Il sabato mattina, dopo aver fatto colazione, Serena uscì e si recò vicino alla siepe dal lato della loro camera. Paolo la seguì. “Pensi ancora a quel colpo stanotte?” le chiese. “Si, anche se più che un colpo era un tonfo, come se qualcuno avesse fatto un salto o buttato qualcosa. Probabilmente un po' di suggestione dopo quanto abbiamo letto. Anzi sai che pensavo?” Serena fece una pausa e Paolo la guardò incuriosito. “Perché questa sera non raccontiamo a Leonardo e Nicoletta del diario? “Abbiamo detto di non dirlo a nessuno.” “A nessuno fra le persone estranee e in famiglia, per non sentirsi dire che dovevano portarlo alla polizia e bla bla. Ma loro come noi hanno la passione per le storie di terrore. E queste non sono storie qualunque.” Paolo non sembrava molto d'accordo. “Ti prego, così avremo qualcuno con cui condividere i nostri pensieri.” “Mai si dai, in fondo non stiamo facendo niente di male, anche se purtroppo quelle poverine sono morte.” Leonardo e Nicoletta arrivarono intorno alle diciannove con tanto di torta e biglietti per il soggiorno di fine anno in Scozia. Dopo aver gustato un ottima cena a base di antipasti, arrosto e dolce, il quartetto si diresse nel salone. Era davvero una serata da lupi, da quasi un'ora pioveva ininterrottamente mentre tuoni e lampi facevano da padroni. “Direi che è l'atmosfera giusta per svelarvi un nostro segreto” disse Paolo rivolgendosi alla coppia di amici. Serena scattò in piedi e si diresse verso la libreria, guardò il marito che annuì e aprì uno dei cassetti. Poi tornò al tavolo e mise il diario sul tavolino in mezzo alla stanza. Nicoletta guardò quell'oggetto vecchio e rovinato senza capire. “Apri” le disse Serena e l'amica fece quanto richiesto. Non appena sfogliata qualche pagina cacciò un urlo. “Wow! Che cos'è un vecchio libro thriller con figure?” “No, è il diario di un killer che tanti anni fa ha ucciso sei donne” le rispose Paolo “all'epoca eravamo ragazzi ma se ti ricordi c'era un pazzo che uccideva donne incinta.” “Certo che me lo ricordo, ma non capisco cosa c'entra questo libro.” “Come ti dicevo è un diario ed è stato scritto proprio dal responsabile di quei crimini, vedi che ci sono le foto delle donne? C'è pure il racconto di cosa le ha fatto con le date e...” “Che figata” lo interruppe la ragazza con gli occhi sgranati. “Nicoletta! Sono persone morte davvero” la rimproverò il marito. “Ho capito, non le ho mica uccise io. Ma come fai ad avere questo cimelio?” “È saltato fuori da uno dei mobili che avevamo lasciato al magazzino per essere restaurati. Era insieme ad altri libri che avevamo tenuto per vedere se c'era qualcosa di interessante. Quando li abbiamo controllati è saltato fuori.” “E ce lo dite solo ora?” lo brontolò Leonardo. “Poi sarei io quella insensibile” lo apostrofò Nicoletta, scatenando una certa ilarità in tutti. “Ci faremo perdonare” disse Paolo sorridendo, “ma, scherzi a parte, abbiamo letto le prime due storie e vi assicuro che non pensavo di trovare tutti quei dettagli raccapriccianti.” “Siamo davvero degli insensibili” commentò Leonardo “ma ormai non possiamo più fare niente per loro.” “Lo dici tu” intervenne Serena “Paolo si è messo in testa di risolvere il caso.” “Non ho mai detto una cosa del genere, però a questo punto voglio vedere cos'è successo. È vero, forse non è bello ciò che facciamo, ma portarlo alla polizia a cosa servirebbe?” “Alla polizia? Tanto quel tizio che le torturava è sicuramente morto” disse Nicoletta. Mentre Serena e Paolo sistemavano le stoviglie, la coppia di amici lesse le prime due storie e i trafiletti di giornale che le riguardavano. Una volta riunitisi Paolo decise di leggere a voce alta quello che credevano il racconto del killer sul terzo omicidio. “Non credo ci saranno grosse differenze” iniziò dopo aver aperto la pagina di diario che riportava la data del 1 gennaio 2003. Ore 11.00. Oggi è capodanno. Dovrei essere felice come il resto del mondo, a festeggiare