In cima alle scale una porta gigantesca dava su un altro salone; le due ante della porta erano socchiuse quel tanto che bastava per permettere il passaggio a una sola persona per volta. Mi appoggiai a una delle ante, ma nemmeno con tutto il mio peso si spostò di un passo. Guardai dentro. Il salone non era molto diverso da quello del piano inferiore: le pareti in pietra viva si innalzavano altissime e il resto della stanza era spoglio. La luce naturale dei fiori illuminava la stanza insinuandosi da un'altissima finestra dalla quale, attraverso il vetro rotto, penetrava la stessa edera che infestava il piano inferiore. Vicino alla finestra quattro Kappa frugavano dentro lo zaino di Luca all'interno del quale, tuttavia, trovarono solo fresca e limpida acqua. Feci quindi scorrere il mio sguardo lungo la stanza; un corpo immobile giaceva a pochi metri di distanza. Guardando meglio mi accorsi che non era esattamente immobile: Sofia era a terra in preda a spasmi e gemiti. Il suo corpo era quasi completamente nudo e solo pochi lembi di pelle rimanevano coperti dai vestiti ormai fatti a brandelli. Il viso, il seno, l'addome e le cosce erano pieni di ferite, di perforazioni ed escoriazioni. Quella visione mi incendiò i nervi irradiandosi a tutto il mio corpo come una scossa elettrica. La punta dell'attizzatoio che avevo portato con me era ancora incandescente; la feci sbattere contro le rifiniture in ferro battuto della porta per attirare l'attenzione dei nemici. Quando si voltarono il sangue mi si raggelò; erano sporchi di sangue, del sangue di Sofia, in parti del corpo che non oso riportare. Nell'istante stesso in cui si lanciarono contro di me un rumore assordante mi esplose alle spalle: Chiara comparve al mio fianco mentre una fenditura di luce scompariva con lo stesso fragore con cui era comparsa. Mi guardò sorridendo mentre mi passava avanti sguainando la sua spada. Quando i mostri la videro le diedero addosso, ma la sua forza era inesorabile. Ne respinse tre buttandoli a terra con un solo colpo e balzò su di loro facendoli letteralmente a pezzi. Il quarto tentò di colpirla alle spalle mentre lottava contro gli altri, ma presto cadde a terra con l'attizzatoio che gli trapassava il cranio da parte a parte. Sorpreso da quella mia forza guardai Nicolas che era comparso al mio fianco: sorrideva, ma il suo non era il solito sorriso caldo, era una smorfia di odio, il piacere della vendetta, l'estasi per la morte di un nemico. Chissà da quanto aspettava quel momento. Tuttavia, pochi istanti dopo, si rabbonì e mi osservò con volto più sereno. - Proprio quel sentimento - disse strizzandomi l'occhio. Se il mio avversario era caduto senza un suono ai suoi compagni non andò altrettanto bene; grida di morte e sofferenza riempirono la stanza mentre Chiara li trucidava. Lasciai che il mio cervello assorbisse ogni singolo grido di disperazione sfamando così anche la mia sete di vendetta. Quando anche l'ultima vita si spezzò corsi da Sofia. Coprii il suo corpo con i brandelli dei suoi vestiti. Lei mi guardò supplichevole. I suoi occhi verdi e grandi come il mare mi fissarono con uno sguardo svuotato, privo di vita; le sue labbra fremevano cercando di parlare e il suo corpo era in preda agli spasmi. Le dissi di non dire nulla, di stare tranquilla, che era tutto finito. Ma il suo sguardo non mutò; lì vidi una silenziosa supplica: mi pregava di ucciderla. Era stata stuprata, picchiata e ferita in un crescendo di umiliazione e tortura. I buchi nel suo corpo raccontavano la brutalità di quegli esseri, che l'avevano trafitta con i loro artigli per puro godimento. Il suo viso, bello, era completamente ricoperto di sangue e sporcizia, ma gli occhi erano nitidi e chiari, richiedevano con aspra convinzione il conforto della morte. Misi una mano tra i suoi capelli sozzi, impiastricciati dal sangue, nel tentativo di farla calmare, ma quello sguardo non si abbassò mai. Le dissi che le sue ferite non erano mortali, che sarebbe guarita, che sarebbe tornata a sorridere, ma fu tutto inutile. - Non è vero Chiara? Lei si salverà, starà bene, andrà tutto bene! - urlai sull'orlo delle lacrime. Chiara tacque, guardando il pavimento. - Ti prego - la esortai bagnando le guance di Sofia con il mio pianto. - Andrea è già stato portato alla base, se la caverà, grazie a lui - disse Chiara indicandomi; non stava parlando con me, ma con lei. Sofia rispose con un impercettibile movimento del capo. Diedi un pugno al pavimento posando poi la testa sul petto di Sofia. I suoi spasmi si placarono. - La tuta di Luca ha comunicato la cessazione delle funzioni vitali e siamo accorsi nel più breve tempo possibile. Solo un