Parigi, 10 gennaio 1931.
Una fitta nebbia accompagnata da un leggero nevischio avvolgeva la villetta rossa nel boulevard Berthier. Tutt'intorno un pesante silenzio. Nella villa le luci erano spente, tranne che in una stanza. Una breve, tremula, luce fioca illuminava la camera da letto al piano terra di un grande Maestro. Il pittore Giovanni Boldini, le peintre italien, come veniva affettuosamente chiamato, si stava lentamente spegnendo nel grande letto stile impero posto accanto alla parete. Una vita intera spesa fra i suoi amati colori, fra le sue amate tele e, soprattutto, fra le sue amate donne. Le donne di Boldini. Famose, seducenti, rese ancora più belle dal tocco sapiente dell'artista che a suo modo le amò tutte, foss'anche solo dal punto di vista artistico. Le vestiva, le vezzeggiava e le immortalava in grandi ritratti che lo resero celebre, amato e cercato da tutte. Le luci della Belle Époque, la “sua” amata Parigi, la vita mondana, questo vortice di vita vissuta, lo stava lentamente abbandonando. Il soffio vitale ora è debole. Nella semioscurità una donna gli è accanto, seduta vicino al letto. Dolcemente passa la mano tremante sul volto dell'amato. Emilia Cardona, l'ultima donna dell'artista, sposata il 19 ottobre di due anni addietro. Il silenzio che avvolge la stanza, foriero di morte, penetra anche nell'animo della donna. Ogni tanto, con un debole palpito vitale, il pittore apre gli occhi, ormai stanchi e velati e allunga la scarna mano a cercare quella della moglie. - Ne pleure pas, ma chérie... ho vissuto a lungo una vita meravigliosa, sono sereno, non ho paura - . Lontani, in disparte, due giovani medici osservano in silenzio la scena. Timidamente uno di loro si avvicina e con discrezione prende fra le dita il polso del malato e ne controlla i battiti leggeri, una breve occhiata sfuggente alla signora e si allontana dal capezzale del malato. Una folata improvvisa di vento fa muovere le persiane creando un leggero sussulto nella donna. Ancora una volta il Maestro apre gli occhi e cerca con lo sguardo quelli della moglie. - Che vita meravigliosa mia cara Emilia, ora in queste ultime ore, e in questo mio letto, la sto ripercorrendo tutta... - .
Ferrara
Un sentimento di gioiosa euforia circolava nelle strade vestite a festa di Ferrara. I bambini si rincorrevano sotto l'occhio vigile e attento dei genitori impegnati a scambiarsi gli auguri per l'imminente fine dell'anno. Fra le bancarelle il vocìo incessante dei venditori chiamava le donne agli acquisti per il cenone della sera: parco in alcuni casi, abbondante in altri. La città era invasa da mille luccicanti colori. Le luminarie scandivano le strade e facevano risaltare ancora di più la bella mole del castello Estense, circondato dal fossato da dove, come una danza, zampillavano fontanelle d'acqua. Alberi di Natale, balocchi, la impreziosivano ulteriormente. I bambini sgranavano gli occhi di fronte alle leccornie di tutti i generi che brillavano nelle vetrine dei negozi. Una gioia diversa, ma ugualmente carica di emozione, si respirava in una casetta in via Volta Paletto 1941: Benvenuta Caleffi stava per dare alla luce l'ottavo dei suoi figli. Sposata con Antonio Boldini, pittore famoso, era stesa a letto circondata dalle donne, fra cui anche l'ostetrica, che attendevano il lieto evento dandosi da fare preparando tutto il necessario al nascituro e, soprattutto, rinnovando il fuoco del camino per tenere al caldo la partoriente dato che fuori un leggero nevischio cominciava a imbiancare la città in quel freddo giorno di dicembre. Il futuro padre cercava di dominare l'emozione andando su e giù fra la camera della moglie e il suo studio-atelier posto nella soffitta al piano superiore. Un odore di colori, trementina, colle, tele, grasso animale lo invase appena aprì la porta: un odore familiare, capace di calmarlo. I Santi rappresentati nelle tele religiose appoggiate alle pareti erano lì intorno a lui e sembravano rassicurarlo: Andrà tutto bene, nascerà sano e forte e anche Benvenuta starà bene, si ripeteva incessantemente dentro di sé. L'emozione cresce di minuto in minuto, finché un lontano vagito interruppe il silenzio dell'atelier. È nato! Antonio aprì la porta e corse giù dalle scale precipitandosi in camera della moglie. Benvenuta, stesa a letto, gli occhi velati di lacrime per l'emozione, teneva fra le braccia un piccolo fagottino dalle gote ancora rosse per il parto appena avvenuto. - È un maschio, Antonio! È sano e stiamo entrambi bene. - Emozionato il padre prese il figlio fra le braccia e orgoglioso guardava il nuovo arrivato. - Benvenuto al mondo, Giovanni, Giusto, Filippo, Maria. - Poi rivolto uno sguardo alle donne: - Presto, qualcuna vada ad avvisare il parroco, lo battezzeremo oggi stesso - . La cerimonia si svolse nella chiesa di Santa Maria in Vado, alla presenza dei parenti più stretti, del padrino, e degli eccitati sette fratelli che per la gioia del nuovo arrivato non riuscivano a stare fermi in chiesa durante la funzione.
