Max P.I. - Private Invetigation
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Stava seduto a uno dei tavoli de El Pilar su piazza dei Signori a godersi il sole caldo del mattino con un buon caffè. Si era svegliato presto, qualche ora dopo essere andato a letto. Non aveva bevuto molto durante il sabato sera, e non aveva smaltito tutta la bamba. A volte succede. Alle otto aveva spalancato gli occhi come se avesse riposato per un'eternità. Aveva capito che non si sarebbe addormentato più e fatta una doccia era uscito. Camminata fino in centro a lasciar liberi i pensieri mentre guardava, e ogni volta riusciva a farlo con occhi vergini, la sua città. Poi un trionfo di campane dal vicino duomo, a dar termine alla messa delle dieci, stormi di colombi spaventati che si alzavano in cielo probabilmente centrando qualcuno in testa col loro prodotto interno lordo, gente che usciva segnandosi, lasciava le sacre mura per le paste, passavano dalle preghiere al pettegolezzo di piazza, col nuovo omicidio, una donna questa volta ma è sempre lo stesso, no è un altro, è stato il marito, il rigore non c'era, l'anno scorso c'era un fuorigioco ecc. Lo riconobbe appena sfociarono da via Dante per entrare nella piazza. Era seduto a un tavolo di uno dei tanti bar a leggere il giornale. La sua figura si stagliava ancora automaticamente davanti ai suoi occhi, combaciando con lo stampo che aveva scolpito, inconfondibilmente. Certo lui aiutava, sempre lo stesso: jeans e giacca, capello biondo lasciato crescere che diventava mosso e buttato all'indietro, barba di un paio di giorni, e gli occhi, che in questa giornata bellissima avrebbero dovuto essere verde azzurri e poi lo sapeva, avrebbero preso del dorato quando la avrebbe vista. Il cuore sussultò quando l'ispettore bloccò la macchina proprio sotto il grande orologio. Chissà come sarebbe riuscita a parlargli, era passato tanto tempo. Sarebbe stata professionale o passionale? Gli inverni passati avevano raffreddato quel legame, o la primavera preparava l'incendio? Scese, disse a Spezzati di aspettarlo e di avvisarlo se arrivavano notizie dal medico legale, e s'incamminò quasi tremante verso il suo indiziato. Max era chino sul Mattino, quando un'ombra leggera gli coprì il sole per più del tempo che serviva a una persona a passare oltre. Alzò la testa e lo sguardo mentre questa persona si sedeva sulla sedia di fronte e si appoggiava con i gomiti al tavolo posando il mento sull'incrocio delle dita delle mani. -Ciao.- riuscì finalmente a dirle dopo che gli era tornato il respiro e il cuore, fermatosi in apnea, aveva ripreso a battere, anche se in modo irregolare e accelerato. -Ciao Max.- cercando di nascondere il tremore della voce. Vide gli occhi verde azzurri, e quel riflesso dorato che aveva... sperato, chissà perché poi, ci fosse ancora per lei. -Cossa fèto da ste parti?- sorridendo inebetito e tono finto disinvolto. Silvia staccò i gomiti dal tavolo e si appoggiò con la schiena alla sedia. -Sono stata trasferita qua, da poco più di un mese.- Max sembrò illuminarsi, come pensasse “è a Padova”, poi il sorriso si spense leggermente: -Spetavito nadale par farme i auguri?- in rimprovero che non si era ancora fatta viva. Ma c'era ancora qualcosa poi per farsi vivi? Bastava la nostalgia? -Prendi qualcosa? Un caffè?- cercando di iniziare un discorso, riprendere un filo tagliato milioni di anni fa. -No grazie, già fatto. Tu, tutto bene?- chiese. -Abbastanza.- Il momento stava perdendo magia, l'imbarazzo cominciava a prendere il sopravvento. Max prese il pacchetto delle sigarette e ne portò una alla bocca. Gli sembrava di iniziare a sudare, avvertiva una sensazione strana sottopelle. -Dove sei stato ieri sera?- a bruciapelo. Max tornò a guardarla dopo aver staccato gli occhi un istante, ritornando brusco al presente, confuso, poi sorrise: -Fai già la gelosa?!- -È una domanda seria, rispondi per cortesia.