Le scarpe.
Don Mario forse avrebbe capito molte cose, se soltanto avesse potuto vederle prima, le scarpe dell'uomo. Magari le avrebbe interpretate come un messaggio indirizzato proprio a lui, un segno soprannaturale. Oppure... chissà, si sarebbe limitato a classificarle come un trascurabile dettaglio. Se le avesse viste prima, prestandovi più attenzione, se solamente si fosse fatto sorprendere da un presentimento, avrebbe accettato con più coraggio e minor stupore le rivelazioni ricevute in seguito. Ma Don Mario è un prete, officia nella chiesa di Santa Maria a Boccadamo, di cui è stato nominato viceparroco da poco più di un anno. È in quell'età di mezzo, in cui tutti i capelli hanno ancora lo stesso colore; è in quell'epoca della vita, nella quale di solito un uomo non vuole più assomigliare a nessuno, senza sapere ancora che cosa farà della propria forza. I preti non credono ai presagi, al sesto senso o ad altre simili superstizioni. Neanche la scienza reputa possibile per l'uomo percepire informazioni su eventi del futuro, prima che essi accadano. Perché mai dovrebbe farlo la Chiesa? Soltanto Dio conosce ciò che accade in ogni tempo, solo Lui ha una visuale oltre i tempi terreni dell'uomo. Perciò, se Don Mario avesse visto in anticipo i piedi di quell'individuo, non avrebbe certo pensato a una minaccia. Le predizioni, che la mai morta scaramanzia popolare attribuiscono a un disegno occulto, magari leggibili nei numeri oppure da un imprecisato sesto senso, si basano al contrario su analisi e osservazione di fatti e persone. Bisogna conoscere qualcosa prima e sforzarsi di capirla. E lui non sapeva ancora nulla. Di primo acchito quei piedi e quelle scarpe non avrebbero suscitato in lui alcuna fantasia su ciò in cui sarebbe stato coinvolto. A differenza dell'uomo, solo Dio conosce tutti i fatti, soltanto Lui comprende a fondo la natura e le inclinazioni dell'anima: grazie a questa capacità, quando decide di farlo, Dio e soltanto Lui può prevedere in modo esatto come singoli individui o intere nazioni agiranno. Egli può persino controllare e modificare fattori e tendenze per assicurare il risultato previsto, lasciando pur sempre all'uomo l'ultima responsabilità delle sue scelte. Se anche quelle scarpe avessero parlato a Don Mario, da buon sacerdote si sarebbe rifugiato nella parola di Dio. Così sarà la mia parola che esce dalla mia bocca. Non tornerà a me senza risultati e avrà sicuro successo. Le scarpe dell'uomo erano nere. A prima vista si sarebbero dette di cuoio: erano più adatte a un clima freddo, al massimo una mezza stagione; alte quasi fino alla caviglia, serravano bene il piede avvolgendolo con forza; non avevano stringhe e si allacciavano con una fettuccia trasversale, di quelle con il velcro, che fasciava il metatarso. È difficile trovare scarpe di buona fattura e di vera pelle con quella forma. Erano senza dubbio un modello economico, manufatti industriali fatti di qualche materia sintetica: si trovano dai cinesi o in uno di quei caotici bazar gestiti da turchi o bengalesi, che offrono un po' di tutto per pochi soldi. Le suole, più consumate dal lato interno, lasciavano supporre che l'uomo assumesse una postura sbagliata. Forse, mentre camminava, le sue ginocchia flettevano naturalmente l'una verso l'altra esercitando una maggiore pressione sulla parte interna del tallone o magari era in sovrappeso o era a causa di un dolore alla schiena... Forse un'artrosi lo costringeva a muoversi in modo scorretto. Non erano sporche, ma neanche tirate a lucido. Probabilmente le indossava tutti i giorni per molte ore e, quando se le toglieva, emanavano il tipico e sgradevole odore di piedi sudati. Non erano proprio adatte ai primi caldi intensi di fine giugno. Le scarpe un po' impolverate avevano percorso parecchi marciapiedi, vagando a lungo prima di trovare riposo; avevano schiacciato cartacce abbandonate dall'incuria dei passanti, sempre troppo presi da altre urgenze per evitare un gesto d'inciviltà. Senza volerlo avevano spento un paio di cicche, ignorando chi ne fosse stato il fumatore, l'uomo stesso o un passante occasionale, e avevano sfregato contro un cordolo di cemento serbandone in eredità un graffio grigiastro e ingiusto sulla tomaia. Quelle scarpe avevano cadenzato molti passi: alcuni determinati e rapidi, altri titubanti e incerti. Il tratto di strada, che le aveva viste passare