- Zanin, Zanin, dove sei? - Benvenuta chiamava a gran voce il piccolo ma questi non la sentiva: era troppo impegnato a scoprire l'atelier del padre. Spesso quest'ultimo lo sgridava perché non voleva che il piccolo vi entrasse per paura di qualche danno ma, si sa, gli studi dei pittori sono luoghi magici impossibili a resistervi. Zanin ne era fortemente attratto: voleva scoprire tutti i segreti di quel luogo che conteneva cose così interessanti! Un grande tavolo dove erano raccolti pennelli di tutti i tipi e di tutte le misure: grandi, piccoli, medi, a punta, più squadrati... e poi i colori. I tubetti a olio usati dal padre spremuti direttamente sulla tavolozza e sapientemente miscelati. - Padre, come nascono i colori che sono nel tubetto? - . Antonio guardava il figlio con aria indulgente ma nello stesso tempo era fiero di lui: aveva già intuito che quel piccoletto ne avrebbe seguito le orme. - Lo vuoi proprio sapere? - - Certo, padre. - - Allora vieni qui, siediti sulle mie ginocchia e guarda cosa facciamo. - Antonio, prima di far sedere il piccolo, preparò sul tavolo una piccola quantità di colore da ridurre in polvere, prese un pestello, un mortaio e guardò il figlio. - Per prima cosa bisogna ridurre in polvere questo colore, così... - Afferrò il pestello e iniziò a girarlo dentro il mortaio. Giovanni guardava con gli occhi sbarrati. - Prova tu, adesso. - Subito Zanin si mise all'opera con molta difficoltà perché la sua piccola mano a stento reggeva il pesante pestello. Fatta questa operazione, ottenuta la polvere il padre continuò: - Vedi, Zanin, ora bisogna legare il colore. Se lo vuoi più opaco lo mescoli con l'uovo, e avrai il colore a tempera, ma ormai i pittori lo usano molto poco. Se invece vuoi un colore più trasparente che puoi stendere a più riprese con il pennello, devi aggiungere l'olio di lino, oppure di noce, o di papavero e la trementina, così avrai un colore meno coprente ma che ti consentirà di ottenere tante sfumature nel dipinto! - . Preparato il tutto Antonio mise in mano al figlio un piccolo pennello, una minima quantità di colore e subito Zanin mosse la svelta manina sul foglio. - Voglio diventare un grande pittore come Lei, padre! - E continuò nei suoi esercizi, sotto lo sguardo bonario del padre che si perdeva ad accarezzare la testolina bionda del figlio. Le giornate, dopo quelle e altre fruttuose scoperte passavano così, sempre a dipingere e disegnare. I colori, le tele, le matite lo affascinavano sempre di più. Dopo aver riempito fogli e fogli di disegni, alla tenera età di cinque anni inizia a dipingere. Cosa posso scegliere? Se lo domandava di continuo osservando le grandi tele del padre i cui soggetti religiosi lo fissavano da ogni parte dello studio. Alla fine, la scelta cadde su due teste alate di angioletti: non ci pensò due volte e si mise all'opera. Antonio osservava in silenzio dalla porta socchiusa dell'atelier: lo teneva d'occhio il suo piccolo artista! - Padre, padre, guardate qui, cosa ne pensate? - Antonio non credeva ai suoi occhi. Davanti a sé stavano due teste di cherubini perfettamente eseguite, tanto che ebbe la definitiva conferma che il figlio avrebbe seguito le sue ombre. Era giunto anche il tempo per Zanin di iniziare la scuola, ma subito i genitori capirono che la stessa lo interessava poco; frequentava la scuola elementare nel quartiere di San Domenico seguendo con poco slancio le lezioni di Antonio Bottomedi, tanto che alla fine abbandonò gli studi per dedicarsi esclusivamente al disegno e alla pittura. Antonio lo assecondò e iniziò a insegnare al figlio i segreti del mestiere diventandone il primo effettivo maestro. Antonio era un pittore conosciuto a Ferrara, si era formato nella bottega di un pittore locale, Giuseppe Saroli; in seguito, si trasferì a Roma per proseguire gli studi all'Accademia di San Luca. Era attratto dallo stile dei Puristi e dei Nazareni, con particolare predilezione per la pittura del XV secolo. Tutti i giorni padre e figlio passavano ore nell'atelier, ore preziose per Zanin che faceva propri gli insegnamenti paterni e progrediva sempre di più tanto che iniziò ad avere dimestichezza anche coi pennelli. Oltre alle lezioni di pratica, Antonio portava con sé il figlio alla Pinacoteca di Ferrara per fargli studiare le opere dei maestri ivi conservate. Giovanni osservava tutto con occhio attento, si avvicinava ai dipinti, ne scrutava i particolari, si soffermava minuti e minuti davanti alle opere. - Sa cosa penso, padre della Pinacoteca che abbiamo visitato insieme e dove torno per studiare non tutto, si intende, ma solo ciò che piace a me? - - No, Zanin. Dimmi. - - Bah, che è molto mediocre, ci sono pochi pezzi buoni, i migliori in assoluto sono gli antichi! - . Antonio sorrise.
