Alyssa, l'ultima sirenetta
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La ragazza del mare e Nora.
Il Canto della Sirena era un edificio piccolo, rispetto ai giganti presenti nella via. Gli unici elementi comuni erano i pini marittimi alternanti agli alberi da frutto nei giardini decorati da statue e aiuole variegate. Alyssa si guardò intorno con curiosità. Alzò il naso sulla scia di un profumo di vaniglia che le mosse l'acquolina. La pancia brontolò, lei se la guardò, arrossendo. “Ti piacciono le torte?” Alla domanda di Alfredo, annuì tra i brontolii che si susseguirono, senza sosta. Restò immobile, quindi scoppiò a ridere: una risata senza suoni, fatta con il corpo. Alfredo le fece eco. Si fermarono, si guardarono di nuovo, e di nuovo scoppiarono a ridere. Quando si furono calmati, lui le spiegò che via delle Rose faceva parte di un quartiere destinato ai residenti. A parte qualche turista, lì si trovavano famiglie e coppie di anziani con la passione per la cucina e la pesca. Alfredo le aveva raccontato la storia del Canto della Sirena, mentre erano per strada. Era stato creato da suo padre quindici anni prima. Da casa privata era diventato un punto di riferimento per i senigalliesi e per i turisti affezionati. Tanti venivano da paesi stranieri: Germania, Danimarca, Norvegia, Svezia, Polonia, Russia. A volte passavano degli americani, affezionati alla Spiaggia di Velluto. La ragazza fissò la facciata pittoresca del Bed and Break-fast. Si erigeva su tre piani: al secondo corrispondevano due balconcini di legno, adornati da vasi di fiori dalle ampie corolle di un vivace fucsia. In corrispondenza del terzo piano se ne trovava uno, centrale, di dimensioni più ridotte. Alfredo lo indicò, con un sorriso. “Là c'è la tua stanza.” La ragazza arricciò le labbra con aria interrogativa, lui precisò: “No, non è destinata ai turisti. È vuota da anni”. Avvertì una nota dolente nella voce dell'uomo. Come un dolore del passato, reso tangibile dalla caduta di un velo. Alzò lo sguardo su di lui: negli occhi affondavano radici di stati d'animo che, nel mutare, facevano affiorare vecchie fratture ed emozioni sopite. Alfredo distolse lo sguardo, come per non farsi leggere dentro. Passò oltre il cancelletto, lei lo fermò tirandolo per le maniche della Polo. “Che c'è?” le chiese, con circospezione. Alyssa indicò il furgoncino con cui erano rientrati dalla pesca, lui annuì. “Il pesce lo scaricheremo dopo. Prima ti porto da Nora.” Le scostò una ciocca di capelli dalla fronte e aggiunse: “Te l'ho detto che siamo sposati da vent'anni? Ma è come se fosse ieri”. Lei fece segno di no, anche se in realtà ricordava che glielo aveva detto dieci minuti prima. Alfredo la guidò lungo il vialetto costeggiato da due ali di verde, punteggiate da varie tinte. Una farfalla dalle ali bianche la sfiorò. Si fermò, l'insetto si posò sul mignolo. Alfredo sussurrò: “Non muoverti. Sta riposando”. Portò la mano verso le dita libere. Le punte si sfiorarono, e allora lei si sentì attraversare da una scossa. Dalle piante dei piedi, risalì il corpo raggiungendo la testa, dove esplose una sequenza d'immagini. La ragazza visualizzò due occhi limpidi, una coda di pesce, una creatura con i capelli bianchi arruffati, colta in un inquietante sorriso malefico. L'essere si dissolse subito per dare spazio a un'esplosione di bolle e a un corpo in lotta con l'acqua. Un grido muto le scappò dalle labbra, dopo essere emersa tra schizzi di acqua e schiuma. Il volto di Alfredo riaffiorò alla superficie della coscienza. “Stai bene?” Fece per rispondere, ma sentì un soffio d'aria uscirle in corrispondenza delle corde vocali. Una nuova scossa le passò dalla testa, scaricandosi a terra, e colmandola di terrore. “Ehi?” L'uomo si allarmò. La ragazza si sentì sciogliere le mem-bra e le corde