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Autore: Bruno Bongi
Anno Domini 1367
Giallo Passionale
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Anno Domini 1367
Dentro la cella il tintinnio delle catene risuonava debole e a ogni movimento pareva sottolineare la sua condizione. Con un rumore secco lo spioncino della porta si aprì: - Pietro sei sveglio? -
- Sono sveglio, che c'è? -
- Ho portato il mangiare, scostati che apro. -
- Son lontano. -
Il soldato aprì la porta, subito dietro un altro militare sorvegliava che tutto si svolgesse correttamente.
Pietro, pensieroso, si rivolse al soldato sulla porta. - Martino, amico mio, abbisognerei di un piacere. -
Il soldato si fece avanti fino a fronteggiare il prigioniero seduto sul pagliericcio, si rivolse al collega rimasto sull'uscio - Matteo bada a che non arrivi nessuno - quindi si volse nuovamente verso Pietro in attesa. - Conosci il notaro? Potresti portargli una mia ambasciata? - - Conosco il notaro Salutati, in caserma lo vediamo abbastanza spesso, posso chiedere al capitano se ha qualche documento da fargli avere oppure se deve venire al corpo di guardia. Di cosa abbisogni? -
- Digli solo che ho bisogno di vederlo. -
Martino restò un attimo sorpreso - Sicuro che acconsentirà? Al processo il notaro t'era apertamente contro, sicuramente a favore della condanna. -
- Lo so, ma forse ho qualche cosa da dirgli che lo potrebbe interessare. -
- Come vuoi, appena mi sarà possibile proverò a fare due parole con lui, dopo ti farò sapere. -
- Grazie Martino, sei un amico. -
- Mi dispiace Pietro, potessi fare qualche cosa di più lo farei. Chiudi Matteo. -
Il soldato uscì dalla cella, l'altro milite chiuse, sbattendo, la pesante porta ferrata; il rumore sembrò sentenziare qualcosa di definitivo ma Pietro scosse la testa, preferiva non pensarci. “Fai ben chiaro quanto vuoi chiedere al notaro” si disse. Amaramente concluse fra sé “magari non mi fossi mai accorto di lui, anzi, magari non avessi mai conosciuto nessuna di quelle persone.”

Arrivando a Montalpoggio Pietro era andato a salutare il suo vecchio amico, il mastro sellaio Jacopo Lippi. - Guardate la tramontana chi portò! Ancora in giro a far guai messer Pietro? Bada bene che un giorno tu potresti trovare qualcuno che ti spacca quella testa dura come sasso -
- E tu ancora riesci a vendere questi pezzi di cuoiaccio spacciandoli per finimenti sopraffini? Mi par che,
tra i due, nel pericolo maggiore ci sei tu che vivi qui nella tua bottega, mentre io son sempre ucel di bosco. -
- Sì, ma bada che dietro agli ucelli c'è sempre tanti cacciatori. -
- Va bene - tagliò corto Pietro - ora che m'hai canzonato come si conviene, ti farò l'onore di accettar da
bere. C'è ancora quella buona osteria in paese? -
- Ecco che ora l'è diventato anche di bocca fina - lo prese in giro l'amico - certo che l'osteria c'è sempre -
precisò Jacopo - in questi giorni ci s'ha il vino nostrale, quello di Morrona e anche il vino di Sicilia; oggi avrai tutta la scelta che vuoi. Orsù, andiamo. -
Tolto il grembiule da lavoro Jacopo chiuse la porta di bottega e, prendendo Pietro sottobraccio, si avviarono assieme verso l'osteria; durante il tragitto Pietro chiese notizie della gente di paese.
- Che ti devo dire - rispose Jacopo - qualcuno c'è ancora e qualcun altro no, mastro Grosso, il fabbro, adesso è massaro e si dà tanto daffare. A proposito: in questo periodo s'è ritrovato parecchio lavoro, siamo a fine stagione e i contadini hanno portato zappe e aratri da sistemare; credo che una mano gli farebbe proprio comodo, se vuoi ci parlo stasera stessa e domani ti dico. -
- Proprio a pennello! - rispose Pietro - Se voglio rimanere qualche giorno in paese due soldi in tasca mi
farebbero comodo. A proposito: per stanotte posso dormire nella tua stalla? È asciutta e calda e non mi dispiacerebbe. -
- La mia stalla è disposta per te, quando vuoi, però devi compatire il tuo vecchio amico curioso: perché arrivasti proprio ora all'inizio dell'inverno? Aspetta, non lo dire, una donna? -
Pietro guardò l'amico sorridendo senza offrire altra spiegazione, Jacopo capì e accettò quel silenzio.