- Ti dico che se ne intende già. - - Ma dai, Antonio, ma come fa è solo un ragazzino, ha appena dodici anni! - - Benvenuta, fidati nostro figlio ha la stoffa del grande artista, bisogna assecondarlo. - Benvenuta, infatti, era restia ad assecondare la passione di questo figlio, soprattutto perché gli fece abbandonare gli studi prematuramente, ma serbava tutto questo nel suo cuore e per amore del figlio anche lei iniziò a incoraggiarlo. Sempre intento nei suoi disegni un giorno, aveva appena quattordici anni, decise di farsi un autoritratto. Voglio farmi un autoritratto con la tavolozza in mano e sarà solamente il primo di altri che ne seguiranno: io sarò un grande pittore, si disse. Preparata la tela, presi pennelli e tavolozza si mise all'opera. Su un formato ovale il pittore ritrasse sé stesso, vestito di tutto punto, molto elegante con basco e giacca scura, la bella camicia bianca di cui si scorge il colletto bianco, il volto di tre quarti, fiero, sapientemente illuminato dalla luce, i bei capelli biondi lunghi appena sotto l'orecchio. In mano tiene la tavolozza con i pennelli a determinare già il suo status futuro: l'eleganza. Già, anche questa era dentro il giovane abituato a frequentare il salotto della nonna Beatrice Federzoni in cui passava interi pomeriggi a osservare gli ospiti, gli abiti, le movenze. - Madre, padre, vado dalla nonna signora Beatrice, oggi tiene salotto. - Era vestito di tutto punto, elegante con una giacchetta e pantaloncini e un piccolo cravattino al collo. D'altronde dalla nonna andavano tutte persone eleganti. Beatrice Federzoni, nonna paterna di Giovanni, era una donna amabile e molto elegante. Il suo era uno dei primi salotti culturali di Ferrara dove letterati e personalità importanti si recavano a casa Federzoni per discutere di storia, politica, letteratura. Il salotto della nonna era imponente: tendaggi di color rosso scuro coprivano le grandi finestre, sulle pareti rivestite di elegante damasco brillavano le cornici d'oro dei quadri, i mobili in legno erano tirati a lucido e tutt'intorno divani e poltrone anch'esse rivestite di stoffe preziose completavano l'arredamento. - Zanin, fai il bravo, oggi abbiamo ospiti importanti. - - Certo Signora nonna, non si preoccupi. D'altronde, io devo osservare i grandi abiti delle signore, così imponenti, il taglio degli abiti maschili, devo vedere tutti i dettagli perché li voglio riprodurre nei miei dipinti. - Poco per volta gli ospiti iniziarono ad arrivare e il salotto si riempì di un sommesso brusìo interrotto solo dal frusciare degli abiti e dal rumore dei ventagli che le donne muovevano con eleganza. La stanza illuminata brillava, come brillavano le tazzine di porcellana, le argenterie preparate dalle cameriere per offrire il tè agli ospiti, le posate... tutto era stato predisposto con grande gusto. E Giovanni in questo ambiente così raffinato si trovava a proprio agio. Iniziò anche a esercitarsi con la spinetta dopo essere rimasto affascinato dall'ascolto della stessa in uno dei tanti pomeriggi trascorsi nel palazzo Federzoni. In questi anni frequenta la scuola di pittura dei fratelli Gerolamo e Gaetano Domenichini, iniziando così anche a farsi conoscere nell'ambiente artistico tanto che ebbe le prime commissioni come quella di Alessandro Gori che gli commissiona una copia della Madonna della seggiola di Raffaello; esegue anche piccoli ritratti di amici e un quadretto con persone sedute intorno a un tavolo con cui realizza i primi guadagni. Iniziano anche i primi amori. Un giorno stava passeggiando per le vie di Ferrara e incontra l'amico Timoteo Pasini con la fidanzata Adele Passega. - Giovanni, ti aspettiamo domani pomeriggio per un tè a casa di Adele. - - Va bene, non mancherò. -
- Prego, si accomodi, mi dia pure il soprabito. - La casa era molto bella ed elegante. Timoteo gli venne incontro sorridente. Dalla porta del salotto socchiusa, Giovanni vide, oltre a Adele, un'altra bella ragazza. Era Giulia, sorella di quest'ultima. Se ne innamorò subito. Vestiva un abito in raso blu, con un bel corpino definito da una scollatura decorata in pizzo. I capelli di un castano chiaro raccolti in un basso chignon tutto intrecciato su cui Giulia aveva fatto inserire dei piccoli fiorellini bianchi. - Ti presento Giulia, sorella di Adele. - - Signorina mi congratulo con lei per la sua grande bellezza ed eleganza. - Giulia abbassò gli occhi e schermì un sorriso malizioso dietro il ventaglio sapientemente aperto per nascondere parte del viso. Da quel primo incontro Giovanni non fece che pensare a lei. Ma purtroppo non fu ricambiato nella sua passione: dopo molti tradimenti da parte di lei, Giovanni venne a sapere che un anno dopo si sarebbe sposata con un certo Cesare Gualandi.
- Questa città inizia a starmi stretta, voglio qualcosa di più che mi faccia crescere anche dal punto di vista artistico. - Giovanni sedeva con l'amico Enea Vendeghini in un tavolino di un caffè vicino al duomo e confidò all'amico di un certo sentimento di insoddisfazione che lo pervadeva da qualche mese. Sentiva che ormai la sua città gli aveva già dato tutto e che lui, spirito intraprendente, doveva avere qualcosa di più. - Caro Giovanni, hai ragione. Ormai Ferrara non ha più molto da offrirti. Giusto ieri sera a casa del nostro amico Tommaso si discuteva di come invece Firenze sia una città all'avanguardia. Pensa che ci sono dei giovani artisti che si sono ribellati alle leggi dell'Accademia, ne disertano le lezioni e si prendono tele e colori e vanno a dipingere all'aria aperta. Seguono l'esempio dei francesi. È in atto una grande rivoluzione, andiamoci, ti accompagnerò volentieri. - Giovanni, le gambe accavallate e una mano sotto il mento, aveva già deciso. Firenze, quella città lo stava chiamando, poteva soddisfare la sua voglia di progresso.
