Notte del primo maggio
In un tranquillo quartiere residenziale di Milano, la notte è arrivata quasi a metà del proprio turno di lavoro. D'altra parte, negli altri quartieri l'orario è pressoché identico. Quello che fa la differenza è come la notte si presenta. Il viale è ampio, con una carreggiata centrale dedicata al transito e due controviali separati dalla corsia di mezzo da larghi marciapiedi alberati. Le auto parcheggiate sono immerse in un meritato riposo, incuranti della sonorità della musica hard-rock che scivola fuori dalle feritoie delle serrande abbassate di un locale notturno. Un uomo di media statura, dalle spalle larghe, avvolto in un soprabito scuro che gli arriva fino a metà polpaccio, siede su una panchina, in uno dei pochi giardinetti della città che di notte non siano resi inagibili da alte recinzioni metalliche di protezione. La brace della sigaretta si ravviva, come l'occhio infuocato di una creatura fuggita dall'Ade, nel momento esatto in cui l'ombra aspira una boccata di fumo. L'area gioco per i bambini dove staziona si trova a un centinaio di metri di distanza dalla discoteca.
Da sotto la larga falda del cappellaccio grigio antracite, lo sguardo del misterioso personaggio si proietta fino all'angolo da cui proviene il frastuono. Poi, come se la musica fosse svanita, torna a fissare dinnanzi a sé.
Quegli occhi, dall'iride color alluminio, scannerizzano con estrema meticolosità i dintorni. Di fianco al locale chiassoso distinguono la sede di un istituto bancario, confinante con un discount di minime dimensioni. Più avanti, vedono le saracinesche chiuse di un paio di negozi e subito dopo una strada secondaria che attraversa l'arteria principale. Sul marciapiede opposto, di fronte alla discoteca, scorgono le vetrine illuminate di una concessionaria d'auto, che terminano sul proseguimento della via traversa. Sopra il locale notturno, la banca e l'esposizione della Toyota, il costruttore dei palazzi ha ammonticchiato ben sette piani di alloggi di lusso, dove numerose finestre sono illuminate, e, anche attraverso le tapparelle abbassate, gli occhi dell'uomo individuano la presenza di lampadari accesi. - Nella notte di sabato, non soltanto chi si aggrega all'oppiacea movida della Piccola Mela, non va a dormire di buon'ora - pensa l'ombra scura da sotto il copricapo. Infatti, soltanto un'esigua percentuale di quei residenti, che non sono partiti per il ponte del primo maggio, sta cercando di difendere il guadagnato riposo, sforzandosi in tutti i modi di non curarsi del musicale disturbo, mentre la maggior parte dei pantofolai urbani, nel tentativo di sovrastare l'hard rock, alza il volume dell'home-theatre, rompendo i timpani ai vicini anche più della discoteca del pianterreno.
L'uomo siede immobile nei giardinetti ormai da mezz'ora e nel tempo trascorso ha immortalato mentalmente ogni più piccolo particolare del circondario. Nonostante sia avvezzo a girovagare per le vie deserte nelle ore notturne, comincia a essere stanco dell'attesa. Gira la testa verso il centro del parco giochi. L'idea di lasciarsi dondolare per qualche minuto sull'altalena lo solletica. - No, per la miseria, è roba da bambini! - considera, mentre lancia il mozzicone verso il suolo per accendere un'altra sigaretta, ancor prima che i rimasugli della precedente abbiano toccato terra. Si alza dal sedile in legno e si incammina con passo strascicato in direzione di uno dei palazzi che avevano attratto la sua attenzione poco prima. Una mano è affondata in tasca, l'altra abbandonata a ciondolare stancamente lungo il corpo. La sigaretta tra le labbra, attraversa la strada e prende la direzione dell'autosalone, per studiare con attenzione le vetture anche se non gliene frega assolutamente niente. Le orecchie sono tese in direzione del minimo rumore che possa discostarsi dalla normalità.
