- Con l'autorità conferitami dal Magnifico Rettore la proclamo Dottore magistrale in Criminologia - . Ricordo perfettamente quel giorno, anche perché non sono passati poi chissà quanti anni. Ricordo perfettamente l'abito che mi ero costretto a comprare, un blu di Prussia disse il venditore, bah sarà, mi sentivo più uno steward di volo che un laureando. La cravatta sottile di colore grigio mi stringeva al collo, ancora oggi giurerei di sentire quella pressione sulla trachea. Le scarpe erano nuove di pacca, inutile descrivervi il dolore ai piedi, costretti tutto il giorno in uno spazio angusto e dalla dubbia morbidezza. Ai polsi della camicia recavo i gemelli di mio nonno, un cimelio di famiglia a cui ero molto affezionato. Per il resto solita tradizione popolare: calze e mutande nuove di pacca appositamente comprate da mia madre per l'occasione. Fu una cerimonia solenne, ricevetti perfino il bacio accademico visto l'importante impegno trasmesso durante la tesi sperimentale. Il relatore, tale Professor Temistocle Avarangi, aveva molta stima di me e lo dimostrò durante tutta la mattinata con elogi pubblici e continue pacche sulla spalla. Era un uomo anziano, classe 1941, aveva dedicato la propria vita alla dottrina senza mai badare alla ricerca di una moglie o di un affetto. Viveva da solo in un vecchio monolocale nei pressi dell'Ateneo, vestiva con abiti eleganti ma datati ed era sempre sbarbato e profumato. A prescindere dalla temperatura stagionale, non era mai uscito di casa senza indossare il doppiopetto e la cravatta. Un vero uomo di altri tempi per intenderci. Dopo la proclamazione andammo a festeggiare tutti in un ristorantino fuori Roma. Era una sorta di piccolo agriturismo collocato sulle prime zone collinari a sud della capitale. Percorrendo una stradina sterrata si entrava in uno spiazzo in terra battuta circondato da staccionate in legno. Il giardino circostante era ben curato, c'erano alberi da frutto, siepi e fiori dai vari colori sparsi qua e là. Nonostante il clima primaverile permettesse di stare all'aperto, non osammo declinare il suggerimento dell'oste di accomodarci all'interno. Eravamo una dozzina di persone: il sottoscritto, i miei genitori, zii paterni con annessi cugini ed un paio di colleghi di facoltà. Niente di impegnativo sia chiaro, un pranzo casereccio con torta alla panna finale fortemente voluta da mio padre. Aveva sempre detto che la laurea andava sugellata non soltanto con le bollicine, ma anche con la panna. - Un applauso ad Ettore! - . - Auguri Dottore! - . - Congratulazioni Dottor Borgia! - . La giornata in pratica andò avanti così, tra un tonnarello cacio e pepe ed un applauso, tra un brindisi e una coda alla vaccinara. Ricevetti dei bei regali per la mia festa: un orologio satellitare da polso, l'immancabile stilografica con diamantino incastonato ed un gruzzoletto di contanti che, si sa, fanno sempre comodo in ogni dove e in ogni tempo. Non ricordo perfettamente l'orario in cui cessammo i festeggiamenti. Il sole era ormai calato da poco, dunque potrei azzardare nel dire che non si protrassero oltre le 18:00. Mi sentivo bene, un traguardo importante della mia vita era stato raggiunto, se non altro quell'ansia delle ultime settimane era svanita. Il conseguimento della laurea era stato per me un tragitto avvicendato. Inizialmente non avevo fretta, ricercavo la calma per portare avanti il mio lavoro, tanto da benedire quella data ancora così lontana. Poi caddi nella frenesia di finire tutto il prima possibile in quanto, ogni giorno, era una tentazione per mettere in discussione ciò che avevo terminato la sera prima. Rientrati a casa e indossati abiti casalinghi, ebbene sì all'età di 28 anni vivevo ancora con i miei, ci sedemmo in salotto come se ci fossimo dati appuntamento. Vigeva un imbarazzante silenzio dentro quella stanza. La sola intermittenza era data dal ticchettio di un orrendolo pendolo dell'800 posto nell'angolo vicino la finestra. Un obbrobrio che i Borgia si tramandano da generazioni e che, guarda un po' la fortuna, mio padre era riuscito a farsi promettere in punto di morte da suo zio trasferitosi in Belgio. - Hai fatto un percorso ineccepibile per carità, tra laurea, tesi sperimentale, seminari e tirocinio hai messo su un ottimo bagaglio, ma ... - irruppe mio padre accomodandosi in poltrona. - Ma? - chiesi pur sapendo dove voleva andare a parare. - Adesso è ora che ti dai da fare figlio mio, io all'età tua avevo già otto anni di esperienza in ospedale - . Mio padre era un infermiere specializzato dell'Ospedale Santo Spirito di Roma, molto amato dai pazienti e soprattutto ricercato dai medici del reparto di chirurgia. Prima di entrare in sala operatoria, qualsiasi chirurgo, si assicurava di avere nella sua equipe proprio mio padre. - Beh a questo potremmo aggiungere anche una bella ragazza, ormai sei dottore, con il fascino dell'intellettuale poi ... - aggiunse mia madre con il suo singolare tatto. Quel siparietto è tutt'ora impresso nella mia mente come un quadro. Un quadro di quelli vecchi, ingialliti, dai colori smorti e con le cornici spesse ed annerite. Io sono seduto sul divano che sorseggio una effervescente per mandare giù il reflusso del pranzo; mia madre sulla sedia che ripiega accuratamente carte regalo con la speranza di riusarle; e mio padre, stravaccato in poltrona, che gioca con la pantofola facendola ciondolare dall'alto della gamba accavallata. - Giusto, giustissimo. Tutte cose a cui dedicherò sicuramente la mia attenzione, ma vi prego non fatevene una croce e soprattutto non mi pressate. Sono certo che in poche settimane troverò tutto - dissi sicuro di me. Le poche settimane divennero mesi, e con l'arrivo dei primi capelli bianchi, quei mesi divennero anni.