la Firenze dei Macchiaioli
La superba Firenze, città dei Medici dal glorioso passato, non mancò di affascinare Giovanni. Ovunque si respirava l'aria del Rinascimento in questa città che racchiude le opere dei principali maestri toscani di quel lontano passato. Brunelleschi, Donatello, Masaccio, Botticelli, Leonardo, Michelangelo, “circondavano” con la loro seducente bellezza il giovane Boldini. Le piazze, la maestosa cattedrale con la cupola del Brunelleschi sì grande, erta sopra e' cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e' popoli toscani..., i suoi musei, le tombe medicee, le chiese del Brunelleschi, ammaliarono il giovane che subito si sentì a suo agio. In quegli anni la città era in fermento. Anche qui l'alta società si riuniva nei salotti dei grandi palazzi cittadini e frequentava eleganti caffè dove scambiarsi opinioni sorseggiando caffè o delicate bevande. Boldini, amante dello chic, si recava spesso al Caffè Doney, storico locale fondato come sala da tè e pasticceria da Gasparo Doney, nobile ufficiale francese esiliato dopo la sconfitta di Napoleone. Il locale era famoso per le specialità francesi che vi si servivano. Ebbe un successo immediato tanto che dopo poco tempo si trasferì in via dei Tornabuoni. Famoso per l'ottima qualità del gelato e per la cioccolata calda era molto frequentato dalla borghesia fiorentina, da aristocratici, politici e letterati e, soprattutto, essendo a pochi passi dal Consolato britannico, vi si recava anche la comunità inglese fiorentina. A Firenze trovò un alloggio al terzo piano di via Lambertesca, si iscrisse all'Accademia di Belle Arti e si immerse subito nella vita mondana della città. Dopo poco tempo conobbe il fiorentino Michele Gordigiani che inizialmente studiò scultura con Lorenzo Bartolini per poi dedicarsi alla pittura frequentando la scuola purista di Luigi Mussini, in seguito seguì le lezioni di Bezzuoli all'Accademia. - Questa sera ti porto con me al Caffè Michelangelo. Conoscerai tutti i giovani pittori che si stanno ribellando alle regole dell'Accademia, utilizzando la tecnica della Macchia per realizzare le loro opere. - - Benissimo, caro Michele, anche perché, ti dirò, l'insegnamento dell'Accademia lo sto trovando alquanto inadeguato, ancora fermo a regole e canoni stereotipati, c'è bisogno di nuovo anche nell'arte, a domani sera allora appuntamento in via Larga davanti al Caffè. -
Dentro una saletta appartata del Caffè Michelangelo, già dal 1855, un gruppo di artisti progressisti iniziano a riunirsi per discutere su come rinnovare la pittura, che tecniche usare, che soggetti nuovi rappresentare. Le aule dell'Accademia stavano ormai strette a questi artisti. - Basta con i soliti vecchi soggetti, portiamo la realtà nell'arte, usciamo dalle aule dell'Accademia andiamo a dipingere all'aria aperta! - incitava Telemaco Signorini che sarebbe diventato insieme a Martelli il teorico del gruppo. - Sì, la natura, il paesaggio, la nostra realtà quotidiana, tutto deve essere rappresentato! - lo incalzò Sernesi. Sempre nel 1855 ci fu lo storico viaggio di De Tivoli e Altamura a Parigi per visitare l'Esposizione Universale. I due tornarono entusiasti e con molte novità da raccontare agli amici. In particolare, ci si soffermava a parlare dei pittori di Barbizon, di come andassero a dipingere nella foresta ai margini del villaggio di Fontainebleau per studiare la luce reale e, ancora, dell'utilizzo da parte di Decamps dello specchio nero, uno specchio che decolorava il variopinto aspetto della natura esaltando i toni di colore nei massimi scuri e massimi chiari. - Dobbiamo utilizzare anche noi lo specchio nero, è fantastico! - incalzava Cristiano Banti. - La Macchia, usiamo la Macchia! Accostiamo piccole pennellate una accanto all'altra, stacchiamo i toni di luce e ombra così da far risaltare nel dipinto le luci e le ombre senza i passaggi graduali intermedi, ovvia bisogna rinnovare l'arte! -
Un anno dopo Signorini e Vito D'Ancona partono per un viaggio di studio nell'Italia Settentrionale e al ritorno sottolinearono ancora l'importanza delle nuove conquiste in arte. Ogni nuova proposta era avvalorata con un battere di pugni sui tavolini, risa e schiamazzi sottolineavano questa voglia di rinnovamento. - L'Arte deve essere in linea con le nuove correnti di pensiero: il Positivismo, Zola, la filosofia di Proudhon, l'arte deve rispecchiare queste massime! - incalzava Diego Martelli, critico del movimento insieme a Signorini, anima fondamentale del gruppo che d'estate invitava spesso gli amici nella tenuta di Castiglioncello per studiare la luce e il paesaggio: Borrani, Abbati, Sernesi, Fattori entusiasti partivano la mattina presto con le loro tele, la tavolozza e i pennelli e stavano ore e ore a rappresentare buoi, paesaggi, la casa di Diego, entusiasti del bianco di un panno steso al sole e accecato dal bagliore luminoso, o da una coppia di buoi al pascolo: - Guarda lì che effetto la luce del sole dietro la montagna! Guarda che colore assume il grano, sembra dorato! - . Entusiasti delle loro scoperte, passavano le giornate col pennello in mano. - Avete letto come ci ha definiti quel giornalista nella Gazzetta del Popolo? Macchiaioli, non ha capito nulla! - e Signorini batté un pugno forte sul tavolo. Gli altri gli fecero eco, sottolineando il tutto con battute dallo spirito mordace. Nel bel mezzo di questa discussione, Boldini, accompagnato da Gordigiani, fece il suo ingresso nella saletta dalle pareti olivastre decorate da opere contenute entro finte cornici. Un odore di fumo di candele misto a quello dei sigari impregnava la sala. - Amici, vi presento Giovanni Boldini, viene da Ferrara e vuole passare un po' di tempo nella nostra Firenze, è un pittore che trova noiosa l'Accademia e vuole rinnovare la sua pittura. - Un caloroso applauso, sottolineato da vigorose strette di mano, accolse Boldini che si sentì subito a suo agio in mezzo al gruppo. Iniziò così la vita di Boldini a Firenze. Strinse una forte amicizia con il facoltoso Cristiano Banti, che divenne anche uno dei primi mecenati di Giovanni. D'altronde quest'ultimo si dette subito da fare, pennelli alla mano iniziò a eseguire i ritratti dei nuovi compagni di “studio”: Martelli, Abbati, Fattori, Cabianca, Banti rinnovando l'arte del ritratto. Una vita in fibrillazione. Conobbe e frequentò personalità importanti come il principe russo Anatolio Demidoff che lo invitò a visitare la sua pinacoteca nella villa di San Donato Fiorentino vero scrigno della pittura francese; strinse amicizia con Marcelin Desboutin, vivace intellettuale che nella villa dell'Ombrellino a Bellosguardo aveva riunito una serie di opere francesi. Instancabile, fagocitato da tutte queste novità, Boldini iniziò la sua vita mondana frequentando anche i principali salotti della città. Si inziava anche a parlare del fascino di questo ferrarese giunto in