- ribatté subito calma ma decisa. Solo allora Max intravide il distintivo agganciato alla cintura dei jeans seminascosto dalla giacca di pelle. Posizione che non si usa fuori servizio. Non lo aveva ancora visto, forse distratto dai due punti in rilievo sulla maglietta bianca di lei all'altezza del seno, probabilmente aveva sempre l'abitudine di portare reggiseno comodi in microfibra che non la proteggevano da quell'effetto, forse perché si sentiva tra amici e aveva abbassato la guardia. Perché d'altronde avere la guardia alta? Con lei?! Si guardò attorno per cercare il secondo, e subito scorse un uomo appoggiato col culo al cofano di una macchina, che si sarebbe visto da un chilometro, di servizio. Dalla fisionomia enorme dalla posizione e anche dal profilo nasale “importante” sembrava quasi il suo vecchio amico ed ex collega Spezzati. Una bella riunione di famiglia. -A cena da una amica.- tornando a fissarla negli occhi e con tono duro. Almeno se non lo eri lo diventi gelosa. -Tutta la notte?- -No cher, non sono più quello di un tempo ormai, basta meno.- tornando a sorridere stronzo. -E quindi?- non mollando il tono professionale che tanto le era costato trovare. -Sono andato via a.. mezzanotte mi pare, e sono andato al Blu, e lì ho fatto mattina.- tornando scazzato. Ora la conversazione lo stava irritando. Spense la sigaretta nel portacenere. -Ed è questa la tua amica?- Silvia tirando fuori il suo telefono con la foto che aveva fatto alla foto di Monica appesa alla parete dell'appartamento e posandolo sul tavolo. Max la guardò da rovescio ma gli bastò meno per riconoscere quel sorriso. Restò immobile, forse anche senza respirare per qualche secondo, non perché sapesse o avesse capito, ma perché sentiva certe note dentro. Ripassò nella mente la sceneggiatura, non tanto l'amica che arriva, quanto lo sbirro, che non si presenta come tale solo perché già sai che è uno sbirro, che ti chiede dove sei stato ti mostra la foto di una che conosci che oltretutto è la foto di una foto perché quel quadro lo riconosceresti in mezzo a chissà che e c'era solo un modo di avere quella foto essere stati dov'era quindi erano stati da lei a casa sua quindi era successo qualcosa e quel qualcosa non è mai qualcosa di buono. Tremava, mentre allungava la mano verso il telefono di Silvia. Gli occhi erano già rossi, umidi. Tremava, l'indice che puntava verso lo schermo. Si arrestò un attimo, chiuse gli occhi, li strinse forte prima di riaprirli, prima di swippare. Immobile. Di ghiaccio. Ammutolito. Sguardo duro. Sguardo secco. Mascelle serrate. Nervi tesi. Cuore in pausa. Cervello in stand by. ... Alzò lo sguardo a incrociare nuovamente quello di Silvia, cuore che batte una volta a vuoto, s'ingolfa, si sgolfa, riparte, cervello che riprende, ma non è quello di prima, niente è più come prima. Come con Cristo, ora c'è un prima e un dopo. Un taglio netto. Un solco. Un abisso in cui l'anima inizia a vagare e che, tranne qualche momento di reminiscenza, non troverà mai più la via d'uscita. Monica morta. Uccisa. La gola squarciata. Sangue. Occhi sbarrati e ribaltati. Sangue. I boccoli impiastricciati. Sangue. Monica morta. Fissava Silvia. Sembrava volesse urlarle che cazzo vuoi, che cazzo vuoi da me!!! Il telefono vibrò muovendosi sul tavolino, una volta sola, spaccando il momento. Il commissario si voltò verso l'ispettore che fece cenno col capo, poi tornò a Max. -Dovresti seguirmi in questura.- prendendo il telefono, alzandosi e aspettando. Max alzò la testa seguendo il suo movimento, poi la riabbassò tornando a fissare il tavolino, lì dove prima c'era quella foto. Era stato solo nella sua mente. Doveva smetterla con la droga, e col bere. Da domani vita sana. Doveva smetterla con tutta quella confusione. Troppi incubi, troppi fuori pista. Quella mente ormai era incontrollabile, inaffidabile. Faceva brutti scherzi. Si alzò come pesasse centocinquanta chili. Silvia aspettò le passasse davanti per stargli dietro, come da manuale. E lo seguì lenta, mano sul calcio della pistola sperando, e occhi quasi gonfi e cuore pesante e stanco al solo averlo pensato, lui non se ne accorgesse.
Diego Seno
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