*** Capitolo I
Provai tante strade, bussai a decine di porte, per non parlare delle centinaia di copie di curriculum stampati ed inviati ovunque. A nulla servirono le lettere di presentazione e quelle di raccomandazione. Forse la sfortuna mi aveva colpito, ma dal momento solenne della proclamazione divenni un bersaglio fluorescente per la malasorte. La sfiga volle infatti che mi ritrovai nel pieno vortice della crisi economica del 2007, iniziata in estate dalle banche oltreoceano, per poi giungere nel Vecchio Continente con strascichi e ripercussioni sul mondo lavorativo. Il mio relatore, il buon Avarangi, mi offrì un posto come assistente volontario presso la facoltà di Criminologia. Badate bene al termine “volontario”, in quanto verrà tradotto successivamente come “non retribuito”. Accettai ugualmente la proposta. L'idea di poter coltivare i miei studi e le mie ricerche ubriacarono immediatamente il mio ego. Avevo in mente tanti progetti da proporre che ancora ne sento l'entusiasmo al solo ricordo. I mesi trascorsero nell'apatia più totale. I miei compiti erano per lo più dattilografici: ricopiavo tavole di appunti, colmavo vuoti sintattici e mi dedicavo alla manutenzione di tutte le apparecchiature informatiche ben lontane dall'habitat naturale del Professore. Solo con il finire dell'estate capii che quella strada era completamente sbarrata. Non avevo autonomia di studi, non avevo voce in capitolo e soprattutto non avevo stipendio. Ero alla soglia dei trenta, viaggiavo ancora con la Fiat Panda sgangherata di mia madre e possedevo un guardaroba, talmente statico, da fare invidia al chierichetto di Santa Maria del Ristoro. Iniziai allora ad affacciarmi nel mondo giudiziario. Su consiglio di un avvocato amico di famiglia, mi concentrai sulla collaborazione presso tribunali e studi penalisti. Per fare questo dovetti affidarmi ad un commercialista ed aprire la tanto temuta partita iva. Seppure in maniera non continuativa, dovevo possedere dei requisiti ben specifici, tra cui appunto la sequenza numerica fiscale ed una sede fisica di esercizio. Per ovvie ragioni economiche e logistiche la sede divenne casa dei miei genitori. Tra carte, scartoffie, modulini e moduletti avviai la macchina burocratica per presentarmi e rendere ufficiale la mia disponibilità come CTU e CTP presso i Tribunali, ossia consulente tecnico d'ufficio e consulente tecnico di parte. Cosa fa un consulente tecnico? Risponde ai quesiti posti dal giudice durante le udienze. Rappresenta la parte tecnica del tribunale o di un imputato e svolge specifiche perizie nell'ambito in cui è specializzato. Ero molto euforico per questa nuova possibilità che mi ero creata. Ricordo perfettamente lo stato euforico che mi teneva sempre elettrizzato. Comprai addirittura un cellulare e una SIM apposita. Mentre dormivo, lo lasciavo acceso, nella speranza che un magistrato mi telefonasse nel cuore della notte come accade nei migliori telefilm polizieschi. Nei cinque mesi che trascorsero non vi fu alcuna telefonata. Neppure un sms pubblicitario osò disturbare il mio sonno, tanto che dimenticai persino la melodia che avevo impostato come suoneria. Era dura lo ammetto. La carica euforica iniziale mi stava abbandonando lentamente, sentivo lo sconforto scendere come nebbia intorno a me, posarsi sui miei vestiti e appesantire ogni aspettativa. Se prima, puntata la sveglia all'alba, mi radevo alla perfezione per essere sempre in tiro, adesso faticavo a trattenere l'irrefrenabile voglia di frantumarla contro il muro. Lasciai che la barba crescesse incolta e che la tuta del liceo, quella viola con le fasce azzurre, diventasse la mia uniforme casalinga. Inutile dire che a tutta questa frustrazione si aggiunse il carico psicologico dei miei, che a pranzo e a cena non mancavano occasione per assestare un colpo da wrestling alla mia precaria autostima. - Cavolo Ettore, sono passati ormai due anni, non che ci dispiaccia averti qui con noi, ma come è possibile che non riesci a trovare un lavoro? - gracchiò mia madre mentre minestrava la zuppa di legumi. - Io lo avevo detto che era meglio intraprendere un percorso più professionalizzante, non dico medicina eh, ma questa criminologia la vedo così effimera - condì mio padre con nonchalance. - Mamma, papà, vi do ragione. Inizio seriamente a credere che tutto quello che ho fatto rimarrà un mio traguardo inespresso - . - Forse sei stato solo sfortunato - replicò mamma. - Non centra la sfortuna. Il fatto è che in Italia, purtroppo, non esiste un albo professionale dei criminologi. Se non hai un aggancio importante, che ti dia una bella spinta nel sedere, rimani intrappolato al massimo nel blog di turno a scrivere due cazzate di criminologia - . - Ettore! Ti prego le parolacce no - . - Scusami mamma - . ***
Cataldo Scatamacchia
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