con la mia famiglia. Invece sono solo, a scrivere nel mio diario. In questi giorni ho riletto tante volte ciò che ho fatto. Non è bello ma era necessario. Non devo permettere a queste sciagurate di mettere al mondo i loro bambini. Loro sono innocenti. Loro non hanno colpa. Loro potrebbero soffrire. Ore 23.00. Vorrei andare a letto ma non ho sonno. Oggi pomeriggio sono uscito e tutte quelle persone che ridevano e si scambiavano gli auguri mi hanno fatto tanta rabbia. Perché io non posso essere felice come loro? Perché il mondo non si ferma qui? Che senso ha mettere al mondo dei figli per poi farli soffrire? Non è giusto. “Qui però ha parlato di sé” esordì Serena guardando gli altri. “Potrebbe essere un uomo che è stato abbandonato dalla moglie” proseguì Nicoletta. “O forse la moglie era incinta, il figlio non era suo e per questo odia le donne.” Paolo era pensieroso e Serena commentò quanto detto dall'amica. “In effetti scrive che dovrebbe essere a festeggiare con la sua famiglia.” I quattro amici voltarono pagina. Si trovarono davanti quattro scatti di una donna molto giovane, anche lei fotografata in momenti diversi della sua gravidanza e in luoghi differenti. “Non mi pare una faccia nuova” disse Leonardo “credo di averla vista qualche volta parlare con mia mamma.” “A proposito” intervenne subito Paolo “non dite a nessuno dell'esistenza di questo diario. Siamo gli unici quattro a esserne a conoscenza. Non voglio correre il rischio che a qualcuno scappi una parola in proposito.” “Se lo dice a sua madre in tre giorni la notizia arriva in Sicilia” commentò Nicoletta e tutti risero, compreso Leonardo che annuì. Poi, alla pagina successiva, iniziò il racconto sulla terza vittima. 3 gennaio 2003 ore 8.30: finalmente il momento di dedicarmi a lei è arrivato. Ore 12.00. Questa giovane passava sempre dalla stessa strada, ogni mattina, chissà dove andava, visto che non lavora. Comunque non mi interessa, adesso è con me e oggi avrò molto più tempo e potrò divertirmi tutto il giorno. Sto aspettando che si svegli e intanto la guardo. Una bella ragazza, molto giovane, chissà per quale motivo ha deciso di avere un figlio. Forse un errore e a pagarne le conseguenze sarebbe quel povero piccolino innocente. Si, sono proprio delle disgraziate. Le ho legato mani e piedi con del nastro adesivo ma le ho lasciato libera la bocca. La sua auto è spaziosa, forse non devo trascinarla giù. Ed è un bel fuori strada che mi ha permesso di spingermi in questo posto dove non può davvero passare nessuno. Ore 12.15. Ecco si sta riprendendo un po'. Diventa sempre più facile fermare queste sciagurate, convincerle a darmi confidenza. Ore 12.40. Come immaginavo, ha iniziato a urlare, a chiedere dove si trova, cosa voglio da lei. È stato esilarante dirle chi sono e la fine che farà fra qualche ora. Dio come era disperata. Ha iniziato a piangere, a chiedermi di pensare al suo bambino. È proprio per lui che lo faccio, le ho risposto. Adesso mi sono messo davanti a lei. La fisso e lei fissa me, forse si chiede cosa sto scrivendo e chissà, forse spera di avermi convinto con la sua patetica sceneggiata. Glielo faccio credere per un po', intanto mi mangio una banana perché la giornata sarà lunga. “Come si fa ad avere un sangue freddo in questo modo?” lo interruppe Nicoletta “questa cosa mi fa venire i brividi.” “È un sadico e ha sicuramente qualche problema a livello mentale” le rispose Paolo. Poi proseguì con la lettura del diario. Ore 14.00. Mi sto un po' annoiando, vado a fare la mia solita passeggiata. Questa non deve mancare mai, non solo per terrorizzare la mammina, ma dare un'occhiata in giro non fa mai male. Ore 14.40. Ecco sono tornato, sono stato via una quarantina di minuti. Mentre mi allontanavo mi ha pregato fino quasi a perdere la voce di non lasciarla lì da sola, così le ho messo un cerotto sulla bocca. Ora l'ho rassicurata che sono tornato, mi riposo un po' sul sedile, tanto lei non può urlare. Ore 