città. Di certo non era bello, ma aveva un grande carisma. Non molto alto di statura (era stato riformato dal servizio militare in quanto non arrivava all'altezza minima di 1,55), sottili capelli biondi che incorniciavano un viso scarno, ma dallo sguardo vivace e penetrante. Sempre vestito elegante, con giacca e cravatta, la sua figura era circondata da un allure particolare. Era sempre pronto alle battute, allo scherzo, il tutto sottolineato da una grande vitalità con una parlata vivace e vibrante, enfatizzata da uno spirito ironico che piaceva. Inoltre, seguendo la sua passione per lo chic, cercava sempre di stringere amicizia con personalità importanti che potessero anche finanziarlo nelle sue opere. Non mancò di recarsi a Castiglioncello nella tenuta di Diego Martelli. Ospite per la prima volta nel 1865 appena arrivò, in calesse, la bellezza del luogo lo incantò. La baia col mare dalle diverse tonalità azzurrine brillava tempestata da piccole punte di diamanti, effetto dei raggi del sole che accarezzavano la grande distesa azzurra. Alti pini marittimi ombreggiavano la grande distesa della pineta gettando ombre sul terreno inframezzate dai raggi solari che, penetrando fra le spesse fronde degli alberi, disegnavano macchie luminose sul terreno. La vista dalla tenuta di Martelli era spettacolare. La vastità del paesaggio si estendeva al disotto, mentre tutt'intorno un grande terreno, con una parte coltivata a orto, circondava la villa. Mentre stava raggiungendo la tenuta Boldini scrutava il paesaggio che sfilava davanti a sé e meditava sugli esiti della pittura di paesaggio dei colleghi toscani. Che natura spettacolare... ecco l'esito delle ricerche di Borrani, di Fattori: hanno riportato fedelmente la vastità dei campi, la natura rigogliosa, la verità della visione è stata trasferita direttamente sulla tela. Eccolo, eccolo l'orizzonte dove il cielo si incontra col mare visibile in lontananza! Eccoli i buoi aggiogati al carro! Ecco il perché del formato lungo e orizzontale utilizzato da essi: serviva per rendere la vastità della linea dell'orizzonte che li circondava, si ripeteva guardandosi intorno. Nella tenuta, custodita con amore anche dalla moglie di Martelli, la signora Teresa Fabbrini, i due passavano ore deliziose a discutere dei fermenti innovativi in atto e, fra questo discorrere, Martelli non mancò di parlare di Parigi dove già si era recato più volte, instillando in Giovanni la voglia di visitare la Ville Lumière.
Tornato a Firenze, a casa trovò un biglietto di Telemaco Signorini che lo invitava a recarsi due giorni dopo a casa di Isabella Robinson Falconer nobildonna inglese che teneva salotto nella sua villa La Falconera a Collegigliato, vicino a Pistoia. La Falconer, donna dallo spirito intraprendente e aggiornata sulle nuove tendenze dell'arte e della letteratura, da un po' di anni seguiva con attenzione la pittura di Signorini, del quale aveva acquistato, all'Esposizione Nazionale di Firenze nel 1861 la Cacciata degli austriaci dalla borgata di Solferino e altri dipinti dello stesso. Un rapporto consolidato quello con Signorini che in quegli anni insegnava pittura alla nobildonna inglese.
Boldini, passo a prenderti dopodomani verso le 17.00, andiamo a casa di Isabella Falconer, sono sicuro ti piacerà.
Giovanni appoggiò il biglietto sul grande tavolo della sala e subito si affrettò a rispondere all'amico accettandone l'invito. Il salotto era imponente. Isabella si avvicinò e accolse Boldini invitandolo ad accomodarsi in sala. Carnagione chiara, figura aggraziata, sguardo vivace, la Falconer impressionò subito Boldini. - Lieto di fare la sua conoscenza. - Il salotto pullulava già di numerosi ospiti seduti a gruppetti sui sofà, sulle poltroncine, qualcuno faceva cornice a un invitato che stava suonando un motivetto al pianoforte. - Allora, Boldini, come si trova a Firenze? Telemaco mi ha detto che anche Lei sta sperimentando nuove soluzioni artistiche. Sono molto interessata a questi giovani pittori che ci stanno regalando numerose novità. - - Vede, signora, c'è bisogno di novità. I tempi sono ormai maturi, l'Accademia è un'istituzione vecchia ormai. Io mi sto concentrando molto sul ritratto: anch'esso ha bisogno di novità. Bisogna che presenti perfettamente il personaggio nel suo ambiente, bisogna rendere l'anima, la personalità dell'effigiato. - I due passavano ore a discutere di arte, di letteratura, tanto che la Falconer prese subito a simpatia il giovane che ormai con regolarità frequentava il suo salotto. Più passava il tempo, più Giovanni era perfettamente integrato nel milieu artistico fiorentino frequentando i grandi nomi della nobiltà, anche straniera, presente in città. Finalmente iniziarono anche le prime commissioni, ritratti soprattutto, che il ferrarese eseguiva con uno stile che aveva già l'impronta del futuro grande ritrattista. In quei primi anni divideva lo studio con Michele Gordigiani. Questi osservava le innovazioni di Boldini con interesse ma non le abbracciò mai in pieno. Boldini era geniale, un virtuoso del pennello: già in gioventù aveva dentro di sé il seme della passione, una velocità e freschezza di mano nel far volare il pennello sulla tela che impressionava chi osservava le sue opere. Legandosi a persone benestanti riuscì anche ad avere i primi mecenati, arrivando così alle prime vendite. Ogni occasione era buona per eseguire un ritratto. Non occorreva mettersi in posa, anche perché Boldini voleva che i suoi ritratti fossero delle “fotografie” degli effigiati ritratti nel loro ambiente. Molto legato alla famiglia Banti, era spesso ospite di quest'ultimo e non mancò di ritrarne i figli, soprattutto Alaide, la primogenita. - Alaide venga, ecco, si appoggi qui alla consolle. - La giovinetta malvolentieri si sottoponeva a queste sedute, ma ormai era abituata alle stesse anche perché venne ritratta più volte dal padre. Vestita con un elegante completo bianco con rifiniture azzurre e gialle, Alaide posava con l'aria annoiata guardando di sott'occhi il pittore che la ritraeva. - Ferma così, ecco. - Nel silenzio dell'atelier, la mano del pittore scivola veloce sulla tela: con piccole, vibranti, pennellate la figura della ragazzina emerge dalla tela. Boldini si allontana, la osserva, medita. E quindi di nuovo la mano si muove veloce giocando con la luce e il colore, indugia sulla superficie serica del vestito creando un gioco di riflessi che ci fa percepire la lucentezza della stoffa. Dietro la ragazza, tutta la ricchezza del salotto di casa Banti: il dipinto alla parete, l'elegante divano, la consolle. La figura di Alaide sembra muoversi, l'ampia gonna che esegue un'impercettibile rotazione che ne mette in evidenza tutta l'ampiezza. Eccola Alaide in abito bianco, l'opera terminata davanti a sé. Ancora il pittore non sapeva che questa acerba giovinetta avrebbe, con gli anni, catturato il suo cuore.
