Prologo
Stati Uniti, 1919 Quando un nuovo attacco di tosse lo costrinse a piegarsi in due, Adam Clysi sentì come se gli avessero piantato dei coltelli arroventati nel petto.La provetta che teneva in mano cadde e si infranse sul pavimento,infradiciandogli i pantaloni. Reggendosi al bancone con una mano, cercò conl'altra un fazzoletto nelle tasche. Lo trovò e ci tossì dentro,ripetutamente, sangue e muco malsano. Si attaccò al respiratore e dopo un po' la situazione sembrò tranquillizzarsi. Quando la crisi passò, si rimise distrattamente il fazzoletto in tasca e valutò l'entità del danno che aveva causato: il siero a base di medusa cheaveva preparato si allargava sul pavimento, infilandosi sotto il bancone espandendosi ai suoi piedi. Si sentì perduto. Era la sua ultima possibilità. Aprendo tutti i cassetti della scrivania, cercò più velocemente possibile una nuova provetta; la trovò, e inginocchiandosi tra le schegge di vetro,cercò di recuperare quanto più possibile del prezioso liquido e, con l'aiuto di un coccio, riuscì a riempirne metà. Guardò la provetta controluce e scosse il capo, rassegnato: il siero era pieno di polvere, e probabilmente inutilizzabile, ma non ne aveva altro. Lo portò alla zona dove teneva il macchinario che utilizzava per dividere le cellule, lo inserì nel dispositivo e lo fece girare. Si sedette nell'attesa, e ricominciò a tossire: dapprima piano, poi sempre più forte, fino a quando pensò che gli si spaccasse il petto. Fece di nuovo ricorso al respiratore.Erano passati soltanto sei mesi da quando aveva avuto i primi problemi respiratori, e ora il cancro era arrivato al suo stadio finale: divoravaAdam dall'interno, pezzo dopo pezzo, succhiandogli vita ed energie. Ogni giorno si sentiva più debole, più malato, più morto. Da quando quel dottorino con l'aria da figlio di papà gli aveva comunicato il suo destino, aveva dato fondo a tutte le sue conoscenze per cercare unacura. Da scienziato, non nutriva alcuna fiducia nella medicina tradizionale, e aveva perciò lavorato giorno e notte per tentare di risolvere da solo ilproblema. Aveva sperimentato su di sé qualsiasi possibile rimedio avesse architettato. Ad ogni tentativo aveva sofferto per gli effetti indesiderati: febbre,vomito, allucinazioni e spasmi muscolari. Una mattina si era svegliato con un enorme sfogo rosso sulla metà superiore del petto; tuttavia, vi aveva spalmato una pomata lenitiva ed era tornato al suo lavoro. Tutto invano. Il cancro, oltre a non rallentare, cresceva di giorno in giorno,consumandolo. Sapeva bene che si trattava del suo ultimo tentativo: dopo sarebbe stato troppo debole anche solo per pensarne un altro. Alcune settimane prima, durante le sue ricerche, si era imbattuto in uno scritto sulla Turritopsis Nutricula, una medusa in possesso di particolari cellule che le permettevano di tornare, una volta raggiunta la maturità sessuale, ad uno stadio unicellulare e di ricominciare, quindi, il suo ciclo vitale. Era, in pratica, biologicamente immortale. Il suo cervello si mise subito in moto: se fosse stato possibile isolare quelle cellule e studiarle, forse sarebbe stato in grado di utilizzarne il fattore rigenerativo per curare la sua malattia.Quella scoperta apriva strade del tutto nuove alla sua ricerca, motivo per cui si era messo immediatamente all'opera. Aveva dovuto dar fondo a tutto il suo patrimonio, ma dieci giorni dopo aveva nel suo laboratorio una vasca da cinquecento litri al cui interno vivevano venti esemplari di Turritopsis. Quella sera era rimasto nel laboratorio ben oltre la mezzanotte: le meduse fluttuavano nell'acqua emettendo un‘eterea luce blu. Il giorno dopo aveva cominciato ad usarle nei suoi esperimenti. All'inizio i risultati non erano stati incoraggianti, e i primi esemplari morirono nel tentativo di prelevarne le cellule. Scoprì che le loro carcasse si deterioravano così rapidamente da essere inutilizzabili. Ci vollero diversi tentativi prima di capire come andavano trattati quegli animali. Giorno dopo giorno, però, le meduse nella vasca diminuivano, e con loro la sua fiducia. Il cancro avanzava, e le sue condizioni peggiorarono al punto che dovette ricorrere a un respiratore portatile per poter continuare i suoi esperimenti. Una sera lo sconforto raggiunse un livello tale che decise di farla finita.Tirò fuori la pistola che aveva riportato dalla guerra e se la rigirò per un po' tra le mani.Nella vasca nuotavano le ultime quattro meduse: quasi sicuramente non sarebbero bastate a raggiungere i risultati sperati. Si puntò la pistola alla testa. Ironico che l'arma usata un tempo per salvarsi la vita, fosse ora utilizzata per togliersela. Chiuse gli occhi e fece fuoco. Non successe nulla. Guardò la pistola con un misto di curiosità e sconforto, pensando che, forse, le cartucce si fossero inumidite. Lanciò l'arma con rabbia contro il muro. L'esplosione lo fece sobbalzare. Il proiettile lo mancò di poco conficcandosi nella parete alle sue spalle,mentre una spolverata d'intonaco gli finì sui capelli. Lo interpretò come un segno del destino: non era ancora arrivato il suo momento, per cui non doveva darsi per vinto. Si era alzato, aveva spento leluci e se ne era andato a dormire. Nei giorni