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Autore: Chiara Cianci
Racconti fra le righe
Antologia Racconti
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Racconti fra le righe
- Bene, è arrivato il momento. -
Daniele fissò intensamente lo scenario che aveva davanti: era la prima volta che osservava la sua città da quell'altezza. Il giorno del suo riscatto era ormai giunto alle porte; presto sarebbe stato scagionato dalla nomea di buono a nulla, fallito, aborto mancato – aveva perso il conto di tutti gli epiteti con cui lo chiamavano. Però, prima di compiere il passo decisivo, quello che aveva premeditato da tempo, con la mente ritornò al periodo in cui tutto ebbe inizio. In particolare a quel giorno.
Erano passati tre anni da quando aveva messo piede per la prima volta alla De Sanctis. Gli ci era voluto poco per capire che quella nuova esperienza scolastica sarebbe stata diversa da quella trascorsa alle scuole elementari; non poteva immaginare che, da allora in poi, avrebbe dovuto sperimentare la derisione e la violenza, sia fisica che verbale. Senza sapere il perché, in breve tempo era diventato il bersaglio dell'intera classe, un capro espiatorio sul quale sfogare la propria frustrazione, l'oggetto di scherno con cui si poteva giocare sadicamente; venne spogliato totalmente della sua dignità. Ai tempi, avrebbe voluto parlarne coi professori o denunciarli alla polizia ma era terrorizzato dall'idea di essere picchiato un'altra volta, proprio come quando osò chiedere aiuto all'insegnante di italiano. Preferì, pertanto, serbare per sé quel doloroso calvario. A lungo andare finì nel tunnel in cui nessun ragazzo dovrebbe mai cadere, o per lo meno non a quell'età: la depressione. Gli adulti? Si sa, spesso dimenticano di essere stati degli adolescenti e con molta superficialità minimizzano certi fenomeni di violenza, specialmente il nuovo mostro, nato in un'epoca dominata da internet e dai social network: il cyberbullismo. Ragazzate, così le definiscono alcuni, e anche i genitori di Daniele caddero in questo tragico errore. Purtroppo, a volte, il bullismo è anche frutto della negligenza degli adulti, che anziché ostacolarlo finiscono involontariamente per alimenalimentarlo.

"Per favore, mamma, non voglio più andare a scuola. Ieri mi hanno di nuovo riempito lo zaino di carte di merendine e lattine di pepsi; non ce la faccio più ad andare avanti così!"
"Per cortesia, Daniele", esclamò la madre, "smettila. Te ne vai nel pallone per ogni minima cosa, ultimamente. Impara a reagire e finiscila di farla sempre così tragica. Questi scherzi sono sempre esistiti, dalla notte dei tempi."
"Scherzi? Ma, mamma, non sono..."
"Basta, ho detto. A scuola ci vai e se non ci arrivi con le tue gambe ti ci spedisco io a calci nel sedere, ci siamo intesi?"
Un giorno, per Daniele accadde l'irreparabile. L'episodio in questione fu così umiliante e doloroso da segnare per sempre la sua esistenza, come un marchio a fuoco. Nell'ora di ricreazione, due compagni di classe − a sua insaputa − aspettarono di soppiatto che entrasse in bagno; volevano filmarlo col cellulare salendo sul water di quello a fianco. E ci riuscirono. Una volta uscito, Daniele venne investito da grosse risate, parole di scherno, prese in giro: ormai non era altro che il loro fenomeno da baraccone senza identità, senza sentimenti, senza dignità e orgoglio. Così si diventa agli occhi di chi ride di te, un essere inanimato che intrattiene le loro noiose, tristi e vuote vite. Bastò, poi, un click su whatsapp e un inoltra a... per far sì che il video, di cui era protagonista, divenisse virale; bastarono una manciata di secondi per rovinare completamente la vita di un ragazzo di tredici anni.
Una fitta lancinante al braccio lo fece ritornare alla realtà. Scostò leggermente la manica della maglietta: l'incisione dell'ennesimo taglio nella sua carne − ormai ricoperta di ferite − gli ricordò che presto non sarebbe stato più considerato il perdente che tutti gli dicevano di essere. No, lui sarebbe stato uno dei pochi ad arrivare all'ultimo stadio di quel “gioco”. Sentiva che Black83 era fiero di lui − l'unico, probabilmente − e che in quel momento, da qualche parte, lo stava filmando. Non lo aveva mai incontrato di persona, tuttavia sapeva che era lì a guardarlo. Faceva parte dell'ultima prova. Il video del suo suicidio sarebbe arrivato direttamente sui cellulari di quegli stronzi dei suoi compagni di classe: non avrebbero più avuto il coraggio di dargli del fallito, dopo! Il pensiero di tutta la sofferenza ingiusta che gli toccò patire negli anni gli annebbiò completamente la vista. Allora, senza un attimo di esitazione, spense ogni pensiero, ogni contatto con la realtà, e con le lacrime in volto si gettò a capofitto nel vuoto.