vocali, annodate fino a quel momento. “Io, amore, mare.” Spalancò gli occhi, Alfredo fece lo stesso. La sua voce: sembrava contenere un intero spartito musicale. “Ma tu stai parlando!” Presa dalla frenesia, mosse ancora la bocca. “Principe, io nuotavo. La strega... .” Sull'ultima sillaba, sentì qualcosa entrarle in gola. Le parole che stavano per uscire, si spensero come fiammelle. La cassa toracica si allargò insieme ai polmoni, privandola del fiato che per pochi minuti era scorso, come un fluido benefico. Con un movimento stentato, si rivolse al mignolo su cui la farfalla era rimasta appollaiata, le ali ancora chiuse. Avvicinò le labbra, soffiò, e allora il lepidottero volò via. Lei guardò oltre il cancelletto. In quel momento, la vide. Un profilo dritto, lasciato scoperto dai capelli neri, raccolti sulla testa. Due occhi che sembravano fatti di sorriso. “Principessa.” Il labiale scandì quella parola. Avvertì un formicolio all'altezza delle gambe, poi l'ennesimo brontolio della pancia. La passante tornò a guardare dritto davanti a sé, lei eb-be l'impressione che qualcosa stesse bruciando, sotto di lei. Avvertì un guizzo umido all'altezza delle piante dei piedi. Alfredo la distolse dalle sensazioni cocenti che la inva-devano, come tante epifanie. “Hai bisogno di mangiare qualcosa e di riposare. Seguimi.” La precedette sulla soglia, lei gli andò dietro avvertendo una serie di fitte ogni volta che appoggiava i piedi. Quando ebbe raggiunto l'ultimo gradino, Alfredo le aprì la porta. Entrò, il profumo di vaniglia la investì come una dolce bufera, muovendo il sommerso della fame. Un lungo brontolio le fece scordare le fitte alle gambe. Alfredo la precedette in un ampio salone, suddiviso in una serie di nicchie. Archi acuti coronavano le aperture delle pareti che fungevano da divisoria di tre salottini. Il terzo, alla loro destra, era un soggiorno comunicante con una cucina che si intravedeva dalla porta a tenda, socchiusa. Dietro, s'intravide un'ombra. “Nora?” Da una delle nicchie provenne una voce. “Buongiorno, Alfredo!” Una signora biondissima, con le lentiggini e gli occhi così azzurri da sembrare trasparenti, uscì dallo spazio. Indossava un abito a sottoveste che scopriva le cosce tornite, arrossate dal sole. “Guten morgen, Frau Schnitzler. Wie geht es dir?” “Sehr gut.” La signora passò all'italiano. “Aspetto Fritz.” “Starete in spiaggia tutto il giorno?” La turista guardò la ragazza, Alfredo si affrettò a fare le presentazioni. “Entschuldigung, le presento... .” Si fermò. Lo aveva preso alla sprovvista. Frau Schnitzler li guardò, perplessa, Alfredo tirò le labbra in un sorriso. Mormorò: “Alyssa”. Qualcosa le risuonò, come se quel nome fosse stato coniato per lei. Fece un passo avanti, porgendo la mano alla signora, che gliela strinse con delicatezza. “Sei deliziosa” disse in un italiano stentato ma musicale. Dalla cucina provenne una voce. “Frau Schnitzler, sto arrivando!” Una donna spinse di lato la porta, recando con sé un vassoio. Nel vederla, fece un piccolo passo indietro. “Ciao.” Avanzò verso il centro della sala e posò il vassoio sul ta-volo, senza staccarle gli occhi di dosso. “Benvenuta!” Alyssa lasciò andare la mano e si avvicinò alla moglie di Alfredo. Un vestitino rosso con motivi floreali bianchi, faceva risaltare la carnagione scura. Gli occhi castani lasciarono impronte nel cuore, come se fossero stati affogati in un unico, pulsante pensiero. Per un attimo le parve che le volesse fare una domanda; come quando qualcuno riconosceva il volto di una persona ma non ne ricordava il nome e si tirava indietro per evitare brutte figure. Alfredo ruppe gli indugi. “Alyssa, questa è Nora, la mia dolce metà. Nora, lei è... .” La donna lo zittì con un cenno. Prese la moka e versò il contenuto in quattro tazzine. “Per favore, prendine