Arrivati all'osteria i due amici passarono assieme qualche tempo continuando a chiacchierare e scherzare tranquillamente fino all'ora di rientrare. La mattina successiva Pietro si svegliò di buon'ora, rassettò il suo semplice bagaglio, andò alla vasca dell'acqua e si rinfrescò un poco: la sera prima avevano bevuto parecchio e si sentiva ancora un po' intontito; affacciandosi alla porta di bottega Jacopo lo apostrofò - Buongiorno Pietro, dormito bene? Meno male ieri sera eri stanco altrimenti si sarebbe asciugato la cantina, l'oste è rimasto sbalordito, mi ha detto che non aveva mai incontrato nessuno che bevesse così tanto. -
- Buongiorno a te, è chiaro che te tu vai in un'altra osteria - rintuzzò Pietro - altrimenti il tuo oste si sarebbe accorto della sete che ti ritrovi. Sai cosa? visto che stamane ti sei levato con la voglia di ruzzare, io vado a far visita a mastro Grosso, gli dico che mi mandi te. -
- Alla grazia della voglia di lavorare! Un dì mi spiegherai come fa, uno zingano come te, a esser tanto volonteroso. Vai pure, tanto Giuseppe lo conosci anche tu, diglielo che te l'ho detto io. -
Pietro si incamminò verso la bottega del fabbro, guardandosi intorno, cercava di cogliere eventuali cambiamenti avvenuti dall'ultima sua visita. La bottega di mastro Grosso si trovava dall'altra parte del paese, se non ricordava male, era sopra un piccolo corso d'acqua e aveva la ruota che azionava il mantice della fucina. Arrivato nei pressi della bottega non sentì il solito martellare del fabbro, sentì piuttosto una risata argentina e il vocione tonante di Giuseppe. Affacciandosi sull'uscio della bottega sbirciò all'interno e approfittando di una pausa nella conversazione salutò l'amico. - Buongiorno mastro Grosso, reco disturbo? - - Buongiorno messere, entrate pure e fatevi riconoscere, la vostra voce non m'è nuova - Pietro si fece più vicino e Giuseppe riconobbe subito l'amico. - Caro Pietro, ti prego di pazientare un poco mentre termino la commissione della dama. - Pietro guardò più attentamente e scorse due donne all'interno, dall'abbigliamento delle due comprese subito trattarsi di una dama e di una serva, poi si ritirò all'esterno e attese il tempo necessario. All'uscita delle donne entrò e, salutato il fabbro scambiandosi i convenevoli di rito, chiarì subito la ragione della propria presenza raccontando quanto riportato dal mastro sellaio - ed ecco che sono qui a chiederti se hai un poco di lavoro per un poverello qual sono. - Giuseppe lo scrutò un poco e, sogghignando, lo prese benevolmente in giro.