15.15. Le tolgo il cerotto, è ora di passare allo step successivo, perché mi voglio godere le sue urla e le sue suppliche. Appena ho tirato fuori il coltello ha iniziato a urlare di nuovo anche se la sua voce vacilla sempre di più. Adesso mi metterò sulle sue gambe e inizia il divertimento. Ore 15.45. Quella stronza è riuscita ad alzare le gambe e mi ha tirato una pedata in pieno petto. Devo immobilizzarla di più ma mi devo riprendere. Con quelle stupide scarpe col tacco mi ha fatto male, non smette di sanguinare, così gliele ho tolte. Ore 18.00. Quando ha iniziato a fare buio sono andato a fare un altro giro e le ho detto che l'avrei lasciata in pasto agli animali. Urlava come una matta e quando mi ha visto tornare mi ha implorato, a quel punto le ho messo una benda sugli occhi. Non poter vedere cosa ti accadrà deve essere una sensazione tremenda. Senza farmi sentire sono andato dalla parte opposta e le ho messo sulle gambe diversi sassi piuttosto grandi che ho trovato, così non le sarebbe più venuto in mente di alzarle e colpirmi. Ore 18.55. Ha dei seni molto grossi, nel mio zaino avevo anche delle pinze e staccarle i capezzoli è stato più facile del previsto. Anche troppo, perché è svenuta dal dolore quasi subito e non si è più ripresa. Peccato, avrei voluto divertirmi almeno un'altra ora ma è morta. Mi tocca aspettare prima di abbandonarla, è ancora troppo presto e non ci sarà più divertimento nell'aprirle la pancia. Ore 19.40 è ora di andare. La lascerò su una strada distante da qui, non voglio perdere questo posto per le prossime volte, anche se arrivarci non è molto facile.” “Oh mio Dio povera donna” disse Serena quasi con le lacrime agli occhi. “Quelle ore devono essere state eterne.” “E aveva già in mente il prossimo omicidio” aggiunse Nicoletta, anche lei con la voce rotta dall'emozione. Mentre i quattro amici commentavano quella macabra storia e leggevano ciò che i giornali avevano riportato, andò via la luce. Ci fu un attimo di comprensibile silenzio, poi Paolo illuminò la stanza con la torcia del cellulare e si avviò verso il quadro elettrico. Gli interruttori erano nella giusta posizione. “Deve essere il contatore generale” disse dirigendosi verso la porta. “Non uscire” replicò Serena con tono intimorito, dopo essergli andata incontro. “Serena non possiamo certo rimanere al buio. Non ti fare impressionare da un racconto, dai. Con questo tempo non c'è da meravigliarsi se salta la luce.” Quando rientrò, si accorse che Serena era preoccupata. “Amore che succede? Non sarai davvero impaurita per un interruttore che è saltato?” “No, tranquillo, è tutto a posto.” Gli rispose sorridendo, ma proprio in quel momento la corrente saltò di nuovo. Paolo dovette tornare fuori e Leonardo lo accompagnò. “Non capisco” mugugnò mentre tirava su la levetta “ci deve essere un contatto perché non è mai successo fino ad oggi.” La serata trascorse senza più dare peso a quel diario e alle orribili storie che conteneva. Una volta che Leonardo e Nicoletta se ne furono andati, non appena Paolo e Serena raggiunsero la camera al piano superiore, la casa piombò di nuovo nel buio. “Ho paura” disse Serena aggrappandosi al braccio del marito. “Serena c'è sicuramente un contatto” cercò di tranquillizzarla. “Non scendere ti prego, la riattacchiamo domattina.” “Non possiamo trascorrere la notte al buio, non c'è da avere paura” le disse col sorriso sulle labbra. Il vano dove si trovava l'interruttore generale era fuori dal cancello, per permettere agli addetti di poter fare le letture o eventuali interventi anche in loro assenza. Non era ben visibile dal giardino perché coperto dalla siepe, e prima di uscire sul vialetto Paolo si guardò intorno. Una volta sistemato l'interruttore, accelerò il passo e si chiuse in casa. Spense la luce e rimase qualche istante a guardare fuori attraverso la grande vetrata del salone, poi salì e si coricò.
Sonia Alcione
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