un'altra.” “Subito.” Alfredo raggiunse la vetrinetta, addossata alla parete alla sua destra. Aprì l'anta, prese la tazzina, la allungò alla mo-glie, che la accolse sul palmo con un cenno del capo. “Guten Morgen!” La voce di un signore rubizzo scaldò l'atmosfera. Nora versò il caffè e affettò la ciambella cosparsa di granelli di zucchero. “Cara, perché non rispondi?” le chiese, rivolgendole uno sguardo intenerito. Alyssa si morse le labbra, fissando il dipinto appeso da-vanti a lei. Era un paesaggio sottomarino, arricchito dai dettagli di alghe e coralli, in cui le parve di ravvisare qualcosa di famigliare. “Non avere paura, sentiti come se fossi a casa tua.” La donna aveva una voce carezzevole. Alyssa si guardò le punte dei piedi, sperando che all'improvviso la voce le scorresse dal bassoventre alla bocca. Ma era solo respiro. Vita, sì, ma un soffio d'aria che non sapeva raccontarsi. Avrebbe voluto parlare. Avrebbe voluto... . Quando ebbe rialzato la testa, notò Alfredo con le labbra accostate all'orecchio della moglie. Nora lasciò cadere il coltello sul tavolo. “Scusami. Sono mortificata.” La donna le si avvicinò, la abbracciò, e allora sentì il calore del suo corpo. Non era legato al sole di Senigallia, ma a un qualcosa che veniva da dentro. Come un ricordo antico, di cui restavano tracce lievi come nuvole di passaggio. Gli Schnitzler le osservarono, incuriositi, poi si scambiarono occhiate d'intesa. Alfredo terminò di tagliare il dolce e distribuì le fette sui piattini. Nora si allontanò, continuando a tenere le mani della ra-gazza. Era difficile trattenere le lacrime. Troppi silenzi che non riuscivano a tradursi in parole. Aveva una storia dentro, ma non riusciva a raccontarla. Forse, quella donna la captava, ma era tutto così difficile da sopportare! Finalmente, Alyssa – più ci pensava, più il nome le piaceva! – si rivolse ai turisti. Lasciò andare le mani di Nora, sfoderò il suo sorriso più bello, quindi servì il caffè. Distri-buì lo zucchero, riprese le tazzine vuote, chiese agli ospiti se ne volevano ancora, usando il labiale. Si mosse con la disinvoltura di chi aveva sempre abitato quegli spazi. Quando ebbero consumato la colazione, Fritz le chiese di avvicinarsi. Dalla tasca dei pantaloni estrasse una banconota rosa, lei la respinse con delicatezza, lui gliela mise in mano, costringendola ad accettarla. Prima di uscire, l'ospite commentò: “Vostra figlia è una meraviglia. Una sirena non è più bella”. Uscirono, compiaciuti, Elsa posandole un bacio sulla fronte. Alyssa si sentì frastornata, Alfredo balbettò: “Figlia? Li hai sentiti?”. “Sì” replicò Nora in soffiato. I due si scambiarono uno sguardo stranito. “Eppure, da quattro giorni che sono qui, non hanno mai visto nessun altro membro della famiglia.” Nora si rivolse alla ragazza. “Tesoro, da dove vieni?” Alfredo rispose per lei: “Dal mare”. Raccontò quello che era successo. Era davvero una storia incredibile, ma più si addentrava nei dettagli, più Nora sembrava fissarsi su un punto. Come se il passato avesse bussato alla loro porta restituendo qualcosa che avevano perduto. Alyssa non capiva cosa: tra i due correvano dei non detti che restavano sospesi tra le parole e gli sguardi che si scambiavano, complici e affettuosi. Al termine del racconto, Nora spostò una sedia e si lasciò cadere, esausta. Alyssa si guardò le mani. Tirò le dita, avvertendo un senso di straniamento. Non era nervosa, piuttosto era curiosa di capire che cosa le avrebbe detto. “Senti” Nora la apostrofò, distogliendola dalle sue considerazioni, “preferisci la pasta o il pesce?” Alfredo intervenne: “Ma che razza di domanda è?”. La moglie sollevò le braccia al cielo. “Da qualche parte bisogna pur iniziare, no? Dico, per conoscerci.” Alfredo balbettò: “E va bene, ma esordisci con una domanda così, con una ragazza del mare?”