Avrebbe dovuto già toccare terra, ormai.

Daniele aprì lentamente le palpebre: il suolo non lo aveva sfiorato neppure. Era rimasto lì, in sospensione, a pochi metri dall'asfalto.
Che fosse già diventato un fantasma? Si toccò le mani. Erano perfettamente tangibili al tatto. Tutto il mondo intorno a lui, compreso il tempo, era come se si fosse arrestato di colpo.

Possibile che al momento della morte si possa essere ancora in grado di pensare e ricordare?

Da lontano, qualcosa attirò la sua attenzione; anzi, qualcuno. Mosso dalla curiosità, decise di andare a vedere chi fosse. Iniziò a camminare nel vuoto come se fosse sull'asfalto. Lungo il tragitto avvertì un senso di pesantezza, come se stesse trasportando un macigno; eppure non aveva nulla addosso.
Scorse poi, nell'avvicinarsi, una donna; piangeva.
"Non sarà mica mia madre? Forse è venuta a sapere che... oddio..."
Sua madre. Si era totalmente dimenticato di sua madre. Certo, spesso e volentieri non si sentiva compreso da lei ma era pur sempre la sua mamma. Dominato da un improvviso senso di colpa, tentò di avvicinarsi alla donna ma una strana forza lo tratteneva. Con uno sforzo sovrumano, riuscì appena a fare qualche passo. Gli ci volle poco per capire che quella che piangeva non era sua madre ma una giovane ragazza, avvolta in povere vesti; era così agghiacciante vederla in quello stato che ne provò compassione. Fra le mani stringeva un cuore sanguinante, trafitto da una spina.
- Perché piangi? - , chiese Daniele alla sconosciuta.
La ragazza alzò lo sguardo verso di lui. - Piango per questa spina; mi sta lacerando il cuore. -
- Oh, mi dispiace. Se ti fa così male, perché non provi a toglierla? -
- Non posso. -
- Perché? -
- Perché questa spina me l'hai inferta tu. -
Daniele rimase spiazzato da quelle parole. - Io? IO? Scherzi? Ti assicuro che non riuscirei a fare del male a una mosca, figuriamoci a una ragazza. -
- Invece sei stato proprio tu. -
- Ma, io non ricordo nulla di simile. Non sono il tipo che fa del male alle persone! -
La ragazza, asciugandosi qualche lacrima, rispose: - Daniele, a volte per uccidere qualcuno basta fare del male a se stessi - , gli mostrò il suo cuore insanguinato, - questa spina me l'hai procurata tu, tentando il suicidio. -
Daniele sbarrò gli occhi, esterrefatto. Ma, chi era costei, cosa le importava della sua vita? Abbassò lo sguardo, turbato.
- Tu, solo tu, sei l'unico che può ancora togliere questa spina dal mio cuore. -

Chiara Cianci

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