successivi un nuovo entusiasmo crebbe in lui e anche i risultati cominciarono ad essere incoraggianti. C'era quasi, lo sentiva, doveva perseverare.Era però rimasta una sola medusa, per cui non poteva permettersi altri errori. Quella mattina, aveva contemplato a lungo l'ultimo esemplare superstite; poi, dopo aver indossato dei guanti di lattice, l'aveva afferrato. Il bip che annunciava la fine del processo di divisione cellulare lo aveva riscosso dai suoi pensieri. Si era alzato e aveva finito di preparare il siero, il quale aveva assunto una sfumatura simile a quella della medusa:non era mai successo prima e perciò lo aveva interpretato come un segnale positivo. Dopo aver aspirato il siero con una siringa, si era scoperto il braccio e con l'aiuto di un laccio emostatico, trattenendo il respiro, si era iniettato la sua ultima speranza. Aveva espirato profondamente e la tosse era tornata, più violenta che mai.Si era alzato nel tentativo di recuperare il respiratore, ma aveva perso l'equilibrio e aveva sbattuto la testa contro il tavolo. Il suo campo visivo si era riempito di puntini scuri e aveva perso conoscenza. Si era accasciato sul pavimento in linoleum, mentre una macchia di sangue andava allargandosi sotto la sua testa.CAPITOLO 1 Stati Uniti, 2009 Sandy stava sognando la gita in barca che lei e i suoi genitori avrebbero fatto per festeggiare la fine delle lezioni. Sentiva lo sciabordio delle onde sul legno dello scafo e il calore del sole sulla pelle. Il rollio dell'imbarcazione la cullava, causandole una piacevole sensazione di sonnolenza. La voce di suo padre la riportò alla realtà. - Sandy, tesoro, sono le 7, alzati o farai tardi - . Aprì gli occhi giusto in tempo per vederlo uscire dalla camera; sbadigliò esi mise a sedere, notando che il sole era già alto. Ripescò le ciabatte da sotto il letto e andò in bagno. Rabbrividì sciacquandosi il viso con l'acqua fredda e si lavò i denti; ciondolò davanti allo specchio facendo linguacce, finché sua madre la richiamò all'ordine dal piano di sotto dicendole di darsi una mossa. Aprì l'armadio per scegliere cosa indossare per quel giorno tanto speciale.Alla fine, optò per un paio di jeans chiari e una felpa rosa. Si allacciò le scarpe da ginnastica, prese lo zaino che aveva già preparato la sera prima e aprì la porta: l'odore del bacon le provocò un istintivo brontolio allo stomaco.Sicuramente sarebbe stata una splendida giornata. Dopo aver svegliato la figlia, Michael scese in cucina. Si era già rasato ed era vestito di tutto punto, pronto ad affrontare un'altra giornata. Solo che quello non sarebbe stato un giorno come gli altri. Quel pensiero lo tormentava e non gli dava pace. Si sedette al tavolo della cucina, e Sarah gli versò subito il caffè bollente; ne bevve un sorso e aprì il giornale alla pagina della cronaca locale. Sarah, in piedi vicino ai fornelli, lo guardava impaziente di affrontare il discorso, ma quanto mai preoccupata di farlo; aspettò fino a che le uova non fossero pronte, poi prese il coraggio a due mani e, afferrando il piatto, andò a sedersi accanto al marito. - Pensi che andrà tutto bene? - domandò. Michael alzò appena gli occhi dal giornale. - Per Sandy, dici? Sì, non c'è da preoccuparsi, andrà tutto come deve - . - Ѐ così piccola, è ancora una bambina! E se dovesse sbagliare qualcosa,qualche risposta... Mike, non so se riuscirei a sopportarlo! - Michael chiuse il giornale, lo piegò e lo mise vicino al piatto. Bevve un lungo sorso di caffè che gli fece venire subito acidità di stomaco, ma continuò a sorseggiarlo per avere il tempo di riflettere. Posò con calma la tazza prima di rispondere. - So che è soltanto una bambina, ma conosci le leggi: è così che è stabilito, e tutti l'abbiamo fatto alla sua età, anche noi - concluse. Si accorse di aver parlato con asprezza eccessiva. Si girò e prese le mani della moglie, la quale aveva cominciato a piangere. - Sarah, ascoltami: Sandy è una bambina brillante, ce la farà senz'altro. Ѐmolto più sveglia dei suoi coetanei, più di quanto fossi io alla sua età! - disse cercando di apparire più sereno di quanto non fosse in realtà. Sarah si asciugò gli occhi con una manica, poi abbozzò un flebile sorriso. - Hai ragione, mi preoccupo troppo... sono una sciocca. Ma Mike, se dovesse...Non sopporterei di perderla - . La baciò sulla fronte. - Non la perderemo, so quello che dico. Fidati d lei - . Sandy entrò in cucina proprio in quel momento. Michael si girò a guardarla e le sorrise. - Sei pronta? Sbrigati a fare colazione, o arriveremo tardi a scuola. Ti aspetto in macchina - . Baciò la moglie e uscì con aria allegra, chiudendosi la porta alle spalle.Raggiunse la macchina e frugò nel cruscotto. Dietro una montagna di cartacce trovò una bottiglia di whiskey da mezzo litro e uno sgualcito pacchetto di Pall Mall che era lì da chissà quanto tempo. Bevve un sorso e si accese una sigaretta. Il primo tiro lo fece tossire come un novellino, ma già dal secondo andò meglio; sapeva di catrame, ma la fumò lo stesso fino al filtro. Erano tre anni che non fumava, ma se mai c'era stato un giorno giusto perricominciare, allora era certamente quello.
Luca Ferretti
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