. Nora strabuzzò gli occhi, come se non avesse colto il riferimento, Alfredo la incalzò: “Voglio dire, con tutte le domande che potresti farle, le chiedi se mangia il pesce?”. Ci fu un attimo di silenzio: gli sguardi si rincorsero sul filo di una lieve tensione. Alyssa strinse le dita, poi le sciolse, insieme alla risata, muta ma contagiosa, per i coniugi. Nora si alzò in piedi. La strinse a sé, come soltanto una madre poteva fare con una figlia adorata. Alyssa si staccò lentamente. Arretrò e iniziò a muovere un braccio e poi l'altro, come nel nuoto a stile libero. Girò su sé stessa, portò un piede avanti, poi indietro, mosse il bacino e fece una seconda piroetta. Infine, descrisse un cer-chio con le braccia. I due fecero un applauso. La moglie di Alfredo portò avanti il busto. “Ami nuotare e ballare.” Fece sì con la testa, Nora rilanciò: “Ma prima di arrivare qui, dov'eri?”. La domanda la spiazzò completamente. Se avesse avuto la voce, non avrebbe articolato le parole giuste. Anzi, non sarebbe riuscita a formularne nemmeno una. Alyssa si guardò intorno, in realtà rovistò nella memoria. Cercò di focalizzarsi sui momenti che avevano preceduto il risveglio, su volti che potessero riportarla ai suoi cari, agli amici che una ragazza della sua età avrebbe dovuto avere. Si scontrò proprio con lo scoglio della memoria. Era come se oltre la parete del presente non ci fosse altro che un orizzonte impastato di nulla. Affranta, aprì le braccia. Scosse la testa, arricciando le labbra. No, non ricordava nulla della sua famiglia. Le sembrava di essere nata quel giorno, come Venere dai flutti. Anche se aveva la testa piena d'informazioni e d'immagini, le mancavano quelle sulla sua storia. Articolò l'ultima frase con il labiale, Nora la strinse an-cora a sé. Di nuovo, ebbe la sensazione di un abbraccio che sembrava avere ricevuto secoli prima. Una stretta che pro-fumava di sale e violetta. L'incontro di acqua e terra. Tra le braccia della madre, si guardò ancora dentro. Le sovvennero alcuni versi: “Come se il mare separando-si/svelasse un altro mare”. Una poesia di Emily Dickinson riverberò tra correnti confuse. E poi “E ce ne andiamo co-me siamo venuti/arrivederci fratello mare” di Nazim Hik-met. Alyssa si staccò di nuovo dalla donna. “Va tutto bene?” le chiese, portandosi una ciocca dietro l'orecchio. Alyssa indicò la testa con il dito, con cui descrisse un movimento circolare. Quindi portò la mano in alto e mimò il gesto dello scrivere. Nora si rivolse ad Alfredo, indicando la credenza addossata alla parete. “Per favore, prendi il materiale da disegno.” L'uomo raggiunse il mobile. Dal primo cassetto estrasse un astuccio e un album. Li porse ad Alyssa, che si mise all'opera. Aprì l'album sul primo foglio bianco. Dall'astuccio prese una matita appuntita e tracciò alcune linee. Erano appena accennate, così, non contenta, cercò una biro nera. La trovò, tolse il tappino, lo appoggiò accan-to all'album e lasciò fluire i suoi pensieri in una calligrafia arricchita da svolazzi. Alla fine, disegnò un fiore collegato a una stella da un gambo, sullo sfondo di una spiaggia. Riempì gli spazi bianchi con i colori del mare, dell'erba e del sole. Consegnò il foglio a Nora e ad Alfredo, che l'avevano osservata in silenzio fino a quel momento. L'uomo lesse ad alta voce.
“Vengo dal mare/non riesco a cantare/quello che ho dentro/che è del cuore centro. Sulla barca mi sono svegliata/insieme al padre che mi ha salvata/ dal mare freddo e pericoloso/ha tratto un insegnamento prezioso. Non ho volti o pensieri/del mio passato e d'ieri/solo musica e poesia/che mi indicano la via. Sono nata nel mare/e il mio passato posso sognare/perché la vita comincia ora/con il Canto della Sirena che mi onora.”
Roberta De Tomi
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