- Dici bene, un poverello vagabondo che vaga per le campagne a cercar donzelle curiose - precisò mastro Giuseppe - se non ricordo male le tue grandi passioni erano il vino e le giovani donne, ma mi sembri un pochetto invecchiato caro amico e se, come dici, vai girovagando da lungo tempo per le campagne forse dovremo provare se hai ancora dimestichezza in questa arte... - concluse Giuseppe guardandolo con cipiglio, per poi scoppiare in una grassa risata. Esauriti i convenevoli gli mostrò i lavori da fare, volle vedere come Pietro impugnava il martello per valutarne l'eventuale imperizia data dalla mancanza di pratica. - Vedo che non hai perduto la mano. Dopo tutto questo tempo immaginavo tu fossi arrivato chissà dove, forse anche dall'altra parte del mondo. - - Giuseppe, mio buon amico - ribatté Pietro - sai anche da te che io non sono avvezzo a sognare chissà quale vita. Mi basta pochino per vivere e mi piace stare coi miei amici, dove potrei trovare meglio che nella nostra repubblica? Faccio qualche mestiere e tiro a campare, cosa posso volere di più? - - Tante belle donzelle a tua disposizione, ecco cosa potresti volere di più! - Esclamò il fabbro, scoppiando nuovamente in una risata fragorosa. - ...e chi sarebbe questo giovane appassionato di donzelle? - I due amici si voltarono e videro affacciarsi una figura vestita di saio con il volto coperto dal cappuccio alzato. - Reverendo Padre buongiorno, si faceva del chiasso con il mio buon amico Pietro, un amico che ogni tanto torna a trovarci e ci diletta con i suoi lazzi. Pietro, questi è il reverendo padre Elia, cappellano di palazzo e riferimento per le pie anime di Montalpoggio a cui, con la sua sapienza, riesce a lenire la sofferenza dell'anima e anche del corpo. - - Caro Giuseppe, mi attribuisci meriti che non ho - rispose il frate - e la mia sapienza consiste molto nel sapere ciò che non conosco, che è ben più grande di quel che potrò mai conoscere nella mia umile e breve vita. - Giuseppe lo squadrò un poco di traverso e riprese. - Vedi Pietro, il reverendo padre va dicendo di non sapere ma la sua sapienza è molta e sicuramente più solida di quanto va raccontando - indi Giuseppe si rivolse al frate - Cosa posso fare per voi Reverendo Padre? -
- Ero passato solo per un saluto, da fuori ho sentito chiasso di lazzi e mi sono affacciato. Adesso proseguo per il mio cammino e vi benedico, che la vostra giornata possa esser lieta e proficua -
Detto questo frate Elia li benedisse e uscì lasciando i due ai loro impegni. Giuseppe cominciò a dividere i lavori, a Pietro indicò alcune vanghegge da ribattere e degli aratri da raddrizzare e riaffilare. Quindi iniziarono a lavorare salvo interrompere in tarda mattinata per consumare una robusta colazione, poi proseguirono le fatiche fino al tramonto. Dopo alcuni giorni di pieno lavoro e riposo notturno, una mattina, tornarono le due donne che Pietro aveva visto all'arrivo - Buongiorno Messer Giuseppe, sono pronti i nostri lavori? - Giuseppe si affrettò a prendere un rinvolto di stoffa che srotolò per far vedere alle due donne i coltelli appena affilati. - Ecco qua, le vostre coltelle, affilate e taglienti come il primo giorno. Dite alla vostra Signora che ho fatto più presto che ho potuto. - - Grazie Mastro Giuseppe, non mancherò di tessere le vostre lodi alla mia signora. - Nell'uscire la dama si voltò - Vedo che avete un nuovo garzone - disse sorridendo - adesso potremo pretendere che facciate più velocemente i lavori. -
Detto questo uscì senza dare il tempo di rispondere. - Mi pare che a codesta dama non manchi la parola - commentò Pietro. - Dama Lavinia Lanfranchi è la damigella della contessa
Bianca - precisò Giuseppe - l'ha mandata la famiglia a imparar i modi in uso a palazzo ed è promessa sposa di Jacopo, il figliolo di Giacomo Upezzinghi, il cugino del conte. Son quelli che hanno l'abbazia della Morrona, fanno il vino che abbiamo bevuto l'altra sera all'osteria insieme a Jacopone -
A Giuseppe piaceva parlare dei fatti della zona; da quando era stato eletto massaro si occupava di tutto quanto faceva parte dei suoi compiti e riteneva che essere informato anche sulle persone facesse parte dei suoi doveri, ristette un poco pensieroso poi si voltò verso Pietro e lo guardò con aria furba: - Levatelo dal capo, Lavinia Lanfranchi è una nobildonna, figurati te se guarda un vagabondo. -
Pietro non replicò e si limitò a sorridere, i due continuarono a lavorare fino all'ora di colazione. Giuseppe tirò fuori un pane e un fiasco di vino dicendo che dovevano festeggiare: il lavoro era abbondante e l'aiuto di Pietro era stato veramente ottimo e risolutivo, quello che si era accumulato era quasi finito e adesso in bottega c'era il posto per prendere i nuovi lavori richiesti.

Bruno Bongi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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