improvviso le sopraggiungono, bloccandola lì sul porticato. Era il 2006: quel giorno lei era in tribunale a testimoniare contro Adam, spiegando davanti al suo avvocato e al magistrato di quanto Adam avesse abusato di lei la sera che l'aveva rinchiusa in quel maledetto garage. Adam, quella sera, dopo averla legata su un vecchio lettino, aveva giocato col coltello sul suo corpo, graffiandole delicatamente la pelle con la punta e leccando il sangue che, velocemente, usciva dalla piccola ferita. Erika aveva urlato con tutte le sue forze attirando l'attenzione del vicinato, che aveva subito chiamato la polizia. Erika non avrebbe mai più dimenticato gli occhi freddi e attenti di Adam quel giorno in tribunale. Quegli occhi cupi e freddi che la osservavano con estrema attenzione mentre ascoltava le sue parole, come se non fosse lui l'artefice del suo dolore, ma solo un ammirato spettatore. Una volta arrivata sua sorella Lynda con la chiave, Erika, imbarazzata, spiega subito la situazione agli agenti. Poi, una volta all'interno della casa, Lynda la osserva con occhi spalancati dalla preoccupazione, mangiandosi un'unghia dal nervosismo. Erika la ringrazia dicendole di non preoccuparsi e che gli agenti sono arrivati solo per farle alcune domande. Non vuole preoccuparla inutilmente. Molto probabilmente Adam sarà impegnato a fuggire dalla polizia, piuttosto che venire qui e completare il lavoro di quella notte. Dopo averla rassicurata che non c'è nulla di cui preoccuparsi, con un sorriso triste la saluta e dalla finestra la osserva dirigersi verso la sua auto. - Signorina, per precauzione, ci sono agenti intorno la sua casa. Tranquilla, ora è al sicuro - dice l'agente Novak avvicinandosi a lei. Qualcuno apre la porta. È Lynda. Attraversando il corridoio si dirige verso sua sorella abbracciandola forte. - Ho appena visto la notizia sul cellulare. Perché non me l'hai detto? Ti prego, stai attenta - le dice Lynda tra le lacrime. Poi si stacca da lei e, asciugandosi le lacrime, dice: - Io e Jim siamo qui vicino. Per qualsiasi cosa ti serva, chiamaci. Non ti preoccupare... - - Grazie per tutto, davvero - dice Erika scoppiando a piangere.
Giovanni Guidaccione
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