piccolo errore nel loro piano vi ha salvato - continuò lei, imperterrita. - Salvati? Ti pare che qualcuno qui sia stato salvato? Lei si salverà? Rispondi, cazzo! - urlai. Lei sollevò la testa e finalmente mi guardò dritto negli occhi. Nella sua espressione non c'era dolore, non c'era niente. - No! - rispose seccamente. Le lacrime scesero copiose, ininterrotte. - La società dei Nephilim ha una struttura simile a quella del nostro corpo. Come le nostre cellule compongono tessuti che svolgono diverse funzioni i Nephilim nascono con uno scopo già prestabilito. Alcuni sono preposti alla raccolta del cibo, altri prendono le decisioni, altri ancora vanno a costituire il loro esercito...e altri hanno il compito di procreare. Per fare questo loro possono rubare le anime ai loro avversari in combattimento o, più semplicemente, quello che hai davanti agli occhi. In breve tempo quello che ora c'è dentro di lei crescerà dandole atroci sofferenze e poi, tra un paio di settimane al massimo, ne divorerà l'essenza e il suo spirito darà vita a uno di quei mostri - . Tacque. Aveva parlato con estremo pragmatismo, senza che alcun sentimento la sfiorasse. - E se non avesse funzionato? - chiesi io, alla ricerca di una flebile fiammella di speranza. - Non hai capito. - disse torva. Il suo viso s'era fatto duro, quasi crudele - Loro esistono per questo, si sono evoluti in questa direzione. Non c'è nulla che possa fallire perché tutto ciò di cui hanno bisogno è la carne e la vita! - . Fece una pausa; il silenzio divenne sempre più insopportabile e le mie lacrime non accennavano a fermarsi. - Loro fanno questo, strappano la vita, uccidono e distruggono tutto ciò che trovano. Niente sopravvive al loro passaggio, NIENTE! Ora vattene, questa ragazza merita il dolce riposo - . Dette queste parole tutto era scomparso: la speranza, la vita, la gioia. Anche Nicolas sparì, con un soffio. Un'ombra nera afferrò il mio cuore separandolo dal resto del corpo. - Lo faccio io! - sussurrai. Fissai i suoi occhi annegando nella richiesta che lanciavano mentre accarezzavo i capelli chiusi nella solita treccia. - Se fossi stato più forte, se solo avessi preso decisioni diverse o... - mi scusai, ma Sofia mi posò due dita sulle labbra scuotendo la testa. Sorrideva. Chiara posò la spada di fianco al suo corpo con un gesto solenne. - Non è colpa tua. Non doveva andare così, loro non avrebbero dovuto essere qui; se cerchi qualcuno da incolpare quella persona sono io! - disse. La sua voce era nuovamente calda, affabile, ma stanca. Dette queste parole se ne andò. Accarezzai il suo viso deturpato, oltraggiato da quei mostri. Scesi accarezzandole il collo, poi il petto, sul quale cercai il punto in cui sentivo più forte il battito cardiaco. Non smisi mai di guardarla negli occhi, né di piangere. Appoggiai la spada in quel punto. Mi sorpresi della velocità dei miei pensieri e ancora una volta mi accorsi che non avevo la forza per proteggere nessuno. Non c'era più nulla da fare per lei e per quanto potesse sembrarmi ingiusto l'ultimo onore che potessi ancora concederle era quello di accompagnarla nel suo ultimo viaggio. Raccolsi tutte le energie che avevo, cercando di fermare le lacrime che continuavano a colarmi dagli occhi. - Se ti avessi conosciuto prima ora avrei avuto qualcosa di bello da ricordare - . Le sue labbra si erano inclinate in un lieve sorriso. Quegli occhi raccoglievano gli ultimi granelli di luce che avrebbero mai visto, facendoli brillare in un modo tanto dolce quanto malinconico. Chiusi gli occhi e spinsi quella spada dentro il suo corpo, fino al cuore. Sentii un grido che spezzò l'aria nella stanza e dei gemiti prolungati. Ci misi molto a capire che quelle grida provenivano dalla mia bocca. Sofia non aveva emesso un solo sibilo e i suoi occhi, ancora puntati verso di me, erano vuoti; non contenevano ormai nessuna luce. La sua essenza era volata via insieme a quello sguardo supplichevole, ma sulle labbra era rimasto incastrato quel lieve, dolce, sorriso.
Diversi mesi dopo Andrea fu riaccompagnato in quel luogo, dove era stata eretta una piccola lapide che in poco tempo l'edera aveva completamente ricoperto. Lui ne tagliò un rametto e me lo portò. Quel rametto è ancora chiuso tra le pagine del mio libro preferito, ma ne ho disegnata una copia sul pettorale sinistro della mia tuta. Il giorno dei funerali simbolici Andrea mi regalò una foto di Sofia, che giace ora sullo scaffale dei miei libri. È una foto che mi piace molto guardare perché l'unica cicatrice che colorava il viso di Sofia era, al tempo di quella foto, il suo sorriso.
Christian Martinelli
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