Tre minuti dopo
L'uomo con il soprabito scuro è tornato a sedere sulla panchina. Il cicalino di un cellulare fa udire la sua voce elettronica. Attraversa la strada, il controviale, la carreggiata principale, l'altro controviale. La mano destra rimane saldamente ancorata alla tasca che l'accoglie da tempo, mentre la sinistra con gesto fulmineo strappa la sigaretta dalle labbra, lanciandola qualche metro più in là. Poi estrae un oggetto dalla custodia appesa alla cintura. Se la scena fosse stata girata sul set di un film western, alla fioca luce che illumina la strada si potrebbe scorgere il palesarsi di uno scintillante revolver, probabilmente con le guancette in avorio. Invece l'uomo misterioso estrae l'apparecchio telefonico portatile. Il display illuminato annuncia la presenza di un nuovo messaggio. Gli occhi grigio-azzurri fissano il testo, il pollice squadrato va a cercare con rapidità l'opzione: elimina. Il cellulare ritorna nel fodero da cui era uscito e l'uomo si incammina con passo spedito verso le insegne luminose che annunciano la presenza della banca. In pochi istanti l'ombra raggiunge l'istituto di credito. La mano destra emerge lentamente dalla tasca. Il pugno è strettamente serrato attorno a un oggetto sferico del diametro di una decina di centimetri. È difficile riconoscere con precisione di che cosa si tratti, ma dovendo azzardare un'ipotesi, si potrebbe pensare a una palla da biliardo. - Uno... Due... Tre... Quattro... Cinque! - conta mentalmente l'individuo fermo davanti alla banca. Poi ruota leggermente il corpo verso destra, alza il braccio portando la mano dietro la spalla e lancia con forza la palla da biliardo (sì, avevamo immaginato bene!) contro la vetrata della porta d'ingresso del discount a fianco. L'allarme dell'attività commerciale comincia a ululare provocando, in contemporanea, l'inoltro di una chiamata automatica al più vicino istituto di vigilanza. Senza scomporsi, l'uomo volta le spalle al danno creato e attraversa la strada. Percorre il marciapiede in direzione del parco giochi, ma, una volta raggiunta la saracinesca del club, dal quale la musica ha smesso da poco di uscire, gira a destra. Trascorrono soltanto pochi istanti prima che arrivi una Panda bianca dei metronotte, mentre dal portone del posto di polizia, che dista qualche centinaio di metri, partono due volanti a sirene spiegate. Ma l'ombra, ormai, fa già parte di una più estesa e omogenea oscurità.
Un anno prima. O quasi
Il dottor Enea Beccaria ha concluso l'ultimo incontro della giornata da una decina di minuti. Ma il lavoro non è ancora finito e lui è seduto dietro la scrivania ottocentesca in noce, intento a rileggere gli appunti presi nel corso dei tre quarti d'ora che ha dedicato alla seduta da poco conclusa. Al termine della verifica dei fogli, apre la cartelletta contenente le schede dei precedenti incontri con lo stesso paziente che se ne è appena andato. Consulta anche queste con estrema attenzione, facendole scorrere tra le dita, ben attento a non variarne l'ordine. A bassa voce ripassa le fasi salienti, esaminando l'evolversi del caso. - 16 aprile. Se, a questo punto, il conflitto con la figura del padre sembrava aver perso valore, per quale motivo, oggi, ha ripreso l'argomento? - . Tre pagine prima: - 2 aprile. Anche in questa occasione, le dichiarazioni sono in piena contraddizione con il comportamento - . - 19 marzo. O mi racconta delle balle, oppure ci vuole qualcosa di più mirato... Ma, se... - . Spazientito, Beccaria appoggia i gomiti sul piano della scrivania e osserva sconsolato la cartelletta. - Eppure, dev'esserci, da qualche parte una chiave di lettura congrua! - . Riordina i fogli e, questa volta, ripartendo dall'inizio aggiunge sul margine destro di alcune schede qualche breve nota, vergata con l'inchiostro verde brillante della stilografica Montblanc StarWalker Ceramics. Il margine delle schede, piuttosto largo a dire il vero, è una vera e propria colonna all'interno della quale il professionista ha fatto stampare dal proprio tipografo di fiducia una serie di sottilissimi filetti grigi che gli consentono di rispettare un ordine millimetrico nella scrittura. Il margine delle pagine riveste un ruolo fondamentale per lo psichiatra, perché è lì che inserisce, di volta in volta, le informazioni essenziali che in seguito potrà ritrovare con facilità grazie alla loro evidenza. Beccaria, soddisfatto, riunisce i fogli in un'unica mazzetta. Li batte sul ripiano della scrivania, poi li ruota di novanta gradi e li batte di nuovo. Quando ritiene che l'allineamento sia sufficientemente preciso, li ripone nella cartelletta che sigilla, annodando l'apposito nastro. Si alza, infine, per mettere il fascicolo nel mobile schedario, e torna poi ad accomodarsi in poltrona.