più volte avanti e indietro, ne era testimone; avevano schivato una pisciata di cane e un gelato sciolto sul selciato; disorientate dai pneumatici di motorini parcheggiati in malo modo, si erano distratte all'incontro con tacchi femminili un po' isterici ed erano quasi state investite dalla corsa di un ragazzino troppo esuberante. Si erano anche fermate per un momento, accavallate l'una sull'altra con il calcagno destro appoggiato a terra. Durante quella sosta, nonostante il caldo del pomeriggio inoltrato, avevano assaporato la tregua elargita loro dal proprietario, stanco del suo stesso vagabondare. Avevano percepito il tremolio del suolo causato dal passaggio di un autobus, udito il clangore delle transenne che gli operai del comune disponevano, vociando, per incanalare la processione di San Giovanni, il Santo patrono di Boccadamo, sulla Riviera ligure di Ponente, prevista per quella stessa sera; avevano udito impassibili i comandi nervosi dei vigili urbani intenti a sbrogliare il traffico per liberare il percorso lungo il quale, più tardi, sarebbe passato il corteo religioso. Le scarpe nere sembravano essere grate per quella pausa. I loro piedi “inquilini”, prigionieri di calzature inappropriate, sgranchivano le dita sudaticce con movimenti ondulatori, circolari e quasi automatici; indugiavano in un tempo morto, anche se erano ancora ben vivi: inguantati dalla tomaia sintetica, non potevano scappare in mezzo alla folla, non potevano mescolarsi alle altre decine di estremità che passavano accanto a loro. Scarpe che sfioravano altre scarpe, piedi che incrociavano altri piedi, ognuno prigioniero del proprio daffare, ognuno meticcio nello stesso mondo. I movimenti di quella folla camminante, mossa da propositi e desideri alieni, lasciavano indifferenti i piedi in sosta. Privati temporaneamente del loro uffizio, in attesa di nuove ingiunzioni, aspettavano pazienti che passasse parte di quel caldo pomeriggio d'inizio estate, chiedendosi forse il motivo di tale rinvio. Come un autobus arrestatosi a una fermata, pronto a riprendere la corsa, i piedi con le loro nere compagne sapevano molto bene che avrebbero presto dovuto dirigersi a un appuntamento inderogabile... o verso qualche posto che esisteva solo perché li stava aspettando. Arrivate alla chiesa di Santa Maria, le scarpe avevano percorso più e più volte i sette gradini che salivano verso l'entrata principale. Si erano attardate davanti all'uscio secondario, quello di destra, sbarrato, poiché l'altro, quello di sinistra, era presidiato da una mendicante dalla faccia unticcia, probabilmente una rom, che aveva subito sfoderato un'espressione ostile proteggendo con un gesto istintivo la ciotola di plastica contenente qualche moneta. Temeva forse che il padrone di quei piedi la scacciasse o che volesse usurpare la sua postazione strategica. Le scarpe nere, adatte a un becchino o a un prete, ma così fuori luogo nell'incipiente serata senza nuvole di fine giugno, si erano strascicate avanti e indietro lungo la corta scalinata, come per prenderne le misure o per saggiare la durezza delle pietre squadrate. Nessuno cammina mai così davanti a un luogo sacro: chi entra in chiesa lo fa senza tentennamenti, anche se non guidato da fede genuina. E quelle scarpe, severe come un inquisitore, sembravano proprio voler disvelare la vera natura dei metodici frequentatori del tempio, denunciare il ripetersi del loro incedere senza convinzione, la loro rinuncia ai sinceri stimoli della preghiera. I cosiddetti fedeli, intruppati nel luogo eletto a riparo contro chissà quale male, distratti dalle loro paure nella replica della stessa messinscena, alla fine non si allontanano mai dal loro peggior peccato: l'abitudine. Finalmente le scarpe entrarono guidando l'uomo attraverso la porta centrale. L'aria all'interno era fresca, i suoni ovattati. Non si fa rumore in chiesa! Quello è destinato alla vita materiale, alla frenesia del fare e del produrre. La chiesa di Santa Maria, arrotolata in una penombra ancor più esasperata dalla luce squillante del mondo esterno, accolse i piedi stanchi dello sconosciuto, il quale s'installò in uno dei banchi in fondo. L'uomo si sedette sul bordo e parcheggiò le nere estremità sotto la pedana della panchina antistante, come a volerle nascondere. Come a volersi nascondere.
Aldo Viano
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|