Una bolla d'aria sale; due bolle salgono; tre; cinque; dieci bolle volano intorno alla mia faccia. Non sento nulla al di fuori del rimbombo sordo del vuoto. Le mie orecchie sentono un gorgogliò di blub provenire dai lati, dal fondo, mentre gli occhi chiusi aspettano solo di riaprirsi. Non riesco più a respirare, devo risalire. - Fosco! Fosco! – sento provenire dal fondo della piscina – Qualcuno ti chiama! - Ok, Ma, arrivo! – ed esco dalla piscina, ancora intontito per l'acqua entrata nei condotti acustici. Con una camminata veloce mi precipito sotto l'ombrellone, per prendere il cellulare. L'ho in mano: smette di suonare. Sbuffo all'aria, maledicendo questo soggetto anonimo. Prendo l'asciugamano tappezzato con il disegno di una banconota di diecimila lire e mi rilasso nello sdraio, in attesa che costui mi richiami subito. Do un'occhiata al panorama della piscina: a parte i soliti vecchietti dal color scamorza ci sono due gruppetti di giovani, uno dedito a calciare un pallone per gli angoli della piscina, giocando oltre a calcio anche con la pazienza dei bagnanti, e l'altro a tuffarsi compulsivamente, tanto per bagnare gli altri e i vicini, ovvero io e mia madre. Squilla di nuovo il telefono. – Chi è? - Fosco? Ci sei? – è una voce famigliare, ma non riesco a decifrarla, -Oh, mi senti? - Chi è? – gli chiedo ingenuamente. - Mi prendi in giro? Sono io, Ernesto! Ernesto Sparvieri! Il tuo autore! - Ernesto? O che succede? C'è qualche problema col tuo ultimo libro? – riferendomi all'ultima raccolta di racconti, “Giorni tranquilli”, in cui rimette in scena il suo alter-ego, Bartò. - Sì, cioè no...nel senso l'opera va bene, anche se, come al solito, l'editing non è dei migliori... - Scusa, ma anche tu, con quella email assurda: non me la puoi inviare così, poco prima di pubblicare la raccolta, con quelle disposizioni così formali... Tanto si può modificare, sì? – mi chiede quasi preoccupato. - Quello sempre, tranquillo. Cosa mi vuoi chiedere allora? - Ecco...adesso vado in ferie. – mi afferma quasi vergognandosi. - Bene! Era l'ora che ti prendessi una vacanza! Hai scritto una montagna di roba! Ferma un po' il tuo cervello! - Beh, sai che non posso, in realtà; sono una macchina a vapore, e quando parto non mi ferma più nessuno nello scrivere. - A meno che tu non deragli, come accadde per alcuni racconti un po' pessimi... – gli dico cinicamente. - Vabbè, erano i primi tempi. Poi hai sempre fatto te la curatela, no? E non è stata malvagia! - Ma se prima m'avevi detto... - Comunque la situazione non è semplice: ti ricordi il programma di questo mese? - Sì, devo pubblicare l'altra raccolta, ma quella è mia, non tua. Di tuo c'è il secondo romanzo di Bartò, Una questione privata, che devi pubblicare a fine mese. - Ecco... – e tace. - Ernesto? Cos'è quel silenzio? Che vuoi fare? - Non credo di farcela... - Ma è un romanzo semplice, dai! Come non ce la fai? Dobbiamo prepararlo anche in vista del concorso della RAI-ERI, via! Che fai da fare? - Altro. Vorrei riposarmi davvero. E sai che non mi fido dei concorsi letterari. Sono tutte mezze truffe, senza poi un valore critico effettivo e una... - Risparmiami la storiella: almeno loro ti pagano la pubblicazione, furbo. Saranno anche inutili e privi di valore, ma sono sempre un'ottima fonte di pubblicità. - Che io non voglio. Senti, bisogna pubblicare altro, non quel libro. - E che si pubblica per questo mese?! - Altro. - E basta con sto altro, Cristo! Non mi far imbestialire, Ernesto, o addio editing! - Scrivi te! Scrivi te! - Cosa? Come scrivo io? Che cavolo dici? - Hai già scritto, sai scrivere! È tuo il romanzo “L'avventura di un sognatore”, o sbaglio. E anche “I Montaltesi”, quello che vuoi pubblicare. Sono tuoi, come “Paolo” e “La Dialettica di Carlo”. - Vabbè, quelli sono per l'università, non c'entrano. - Ma cosa scrivo? - Te! Scrivi su di te! Come faccio io, col mio Bartò! - Come su di me?! - Devo andare, scusa. Ci si sente dopo. – e stacca. - Ernesto! Testa di cacchio! - Oh, Nì, ma che ti prende? – chiede mia madre vedendomi paonazzo. Si mette seduta sullo sdraio, e indirizza il suo sguardo verde sul mio castano. - Niente, lavoro. Quell'idiota di Ernesto... - Ancora lavori per lui? Manco ti pagasse, poi. - Hai ragione, ma lo faccio per me, più che altro, per il futuro. - Il tuo futuro è studiare, non scrivere. Lascialo ad altri, come ti rammenta anche tuo padre. - Non mi fido degli altri. Voglio scrivere solo perché lo voglio fare, non perché voglio diventare un grande scrittore. - Sì, raccontala ad altri. – Torna supina, a prendere il sole. Incavolato come un mulo ma subito ispirato prendo il mio tablet, lo accendo, aspetto che si carichi, aspetto, lo riaccendo, aspetto, lo rispengo e lo riaccendo, apro sulla home e cerco l'app per la scrittura. Appena l'apro mi dimentico quello che volevo scrivere. Per fortuna ritorna l'idea, e scrivo sulla tastiera digitale, sbagliando ogni parola di continuo. Penso: tanto, errore più, errore meno, non sarò peggio di quelli che pubblicano nei siti online. Finisco il primo abbozzo; sapendo di non avere altri lettori a cui affidarmi lo invio a Ernesto, alla sua casella postale. Dopo nemmeno cinque minuti mi risponde. Signor Cerbo Prima di tutto “Buon giorno”. Ho saputo che vorrebbe usare il mio Bartò per una sua storia. Le dico subito di no; non s'azzardi. Le consiglio invece di usare lei stesso, come si fa nelle autofiction. Lei è in vacanza. Parli di lei, in vacanza. Credo basti.
Dio ti maledica, Ernesto. Mi tocca ricominciare da capo.
NiCMe (Niccolò Mencucci)
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