- Antonella, può venire da me? - dice con un tono di voce quasi musicale, ben sapendo che la segretaria sta aspettando, con le orecchie tese, un suo segnale. La donna, una cinquantacinquenne dall'abbigliamento sobrio, ma elegante, apre la porta con la delicatezza di un collezionista di cristallerie antiche e la richiude dietro le proprie spalle accompagnando la maniglia in modo che la molla di chiusura non faccia alcun rumore. - Si accomodi un attimo. Temo di doverle chiedere un'ultima cortesia, prima di lasciarla andare a casa - . La segretaria si siede e lui riprende: - Ha presente il computer portatile che ha acquistato per me la scorsa settimana? - . - Certo! Le serve ora? - . - Già, dovrebbe posizionarlo sulla scrivania, qui di fronte a me, e avviare il programma di registrazione video. Ho intenzione di realizzare una breve conferenza - . - Non c'è problema. Glielo porto subito, poi le spiego come si fa a salvare il file - conclude la donna. Negli ultimi giorni, l'impeccabile Antonella aveva trascorso buona parte del tempo libero, contemplato nelle ore lavorative, per studiare il manuale di istruzioni della macchina, un modello di ultimissima generazione, teoricamente simile al suo, ma con numerose applicazioni che in effetti non aveva mai utilizzato. L'acquisto era stato preceduto da una strenua resistenza di Beccaria, basata su sterili difese: - Mi fa venire il mal di testa - , - Ne ho fatto a meno fino ad oggi, posso andare avanti ancora un po' - , - La psiche, a quanto mi risulta, non è connessa in rete - , - Se le togliessi l'esclusiva sull'informatica, minerei la sua professionalità... Ne soffrirebbe - , e così via. Poi il dottore aveva ceduto. Di punto in bianco, una mattina, aveva spalancato la porta d'ingresso esordendo con la tipica frase che utilizzava quando voleva evitare contestazioni: - Non mi dica niente! Ormai è deciso. Devo rassegnarmi all'uso di un computer portatile - . - Ma, se soltanto ieri... - aveva replicato Antonella. - Evidentemente, aveva ragione lei. Mi ha convinto. Non appena inizierò l'incontro con la signora Crippa, lei potrà scendere per comperare il più performante Mac Book disponibile - . Così era stato e, dal quel giorno, Antonella, non sapendo esattamente a che cosa sarebbe servito, si era cimentata nella sperimentazione di ogni applicazione consentita dal computer per poter poi addestrare il suo titolare. Nel caso specifico, aveva avuto l'incarico di dedicare una speciale attenzione all'utilizzo della piccola webcam incorporata, e ci si era applicata con zelo, perché, in fondo in fondo, il gioco l'aveva affascinata. Aveva così scoperto di essere in grado di correggere le dominanti di colore dei filmati, di perfezionare l'audio e di inserire titoli a comparsa all'inizio e nel corso delle scene. Per non parlare dei sottotitoli.
Ora, nel preciso momento della richiesta di collaborazione, si sente preparatissima e non vede l'ora di dimostrare la propria efficienza. La sua entrata trionfale nello studio avviene portando un'elegante borsa di cuoio marrone, all'interno della quale è contenuto il portatile con una ricca dotazione di accessori: mouse supplementare, cuffie con microfono, hard disk esterno per il salvataggio quotidiano dei dati, e dotazione per la pulizia. Dispone tutto il necessario nella posizione più opportuna, avvia il sistema operativo e, subito dopo, l'applicazione richiesta dal dottore. - Ecco, è sufficiente che lei porti il cursore, quella freccina che si muove con il mouse, in questa posizione e che prema il pulsante. L'arresto avviene esattamente nello stesso modo - spiega la donna. Lui la osserva con un'espressione molto attenta, annuendo come uno scolaro diligente, ma un impercettibile sorriso gli increspa le labbra. A casa, il dottor Beccaria dispone di un Macintosh quasi uguale a questo, grazie al quale ha già registrato almeno una ventina di conferenze che, in seguito, sono state proiettate in differita presso diversi enti di formazione disseminati per l'Italia. Per non parlare dei collegamenti in diretta. Ma, poiché la sua segretaria è sempre efficientissima, lo diverte un mondo lasciarla fare e permetterle di trattarlo come un bambino all'oscuro di queste misteriose tecnologie da adulti. - Mille grazie, non so come farei senza di lei! - le concede con garbo - Adesso può andare... Spero di cavarmela da solo. Le auguro una buona serata - conclude. La segretaria esce dalla stanza mentre lui conta mentalmente fino a sessanta. Quando arriva a sessantuno, sente scattare la serratura della porta di ingresso. - Eh sì, sta proprio cominciando a invecchiare! - pensa Beccaria. - Dal duemila a oggi ha perso con regolarità un secondo all'anno per completare le operazioni pre-uscita. Non è un male, dunque, che tra dodici mesi esatti ci si ritiri entrambi in pensione. O quasi - . Rimasto solo, nell'ordinata quiete del proprio studio, l'uomo fa partire la registrazione e comincia a dissertare di fronte al passivo testimone rappresentato dal piccolo schermo, nel quale compare la sua stessa immagine riflessa. Il monologo procede per mezz'ora. Alla fine, invece di chiudere il programma, avvia la conversione del file in formato m4v. Tempo previsto per l'operazione: cinquantasei minuti, dichiara la finestra di lavoro. - Tu fai pure il tuo dovere con con calma, tanto non hai bisogno di me – dice, rivolto al portatile. - Domattina arriverò presto e masterizzeremo tutto - . Si alza, sostituisce la giacca indossata con il cardigan appeso all'appendiabiti e spegne la luce principale, avendo cura di lasciare accesa la lampada di quarzo ametista, sorretta da una colonnetta istoriata in legno di ulivo, che si trova nell'angolo più remoto dello studio. Esce e si avvia verso casa.
Flavio Gandini
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