Il signor Boldini di Ferrara è un nome nuovo che brillantemente esordisce; egli ha esposto tre piccoli ritratti di un merito non comune e un quadretto rappresentante l'amatore di belle arti. I ritratti si sono fin qui fatti con una massima sola, cioè dovevano avere un fondo il più possibile unito per mettere in risalto e non disturbare la testa del ritrattato. Precetto ridicolo e lo dice il sig. Boldini con i suoi ritratti che hanno per fondo ciò che rappresenta lo studio: i quadri, le stampe e altri oggetti attaccati al muro, senza che per questo la testa del ritratto ne venga a scapito. Seduto su un tavolino del caffè Doney, Boldini leggeva la recensione che l'amico Telemaco Signorini aveva scritto sul Gazzettino delle Arti e del Disegno, il giornale fondato insieme a Diego Martelli. Così l'amico recensiva L'amatore delle arti, l'opera di Boldini esposta alla Promotrice fiorentina del 1866, sorteggiata e data in premio al Ministero dell'Agricoltura e del Commercio. Continuò a leggere: La modernità è tutta dentro questa piccola opera che rappresenta un uomo, seduto su una poltroncina intento a sfogliare un libro d'arte. Gambe accavallate, sta leggendo. Solleva un poco lo sguardo al di sopra dei suoi pince-nez, guardando qualcosa che sta accadendo di fronte a sé, ma di cui l'artista non ci mostra nulla. Vicino un tavolo coperto da un drappo damascato, libri e fogli di giornali al di sopra. Due cappelli a cilindro e un bastone completano il tutto. Alle pareti una tela appoggiata e un dipinto. Un cavalletto posto in un angolo con una tela ovale di cui non vediamo il soggetto: questa, signori, è la novità del ritratto, questa è la nuova direzione dell'arte!
Isabella Falconer vestita con un abito di raso rosso che risaltava sulla pallida carnagione, ascoltava attentamente le parole di Signorini, compiacendosi di avere Boldini fra i suoi ospiti e soprattutto di esserne divenuta, in parte, la sua mecenate. - Signor Boldini, le più vive congratulazioni. Sono entusiasta delle sue opere, stavo pensando di affidarle la decorazione delle pareti della villa La Falconera. Pensavo a soggetti campestri, so che è stato a Castiglioncello e che è rimasto favorevolmente impressionato dai nuovi esiti della pittura di paesaggio. - - Castiglioncello è splendida, la sua natura, il suo mare, i suoi colori! Ne sono nate opere degne di nota. Accetto con gioia il Vostro incarico affrescherò per Voi le pareti della Falconera. A presto Isabella e non mancate di porgere i miei omaggi a Vostro marito, Sir Walter. - - Non mancherò, vi aspettiamo a Collegigliato, iniziate i lavori quanto prima potete. - Boldini era ormai entrato nel vortice della mondanità, le commissioni iniziavano ad aumentare: i Donegani, i Papudoff, i Laskaraki e molti altri si rivolgevano a lui per chiederne il ritratto. E lui, svelto di mano e con una grande vivacità creativa, non si sottraeva. Tutti erano rappresentati nei loro ambienti, tanto che riuscì a creare una galleria di opere che sono perfettamente rivelatrici dell'agiatezza dei committenti.
Nella prima quindicina di giugno del 1867, Boldini programmò un viaggio a Parigi per visitare la grande Esposizione Universale. Non avrebbe viaggiato da solo, ma sarebbe andato con un amico della Falconer. - Allora, Giovanni, siete pronto? - chiese Alexander Papadopoli, l'amico della Falconer col quale Giovanni si accingeva a partire per Parigi. - Ma certo, Alexander, Parigi ci aspetta! - Programmarono diverse tappe: a Milano, Arona, in Svizzera, Sion e Neuchâtel: in ogni luogo non mancò di fare schizzi. E finalmente giunsero a Parigi. Città calda, sensuale. Non poteva mancare. Curioso com'era di aggiornarsi sulle nuove tendenze pittoriche, l'Expo era un appuntamento irrinunciabile. La Capitale francese lo ammaliò subito. E non solo la città. Le francesine... facevano venire l'acquolina in bocca
L'Expo Universelle prosegue con grande successo. Si contano circa 80.000 visitatori al giorno disseminati nei vari padiglioni. La scelta della costruzione del grande Palais Omibus al Champ de Mars fu ottima. La folla vi si riversa e non crea problemi al centro della città. Caffè e ristoranti registrano il pieno ogni giorno...
I giornali non parlavano d'altro. Giovanni stava finendo di prendere il caffè mentre attendeva Alexander che si era un po' attardato quella mattina. - Boldini, eccomi, scusate. - Alexander arrivò di corsa, dispiaciuto per aver fatto attendere l'amico. - Non preoccupatevi, Alexander, stavo leggendo il giornale parla dell'Expo. Oggi dedicherei buona parte alla visita dei Padiglioni di Belle Arti, domani vorrei visitare il Salon, dopodomani le due mostre personali di Courbet e Manet; giovedì invece voglio andare alla retrospettiva su Millet e Ingres, vi sembra troppo impegnativo come programma? - - Assolutamente no, siamo venuti apposta! - I giorni passarono veloci. Boldini, instancabile, non mancava di prendere appunti a ogni mostra in cui si recava. Si emozionò di fronte alle opere di Ingres, anche se lo trovò troppo accademiche, perfette, ma d'altronde questa era la caratteristica principale del grande pittore francese. Gustave Courbet che grandezza, che forza. I miei omaggi a Ingres, ma tanto di cappello per il padre del Realismo. E Manet. Queste pennellate corpose, quell'uso straordinario del nero, come si nota che prese ispirazione da Velázquez: i pensieri di Giovanni volavano veloci davanti alle opere dei due grandi artisti. Che forza, che coraggio, rompere gli schemi, rompere con la tradizione. La realtà, il Realismo è tutto ciò che bisogna abbracciare, continuerò a farlo anche io – pensava. Questo pensiero non lo lasciò più durante tutto il soggiorno parigino. Sì, aveva deciso. La strada giusta era quella. Parigi lo stava aspettando. E non l'avrebbe fatta attendere molto. Pochi mesi più tardi ricevette una lettera che di lì a poco lo avrebbe fatto nuovamente partire.
Preg. mo Boldini, sono venuto a conoscenza, tramite amici comuni del Vostro prossimo viaggio in Costa Azzurra. Spero di avere l'onore di averla ospite nella mia villa di Montecarlo, nella quale attualmente mi trovo. Avrei piacere di avere un mio ritratto fatto da Voi. Spero accetterete l'incarico. Dev. Mo Esteban José Andrés de Séravalle de Assereto.
Piegò la lettera e si mise a riflettere. Già Isabella gliel'aveva accennato. Forse era un segno del destino. Prese un biglietto e scrisse una missiva alla Falconer:
Mia cara signora, il Vostro amico pittore ha preso una decisione circa il viaggio a Montecarlo che gli avete proposto. Ebbene, sono felice di comunicarvi che accetto con gioia. Durante il soggiorno mi occuperò di fare il ritratto al Generale de Assereto, come da Sua richiesta. Spero siate d'accordo. Attendo Vostre notizie. Vostro Boldini.
Non posso mancare, pensò. Esteban José de Assereto, Generale in pensione dell'armata spagnola, nonché comandante dell'ordine di Malta e cavaliere dell'ordine militare di Isabella la Cattolica, è una personalità influente: sono sicuro che quest'incontro mi porterà qualcosa di buono.
Chiuse la lettera e uscì dallo studio per recarsi ad acquistare tele e colori. A novembre si recò quindi a Montecarlo e vi si trattenne per circa tredici giorni. L'ospitalità fu eccezionale, degna del grande Generale Spagnolo. Quest'ultimo chiese al giovane pittore di siglare la loro amicizia e il ricordo del suo soggiorno nella grande villa con un ritratto. Boldini accettò con entusiasmo la commissione dell'opera e vi lavorò ogni giorno per portarla a termine. Ne uscì un dipinto di un realismo straordinario. Prese ispirazione da Velázquez, un artista che aveva sempre ammirato. Per ritrarre il Generale, scelse la posa tradizionale, con l'effigiato rappresentato in posizione frontale. La figura carismatica si staglia su uno sfondo scuro, definito da veloci pennellate, dove la profondità è suggerita dalla corposità del colore e dallo scurirsi dello stesso soprattutto attorno alla testa dell'uomo. Lo sguardo è fermo, fiero, solenne, velato appena di una sottile malinconia che traspare dagli occhi, sottilmente liquidi. Pennellate profonde incidono le rughe del volto ed evidenziano la calvizie dell'alta fronte. Con un pennello sottile, Giovanni definisce le medaglie, le alte onorificenze che l'uomo ha ricevuto durante la carriera militare. Giovanni si allontanò di qualche passo e osservò il dipinto: Sì, è buono, disse fra sé e sé. In quello stesso istante, la porta del grande studio si aprì. Il Generale entrò e si diresse verso il pittore che aveva ancora la tavolozza in mano utilizzata per dare gli ultimi ritocchi al dipinto. - Caro Boldini, allora posso vedere il mio ritratto? - disse in tono solenne il Generale. - Generale, prego, ho appena finito gli ultimi ritocchi - rispose Boldini, spostandosi leggermente per permettere al Generale di accostarsi per osservare meglio l'opera. Con aria greve, l'uomo estrasse dal taschino un paio di occhiali e si avvicinò a esaminare il dipinto. Giovanni cercava di leggere l'espressione del suo viso. A un certo punto l'uomo fece un gesto di approvazione. - Straordinario, veramente straordinario. Molto bene, questa sera lo porteremo coperto in sala, e alla fine della cena in Vostro onore, lo faremo vedere ai miei ospiti. Lei farà strada, Boldini - . Gli occhi di Giovanni luccicarono. Iniziava a essere apprezzato sempre più dai diversi committenti. Il percorso, che lo avrebbe portato lontano, era appena iniziato. Seguendo i suoi pensieri non si accorse che il Generale si stava congedando da lui. - A questa sera, allora. - - A questa sera, Generale. E grazie - rispose il pittore. Rimasto solo, Giovanni spostò il ritratto e lo sistemò su un cavalletto più grande. Il Ritratto del Generale Spagnolo era ormai pronto. Più tardi lo avrebbe portato nella grande sala dei ricevimenti dove sarebbe stato mostrato agli ospiti; prese con sé la giacca e andò in camera sua. Più tardi si sarebbe preparato per la cena in suo onore che il Generale aveva organizzato.
- Parigi, Parigi! Caro Banti, il mio cuore è lì! Ah, una città cosmopolita, elegante, all'avanguardia. Ci sono appena stato per visitare l'Esposizione Universale, il Salon, le personali di Courbet e Manet, la retrospettiva dedicata a Millet e una mostra commemorativa in ricordo della morte di Ingres. Sono entusiasta, mi trasferirò lì prima o poi, si respira aria di mondanità, ma soprattutto anche i francesi stanno facendo belle cose, Manet è interessante, ne parlavo con Martelli, anche i francesi stanno andando contro la pittura accademica, Courbet è un rivoluzionario! - Nel comodo salotto di casa Banti, Giovanni stava raccontando all'amico l'esperienza parigina dei mesi precedenti. - Boldini, Boldini, sempre in viaggio, sempre alla ricerca di novità e... di belle donne. - - Caro Banti, non tocchiamo quest'argomento: le parigine sono belle, da far venire l'acquolina in bocca! - - A cosa state lavorando adesso? - - Devo portare avanti gli affreschi alla Falconera, la nobildonna Falconer è adirata perché mi sto dilungando troppo, ma tant'è se mi chiamano... - Boldini guardò l'amico con aria maliziosa, e un lampo di luce attraversò i begli occhi chiari. Banti emise una sonora risata; l'amicizia fra i due diventava ogni giorno più stretta tanto che l'amico iniziava anche a percepire il debole di Giovanni per le donne e la sua attenzione costante verso l'universo femminile che emergeva ogni giorno di più. La luce del sole attraversava le grandi vetrate dello studio dove il pittore stava lavorando a un ritratto che doveva rappresentare le sorelle Laskaraki, opera commissionategli dal padre di queste. Boldini canticchiava un motivetto leggero mentre il pennello scivolava sulla tela e la mente andava a uno dei pomeriggi di posa quando, a casa Laskaraki, dopo aver preso un caffè, aveva messo in posa le tre sorelle. Lola, la più grande, cedette al carisma di questo giovane pittore, elegante, simpatico, con un fascino tutto particolare. Le Laskaraki dovevano essere ritratte all'interno del sontuoso salotto, arredato con eleganti mobili d'epoca, come il bel tavolo in legno di noce sagomato, il sofà e la poltroncina dalle stoffe coordinate. La posa doveva essere il più naturale possibile. Lola, attraversata da un brivido, allungò le gambe con molta naturalezza, ma anche con l'intenzione di sedurre il giovane. Era intenta a cucire, lo sguardo abbassato sul lavoro e un leggero rossore le colorava le guance – ricordava Giovanni – le mani, sudate, continuavano a lavorare con l'ago. Le altre sorelle, forse, erano ancora ignare di quanto stava accadendo nell'animo della sorella. Mentre dipingeva, ripensava a tutto questo, e un sorriso gli attraversò il volto. Veloce di mano, accostava l'una vicino alle altre piccole macchie di colore, finchè un po' alla volta il dipinto prese corpo. Bagliori di luce illuminavano i mobili della stanza, pennellate più lunghe e strisciate definivano le vesti delle ragazze. Quando si trovò a lavorare sul particolare delle balze dell'abito di Lola, e a definirne le sottili gambe fasciate da calze bianche sopra le quali indossava un paio di stivaletti, un fremito attraversò il suo corpo. Lola, Lola... ma chissà... pensò fra sé e sé.
Una luce flebile attraversò le grandi vetrate del salotto di palazzo Laskaraki. Lola, con il cuore in tumulto, guardava lontano. L'animo triste, il volto illuminato da una fioca luce rosastra, pallida, negli ultimi raggi di un tramonto parzialmente offuscato da nuvole nere cariche di pioggia che si avvicinavano sempre di più a oscurare il sole. In lontananza le dolci colline toscane si vedevano appena, velate da una leggera nebbiolina. La cupola di Santa Maria del Fiore spiccava fra i tetti delle case in tutta la sua grandezza. La giovane Laskaraki pensava al “suo” pittore lontano, a Londra, lontananza fisica ma non dal cuore. Con il passare del tempo fra i due era sorta una grande complicità che nel cuore di Lola era già amore. Fremeva ogni volta che pensava a lui: ai suoi occhi, alle sue movenze, a quell'allure che lo circondava. Anche i battiti del cuore di Giovanni aumentavano quando stava con la ragazza. Dopo i pomeriggi passati nel salotto di casa alla presenza dei genitori di lei, l'etichetta andava rispettata, iniziarono le prime passeggiate in cui Lola teneva strettamente sotto braccio il giovane. Nonostante tutto, un'ombra offuscava la felicità della ragazza. Certe volte lo sentiva lontano, incostante. Si accorgeva, quando passeggiavano insieme, che l'occhio di Giovanni si allungava un po' troppo al passaggio delle donne che, magari, indossavano abiti più provocanti. Ora si trovava a Londra. Cosa starà facendo? Pensò la ragazza, sospirando leggermente.
Nella comoda poltrona del suo elegante salotto Cristiano Banti, leggeva una lettera appena giuntagli da Londra:
Londra, 1870 Caro Banti, non ti posso descrivere la magnificenza della City. Qui è tutto un brulicare di gente, c'è una frenesia indescrivibile. Aveva ragione Reitlinger a convincermi a venire a Londra. Attualmente sono suo ospite al n. 14 di Brunswick Square, una casa lussuosa piena di opere d'arte, d'altronde il mercante ha occhio per gli acquisti. Ho incontrato Vito D'Ancona, lavoro moltissimo, ritratti, ritratti e ancora ritratti, sono entrato nel giro della nobiltà inglese. Ho conosciuto anche Sir Cornwallis-West, mi ha offerto di trasferirmi nel suo studio al n. 49 di Eaton Place, qualche volta lo raggiungo nel castello di West, in campagna. Grazie a lui sto avendo proficue commissioni, lavoro per il duca di Sutherland, per la duchessa di Westminster, e la principessa di Pless. Che donne! E le donne inglesi... Ah, Banti, indescrivibili!! Qui, come puoi capire, mi sto divertendo molto, pensa mi hanno soprannominato little italian e questo mi fa molto ridere, ma anche molto piacere. Ti saluto caro Banti, tornerò presto!
Banti piegò la lettera e sorrise. Boldini è sempre Boldini, anche a Londra. Molte cose erano successe in quegli ultimi anni a Firenze. La Falconer, dopo una lunga malattia morì senza riuscire a vedere terminati gli affreschi della Falconera che Boldini non portò a termine. Ci fu una grossa lite con Marcellin Desboutin, il quale chiedeva a Boldini di rendergli le chiavi del suo studio. Boldini non si curava molto di questo. Era impegnato a vivere la sua frenetica vita, sempre in cerca di nuovi mecenati e di nuovi stimoli. In questo vortice che lo trascinava c'era un unico punto fermo: Parigi. Era lì che il pittore aveva scelto di trasferirsi definitivamente.
Silvia Gullì
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|